(5.1.10) RELIGIONE DEL LIBRO E DELLA PAROLA (Pasquale Cannatà / Domenico Distilo) - Ho letto con interesse l’articolo di Domenico Distilo, e trovo molto bello e giusto quanto scrive: non posso però fare a meno di notare una piccola imprecisione iniziale e quello che a me sembra un grave errore nel finale.
Approfitto di questa occasione per ribadire che non ho una grande preparazione teologica o filosofica, ma alcune cose che mi capita di leggere le conservo e quando le circostanze lo richiedono le riporto a sostegno delle mie convinzioni, collegandole tra loro ed aggiungendo qualche mia considerazione.
Domenico accenna alle tre religioni del Libro, ma questa definizione vale per l’ebraismo che applica alla lettera non soltanto le leggi dettate da Dio a Mosè e che sono quindi immutabili, ma anche quei precetti che dovevano valere solo per la vita quotidiana di quel tempo e le loro distorsioni accumulatesi negli anni con le tradizioni; lo stesso si può dire per l’islam per il quale il Corano è anch’esso dettato da Dio: quel libro non è solamente un testo religioso, ma anche giuridico ed è la base della legge, rendendo difficile il confronto su entrambi i piani. Ci si può immaginare cosa succederebbe se in Italia negli arbitrati venisse chiesta l’applicazione del diritto canonico invece delle leggi italiane, come avvenuto in Inghilterra con la sharia.
Per noi cristiani invece la Parola scritturale non è mai un dettato di Dio, ma è ispirato da Lui, ragion per cui, ed è una conseguenza importante per la nostra cultura e il nostro modo di vita, il cristianesimo non è propriamente una religione del libro. Noi interpretiamo e facciamo esegesi e teologia della Parola: ecco il deposito insieme culturale e di fede comunitaria dove abbiamo trovato l’antidoto al letteralismo fondamentalista. Ecco la nostra libertà dello spirito. Se si pensa poi che anche gli atei non transigono dalle loro ferree regole politiche, ambientaliste ed altro, si può concludere che i cristiani sono i veri laici, perché fanno una divisione tra politica, lavoro, … e religione.
Il cristianesimo, come non si stanca d ripetere Benedetto XVI è entrato nella storia come un fatto, e solo come tale vi può permanere. La sua caratteristica, come diceva Kirkegaard, è nel rendere contemporaneo Gesù Cristo, dichiarandolo presente qui ed ora.
Noi testimoniamo la Parola che si è fatta carne 2000 anni fa e che è presente tra noi oggi così come era presso Dio al momento della creazione del mondo, e senza di Lei nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste; il termine latino verbo traduce il greco logos che vuol dire anche pensiero: il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio, significa dunque che Dio è Pensiero che si manifesta con la sua Parola la cui Potenza (Parola della sua Potenza) crea l’universo. Nel mio intervento radiofonico riportavo il concetto che ognuno di noi è ciò che pensa durante tutto il giorno: perdonatemi se oso ripetere (ma lo ha affermato Gesù) che se noi fossimo capaci di pensare solo cose buone, di pensare Amore e quindi di essere AMORE, se avessimo un po di Fede, anche la nostra parola potrebbe fare miracoli così come hanno fatto i Santi che ricordiamo.
Passando al finale dell’articolo di Domenico, dove dice che la disponibilità verso l’esterno spinta fino all’autoflagellazione si trasforma però, quando si tratta di teologi cattolici con posizioni divergenti da quelle magisteriali, in netto ostracismo e, dove possibile, in provvedimenti disciplinari, direi che non si tratta di un atteggiamento contraddittorio con quel logos giustamente considerato da Benedetto XVI componente fondamentale e imprescindibile della dottrina cattolica.
Infatti in Italia ogni persona è libera di dire e pensare ciò che vuole e mi sembra che Augias, Odifreddi, Dan Brown, ecc. siano stati e sono liberi di parlare contro la Chiesa.
Per chiarire meglio il mio concetto lo formulerò con un paragone: se io guardo una partita di calcio tra Juventus ed inter a casa mia, posso esultare per qualsiasi bella azione o goal effettuati da qualsiasi giocatore di entrambe le squadre; ma se io mi dichiaro tifoso dell’inter (e nessuno mi obbliga a farlo) e mi iscrivo ad un inter club (e anche di questo non sono obbligato), quando assisto alla suddetta partita nella sede del club insieme ai miei amici, sarebbe molto strano se esultassi ad un goal di Del Piero e gli altri giustamente mi rimprovererebbero.
Allo stesso modo, visto che nessuno ha obbligato Hans Kung e Vito Mancuso a definirsi cristiani e cattolici, se non accettano le regole che il cristianesimo detta, essi sono semplicemente sedicenti tali, lo dicono di se senza esserlo: da liberi pensatori possono dire quello che vogliono, ma se assumono la veste di teologi e pretendono di interpretare la Parola di Dio è giusto che il Papa, cui spetta il dovere di mantenere integro il messaggio del Vangelo, corregga quelle che lui ritiene essere deviazioni dalla retta via per evitare confusione tra i fedeli. Ricordiamo che anche nei periodi più bui della Chiesa, quando alcuni papi si sono comportati in maniera che sarebbe stata giudicata disdicevole persino per un semplice credente, era sempre l’uomo a peccare, ma il messaggio evangelico è stato comunque trasmesso nella sua purezza.
Concludo riportando quella che a me sembra una bella definizione di noi credenti: Strana 'bestia' il cristiano, che è orgoglioso e presuntuoso in quanto non si rassegna ad essere un semplice animale, ma pretende di essere simile a Dio (addirittura Suo figlio) e nello stesso tempo per essere fedele ai comandamenti del suo Dio si fa umile e servo dei suoi fratelli che si ritengono solo ‘animali’.
Pasquale Cannatà
Caro Pasquale,
le considerazioni sulla congruità della definizione di "religione del libro" per il Cristianesimo posso anche condividerle. Resta il fatto, però, che generalmente esso viene accomunato, nella definizione appunto, alle altre due religioni. L'uso che ne ho fatto, seguendo la maggioranza - tra cui eminenti teologi -, non è connotativo ma meramente denotativo, pragmatico.
