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4.1.10 - Religione del libro e della parola
Pasquale Cannatà / Domenico Distilo

11.1.10 - Craxi, a dieci anni dalla morte
Domenico Distilo

14.1.10 - Pensieri e filmati per riflettere
Antonia Carè

22.1.10 - Dobbiamo davvero festeggiare Garibaldi?
Michele Scozzarra

26.1.10 - E' diventato di moda parlar male di Garibaldi
Domenico Distilo

27.1.10 - Matematica e calcio
Vittorio Cannatà

29.1.10 - Giornata della Memoria
Giuseppe Romeo

6.2.10 - Gioco del calcio e scienza
Vittorio Cannatà

8.2.10 - Nonostante tutti i compromessi del Risorgimento... sempre italiani
Michele Scozzarra

14.2.10 - Il giorno mancante
Pasquale Cannatà

24.2.10 - Una richiesta particolare
Biagio Cirillo

27.2.10 - Poesia, miele e nostalgia
Caterina Sigillò

2.3.10 - L'idea di Biagio non è male, ma con tutto quello che c'è da fare a Galatro...
Salvatore Mannella

2.3.10 - Signora Sigillò, non sono "arido"
Biagio Cirillo

9.3.10 - Sono una combattente, ma stavolta batto in ritirata...
Caterina Sigillò

20.3.10 - Lettera ad una zia speciale
Emanuela Palmeri

21.3.10 - La Quaresima
Giuseppe Romeo

22.3.10 - Elezioni senza programmi
Antonio Sibio

23.3.10 - Il mondo vero e la favola televisiva
Domenico Distilo

25.3.10 - Calcio e scienza (seconda parte)
Vittorio Cannatà

28.3.10 - La festa della donna a Buenos Aires
Pina Lamanna

31.3.10 - Con occhi risorti
Don Giuseppe Sofrà





(5.1.10) RELIGIONE DEL LIBRO E DELLA PAROLA (Pasquale Cannatà / Domenico Distilo) - Ho letto con interesse l’articolo di Domenico Distilo, e trovo molto bello e giusto quanto scrive: non posso però fare a meno di notare una piccola imprecisione iniziale e quello che a me sembra un grave errore nel finale.
Approfitto di questa occasione per ribadire che non ho una grande preparazione teologica o filosofica, ma alcune cose che mi capita di leggere le conservo e quando le circostanze lo richiedono le riporto a sostegno delle mie convinzioni, collegandole tra loro ed aggiungendo qualche mia considerazione.
Domenico accenna alle tre religioni del Libro, ma questa definizione vale per l’ebraismo che applica alla lettera non soltanto le leggi dettate da Dio a Mosè e che sono quindi immutabili, ma anche quei precetti che dovevano valere solo per la vita quotidiana di quel tempo e le loro distorsioni accumulatesi negli anni con le tradizioni; lo stesso si può dire per l’islam per il quale il Corano è anch’esso dettato da Dio: quel libro non è solamente un testo religioso, ma anche giuridico ed è la base della legge, rendendo difficile il confronto su entrambi i piani. Ci si può immaginare cosa succederebbe se in Italia negli arbitrati venisse chiesta l’applicazione del diritto canonico invece delle leggi italiane, come avvenuto in Inghilterra con la sharia.
Per noi cristiani invece la Parola scritturale non è mai un dettato di Dio, ma è ispirato da Lui, ragion per cui, ed è una conseguenza importante per la nostra cultura e il nostro modo di vita, il cristianesimo non è propriamente una religione del libro. Noi interpretiamo e facciamo esegesi e teologia della Parola: ecco il deposito insieme culturale e di fede comunitaria dove abbiamo trovato l’antidoto al letteralismo fondamentalista. Ecco la nostra libertà dello spirito. Se si pensa poi che anche gli atei non transigono dalle loro ferree regole politiche, ambientaliste ed altro, si può concludere che i cristiani sono i veri laici, perché fanno una divisione tra politica, lavoro, … e religione.
Il cristianesimo, come non si stanca d ripetere Benedetto XVI è entrato nella storia come un fatto, e solo come tale vi può permanere. La sua caratteristica, come diceva Kirkegaard, è nel rendere contemporaneo Gesù Cristo, dichiarandolo presente qui ed ora.
Noi testimoniamo la Parola che si è fatta carne 2000 anni fa e che è presente tra noi oggi così come era presso Dio al momento della creazione del mondo, e senza di Lei nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste; il termine latino verbo traduce il greco logos che vuol dire anche pensiero: il Verbo era presso Dio ed il Verbo era Dio, significa dunque che Dio è Pensiero che si manifesta con la sua Parola la cui Potenza (Parola della sua Potenza) crea l’universo. Nel mio intervento radiofonico riportavo il concetto che ognuno di noi è ciò che pensa durante tutto il giorno: perdonatemi se oso ripetere (ma lo ha affermato Gesù) che se noi fossimo capaci di pensare solo cose buone, di pensare Amore e quindi di essere AMORE, se avessimo un po di Fede, anche la nostra parola potrebbe fare miracoli così come hanno fatto i Santi che ricordiamo.
Passando al finale dell’articolo di Domenico, dove dice che la disponibilità verso l’esterno spinta fino all’autoflagellazione si trasforma però, quando si tratta di teologi cattolici con posizioni divergenti da quelle magisteriali, in netto ostracismo e, dove possibile, in provvedimenti disciplinari, direi che non si tratta di un atteggiamento contraddittorio con quel logos giustamente considerato da Benedetto XVI componente fondamentale e imprescindibile della dottrina cattolica.
Infatti in Italia ogni persona è libera di dire e pensare ciò che vuole e mi sembra che Augias, Odifreddi, Dan Brown, ecc. siano stati e sono liberi di parlare contro la Chiesa.
Per chiarire meglio il mio concetto lo formulerò con un paragone: se io guardo una partita di calcio tra Juventus ed inter a casa mia, posso esultare per qualsiasi bella azione o goal effettuati da qualsiasi giocatore di entrambe le squadre; ma se io mi dichiaro tifoso dell’inter (e nessuno mi obbliga a farlo) e mi iscrivo ad un inter club (e anche di questo non sono obbligato), quando assisto alla suddetta partita nella sede del club insieme ai miei amici, sarebbe molto strano se esultassi ad un goal di Del Piero e gli altri giustamente mi rimprovererebbero.
Allo stesso modo, visto che nessuno ha obbligato Hans Kung e Vito Mancuso a definirsi cristiani e cattolici, se non accettano le regole che il cristianesimo detta, essi sono semplicemente sedicenti tali, lo dicono di se senza esserlo: da liberi pensatori possono dire quello che vogliono, ma se assumono la veste di teologi e pretendono di interpretare la Parola di Dio è giusto che il Papa, cui spetta il dovere di mantenere integro il messaggio del Vangelo, corregga quelle che lui ritiene essere deviazioni dalla retta via per evitare confusione tra i fedeli. Ricordiamo che anche nei periodi più bui della Chiesa, quando alcuni papi si sono comportati in maniera che sarebbe stata giudicata disdicevole persino per un semplice credente, era sempre l’uomo a peccare, ma il messaggio evangelico è stato comunque trasmesso nella sua purezza.
Concludo riportando quella che a me sembra una bella definizione di noi credenti:
Strana 'bestia' il cristiano, che è orgoglioso e presuntuoso in quanto non si rassegna ad essere un semplice animale, ma pretende di essere simile a Dio (addirittura Suo figlio) e nello stesso tempo per essere fedele ai comandamenti del suo Dio si fa umile e servo dei suoi fratelli che si ritengono solo ‘animali.
Pasquale Cannatà