Nel discorso di Ratisbona a cui mi sono riferito Benedetto XVI ha rivendicato il posto della teologia nella "universitas scientiarum". Ora, perché vi sia una scienza si debbono dare due condizioni: l'esistenza di un comunità scientifica e il dibattito al suo interno. Se quest'ultimo manca non siamo più in presenza di una scienza ma di qualcos'altro. Capisco che è problematico far coesistere il dibattito teologico-scientifico con la Verità rivelata di cui è depositaria la Chiesa in quanto istituzione gerarchica. Ma, a parte che era stata questa la scommessa del Concilio, c'è sempre la possibilità di seguire la distinzione kantiana tra "uso privato" e "uso pubblico" della ragione, seguire cioè il credo ufficiale senza deflettere e intanto dibattere e magari abbracciare le opinioni da esso difformi. Sarà pure, la mia, una esplicita professione di gesuitismo (nel senso non deteriore del termine) ma non vedo, per un cattolico laico e democratico, "adulto" come si diceva qualche tempo fa, altra strada praticabile.
P.S. - Per me, juventino, l'interista è come il musulmano per me cattolico. Non esulterò se segna Etoo ma va da sé che potrò e dovrò discutere con i miei compagni di fede (calcistica) il modo migliore per far segnare Del Piero, cercando di far giungere a Ferrara (se le mie competenze sono, magari, da addetto ai lavori) il mio punto di vista.
Domenico Distilo
(22.1.10) DOBBIAMO DAVVERO FESTEGGIARE GARIBALDI? (Michele Scozzarra) - Mi ha fatto piacere vedere su “Il Quotidiano della Calabria” del 27 dicembre scorso, che il mio articolo pubblicato su Galatro Terme News sull’abate Martino ha aperto un ampio servizio di quattro pagine, ove veniva ricordato “L’anniversario de i 150 anni dell’Unità d’Italia e la questione meridionale: storia di un Sud negato tra fallimenti e nostalgie”. Nel servizio de “Il Quotidiano della Calabria” veniva lamentato il fatto che, a fronte di un decreto legge del 1 ottobre 2007, volto a favorire le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nulla o quasi è stato previsto in Calabria per ricordare questo evento, anzi si è sprecata, ancora una volta, l’opportunità del largo coinvolgimento del Paese intorno all’Unità Nazionale.
Ma… mi chiedo: siamo sicuri che, come popolo del Sud Italia, dobbiamo proprio celebrare le “eroiche gesta” Garibaldine? Anche se Garibaldi è il personaggio più mitizzato della Storia italiana e fiumi d'inchiostro sono stati consumati per costruire ad arte la sua biografia, non sono il solo a pensare che nella realtà è, sicuramente, diversa da come ce l’hanno descritta tutti i libri che ci hanno fatto studiare a scuola.
Però, ancora oggi, anche nel nostro Meridione, bisogna fare attenzione "a parlar male di Garibaldi", perché da tanti è ritenuto poco meno che una bestemmia…
La storia dell'"eroe dei due mondi"comincia dal Sudamerica, dove sbarcò per non finire impiccato. Qui praticò la pirateria per il commercio degli schiavi asiatici. In Perù fu coinvolto in un furto di cavalli e gli furono tagliati i padiglioni delle orecchie, ecco perché teneva i capelli lunghi. Rientrato in Italia partecipò alla Prima guerra d'indipendenza e poi alla proclamazione della repubblica romana, tenendo fede alla sua conclamata avversione alla religione cattolica e alla Chiesa.
Con la spedizione dei Mille nel Regno delle due Sicilie, diventa l’eroe per antonomasia… Già… cosa possiamo dire dei “Mille”… una spedizione finanziata dalla massoneria con una somma spaventosa con la quale potè corrompere generali, alti funzionari e ministri borbonici. Anche se, arrivato a Palermo non gli bastò solo corrompere ma saccheggiò il Banco di Sicilia di ben cinque milioni di ducati e tutte le chiese che capitarono sulla sua strada... Tutti i beni della Chiesa furono incamerati, chiuse le case e i conventi, numerosi vescovi incarcerati, altri esiliati, tutti dovettero subire spoliazioni, perquisizioni e insulti.
A Bronte contadini inermi furono massacrati “in nome del progresso sociale che veniva a liberarli dalla barbarie borbonica”. Quello fu un giorno storico per i siciliani: ebbero modo di capire in quali mani erano caduti (“‘ca di la furca passuammu ‘a lu palu…”, per come, già allora, commentò il nostro abate Martino).
La leggenda dei mille, per come ci è stata raccontata recita che la spedizione garibaldina andava a liberare un paese retrogrado e incatenato ai ceppi borbonici. Nulla di più falso, infatti la “conquista del Sud”, dopo qualche breve illusione, provocò la reazione popolare del meridione, il cosiddetto "brigantaggio", che vide coinvolte decine di migliaia di persone.
E questo è ancora poco, dietro c’è ben altro… finalmente, negli ultimi tempi, pare che la verità sta emergendo e nasconderla sarà sempre più difficile... la versione che ci hanno dato a scuola è scarsamente credibile; forse è arrivato il tempo di riscrivere quelle pagine, anche perché, proprio noi meridionali non possiamo pensare a Garibaldi come ad uno dei “padri” della nostra Patrie e, a conti fatti, l'unico vero padre della patria rimane sempre e solo Dante Alighieri.
Nel 1989, a fronte delle tante “celebrazioni” per i cento anni della morte di Garibaldi ho scritto tra il serio e il faceto, una piccola missiva a Garibaldi, che ritengo ancora attuale e significativa per chi pensa che il nostro “eroe” vada, anche oggi, ricordato e festeggiato.
FU VERA GLORIA...?
CARO GARIBALDI
Caro Garibaldi, probabilmente tu non ti ricorderai di me, non foss'altro perché non mi hai visto né conosciuto. Io, di te, invece, mi ricordo benissimo.
Cominciai a conoscerti quando avevo ancora i calzoni corti e le ginocchia sbucciate. Il mio maestro mi parlava di te come di un eroe impareggiabile: “Garibaldi è il liberatore del Meridione, colui che cacciò via gli oppressori, i Borboni, e ci regalò la libertà...”. Così ci diceva il caro vecchio maestro con il dito puntato in alto. Seguendo quel dito, perennemente teso verso il cielo, i nostri sguardi di alunni con le ginocchia sbucciate si infrangevano contro il soffitto dell'aula, da dove pendevano i cartocci e gli aerei di carta, prodotti da intere generazioni, simbolo della nostra libertà e della continuità storica.