Caro Pasquale,
le considerazioni sulla congruità della definizione di "religione del libro" per il Cristianesimo posso anche condividerle. Resta il fatto, però, che generalmente esso viene accomunato, nella definizione appunto, alle altre due religioni. L'uso che ne ho fatto, seguendo la maggioranza - tra cui eminenti teologi -, non è connotativo ma meramente denotativo, pragmatico.
Nel discorso di Ratisbona a cui mi sono riferito Benedetto XVI ha rivendicato il posto della teologia nella "universitas scientiarum". Ora, perché vi sia una scienza si debbono dare due condizioni: l'esistenza di un comunità scientifica e il dibattito al suo interno. Se quest'ultimo manca non siamo più in presenza di una scienza ma di qualcos'altro. Capisco che è problematico far coesistere il dibattito teologico-scientifico con la Verità rivelata di cui è depositaria la Chiesa in quanto istituzione gerarchica. Ma, a parte che era stata questa la scommessa del Concilio, c'è sempre la possibilità di seguire la distinzione kantiana tra "uso privato" e "uso pubblico" della ragione, seguire cioè il credo ufficiale senza deflettere e intanto dibattere e magari abbracciare le opinioni da esso difformi. Sarà pure, la mia, una esplicita professione di gesuitismo (nel senso non deteriore del termine) ma non vedo, per un cattolico laico e democratico, "adulto" come si diceva qualche tempo fa, altra strada praticabile.
P.S. - Per me, juventino, l'interista è come il musulmano per me cattolico. Non esulterò se segna Etoo ma va da sé che potrò e dovrò discutere con i miei compagni di fede (calcistica) il modo migliore per far segnare Del Piero, cercando di far giungere a Ferrara (se le mie competenze sono, magari, da addetto ai lavori) il mio punto di vista.
Domenico Distilo

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(11.1.10) CRAXI, A DIECI ANNI DALLA MORTE (Domenico Distilo) - Gli anniversari, si sa, costituiscono un’occasione per fare bilanci, per verificare non solo, per dirla con Benedetto Croce, “ciò che vivo e ciò che è morto” di un personaggio, ma anche per valutare, lontani dalle passioni proprie dell’attualità più stretta, sine ira et studio, le positività e le negatività del suo lascito, la partita doppia che ha intrattenuto con la storia.
Ciò detto, a mo’ di opportuno preambolo, va da sé che, per cominciare, Bettino Craxi vada collocato sullo sfondo dell’Italia degli anni Settanta nella quale avviene, in circostanze in gran parte fortuite, la sua ascesa alla segreteria del PSI (correva l’estate del 1976 e il 20 giugno si erano tenute le elezioni politiche dalle quali DC e PCI erano usciti entrambi rafforzati a scapito del PSI e degli altri partiti minori). Negli intendimenti dei suoi kingmaker, in particolare di Giacomo Mancini, il principale tra essi, Craxi avrebbe dovuto essere un leader di transizione, uno che sarebbe durato il tempo necessario per consentire al partito di rimettersi in piedi dopo la crepuscolare segreteria De Martino. Quale fosse il principale atout di Craxi Mancini lo disse senza perifrasi nel momento in cui ne propose l’elezione al Comitato centrale che si teneva a Roma all’hotel Midas: “facciamo Craxi: conta un c... e mette d’accordo tutti”.
La nuova segreteria nacque dunque su basi non di forza ma di debolezza, dall’impossibilità da parte delle correnti del vecchio PSI di mettere in campo un candidato dal profilo più forte e autorevole di quello che poteva vantare Craxi. Questi dal canto suo, una volta divenuto segretario, iniziò subito a muoversi col deciso intento di porre fine all’appiattimento sul PCI - che era stato lo stigma, o perlomeno era parso tale, del suo predecessore - non perdendo occasione per differenziarsi, per smarcarsi, per porre in chiaro sempre e comunque che il PSI era il PSI e non il PCI. Divenne così esattamente ciò che aspirava ad essere: il principale avversario della prospettiva politica dominante in quegli anni, il compromesso storico tra i due maggiori partiti, la DC e il PCI, che assieme superavano abbondantemente il settanta per cento dei voti.
L’offensiva fu scatenata, oltre che sul piano politico, su quello ideologico, investendo l’assetto leninista del PCI in nome della tradizione libertaria del socialismo. Poiché era ancora il vecchio Marx, oltre a Lenin e a Gramsci, il punto di riferimento, peraltro anche statutariamente sancito, del PCI, Craxi gli contrappose, in un articolo su L’espresso, l’anarchicheggiante Proudhon, che Marx a suo tempo aveva buttato in malo modo fuori dall’Internazionale.
La “riabilitazione” di Proudhon si pensava sarebbe stata foriera di proposte alternative nel solco della tradizione e della storia del socialismo e della sinistra. Si rivelò invece ben presto soltanto un espediente propagandistico per attaccare il PCI alzando oltremisura il livello dello scontro a sinistra e rendendo di fatto impossibile ogni dialogo in vista del definitivo cambiamento del PCI e della preparazione di quell’alternativa che sarebbe potuta benissimo coincidere con la “terza fase” della strategia morotea.
Muovendosi con l’unica bussola dell’anticomunismo ossessivo e viscerale, Craxi prese a declinare di fatto il riformismo – che, dopo essere stato a lungo un tabù, cominciava proprio allora, e grazie a lui, a divenire una parola totem - come contrapposizione sistematica alla cultura, alla storia, alla tradizione della sinistra – di tutta la sinistra, non solo quella comunista - iniziando quel processo di mutazione genetica che avrebbe portato, col tramonto della repubblica dei partiti, la maggioranza dei socialisti a vedere nell’adesione al berlusconismo l’esito naturale della loro parabola politica.
Intendiamoci: in quegli anni esplodeva la crisi della sinistra a livello mondiale. L’usura del Welfare e i processi di trasformazione del capitalismo con i prodromi della globalizzazione, il crollo dell’Unione Sovietica e dei paesi del comunismo realizzato avrebbero richiesto ben altro grado, ben altre capacità di elaborazione teorica di quelle di cui disponevano Craxi e i socialisti italiani. Il tentativo di dare risposte adeguate, che fronteggiassero i cambiamenti in corso con argomenti e strumenti catalogabili come di sinistra non venne però neppure fatto. Anzi, nel giro di qualche anno Craxi perse per strada, con qualche trascurabile eccezione, l’intero gruppo di intellettuali che avevano animato, tra i Settanta e gli Ottanta, la breve stagione di Mondoperaio, la rivista di elaborazione ideologica del partito. Da Norberto Bobbio a Massimo Salvadori a Giorgio Ruffolo presero tutti polemicamente le distanze da un partito trasformatosi in appendice di un segretario – presidente (Craxi era divenuto, dopo le elezioni politiche del 1983, presidente del consiglio) che nella sua concezione politica scambiava la modernità – di cui proclamava di voler “governare il cambiamento” - con la società dell’immagine e dello spettacolo – “nani e ballerine” - e nella prassi politica utilizzava il potere per guadagnare spazi funzionali all’acquisizione di altro potere, in un circolo vizioso che lo avrebbe precipitato, quando di lì a qualche anno sarebbe decisamente mutato il clima generale del Paese, nel baratro di Tangentopoli.
La strategia di Craxi per cambiare la sinistra italiana, se mai ci fu, consistette nel tentare di porre fine all’esistenza stessa dei comunisti col superamento della scissione di Livorno e l’unificazione di tutta la sinistra sotto le insegne del PSI, sul cui simbolo fu a tal fine apposta la scritta “Unità Socialista”. Un disegno, per ovvi motivi, talmente astratto e futuribile che la sua ricaduta concreta non poteva che essere la gabbia d’acciaio dell’alleanza senza vie d’uscita con la destra DC, cioè con quella parte del vecchio scudo crociato più lontana da un’interpretazione dinamica della dottrina sociale della Chiesa.
Non avendo spazi sulla sinistra tradizionale, occupata dal PCI, riuscendo inviso alla sinistra movimentista – con la quale aveva pur civettato al tempo della prigionia di Aldo Moro per via della comune linea trattativista - e non potendo sfondare nei settori dell’elettorato moderato presidiati dalla DC e dagli altri alleati di centro, Craxi si rivolse ai cosiddetti ceti emergenti, sperando di sfruttarne elettoralmente il risalto mediatico.
La scommessa era che prima o poi, con l’onda lunga della modernizzazione, questi ceti sarebbero diventati maggioranza premiando elettoralmente il PSI, cioè il partito che ne coltivava e assecondava le virtù e, soprattutto, i vizi. La vecchia classe operaia e il mondo del lavoro furono così sostituiti dagli yuppies cantati da Luca Barbarossa e la “Milano da bere” divenne il simbolo di un mondo di cui Craxi e il PSI rappresentavano il principale referente politico.
Poiché l’onda lunga non produsse lo sfondamento elettorale – il massimo risultato nelle elezioni politiche fu il 14% - Craxi si chiuse a riccio nella difesa dell’esistente rappresentato in primo luogo dal sistema elettorale proporzionale, sul quale si fondava tutto il suo potere, che era soprattutto potere d’interdizione e di veto nei confronti dei due partiti maggiori.
Fu tutta qui l’essenza del craxismo. Anche se i suoi antichi e postumi fans sono soliti citare delle “grandi intuizioni” con le quali avrebbe precorso i tempi.
Quali siano state queste grandi intuizioni viene fuori quando essi, e non capita spesso, escono dal generico e dalle affermazioni apodittiche. Allora evocano, in primis, la posizione favorevole agli euromissili. Dimenticano però che i socialisti avevano accettato la Nato già vent’anni prima, col centrosinistra di Moro e Nenni, per cui accettando gli euromissili Craxi ha soltanto fatto una scelta che confermava un dato saldamente acquisito della politica del PSI. Assolutamente nulla, dunque, di trascendentale, di geniale, di futuristico. Nulla per cui a Craxi possano essere riconosciute le qualità di uno statista lungimirante.
L’altra perla di Craxi “grande statista dalle grandi intuizioni” sarebbe stato il taglio, o sterilizzazione che dir si voglia, nel 1984, dei quattro punti di scala mobile, decisione confermata dal referendum dell’anno successivo voluto e perduto dalla CGIL e dal PCI.
Si trattò, invero, di una scelta innovativa e riformista. Ma di innovazione e di riforma in peius, non in melius. Fu con quel taglio che a sinistra passò l’idea, che più di destra non si può e che tiene tuttora sciaguratamente il campo, secondo cui le difficoltà congiunturali si risolvono invariabilmente scaricandole sulla parte più debole, il lavoro. Insomma, fu l’inizio di un percorso lungo il quale avremmo incontrato tutte le riforme del lavoro e del mercato del lavoro – comprese la legge Treu e la cosiddetta legge Biagi, sempre mediaticamente esaltate e decantate come “senza alternative” - che, all’insegna di quella che si potrebbe definire una sorta di modernizzazione reazionaria, riducono e comprimono i diritti dei lavoratori.
Vi fu poi, come dimenticarlo, il Craxi che tra i primi pose all’ordine del giorno le modifiche della Costituzione. Se si fa un po’ di attenzione, però, alla tempistica delle proposte socialiste di modifica della Carta, mai andate oltre la generica richiesta di rafforzare i poteri dell’esecutivo e forse mai neppure formalizzate, non si può non osservare che esse sono la diretta conseguenza delle difficoltà che il governo Craxi, non diversamente, del resto, da tutti quelli che lo precedettero, aveva con i “franchi tiratori”, come erano chiamati i deputati e i senatori della maggioranza che, su singoli provvedimenti, votavano contro il governo. Alla fine, e fortunatamente, la montagna partorì il topolino: una riforma dei regolamenti parlamentari che abolì il voto segreto.
Il fatto è che a Craxi della riforma della Carta non importava nulla, o importava solo nella misura in cui gli sarebbe servita per dare corpo a una riorganizzazione dei poteri in chiave personalistica, riorganizzazione che, con l’avvento della cosiddetta seconda repubblica, sarebbe avvenuta per vie traverse, non costituzionali, e costituisce oggi una grave distorsione ed alterazione del processo democratico.
Della sua intensa stagione c’è infine da ricordare, oltre a qualche slogan fortunato ed effimero come il “socialismo mediteraneo”, la revisione dei Patti lateranensi avvenuta, Craxi consule, nel 1984 e il controverso episodio di Sigonella dell’anno successivo.
La revisione dei patti del 1929 fu senza dubbio un grande successo. Riesce però difficile ascriverla a completo merito di Craxi. La firma apposta assieme al Segretario di Stato vaticano, cardinale Agostino Casaroli, arrivò a coronamento di un lungo negoziato condotto per circa un decennio dai governi a guida democristiana per mezzo della delegazione presieduta dal professor Francesco Margiotta Broglio, negoziato che conobbe un’accelerazione decisiva sotto i due governi Spadolini. Craxi, alla fine del tormentato percorso, poté fare qualche concessione sul fronte della laicità dello Stato che ai presidenti del consiglio democristiani, paradossalmente proprio perché democristiani, non era consentito fare, e la revisione giunse in porto.
Quanto a Sigonella - la base NATO dove si disse che fu scongiurato lo scontro a fuoco tra reparti italiani e statunitensi a causa del rifiuto di Craxi di consegnare agli americani il terrorista responsabile dell’assassinio, sulla nave Achille Lauro, di un cittadino statunitense - si tratta di un episodio dai contorni ancora oscuri e dalle motivazioni oscurissime. I sostenitori della teoria del complotto, che tra i craxiani abbondano, imputano addirittura alla vendetta degli americani per Sigonella la rovina politica e personale di Craxi. Ipotesi che appare ictu oculi, a semplice colpo d’occhio, semplicemente strampalata.
Non si capisce in nessun modo perché la vendetta sarebbe dovuta arrivare a sette o otto anni di distanza, quando Reagan, antagonista di Craxi nel 1985, non era più presidente da cinque anni ed era terminata anche la presidenza di Bush senior, che ha lasciato la Casa bianca al democratico Clinton proprio nell’annus horribilis di Craxi, il 1993.
Il complotto degli americani fa il paio con quello delle procure. Se la repubblica dei partiti fosse morta di complotto il decesso sarebbe avvenuto dieci o venti anni prima, non essendo mancati gli scandali a fornire l’esca a un ipotetico complotto. La spiegazione più probabile, più plausibile, è invece che Craxi e gli altri leader del pentapartito non colsero per tempo il mutare del comune sentire, della comune coscienza, il vento che li avrebbe travolti, alimentato tanto da destra quanto da sinistra, dalla volontà generale di liberarsi della vecchia classe politica, di cui non si tollerava più la corruzione.
Non essendosi accorto dello sdegno che montava, avendo perso il polso della situazione al punto da invitare la gente ad “andare al mare” in occasione di uno dei referendum Segni che travolsero, oltre a quello elettorale, il sistema politico, Craxi evidenziò il suo maggiore limite: il possesso di grandi capacità tattiche coniugate ad una totale assenza di respiro strategico. L’esatto contrario di quel che pensano i suoi estimatori.
Le condanne penali e l’esilio ad Hammamet chiusero la vicenda di uno degli uomini più discussi della politica italiana del Novecento. Non si può dire, francamente, che “fu vera gloria”.