Caro Garibaldi, ti confesso che la notte sognavo di te (Mazinga ancora non lo conoscevo e quando l'ho conosciuto avevo già smesso di sognare): eri in camicia rossa e cacciavi via dalla Sicilia tutti quegli americani in camicia, insopportabilmente, bianca che cercavano di assalire i poveri siciliani per vendere loro insolite bibbie. Quando fui un po' più grandicello mi rivelarono, finalmente, che i Borboni non erano una setta religiosa, né tanto meno una marca di caffè, come alcuni miei compagni, arditamente, sostenevano. Mi rivelarono altresì che tu, mio buon generale, non avevi proprio liberato il Meridione, ma l'avevi tolto ad un padrone, per consegnarlo ad un altro ancora più arrogante e violento del precedente. Io non ci volli proprio credere: “Le solite interpretazioni faziose della storia...”, pensavo tra me e me; anche se, molti sostengono che quello che è veramente accaduto sui libri di scuola non c'è scritto. Non potevo credere che tu, appena sbarcato in Sicilia ti fossi proclamato Dittatore, avessi svuotato conventi e monasteri saccheggiandoli, avessi sciolto, a forza i Gesuiti e stabilito bivacchi militari nelle splendide Chiese meridionali. Non mi spiegavo ancora i versi del De Sivo: “Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni; e galantuomini voi venuti a depredar l'altrui...?”.
Una cosa che mi sono sempre chiesto è come hai potuto, con 1.000 uomini male armati e peggio vestiti, distruggere un Regno con un esercito di 100.000 uomini? “Per il gran valore dei garibaldini e l'appoggio delle popolazioni...” mi ha detto qualcuno... ma altri sostengono che, in realtà, potevi essere rigettato in mare fin dallo sbarco e la vera arma vincente, che ti spianò la strada, fu quella della Massoneria piemontese e francese che aveva comprato tutto il palazzo di Federico II.
Vuoi che ti faccia qualche esempio? Ricordi quando a Calatafimi il generale Landi (al prezzo di 18.000 ducati) impedì ai suoi di sbarrarti la strada; oppure quando, senza alcuna ragione, 20.000 soldati vennero fatti uscire da Palermo senza colpo ferire; e ancora a Milazzo e Messina, migliaia di soldati di Francesco vennero, inspiegabilmente, spediti sulle montagne. Inoltre, penso che non ti sfugga quando il generale Ghio disciolse altri 10.000 soldati… altrettanti ne disciolse il generale Briganti che però venne fucilato sul posto, per alto tradimento, dai suoi stessi soldati.
Caro Garibaldi, ritengo che non devi sforzare troppo la memoria per ricordare come le decine di città “reazionarie”, che avevano organizzato la “resistenza” (da Isernia a Venosa, a Barile, Monteverde, Cotronei, san Marco e così via…) furono distrutte e bruciate dai tuoi garibaldini: villaggi, cascine, molini tutti saccheggiati, e tanti contadini massacrati.
Quando poi venni a sapere che avevi mandato un battaglione di soldati a fucilare i poveri contadini di Bronte, che volevano prendersi le terre dei signori, credetti subito che l’operazione fosse stata condotta, autonomamente, da quella testa calda di Bixio. Quante altre me ne hanno raccontate sul tuo conto… eppure la mia simpatia nei tuoi confronti non è venuta meno; mi piace ancora ricordarti con la tua barba rossa, con l’aspetto di arcangelo liberatore, mentre assisti alle funzioni sacre, tu laico e massone, in qualche cattedrale siciliana.
C’è una cosa, però, che ti voglio confessare: tutte queste attenzioni che, a più di un secolo dalla tua morte, ancora ti sono attribuite, mi lasciano perplesso. Pensa che, recentemente, è anche intervenuto il Presidente della Giunta regionale calabrese, per annullare il decreto che prevedeva, per l’ampliamento di una strada, la demolizione della vecchia casa di Santa Domenica di Ricadi che ti ospitò dopo che ti ferirono in Aspromonte.
L’idea, poi, che mille ragazzini in camicia rossa e con le ginocchia sbucciate siamo stati portati a disturbare il tuo sonno secolare, sbarcando a Caprera per deporre ghirlande di garofani rossi sulla tua tomba, mi fa rabbrividire… anche se, ormai sono di moda i viaggi organizzati, con tutti i confort, nei luoghi del Continente americano dove tu hai rischiato la pelle.
Caro Garibaldi, ma tu lo sai che la Regione siciliana voleva fare un monumento in tuo onore con la modica spesa di un miliardo di lire…? E dire che la Storia ti vide morire non solo vecchio, ma anche povero (almeno su questo punto sembra che gli storici siano tutti d’accordo).
Ma guarda un po’? Mi vien da pensare, vuoi vedere che l’eroe, adesso, vogliono farlo santo? In effetti abbiamo un noto Segretario di partito che, per ritornare a fare il Presidente del Consiglio, pensa che c’è bisogno di un “santo laico”. Qualche mese addietro Proposte ha raccontato della polemica sulla scomparsa di un quadro di un noto pittore nicoterese: il dipinto che ti raffigura è stato il pomo della discordia che ha minato la stabilità dell’attuale governo, in quanto il noto Segretario ha visto la scomparsa del quadro come uno sgarbo insostenibile. Strano come non abbia rimboccato il Ministro degli Esteri quando, in una trasmissione televisiva, ha affermato che “una delle cose più piacevoli alla sua età, è che si può dire male pure di Garibaldi”.
Non ti meravigliare, mio buon Garibaldi, se presto circoleranno lucenti immaginette con la tua effigie o se inappuntabili borghesi verranno a deporre ghirlande di edere e garofani ai piedi delle tue statue; non stupirti se i nuovi asceti della politica per te prenderanno i voti o se il tuo volto tornerà a dipingersi sui muri delle nostre case…
Caro Giuseppe (scusami la confidenza, ma dopo queste poche righe penso che tu avrai cominciato a conoscermi) io, ad esser sincero, preferisco ricordarti così come ti ho conosciuto da bambino: un po’ Braccio di Ferro ed un po’ Zorro; come l’Arcangelo Gabriele, sempre pronto a difendere con la spada la libertà degli oppressi. Preferisco ricordarti con la camicia rossa, lo sguardo nobile e, soprattutto con quella gamba ferita che, fino a ieri, mi faceva guardare con fierezza alle mie ginocchia sbucciate…
Nelle foto: in alto Giuseppe Garibaldi; in basso Michele Scozzarra.