Nella foto: Bettino Craxi.


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(14.1.10) PENSIERI E FILMATI PER RIFLETTERE (Antonia Carè) - Un abbraccio a mio nipote Biagio e a sua madre: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate...".


La migliore risposta è la preghiera e il perdono!


Voglio dedicare "Jesus Christ, you are our life" a tutte le persone che non stanno sedute a contare i passi di chi cammina, ma con impegno e sacrifici raggiungono i propri obiettivi: sul posto di lavoro, a scuola, in politica, ecc. Con umiltà dico a voi: guardatevi intorno e troverete incapacità di fare ciò che voi fate. Sia sempre Lui la vostra forza e il vostro coraggio e contro di voi niente e nessuno potrà! Buon lavoro.


Antonia Carè


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(22.1.10) DOBBIAMO DAVVERO FESTEGGIARE GARIBALDI? (Michele Scozzarra) - Mi ha fatto piacere vedere su “Il Quotidiano della Calabria” del 27 dicembre scorso, che il mio articolo pubblicato su Galatro Terme News sull’abate Martino ha aperto un ampio servizio di quattro pagine, ove veniva ricordato “L’anniversario de i 150 anni dell’Unità d’Italia e la questione meridionale: storia di un Sud negato tra fallimenti e nostalgie”. Nel servizio de “Il Quotidiano della Calabria” veniva lamentato il fatto che, a fronte di un decreto legge del 1 ottobre 2007, volto a favorire le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, nulla o quasi è stato previsto in Calabria per ricordare questo evento, anzi si è sprecata, ancora una volta, l’opportunità del largo coinvolgimento del Paese intorno all’Unità Nazionale.
Ma… mi chiedo: siamo sicuri che, come popolo del Sud Italia, dobbiamo proprio celebrare le “eroiche gesta” Garibaldine? Anche se Garibaldi è il personaggio più mitizzato della Storia italiana e fiumi d'inchiostro sono stati consumati per costruire ad arte la sua biografia, non sono il solo a pensare che nella realtà è, sicuramente, diversa da come ce l’hanno descritta tutti i libri che ci hanno fatto studiare a scuola.
Però, ancora oggi, anche nel nostro Meridione, bisogna fare attenzione "a parlar male di Garibaldi", perché da tanti è ritenuto poco meno che una bestemmia…
La storia dell'"eroe dei due mondi"comincia dal Sudamerica, dove sbarcò per non finire impiccato. Qui praticò la pirateria per il commercio degli schiavi asiatici. In Perù fu coinvolto in un furto di cavalli e gli furono tagliati i padiglioni delle orecchie, ecco perché teneva i capelli lunghi. Rientrato in Italia partecipò alla Prima guerra d'indipendenza e poi alla proclamazione della repubblica romana, tenendo fede alla sua conclamata avversione alla religione cattolica e alla Chiesa.
Con la spedizione dei Mille nel Regno delle due Sicilie, diventa l’eroe per antonomasia… Già… cosa possiamo dire dei “Mille”… una spedizione finanziata dalla massoneria con una somma spaventosa con la quale potè corrompere generali, alti funzionari e ministri borbonici. Anche se, arrivato a Palermo non gli bastò solo corrompere ma saccheggiò il Banco di Sicilia di ben cinque milioni di ducati e tutte le chiese che capitarono sulla sua strada... Tutti i beni della Chiesa furono incamerati, chiuse le case e i conventi, numerosi vescovi incarcerati, altri esiliati, tutti dovettero subire spoliazioni, perquisizioni e insulti.
A Bronte contadini inermi furono massacrati “in nome del progresso sociale che veniva a liberarli dalla barbarie borbonica”. Quello fu un giorno storico per i siciliani: ebbero modo di capire in quali mani erano caduti (“‘ca di la furca passuammu ‘a lu palu…”, per come, già allora, commentò il nostro abate Martino).
La leggenda dei mille, per come ci è stata raccontata recita che la spedizione garibaldina andava a liberare un paese retrogrado e incatenato ai ceppi borbonici. Nulla di più falso, infatti la “conquista del Sud”, dopo qualche breve illusione, provocò la reazione popolare del meridione, il cosiddetto "brigantaggio", che vide coinvolte decine di migliaia di persone. E questo è ancora poco, dietro c’è ben altro… finalmente, negli ultimi tempi, pare che la verità sta emergendo e nasconderla sarà sempre più difficile... la versione che ci hanno dato a scuola è scarsamente credibile; forse è arrivato il tempo di riscrivere quelle pagine, anche perché, proprio noi meridionali non possiamo pensare a Garibaldi come ad uno dei “padri” della nostra Patrie e, a conti fatti, l'unico vero padre della patria rimane sempre e solo Dante Alighieri.
Nel 1989, a fronte delle tante “celebrazioni” per i cento anni della morte di Garibaldi ho scritto tra il serio e il faceto, una piccola missiva a Garibaldi, che ritengo ancora attuale e significativa per chi pensa che il nostro “eroe” vada, anche oggi, ricordato e festeggiato.