(26.1.10) E' DIVENTATO DI MODA PARLAR MALE DI GARIBALDI (Domenico Distilo) - Caro Michele,
non so cosa ci avremmo guadagnato, dico noi del Sud, a restare sudditi, non bene o male cittadini, dello Stato più arretrato d’Europa, che veniva governato con le tre effe (festa, farina e forca) e il cui esercito versava in una disorganizzazione tale che una delle “manovre” della marina da guerra borbonica, denominata “facite ammuina”, consisteva nel mostrare all’avversario di stare eseguendo chissà quali operazioni, mentre ci si limitava a far sì che “chilli chi stannu abbass, vann’in coppa; chilli chi stann’in coppa, vannu abbass; chi sta a destra va a sinistra; chi sta a sinistra va a destra; chi non ha nient’a fa, s’arrimini a cca e a lla”.
Sarà pure vero che, come diceva Martino, “di la furca passammu a lu palu”, ma al palo siamo passati dalla forca, appunto, non certo dal paradiso terrestre.
La teoria della cospirazione massonica che avrebbe fatto cadere il Regno del Sud alimenta una storiografia intesa a dimostrare una tesi precostituita, cioè che si sarebbe dovuto evitare il Risorgimento, i cui eroi e simboli sarebbe giunta l’ora di demitizzare.
Così come il “revisionismo” storico antiresistenziale di Pansa ed altri, quello antirisorgimentale funziona enfatizzando – il più delle volte in chiave romanzesca - alcuni fatti marginali e oscurando, letteralmente, le cose essenziali.
Non che non si debbano conoscere anche le cose marginali, che contengono spesso risvolti umanamente tragici, ma nel caso della “conquista” garibaldina del Sud le cose essenziali sono: 1° - se il regno borbonico fosse stato in perfetta salute, se al momento dello sbarco dei mille non si fosse già trovato ad essere una caricatura di Stato, che teneva in apprensione le diplomazie di tutta Europa per via di una situazione esplosiva, da rivoluzione sociale imminente, non sarebbe stato travolto con tanta facilità, anche mettendo nel conto il presunto tradimento dei suoi vertici militari e politici; 2° - i siciliani, che mal sopportavano l’unione al continente da sempre – del resto sei secoli prima c’era stata la Guerra del Vespro - erano in rivolta e furono proprio le notizie dalla Sicilia a indurre Garibaldi a rompere gli indugi e a far partire la spedizione; 3° - gli intellettuali del Sud, da Settembrini a Poerio a De Sanctis erano tutti per l’unità d’Italia e pensavano all’unisono che il processo unitario avrebbe dovuto essere guidato dal Piemonte. Anzi, molti di loro, costretti ad andare via dalle loro terre a causa delle persecuzioni della polizia borbonica, avevano costituito una colonia a Torino e si davano parecchio da fare per creare le circostanze favorevoli all’intervento piemontese; 4° - la classe dirigente meridionale, che mezzo secolo prima aveva attraversato indenne l’eversione della feudalità di Giuseppe Bonaparte, passò armi e bagagli con Garibaldi – la storia del Gattopardo, raccontata da Tomasi di Lampedusa, è emblematica - proprio per continuare a passare indenne nei sommovimenti politici stornando ogni pericolo di rivoluzione sociale.
Dunque, di cosa stiamo parlando? Nella situazione determinatasi nel 1860 in Italia la “conquista” garibaldina era di gran lunga la migliore delle soluzioni possibili, certamente migliore della sopravvivenza del Regno delle due Sicilie. Questo, attraversato dalla tensione sempre più acuta tra Sicilia e continente e alle prese con la sempre più evidente incapacità della sua classe dominante di continuare a tenere compresso il mondo contadino, era sul punto di esplodere, come attesta il crescendo di allarme riscontrabile nei rapporti dell’ambasciatore inglese al suo governo nell’ultimo scorcio degli anni Cinquanta.
Certo, i contadini che avevano pensato che Garibaldi avrebbe fatto la rivoluzione sociale, non solo quella politica, furono delusi e diedero vita al brigantaggio, che però infestava le campagne del Sud si può dire da sempre.
La tesi neoborbonica, questo è secondo me il punto, riecheggia, se non riproduce, quella gramsciana secondo cui il Risorgimento al Sud fu una “rivoluzione mancata”. Fu il grande storico siciliano Rosario Romeo, liberale di formazione crociana e autore di una monumentale biografia di Cavour, a confutare Gramsci sostenendo che “se non si fosse fatta nel modo in cui si è fatta l’Italia non si sarebbe mai fatta”. Per cui il Risorgimento fu una “rivoluzione compiuta”, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, non una mancata. E fu Garibaldi a compierla. Ricordiamocelo nell’impazzare dei revisionismi e in vista dei 150 anni dell’unità.
(8.2.10) NONOSTANTE TUTTI I COMPROMESSI DEL RISORGIMENTO... SEMPRE ITALIANI (Michele Scozzarra) - Caro Domenico,
se, come tu sostieni nella risposta al mio articolo su Garibaldi, nel campo delle valutazioni storiche, la situazione determinatasi nel 1860 era di gran lunga la migliore delle soluzioni possibili e se, come diceva il Martino “di la furca passammu a lu palu…” e al palo siamo passati dalla forca e non certo dal paradiso terrestre, è anche un dato indiscutibile che il Meridione d’Italia ha pagato a caro prezzo (un prezzo che stiamo abbondantemente pagando ancora oggi!) le conseguenze della “liberazione” da un padrone, per essere consegnato ad un altro padrone ancora più arrogante del precedente. Comunque la vediamo, sempre sotto un “padrone” siamo andati a finire… Questo è, a mio avviso, un dato storico inconfutabile, anche se oggi, a distanza di 150 anni dall’Unità d’Italia, riconosco che ci sono delle valutazioni, di vario genere, a favore di questa Unità (comunque essa sia stata fatta!) che non possiamo tacere… nonostante tutto!
Non sei stato il solo che mi ha rivolto più di un appunto al mio “attacco” a Garibaldi… ne ho ricevuti tanti. Un caro amico, fine giurista e attento studioso della nostra Storia, mi ha scritto: “E’ vero che Garibaldi si poteva fare li fatti sua, e che se la contessina Raimondi non gli avesse fatto le corna, avrebbe avuto altro a cui pensare, e noi saremmo sudditi di Sua Maestà il Re delle Due Sicilie (Dio ci guardi); ma se basta essere un buon soldato per essere un eroe, lui è stato il migliore degli italiani dell’epoca moderna: ha battuto argentini, francesi, austriaci, napoletani, prussiani. Non ha battuto la Pallavicini, ma perché aveva deciso di non sparare. Pensa che figure squallide gli altri generali. Montanelli ha detto: i generali italiani vincevano di rado, ma in compenso vincevano male”.