FU VERA GLORIA...?
CARO GARIBALDI

Caro Garibaldi, probabilmente tu non ti ricorderai di me, non foss'altro perché non mi hai visto né conosciuto. Io, di te, invece, mi ricordo benissimo.
Cominciai a conoscerti quando avevo ancora i calzoni corti e le ginocchia sbucciate. Il mio maestro mi parlava di te come di un eroe impareggiabile: “Garibaldi è il liberatore del Meridione, colui che cacciò via gli oppressori, i Borboni, e ci regalò la libertà...”. Così ci diceva il caro vecchio maestro con il dito puntato in alto. Seguendo quel dito, perennemente teso verso il cielo, i nostri sguardi di alunni con le ginocchia sbucciate si infrangevano contro il soffitto dell'aula, da dove pendevano i cartocci e gli aerei di carta, prodotti da intere generazioni, simbolo della nostra libertà e della continuità storica.
Caro Garibaldi, ti confesso che la notte sognavo di te (Mazinga ancora non lo conoscevo e quando l'ho conosciuto avevo già smesso di sognare): eri in camicia rossa e cacciavi via dalla Sicilia tutti quegli americani in camicia, insopportabilmente, bianca che cercavano di assalire i poveri siciliani per vendere loro insolite bibbie. Quando fui un po' più grandicello mi rivelarono, finalmente, che i Borboni non erano una setta religiosa, né tanto meno una marca di caffè, come alcuni miei compagni, arditamente, sostenevano. Mi rivelarono altresì che tu, mio buon generale, non avevi proprio liberato il Meridione, ma l'avevi tolto ad un padrone, per consegnarlo ad un altro ancora più arrogante e violento del precedente. Io non ci volli proprio credere: “Le solite interpretazioni faziose della storia...”, pensavo tra me e me; anche se, molti sostengono che quello che è veramente accaduto sui libri di scuola non c'è scritto. Non potevo credere che tu, appena sbarcato in Sicilia ti fossi proclamato Dittatore, avessi svuotato conventi e monasteri saccheggiandoli, avessi sciolto, a forza i Gesuiti e stabilito bivacchi militari nelle splendide Chiese meridionali. Non mi spiegavo ancora i versi del De Sivo: “Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni; e galantuomini voi venuti a depredar l'altrui...?”.
Una cosa che mi sono sempre chiesto è come hai potuto, con 1.000 uomini male armati e peggio vestiti, distruggere un Regno con un esercito di 100.000 uomini? “Per il gran valore dei garibaldini e l'appoggio delle popolazioni...” mi ha detto qualcuno... ma altri sostengono che, in realtà, potevi essere rigettato in mare fin dallo sbarco e la vera arma vincente, che ti spianò la strada, fu quella della Massoneria piemontese e francese che aveva comprato tutto il palazzo di Federico II.
Vuoi che ti faccia qualche esempio? Ricordi quando a Calatafimi il generale Landi (al prezzo di 18.000 ducati) impedì ai suoi di sbarrarti la strada; oppure quando, senza alcuna ragione, 20.000 soldati vennero fatti uscire da Palermo senza colpo ferire; e ancora a Milazzo e Messina, migliaia di soldati di Francesco vennero, inspiegabilmente, spediti sulle montagne. Inoltre, penso che non ti sfugga quando il generale Ghio disciolse altri 10.000 soldati… altrettanti ne disciolse il generale Briganti che però venne fucilato sul posto, per alto tradimento, dai suoi stessi soldati.
Caro Garibaldi, ritengo che non devi sforzare troppo la memoria per ricordare come le decine di città “reazionarie”, che avevano organizzato la “resistenza” (da Isernia a Venosa, a Barile, Monteverde, Cotronei, san Marco e così via…) furono distrutte e bruciate dai tuoi garibaldini: villaggi, cascine, molini tutti saccheggiati, e tanti contadini massacrati.
Quando poi venni a sapere che avevi mandato un battaglione di soldati a fucilare i poveri contadini di Bronte, che volevano prendersi le terre dei signori, credetti subito che l’operazione fosse stata condotta, autonomamente, da quella testa calda di Bixio. Quante altre me ne hanno raccontate sul tuo conto… eppure la mia simpatia nei tuoi confronti non è venuta meno; mi piace ancora ricordarti con la tua barba rossa, con l’aspetto di arcangelo liberatore, mentre assisti alle funzioni sacre, tu laico e massone, in qualche cattedrale siciliana.
C’è una cosa, però, che ti voglio confessare: tutte queste attenzioni che, a più di un secolo dalla tua morte, ancora ti sono attribuite, mi lasciano perplesso. Pensa che, recentemente, è anche intervenuto il Presidente della Giunta regionale calabrese, per annullare il decreto che prevedeva, per l’ampliamento di una strada, la demolizione della vecchia casa di Santa Domenica di Ricadi che ti ospitò dopo che ti ferirono in Aspromonte.
L’idea, poi, che mille ragazzini in camicia rossa e con le ginocchia sbucciate siamo stati portati a disturbare il tuo sonno secolare, sbarcando a Caprera per deporre ghirlande di garofani rossi sulla tua tomba, mi fa rabbrividire… anche se, ormai sono di moda i viaggi organizzati, con tutti i confort, nei luoghi del Continente americano dove tu hai rischiato la pelle.
Caro Garibaldi, ma tu lo sai che la Regione siciliana voleva fare un monumento in tuo onore con la modica spesa di un miliardo di lire…? E dire che la Storia ti vide morire non solo vecchio, ma anche povero (almeno su questo punto sembra che gli storici siano tutti d’accordo).
Ma guarda un po’? Mi vien da pensare, vuoi vedere che l’eroe, adesso, vogliono farlo santo? In effetti abbiamo un noto Segretario di partito che, per ritornare a fare il Presidente del Consiglio, pensa che c’è bisogno di un “santo laico”. Qualche mese addietro Proposte ha raccontato della polemica sulla scomparsa di un quadro di un noto pittore nicoterese: il dipinto che ti raffigura è stato il pomo della discordia che ha minato la stabilità dell’attuale governo, in quanto il noto Segretario ha visto la scomparsa del quadro come uno sgarbo insostenibile. Strano come non abbia rimboccato il Ministro degli Esteri quando, in una trasmissione televisiva, ha affermato che “una delle cose più piacevoli alla sua età, è che si può dire male pure di Garibaldi”.
Non ti meravigliare, mio buon Garibaldi, se presto circoleranno lucenti immaginette con la tua effigie o se inappuntabili borghesi verranno a deporre ghirlande di edere e garofani ai piedi delle tue statue; non stupirti se i nuovi asceti della politica per te prenderanno i voti o se il tuo volto tornerà a dipingersi sui muri delle nostre case…
Caro Giuseppe (scusami la confidenza, ma dopo queste poche righe penso che tu avrai cominciato a conoscermi) io, ad esser sincero, preferisco ricordarti così come ti ho conosciuto da bambino: un po’ Braccio di Ferro ed un po’ Zorro; come l’Arcangelo Gabriele, sempre pronto a difendere con la spada la libertà degli oppressi. Preferisco ricordarti con la camicia rossa, lo sguardo nobile e, soprattutto con quella gamba ferita che, fino a ieri, mi faceva guardare con fierezza alle mie ginocchia sbucciate…

Nelle foto: in alto Giuseppe Garibaldi; in basso Michele Scozzarra.

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(26.1.10) E' DIVENTATO DI MODA PARLAR MALE DI GARIBALDI (Domenico Distilo) - Caro Michele,
non so cosa ci avremmo guadagnato, dico noi del Sud, a restare sudditi, non bene o male cittadini, dello Stato più arretrato d’Europa, che veniva governato con le tre effe (festa, farina e forca) e il cui esercito versava in una disorganizzazione tale che una delle “manovre” della marina da guerra borbonica, denominata “facite ammuina”, consisteva nel mostrare all’avversario di stare eseguendo chissà quali operazioni, mentre ci si limitava a far sì che “chilli chi stannu abbass, vann’in coppa; chilli chi stann’in coppa, vannu abbass; chi sta a destra va a sinistra; chi sta a sinistra va a destra; chi non ha nient’a fa, s’arrimini a cca e a lla”.
Sarà pure vero che, come diceva Martino, “di la furca passammu a lu palu”, ma al palo siamo passati dalla forca, appunto, non certo dal paradiso terrestre.
La teoria della cospirazione massonica che avrebbe fatto cadere il Regno del Sud alimenta una storiografia intesa a dimostrare una tesi precostituita, cioè che si sarebbe dovuto evitare il Risorgimento, i cui eroi e simboli sarebbe giunta l’ora di demitizzare.
Così come il “revisionismo” storico antiresistenziale di Pansa ed altri, quello antirisorgimentale funziona enfatizzando – il più delle volte in chiave romanzesca - alcuni fatti marginali e oscurando, letteralmente, le cose essenziali.
Non che non si debbano conoscere anche le cose marginali, che contengono spesso risvolti umanamente tragici, ma nel caso della “conquista” garibaldina del Sud le cose essenziali sono:
- se il regno borbonico fosse stato in perfetta salute, se al momento dello sbarco dei mille non si fosse già trovato ad essere una caricatura di Stato, che teneva in apprensione le diplomazie di tutta Europa per via di una situazione esplosiva, da rivoluzione sociale imminente, non sarebbe stato travolto con tanta facilità, anche mettendo nel conto il presunto tradimento dei suoi vertici militari e politici;
- i siciliani, che mal sopportavano l’unione al continente da sempre – del resto sei secoli prima c’era stata la Guerra del Vespro - erano in rivolta e furono proprio le notizie dalla Sicilia a indurre Garibaldi a rompere gli indugi e a far partire la spedizione;
- gli intellettuali del Sud, da Settembrini a Poerio a De Sanctis erano tutti per l’unità d’Italia e pensavano all’unisono che il processo unitario avrebbe dovuto essere guidato dal Piemonte. Anzi, molti di loro, costretti ad andare via dalle loro terre a causa delle persecuzioni della polizia borbonica, avevano costituito una colonia a Torino e si davano parecchio da fare per creare le circostanze favorevoli all’intervento piemontese;
- la classe dirigente meridionale, che mezzo secolo prima aveva attraversato indenne l’eversione della feudalità di Giuseppe Bonaparte, passò armi e bagagli con Garibaldi – la storia del Gattopardo, raccontata da Tomasi di Lampedusa, è emblematica - proprio per continuare a passare indenne nei sommovimenti politici stornando ogni pericolo di rivoluzione sociale.
Dunque, di cosa stiamo parlando? Nella situazione determinatasi nel 1860 in Italia la “conquista” garibaldina era di gran lunga la migliore delle soluzioni possibili, certamente migliore della sopravvivenza del Regno delle due Sicilie. Questo, attraversato dalla tensione sempre più acuta tra Sicilia e continente e alle prese con la sempre più evidente incapacità della sua classe dominante di continuare a tenere compresso il mondo contadino, era sul punto di esplodere, come attesta il crescendo di allarme riscontrabile nei rapporti dell’ambasciatore inglese al suo governo nell’ultimo scorcio degli anni Cinquanta.
Certo, i contadini che avevano pensato che Garibaldi avrebbe fatto la rivoluzione sociale, non solo quella politica, furono delusi e diedero vita al brigantaggio, che però infestava le campagne del Sud si può dire da sempre.
La tesi neoborbonica, questo è secondo me il punto, riecheggia, se non riproduce, quella gramsciana secondo cui il Risorgimento al Sud fu una “rivoluzione mancata”. Fu il grande storico siciliano Rosario Romeo, liberale di formazione crociana e autore di una monumentale biografia di Cavour, a confutare Gramsci sostenendo che “se non si fosse fatta nel modo in cui si è fatta l’Italia non si sarebbe mai fatta”. Per cui il Risorgimento fu una “rivoluzione compiuta”, pur con tutti i suoi limiti e contraddizioni, non una mancata. E fu Garibaldi a compierla. Ricordiamocelo nell’impazzare dei revisionismi e in vista dei 150 anni dell’unità.