Senza cambiare opinione su quanto ho scritto nel mio articolo su Garibaldi, proprio in questi giorni di violenti attacchi all’Unità della nostra Patria, anche se ci accorgiamo di quanta retorica certa storiografia ha caricato le figure dei nostri “Padri della Patria”, nonostante tutti i distinguo iniziali e tutte le riserve e le accuse su “come” questi Padri hanno fatto l’Italia, nonostante tutte le “grandi riserve” che, soprattutto come Meridionali, abbiamo il diritto di esprimere ed evidenziare… nonostante tutto questo, non si può non riconoscere che, anche se non ce l’hanno fatta a fare bene le cose, almeno ci hanno provato e non potevano fare diversamente.
Scriveva Indro Montanelli: “Sapevo che Vittorio Emanuele, coraggioso caporale, era stato tirato per i capelli a fare un’Italia, di cui non aveva mai imparato nemmeno la lingua… sapevo che Mazzini voleva farla in un modo del tutto diverso, cioè nel modo in cui non si sarebbe mai fatta… sapevo che Garibaldi ne aveva liberata mezza solo perché nessuno aveva pensato che potesse riuscirci… sapevo che Cavour, quando per la prima volta mise piede a Firenze, ci si sentì all’estero, come oggi dice di sentircisi il senatore Miglio. E sapevo anche che questi Padri si erano fra loro detestati, ed ognuno di loro aveva fatto quello che aveva fatto, anche per impedire che lo facesse qualcuno degli altri tre”.
Ma, continua Montanelli, di fronte ad altri Padri della nostra Patria, i Padri del Risorgimento sfigurano di certo… meno che su un punto: “Sono i primi quattro italiani, che hanno operato vestiti da italiani, e non travestiti da spagnoli, o da francesi, o da tedeschi: cioè non hanno servito nessuno, se non l’Italia quando ancora non c’era: e che ora nel momento in cui rischia di non esserci più, consentono a me di continuare a servirla, o almeno di serbarne l’illusione. Non gli chiedo scusa dei diminuitivi pensieri su di loro. Seguito a guardarli senza lenti di ingrandimento. So che l’Italia la fecero anche con molti pasticci e compromessi, voglio dire un po’ da magliari, millantando credito, imbrogliando le carte del gioco, spesso gabellando le disfatte per vittorie. Ma era l’unico modo in cui, senza gli italiani, si poteva fare l’Italia, e metterla in condizione di fare a sua volta gli italiani, riscattandoli dalla loro secolare condizione di travestiti”.
Caro Domenico, per concludere, cosa vuoi che ti dica, pur continuando a guardare questi Padri del Risorgimento, senza lenti di ingrandimento e riconoscendo che l’Italia la fecero da magliari, con pasticci e compromessi e millantando credito e imbrogliando le carte, nonostante tutto questo, non possiamo non sostenere che alcune forze politiche ostili al Meridione possono anche tentare di minare l’Unità della nostra Patria (il cosiddetto “federalismo” di cui parla la Lega è l’anticamera di questo!) ma noi, con tutte le contraddizioni e riserve espresse, e senza cambiare opinione su come hanno fatto l’Italia, i Padri del Risorgimento, anche se di modesto blasone, oggi più che mai, non possiamo non riconoscerli. Diceva Montanelli: “Saremo pure una famiglia dappoco, noi italiani, ma è sempre meglio che bastardi di famiglie altrui, come qualcuno vorrebbe, rinnegandola, farci ridiventare…”.
(24.2.10) UNA RICHIESTA PARTICOLARE (Biagio Cirillo) - Approfitto di questa grande opportunità di comunicazione messaci a disposizione non solo per le notizie quotidiane di Galatro, ma anche per comunicare e creare un avvicinamento con i galatresi sparsi per il mondo.
Da qualche anno ormai io e altri miei paesani, attraverso facebook, ci teniamo in contatto non solo tra paesani sparsi per l’Italia o altri stati vicini, ma abbiamo allacciato le amicizie con nostri paesani di oltre Oceano.
Proprio di questo volevo parlarvi. L'altra sera, anzi a tarda notte, dopo aver chiuso una comunicazione con mio cugino Antonio su Skipe, mi vedo arrivare un semplice "ciao" da una nostra connazionale che vive da molti anni in Argentina, Teresa Piccolo, con la quale da tempo ormai ci scriviamo su fb e ci ripromettiamo di fare, prima o poi, una videochiamata su Skipe. Però, siccome ci sono 4 ore di differenza tra l’Italia e l’Argentina e io al pc mi siedo sempre la sera tardi, per non disturbare i vicini di casa, visto che abito in un condominio, evito il contatto. Ma ieri sera non ho resistito e ho lanciato la richiesta alla videochiamata.
L’emozione, dal momento tra il primo squillo e la risposta è stata tanta. La paura di non capirci nel linguaggio, parlare per la prima volta con delle persone a me sconosciute, il pensiero di disturbare i vicini di casa e tante altre cose mi facevano uno strano effetto ma, dal momento in cui iniziò la conversazione, mi sono dimenticato di tutte queste paure e, come se ci conoscessimo da sempre, abbiamo trascorso circa un’ora e mezza a parlare e discutere di tutto e di più. Nel frattempo è arrivata la sorella che abita sotto di lei e non vi dico quante cose da dirci abbiamo avuto, mi ha detto che è andata via da Galatro nel luglio del 1961.
La cosa che però mi ha colpito di più e mi ha lasciato l’amaro in bocca è stato che, alla domanda di mia moglie: "Sentite la nostalgia di Galatro?", la risposta è stata un "Sì" grande come una casa, seguito però da una successiva domanda: "Allora perché non venite a Galatro?". Beh, alla loro risposta mi sono commosso: "Ci vogliono tanti soldi e non ce lo possiamo permettere, perché il rapporto della nostra moneta con l’euro è troppo sfavorevole, allora ci sentiamo vicini alla nostra terra grazie al sito di Galatro Terme News che ci dà tutte le notizie, grazie ai tanti amici ormai su facebook con cui ci scriviamo tanto e grazie a Skipe per le videochiamate. Purtroppo dobbiamo accontentarci di tutto questo."
Sicuramente vi starete chiedendo il perché di questo racconto. Vi accontento subito.
Vorrei fare una richiesta per i nostri connazionali impossibilitati a venire da soli, o con i loro familiari, nella loro terra nativa. La richiesta la rivolgo: al Sindaco Carmelo Panetta, al Parroco Don Cosimo Furfaro, all’Associazione delle donne ADOS, alle Terme di Galatro, al sito di Galatro Terme News, ai tanti ragazzi musicisti di Galatro e a tutti i galatresi.
Vi starete sicuramente chiedendo: ma Biagio Cirillo, dopo aver scritto tante poesie, si è bevuto il cervello? Vi rispondo con un semplice no, sto benissimo e vi spiego la mia idea.
Si è parlato tempo fa di fare una giornata dedicata agli emigrati e purtroppo la risposta a questa richiesta non è stata positiva. Vi dico di più, perché non facciamo il mese di Agosto dedicato ai nostri connazionali di oltreoceano? Come? Subito spiegato. Con la collaborazione del Comune di Galatro dal lato finanziario; risparmiando soldi dei tanti spettacoli in piazza e destinandoli per i biglietti aerei; sicuramente i nostri ragazzi musicisti dovrebbero aiutare il Sindaco a rimpiazzare con la loro partecipazione le serate in piazza, non solo in piazza ma, con la collaborazione delle donne dell’associazione ADOS, distribuirli per i quartieri organizzando in modo simile all’ormai famosa festa di Montebello, con vari partecipanti della zona con prodotti tipici della Calabria. Anche la chiesa con don Cosimo potrebbe dare in qualche modo un contributo alla realizzazione, perché anche queste persone non solo sono figli di questa terra ma anche figli di Dio con il desiderio di ritornare, anche se per breve tempo, nella propria terra natale; le Terme di Galatro con il sig. Smedile potrebbero fare una convenzione per l’albergo; la popolazione galatrese, che ha dimostrato in tante occasioni di avere un grande cuore, potrebbe dare una mano non solo con la partecipazione alle serate, ma anche con l’ospitalità, mettendo a disposizione le case vuote, logicamente chiedendo anche un minimo di affitto per le spese; inoltre un aiuto potrebbe venire dall’Associazione delle donne ADOS con la messa a disposizione della loro arte culinaria.
Anche il sito di Galatro Terme News può dare il proprio contributo pubblicando il tutto e chiedendo la partecipazione per eventuali sponsor.
Forse non mi resta altro da aggiungere, ma sicuramente a qualcuno verrà in mente di scrivermi la famosa frase "ndi voi ca…i cu na lira" ma, permettetemi di dirlo, siamo in un piccolo paese, tanto cuore, tanta nostalgia per varie cose, tanti laureati, tanti emigrati e tanti problemi. Facciamo questo e sicuramente il punteggio dei galatresi sale molto più in alto.
Spero che i lettori di Galatro Terme News leggano le mie richieste e dicano la loro in proposito. Facendo questo già darebbero segno di collaborazione. Inoltre vorrei ricevere risposta sul sito dalle persone chiamate in causa (Sindaco, Parroco, ADOS, etc.).
Ringraziando tutti in anticipo e sperando che si trovi un organizzatore per il tutto, vi mando un caloroso saluto e un abbraccio a tutti, in particolar modo alla famiglia Piccolo in Argentina.
Vorrei inoltre fare un grande augurio ad Angelo Cannatà per la riuscita del suo libro.
(2.3.10) SIGNORA SIGILLO', NON SONO "ARIDO" (Biagio Cirillo) - Ho riflettuto un po' prima di scrivere ma alla fine è stato più forte di me.
Cara signora Caterina Sigillò, adesso come in passato, le ripeto che mi dispiace dei problemi di salute della sua bambina. Questo però non le da il diritto di offendere dandomi dell “arido”. Forse lei non mi conosce abbastanza bene e per questo non le permetto di usare certe parole.
Voglio dirle francamente che se lei ha la sua bambina in cura a Genova e, ripeto, questo mi dispiace, le voglio far notare che anche io con mio figlio, dopo aver girato per anni ospedali e strutture private, dal policlinico di Messina, al Sant’Orsola di Bologna, al Borgo Trento di Verona, in questo momento è in cura in ben tre ospedali contemporaneamente, Verona, Rovereto e Bolzano e, come se non bastasse, a quest'ora della notte trovo il tempo per scrivere nonostante siamo in allerta dal momento che non sta bene e come al solito ci teniamo pronti a chiamare un’ambulanza e correre in ospedale.
Mio figlio, soffre di Fibrosi Cistica, epilessia e tante altre patologie che non sto qua ad elencare, ha un’invalidità del 90%, ha quasi 26 anni e non trova un posto di lavoro e, tornando al nostro discorso, le ripeto che le donazioni presso il centro Fibrosi Cistica di Verona le facciamo noi e non vietiamo a nessuno di chiedere aiuti per motivi personali o dialtro genere.
Dal momento che sono una persona pacifica, le chiedo gentilmente di non attaccarsi con me ogni qualvolta esprimo un mio pensiero e, per di più, offendendo me come in questo caso e gli altri nel caso precedente, in cui non ho fatto alcuna replica per non peggiorare la cosa, anche se, a suo tempo avrei dovuto farla.
Detto questo, le auguro il meglio per sua figlia e spero in futuro non debba rispondere più alle sue provocazioni del tutto insensate.
Mi scuso con la Redazione e con quanti mi conoscono per questo sfogo, promettendo che in futuro non coglierò certe provocazioni, o almeno ci proverò.
(9.3.10) SONO UNA COMBATTENTE, MA STAVOLTA BATTO IN RITIRATA... (Caterina Sigillò) - Caro Biagio Cirillo,
mi dispiace che, ancora una volta, ciò che ho scritto sia stato interpretato come un'offesa nei tuoi confronti; non era nelle mie intenzioni! Non è la prima volta che esprimo una mia opinione anche se divergente da ciò che leggo, inoltre tengo a precisare che, nell'articolo precedente, sei stato tu a definirmi "egoista" solo perchè avevo proposto che i soldi delle feste folkloristiche, venissero devoluti per la ricerca pediatrica (visto che purtroppo viaggia a passo di lumaca in quanto non "lucra" alle tasche dello stato)!!
Voglio inoltre far presente che in passato, per il quieto vivere, cercavo di non esternare quello che pensavo ma, col tempo, ho capito che vivevo come in uno stato di codardia e la situazione mi stava alquanto "stretta". Quindi, caro Biagio, l'offesa dovrei essere io!
Solitamente, senza falsa modestia, mi reputo una buona "combattente" però, in questo caso, "batto in ritirata" non per viltà ma perchè mi ritroverei a competere contro un "muro di gomma"! Chiedo scusa anch'io per questa situazione creatasi a causa di una incomprensione e voglio sperare che, in un Paese definito "democratico", ci si possa esprimere anche se si hanno pareri diversi.