Nella foto: Domenico Distilo.

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(27.1.10) MATEMATICA E CALCIO (Vittorio Cannatà) - Avendo avuto sentore di questa nobile iniziativa telematica, vorrei portare il mio modesto contributo ed attraverso il sito far sentire la mia voce.
Le mie origini sono galatresi, essendo mio nonno l’allora molto conosciuto “Pascaluzzu i candila”: oggi vivono ed abitano a Galatro tanti miei cugini appartenenti alle famiglie Curinga e Cannatà.
Io sono Vittorio Cannatà e da quasi 40 anni vivo a Tezze sul Brenta, una località vicino a Bassano del Grappa: di tanto in tanto mi ritrovo con mio cugino Pasquale che abita a Padova e che mi ha invitato a rendervi partecipi di un mio studio sulle implicazioni della fisica e della matematica (materie che ho insegnato alle scuole medie di Tezze) nel gioco del calcio.
E’ uno studio che sto portando avanti e che si basa essenzialmente sulla combinazione di ellissi, triangoli e tangenti: trattasi di movimenti rototraslatori combinati in modo da consentire di giungere a rete senza la possibilità di ostacolo da parte degli avversari.
L’idea mi è venuta leggendo alcuni pensieri di Albert Einstein, ed in particolare mi ha colpito quello che afferma che “una teoria è tanto più convincente quanto più semplici sono le sue premesse”: ho pensato che quando si studia un fenomeno si cerca sempre di eliminare alcune cause che possono rendere complicato il fenomeno stesso, così che risulta più semplice trovare delle leggi che descrivano con precisione il suo svolgimento e prevedere il verificarsi di altri fenomeni.
Un validissimo aiuto l’ho avuto dallo studio su nuovi “modelli matematici” e più precisamente i concetti di "Caos" ed "Autosomiglianza": mi ha aiutato tanto la sconcertante scoperta di Edward Lorentz conosciuta come “effetto farfalla”, ovvero "può il battito delle ali di una farfalla in Brasile scatenare un uragano nel Texas?”.
Sono lieto di poter pubblicare con cadenza periodica su Galatro Terme News alcuni miei articoli su questo argomento.
Un saluto cordiale a tutti i galatresi.


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(29.1.10) GIORNATA DELLA MEMORIA (Giuseppe Romeo) - A pochi giorni dal Natale, ecco una ricorrenza di straordinaria portata: la Giornata della Memoria. Il mio pensiero va ai milioni di Ebrei trucidati. Perché è potuto accadere? Me lo domando ad ogni occasione. Me lo domando sempre: come può l’uomo calpestare a tal punto l’altro uomo? E’ sulla base di questa domanda che io propongo ai lettori questa mia riflessione.
Tutto è accaduto e può sempre riaccadere quando l’uomo dimentica (o non conosce affatto) la sua origine e si pone come artefice di tutto e che tutto può. Ieri come oggi, nazisti o uomini comuni, comunisti o idolatri. Vale, insomma per ieri, ma è monito per l’oggi. Per noi, non per gli altri. Per noi, in questo paese.
La riflessione vuole ricordare a me che è possibile costruire un mondo senza odio e senza violenza. Ma tutto ciò può accadere se la vita di ciascuno di noi è riverbero di qualcosa di incontrabile che può suscitare apprezzamento e riconoscimento di chi ci sta accanto.
L’avvenimento che io pongo all’attenzione di chi mi sta leggendo, che cambiò il corso della storia e ancora oggi vuole affermare la saldezza del creato, risale a 2010 anni fa, quando “IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI. IL VERBO ERA PRESSO DIO. IL VERBO ERA DIO”. Cioè, Dio, si è fatto uomo, per stare accanto all’uomo sofferente, accanto all’uomo smarrito, accanto all’uomo solo. In termini biblici peccatore. Accanto a quest’uomo Dio, quindi, si pone come compagno della vita, proprio per accompagnarci con gesti di amore immenso tali che l’uomo potesse accorgersi di Lui ed acchiapparlo, farlo suo.
Nella crocifissione, tutto questo si scopre e riappare la nascita dell’uomo nuovo. IL NATALE: la misericordia di Dio senza confini. Noi Cristiani, dobbiamo riaffermare con convinzione profonda e sentita la verità del Natale di Cristo per testimoniare a tutti del dono della ricchezza della sua compagnia. E’ l’incontro! Solo così riaccade. E riaccade ogni volta che un cuore si apre all’altro e l’altro non può non percepirlo! Non un progetto, ma un cuore aperto.
Amò a tal punto l’uomo fino a morire in croce. Di questo rimasero colpiti i suoi apostoli, di come li aveva amati, del modo come stava con loro. E loro hanno stravolto il mondo con la stessa intensità d’amore che Lui gli aveva dato. E così i Santi a seguire. Chi incontra Cristo (oggi nei suoi Santi e nella Chiesa) non resta indifferente, perché se l’incontro è vero, sconvolge la vita, te la cambia in modo radicale, perché vivi in funzione di un altro e di un Altro che ti ha voluto prima che tu fossi.
Dicevo nella premessa, che ciascuno, nel suo piccolo, “deve, ripeto, deve costruire la Chiesa”, facendo emergere principalmente, in tutto quello che fa, l’incontro con quell’amore, quella passione, che ha generato il mondo nuovo, il mondo della civiltà dell’amore che Dio ci ha fatto vedere. Non si possono fare le cose tanto per fare, o solo per emergere o per il proprio orgoglio vissuto con rabbia: l’olocausto è sempre in agguato!
L’avvento della civiltà di Cristo è stato possibile principalmente per due cose: la preghiera ed il perdono. La preghiera ci educa, il perdono ci fa vivere. “Se tu ami chi ti ama che merito hai, non fanno così anche i pagani ed i pubblicani?”. E’ vero, il perdono comporta sacrificio, in modo particolare quando sei convinto delle tue ragioni. Ma è proprio lì il punto. Per la società senza Dio è inconcepibile, è contro corrente, così come lo è per altre religioni, ma per i cristiani il perdono è un atto d’amore che sfida il tempo e la storia. Il Cristo in croce, che perdona, è “stoltezza per i pagani”, ma è il centro della vita per ogni uomo che incontra e fa incontrare Cristo. E’ nel perdono che si rende visibile e incontrabile Cristo! Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne sono gli ultimi eclatanti esempi. Hitler è nel giudizio della storia all’opposto. Hitler non ha amato l’uomo, Ebreo o altro che sia, Hitler ha solo amato sè stesso ed il suo potere. “Ora siamo tornati ad Auschwitz dove ci è stato fatto tanto male, ma non è morto il male del mondo è noi tutti lo possiamo fare!!!” (Claudio Chieffo-Poeta e Cantautore).