Colgo l'occasione per ringraziare la Redazione e tutti coloro che sono vicini a me e Romualdo.
(22.3.10) ELEZIONI SENZA PROGRAMMI (Antonio Sibio) - Care elettrici e cari elettori, lo sapete che fra pochi giorni ci saranno le elezioni per la scelta del nuovo Governatore della Calabria? A Galatro (come si diceva nell’articolo La campagna elettorale fra pubblico e privato) come nel resto della Calabria, quando ci sono delle elezioni la scelta su chi cadrà il nostro voto viene dettata non tanto dai candidati e dalla loro caratura politica, né tanto meno dai programmi (questi sconosciuti) che vengono redatti, bensì da chi viene a casa nostra a darci dei consigli… Non esiste una vera e propria campagna elettorale ma, in linea con quanto succede a livello nazionale, i vari schieramenti puntano soprattutto a screditare l’avversario piuttosto che a proporre seri programmi elettorali. Si va a rimarcare ciò che è stato o non è stato fatto nel passato invece di illustrare come vogliono progettare il futuro. Ma a questo punto, senza un minimo d’informazione, come si fa a scegliere chi votare? Quali sono le qualità che ci portano a scegliere un candidato rispetto ad un altro? Partiamo dalla conoscenza dei tre candidati a Presidente.
Agazio Loiero, Presidente uscente, appoggiato dal PD e dai partiti di sinistra. Fino a pochi mesi fa nessuno nella sua coalizione lo voleva, compresi i vertici nazionali del partito. Poi, dopo un tira e molla utile solo a perdere tempo, dalle primarie di gennaio è uscito vincente il suo nome.
Giuseppe Scopelliti, sindaco di Reggio Calabria, appoggiato dal PDL, dall’UDC e da altre liste minori. Anche con lui i vertici nazionali hanno giocato un po’ al “si, no mah”. Prima l’investitura direttamente da parte del Premier ("Dobbiamo ancora incontrarci con gli alleati e decidere chi saranno i nostri candidati alle Regionali del prossimo marzo, posso sbilanciarmi solo su due nomi che sono certi: Formigoni in Lombardia e Scopelliti in Calabria"), poi messo in discussione dallo stesso Berlusconi con la proposta, reale o presunta, legata al nome di Misaggi, medico di origine calabrese. Alla fine è stato confermato, nonostante i tanti mal di pancia dei pidiellini Catanzaresi e Cosentini. Terzo incomodo della partita è l’industriale Vibonese Filippo Callipo, appoggiato da IDV, lista Pannella-Bonino e liste civiche. Candidato proveniente dalla cosiddetta società civile, Callipo ha ricoperto anche il ruolo di Presidente della ConfIndustria Calabrese. Rappresenta l’alternativa alle vecchie logiche di partito.
Detto questo passiamo ai programmi (vedi immagine a destra). Belli vero? In realtà di programmi finora neanche l’ombra. Solo mistificazione dell’avversario e slogan ormai risaputi che parlano di una Calabria migliore, di un futuro da scrivere, di un impegno per questo, di attenzione per quello… Alla fine si voterà, come quasi sempre è accaduto, solo per ideologie (“io votai sempri russu”) o peggio ancora per residenza anagrafica (“Scopelliti almenu è i Riggiu”). Beh, diciamo che anche queste sono discriminanti importanti. Ma più importante di tutto è chi, a Galatro come in Calabria, viene a casa a chiederci il voto. Se a Galatro fortunatamente si presentano solo persone con le quali comunque c’è un rapporto d’amicizia o di conoscenza, in molte altre realtà della Calabria a casa degli elettori vanno altre tipologie di “amici”, spesso con atteggiamenti poco amichevoli. Quindi, in assenza di programmi o di idee, uno dei pochi criteri che possiamo usare per scegliere chi dovrà guidare la Calabria nei prossimi cinque anni potrebbe essere quello di verificare chi e quanto è vicino alle famiglie ‘ndranghetiste. Ed in questo ci viene in aiuto la Commissione Antimafia, secondo la quale, scorrendo l’elenco dei candidati, ci sarebbero ben 21 personaggi in odore di ‘ndrangheta: 16 nelle liste collegate a Scopelliti e 5 in quelle che appoggiano Loiero. Solo le liste di Callipo sembrerebbero “pulite”. L’unico consiglio che quindi vi posso dare è di pensare con la vostra testa, perché in gioco c’è davvero il futuro di una Regione allo sbando.
Meditate elettori, meditate…
A te che odi i politici imbrillantinati
che minimizzano i loro reati
disposti a mandare tutto a puttana
pur di salvarsi la dignità mondana.
A te che non ami i servi di partito
che ti chiedono il voto un voto pulito
partono tutti incendiari e fieri
ma quando arrivano sono tutti pompieri…
Rino Gaetano
Nell'immagine sopra: programmi elettorali per le elezioni regionali.
(25.3.10) CALCIO E SCIENZA (SECONDA PARTE) (Vittorio Cannatà) - Dopo la prima puntata, riprendiamo il discorso sul tema: "Correlazioni tra gioco del calcio e scienza".
Prima di addentrarci nei meandri della matematica, cominciamo in maniera soft:
qualche cenno su quello che unanimemente viene considerato il gioco più bello del modo è sicuramente adatto per alleggerire il discorso che faremo più avanti. Il gioco con la palla ha origini antichissime. Alcune fonti lo fanno risalire a Nausicaa forse perché suggestionati dalla poesia omerica.
In Cina sotto la Dinastia Huahg-TI [l’Imperatore giallo] si giocava al TSU-CHU che consisteva nel far passare una palla, costituita da una vescica animale, in un’apertura di circa 50/100 centimetri di diametro.
Un popolo di origine colombiana i Taino giocava la "Pelota". L’Europa conobbe il caucciù grazie all’uso che i Taino ne facevano per costruire le loro palle da gioco.
I Tarahumara, un altro popolo di origine Azteca, si dedicavano al gioco con una palla di legno.
I legionari romani, tra una campagna e l’altra, praticavano l’Harpastum che consisteva nel far avanzare una palla con ogni mezzo a disposizione.
I Greci praticavano l’Episkiros: il pallone era lanciato con le mani e fermato con i piedi.
Nel VII secolo una forma di calcio «il Koura» era giocata dai Berberi.
Famosissima era la "Pallonata fiorentina" che si svolgeva in Piazza Santa Croce.