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(6.2.10) GIOCO DEL CALCIO E SCIENZA (Vittorio Cannatà) - Essendoci in Italia sessanta milioni di Commissari tecnici, permettetemi questa lunga ma indispensabile nota introduttiva che è necessaria e doverosa. Non è mia intenzione apparire saccente, essere irriverente, presuntuoso, arrogante e mancare di rispetto ad alcuno: sono troppo innamorato della matematica e quest’amore talvolta mi rende alquanto esuberante. Anche se "non si può mai vedere matematicamente che la matematica è scevra da contraddizioni", io credo ciecamente nella forza della matematica e alle sue infinite applicazioni in tutti i campi. Nell’universo nulla è possibile senza l’uso della matematica "nulla dies sine linea" (Plinio).
Diceva W.R. Fuchs, "la matematica è un grandioso e vasto paesaggio aperto a tutti gli uomini a cui il pensare arrechi gioia, ma poco adatto a chi non ami la fatica del pensare". Ai nostri giorni non possiamo più credere agli ammonimenti di S. Agostino per il quale "il buon cristiano deve guardarsi dai matematici: esiste il pericolo che abbiano fatto un patto con il diavolo per oscurare lo spirito e imprigionarlo nell’inferno".
Da sempre si è guardato la matematica con una certa riluttanza, perché è difficile capire ciò che non si conosce. Eppure nessun’altra scienza ha portato a sconvolgimenti di pensiero tali da portare l’uomo al di la del sistema solare, alle clonazioni ai trapianti e quant’altro.
La matematica è dovunque intorno a noi, solo che non siamo educati a vederla, a sentirla a capirla. La vecchietta che la sera tornando a casa entra in cucina apre la porta , gira l’interruttore e si accende la luce, non è in grado di “ascoltare”, che quel semplice gesto ha portato ad una delle più sconvolgenti e stupefacenti invenzioni del secolo passato.
L’interpretazione logica di quel semplice gesto, tradotto in linguaggio matematico “vero o falso, spento o acceso, zero-uno” ha gettato le basi per la costruzione dei computers.
Già nel V sec. a. C. Eraclito parlava della logica del divenire, nella quale erano respinti i Principi d’identità e non contraddizione (nei medesimi fiumi scendiamo o non scendiamo). Benedetto Croce, riprendendo lo stesso principio affermava: "a è insieme non a" mentre Aristotele di Stagira, parlando del Principio del terzo escluso diceva: "data un’affermazione ed una negazione una di loro è vera e l’altra è falsa". Così possiamo dire che Aristotele sia stato il precursore della logica bivalente, logica ripresa e trattata da S. Tommaso d’Aquino, dai filosofi scolastici e da Emanuele Kant “logica formale e trascendentale”.
I matematici hanno tradotto le parole dei filosofi in preposizioni (assiomi, teoremi, regole). Lo scienziato tedesco Gottfried Wilhem Leibniz fu il primo ad intuire che il calcolo poteva esser applicato al ragionamento. L’idea di Leibniz fu ripresa dall’inglese George Boole (algebra binaria) e sviluppata successivamente dal matematico italiano Giuseppe Peano, dall’inglese Bertrand Russel, dal tedesco David Hilbert e dall’austriaco Kurt Gödel.
Veniamo ora al dunque.
E’ con vero piacere che mi appresto a interloquire con Voi su questo studio dal tema:

CORRELAZIONI TRA GIOCO DEL CALCIO E SCIENZA

In via preliminare è doveroso da parte mia precisare subito che quanto andrò a scrivere si limiterà e rimarrà, per la maggior parte, soltanto a livello dialettico, nel senso che, per ovvi e comprensibili motivi, (tra l’altro noi matematici siamo gelosi delle nostre ricerche e dei nostri studi), non mi addentrerò in dimostrazioni matematiche, salvo quelle già conosciute, perché, spero e mi auguro di doverlo fare quanto prima in ben altra sede.
E’ un lavoro che porto avanti da quasi sei anni, che ha richiesto e richiede tuttora tanti sacrifici e mi piace innanzitutto esporre i motivi che mi hanno, in un certo senso, spronato ad iniziare questo lavoro.
Qualche anno fa è stato pubblicato il libro [Longanesi & C (contro l’alfabetismo matematico e scientifico in Italia)] di Michael Guillen dal titolo: Le cinque equazioni che hanno cambiato il mondo. Le equazioni di cui sopra hanno infatti condotto:


Nel film “A Beautiful Mind” il matematico John Nash asserisce: « i matematici hanno vinto la guerra ».
A ragionarci sopra, l’affermazione non è un’eresia laddove si tiene conto che tutte le guerre sono state vinte da chi ha saputo utilizzare per primo le invenzioni che si andavano di volta in volta facendo: dalla clava, alle frecce, dagli archibugi, ai fucili, ai cannoni, dagli aerei, alle portaerei, alla bomba atomica.
Mi sono chiesto allora: esisterà pure un algoritmo (potrebbe essere l’algoritmo per il minimo albero di copertura con gli heap aggregabili) che consente di pervenire ad una equazione da applicare al gioco del calcio? Invero tantissime sono le leggi fisiche e matematiche che entrano a far parte del gioco del calcio.
Prima del calcio d’inizio mi piace ripetere con Vittorio Sgarbi: “per ben fare bisogna ben conoscere”.
La conoscenza infatti richiede delle basi dalle quali non si può prescindere: mi riferisco agli strumenti che bisogna adoperare e su cui operare cioè, tanto per iniziare: terreno di gioco e principali caratteristiche del pallone da calcio. Sappiamo che il campo da calcio ha forma rettangolare le cui dimensioni sono: lunghezza varia da un minimo di 90m ad un massimo di 120 m, la larghezza è compresa tra 45 m e 90m.
La superficie del terreno di gioco e il suo perimetro allora sono così quantificabili: superficie 8250 m2, perimetro 370m.