Ma il precursore del gioco del calcio così come lo intendiamo noi è il "Dribbling game" [Inghilterra XVIII secolo]. Il gioco consisteva nel superare l’avversario con la palla (dribbling): era praticato tra studenti dei colleges e si giocava su un terreno erboso lungo 70 metri e consisteva nel far passare la palla tra due pali posti verticalmente alla distanza di undici metri.
Le squadre erano formate da 11 giocatori (10 studenti e 1 tutor).
Ai nostri giorni per praticare il gioco del calcio non sono richieste particolari strutture fisiche. Infatti è adatto alle più diverse tipologie umane: i Bisonti Rooney e Gattuso, le Saette Biabianye e il Papero Pato, i Super dotati Kakà e Cristiano Ronaldo, il Pinturicchio Alessandro Del Piero, i Funamboli Pelè, Maradona e Ronaldinho, gli elegantoni Gianni Rivera e Gianpiero Boniperti, gli Spilungoni Luca Toni, Zlatan Ibrahmovic, Marco Van Basten, John Charles, i Brevilinei Giovinco, Hamrin, Puccinelli, Johnston e Omar Sivori.
Di cosiddetti non dotati poi ce ne sono tantissimi; tanto per fare qualche esempio: Garrincha (poliomelitico) aveva una gamba più lunga e una più corta e nonostante questo “impedimento” riusciva a “saltare” facilmente gli avversari perché era assai veloce nella corsa. L’attuale pallone d’oro l’argentino Leo Messi ha cominciato a giocare a calcio per combattere il rachitismo.
Il calcio quindi è uno sport per tutti ma, per praticarlo, ad un certo livello, si richiedono delle condizioni da cui non si può prescindere: volontà di praticarlo con assiduità, rispettare e talora sottostare a determinate regole comportamentali, disponibilità al sacrificio, condurre una vita sana, equilibrata e ricordare sempre che “chi non gela e non suda e non
s’estolle dalle vie del piacere, là non perviene” [T, Tasso, Ger. Lib.,XVII,61].
Mi rendo conto che gli argomenti che andremo a trattare nel presente studio possano suscitare delle perplessità ma è altrettanto vero che è come chiedere ad una persona perché l’incantesimo del venerdi Santo [l'Enchantement du Vendredi Saint dal Parsifal di Richard Wagner] è bello. Se uno non lo capisce nessuno può spiegarglielo. Se un fisico parla di stelle o atomi, il pubblico capisce a cosa si riferisce: un artista può esibire le sue tele e forse qualcuno ne apprezza lo stile, i chiaroscuri e gli sfondi della tela e dice che è bello, un economista può far sfoggio del suo danaro, un mercante può mostrare le sue preziose mercanzie ed essere apprezzato per il suo gusto.
I matematici non hanno niente da mostrare anzi, ciò di cui si occupa un matematico in un campo è incomprensibile per i colleghi di un campo diverso. Si pensi poi ad un compositore chino sui suoi fogli di note musicali durante il lavoro di composizione: apparirebbe un arido manipolatore di simboli grafici, se noi non possedessimo le orecchie per ascoltare il frutto del suo lavoro. E così è impossibile capire il vero significato di un’equazione, apprezzarne la bellezza, se non la leggiamo nel medesimo linguaggio deliziosamente bizzarro nel quale è stata scritta. Purtroppo l’orecchio per sentire le scienze è molto meno sviluppato e per nulla educato. Voglio raccontare, per meglio chiarire il concetto “intorno alle perplessità”, un avvenimento accaduto nel 1931. Charlie Chaplin e Albert Einstein parteciparono assieme all’anteprima del film “Luci della Città”; mentre la folla applaudiva calorosamente i due Geni, Chaplin si rivolge a Einstein e gli dice: “com’è strana la gente : applaudono me perché tutti mi capiscono e lei perché nessuno la capisce”. Infatti quanti riescono a capire che l’equazione
Quando il pallone viene a contatto con il suolo comincia ad appiattirsi [Fig.2], si deforma e la deformazione fa aumentare la sua pressione interna. Questo aumento di pressione è ridistribuito su tutto il pallone. Quando la palla ha raggiunto la massima deformazione, la velocità verticale è zero. Da questo momento in poi il processo si inverte, l’area di contatto diminuisce e la forza scende a zero, mentre la palla perde contatto con il suolo. E’ sempre il terzo principio della dinamica che ci dice che: dopo che il pallone si è appiattito deve conseguentemente ritornare nella posizione iniziale, cioè alla forza (diretta verso l’alto) durante l’appiattimento, la quale fa aumentare l’area di appiattimento corrisponde una forza uguale e contraria (diretta verso il basso) che fa diminuire l’appiattimento. Alla fine la risultante delle due forze è zero. Si può calcolare l’area della regione del pallone appiattito ricorrendo al "Teorema di Pitagora" [vedi calotta sferica e segmento sferico ad una base]. La velocità con cui questa ridistribuzione avviene è uguale alla velocità del suono, circa 1224 Km/h . Con tale velocità il suono attraversa il pallone in circa un millesimo di secondo e questo è sufficiente per mantenere una pressione uniforme su tutta la palla durante il rimbalzo.
Abbiamo detto che quando il pallone tocca terra si appiattisce, a questo appiattimento segue una diminuzione del volume interno e quindi un aumento di pressione interna. E’ stato calcolato che con una velocità di caduta di circa 32 Km/h si ha una deformazione di circa 2,54 cm causando un aumento di pressione di circa del 5%. Tale fenomeno, assieme all’effetto Magnus, è la causa del repentino abbassamento della traiettoria del pallone quando viene calciato con una certa forza e da una certa distanza dalla porta {calcio di punizione dal limite, circa 30 metri}.
La durata del rimbalzo è molto piccola, circa un centesimo di secondo, mentre la forza che si esercita sul pallone durante il rimbalzo è piuttosto grande, circa 250 volte il peso del pallone.
Naturalmente alla forza verso l’alto e a quella verso il basso corrispondono le rispettive velocità [prima dell’urto e dopo l’urto]. La somma delle loro energie cinetiche non sono uguali: una parte di energia si perde sotto forma di un lieve riscaldamento. Il rapporto [che chiamiamo coefficiente di rimbalzo] tra la velocità dopo il rimbalzo e quella prima del rimbalzo è uguale a:
Tale rapporto non è mai uguale ad 1 perché altrimenti saremmo alla presenza di un urto perfettamente elastico, senza attrito e quindi senza perdita di energia contravvenendo al Principio di conservazione di energia secondo il quale La somma totale dei valori delle varie forme di energia deve essere costante.
Un caro saluto a tutti i gentili lettori e... al prossimo mese di aprile con il terzo articolo.