Caratteristiche del pallone da calcio

68,58 cm < Circonferenza < 71,12 cm
10,82 cm < Raggio < 11,15 cm
396,6 gr < Peso < 453,6 gr
1,6 atmosfere < Pressione interna < 2,1 atmosfere
400 gr < massa < 450 gr

Elemento molto importante del pallone è la pressione. Il motivo per cui la pressione debba mantenersi tra questi limiti è dovuta al fatto che per valori più bassi si rischia di vedere il pallone collassare, cioè ricadere su se stesso come una mela della "Val di Non" che lasciata per lungo tempo all’aria raggrinzisce e, giorno dopo giorno, perde il suo turgore. Così se un pallone sgonfio lo si lascia cadere da una certa altezza, quando tocca terra non rimbalza perché è proprio la pressione che gli consente il rimbalzo.
La fisica elementare ci insegna che la materia può trovarsi allo stato solido, liquido, gassoso e plasma e che un gas non ha né forma né volume propri. Sappiamo anche che l’aria con la quale viene gonfiato il pallone da calcio, è costituita da molecole le quali, all’interno del pallone, si muovono in continuazione (agitazione termica) e in maniera disordinata con una velocità altissima circa 1609,00 km/h e quindi possiedono una certa energia cinetica. Tale energia fa aumentare la velocità delle molecole e quindi la forza con la quale urtano contro il rivestimento interno dando al pallone la sua compattezza e la sua forma caratteristica. In sintesi le molecole dell’aria all’interno del pallone si comportano come i popcorn all’interno della pentola.
Tale pressione, per la LEGGE DI PASCAL ha lo stesso valore in tutti i punti e per la TERZA LEGGE DELLA DINAMICA (Principio di azione e reazione) la pressione che il gas esercita sulle pareti del pallone è uguale alla pressione che le pareti esercitano sul gas.
E’ possibile calcolare la pressione in base alla teoria cinetica della materia, cioè applicando al moto delle molecole le leggi valevoli per la Dinamica del punto materiale. Ogni molecola si muove di moto rettilineo fino a che non urta contro la parete del pallone dove rimbalza, percorre poi un altro tratto rettilineo e rimbalza su un’altra parte della parete interna e così via conservando sempre, dato che gli urti sono elastici, la stessa energia cinetica e quindi la stessa velocità scalare. Questo moto uniforme si può decomporre nei tre moti delle proiezioni Px, Py, Pz del punto P, in cui si trova la molecola, sui tre assi x,y,z. E’ sufficiente, quindi, studiare il moto lungo uno degli assi e i risultati trovati saranno validi anche per le altre due componenti.
Per chi volesse divertirsi a fare un po' di esercizi di matematica, riporto
in allegato i passaggi che servono a calcolare la pressione e la quantità di moto nel pallone: quei calciatori specializzati in punizioni e tiri particolari che portano a rete le conoscono per istinto o per averle studiate, e colpiscono la palla in un punto particolare e con la forza e la rotazione adeguate.
Venia lapsus linguae.

Fine cap. I
Continua alla prossima puntata...


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(8.2.10) NONOSTANTE TUTTI I COMPROMESSI DEL RISORGIMENTO... SEMPRE ITALIANI (Michele Scozzarra) - Caro Domenico,
se, come tu sostieni nella
risposta al mio articolo su Garibaldi, nel campo delle valutazioni storiche, la situazione determinatasi nel 1860 era di gran lunga la migliore delle soluzioni possibili e se, come diceva il Martino “di la furca passammu a lu palu…” e al palo siamo passati dalla forca e non certo dal paradiso terrestre, è anche un dato indiscutibile che il Meridione d’Italia ha pagato a caro prezzo (un prezzo che stiamo abbondantemente pagando ancora oggi!) le conseguenze della “liberazione” da un padrone, per essere consegnato ad un altro padrone ancora più arrogante del precedente. Comunque la vediamo, sempre sotto un “padrone” siamo andati a finire… Questo è, a mio avviso, un dato storico inconfutabile, anche se oggi, a distanza di 150 anni dall’Unità d’Italia, riconosco che ci sono delle valutazioni, di vario genere, a favore di questa Unità (comunque essa sia stata fatta!) che non possiamo tacere… nonostante tutto!
Non sei stato il solo che mi ha rivolto più di un appunto al mio “attacco” a Garibaldi… ne ho ricevuti tanti. Un caro amico, fine giurista e attento studioso della nostra Storia, mi ha scritto: “E’ vero che Garibaldi si poteva fare li fatti sua, e che se la contessina Raimondi non gli avesse fatto le corna, avrebbe avuto altro a cui pensare, e noi saremmo sudditi di Sua Maestà il Re delle Due Sicilie (Dio ci guardi); ma se basta essere un buon soldato per essere un eroe, lui è stato il migliore degli italiani dell’epoca moderna: ha battuto argentini, francesi, austriaci, napoletani, prussiani. Non ha battuto la Pallavicini, ma perché aveva deciso di non sparare. Pensa che figure squallide gli altri generali. Montanelli ha detto: i generali italiani vincevano di rado, ma in compenso vincevano male”.
Senza cambiare opinione su quanto ho scritto nel mio articolo su Garibaldi, proprio in questi giorni di violenti attacchi all’Unità della nostra Patria, anche se ci accorgiamo di quanta retorica certa storiografia ha caricato le figure dei nostri “Padri della Patria”, nonostante tutti i distinguo iniziali e tutte le riserve e le accuse su “come” questi Padri hanno fatto l’Italia, nonostante tutte le “grandi riserve” che, soprattutto come Meridionali, abbiamo il diritto di esprimere ed evidenziare… nonostante tutto questo, non si può non riconoscere che, anche se non ce l’hanno fatta a fare bene le cose, almeno ci hanno provato e non potevano fare diversamente.
Scriveva Indro Montanelli: “Sapevo che Vittorio Emanuele, coraggioso caporale, era stato tirato per i capelli a fare un’Italia, di cui non aveva mai imparato nemmeno la lingua… sapevo che Mazzini voleva farla in un modo del tutto diverso, cioè nel modo in cui non si sarebbe mai fatta… sapevo che Garibaldi ne aveva liberata mezza solo perché nessuno aveva pensato che potesse riuscirci… sapevo che Cavour, quando per la prima volta mise piede a Firenze, ci si sentì all’estero, come oggi dice di sentircisi il senatore Miglio. E sapevo anche che questi Padri si erano fra loro detestati, ed ognuno di loro aveva fatto quello che aveva fatto, anche per impedire che lo facesse qualcuno degli altri tre”.
Ma, continua Montanelli, di fronte ad altri Padri della nostra Patria, i Padri del Risorgimento sfigurano di certo… meno che su un punto: “Sono i primi quattro italiani, che hanno operato vestiti da italiani, e non travestiti da spagnoli, o da francesi, o da tedeschi: cioè non hanno servito nessuno, se non l’Italia quando ancora non c’era: e che ora nel momento in cui rischia di non esserci più, consentono a me di continuare a servirla, o almeno di serbarne l’illusione. Non gli chiedo scusa dei diminuitivi pensieri su di loro. Seguito a guardarli senza lenti di ingrandimento. So che l’Italia la fecero anche con molti pasticci e compromessi, voglio dire un po’ da magliari, millantando credito, imbrogliando le carte del gioco, spesso gabellando le disfatte per vittorie. Ma era l’unico modo in cui, senza gli italiani, si poteva fare l’Italia, e metterla in condizione di fare a sua volta gli italiani, riscattandoli dalla loro secolare condizione di travestiti”.
Caro Domenico, per concludere, cosa vuoi che ti dica, pur continuando a guardare questi Padri del Risorgimento, senza lenti di ingrandimento e riconoscendo che l’Italia la fecero da magliari, con pasticci e compromessi e millantando credito e imbrogliando le carte, nonostante tutto questo, non possiamo non sostenere che alcune forze politiche ostili al Meridione possono anche tentare di minare l’Unità della nostra Patria (il cosiddetto “federalismo” di cui parla la Lega è l’anticamera di questo!) ma noi, con tutte le contraddizioni e riserve espresse, e senza cambiare opinione su come hanno fatto l’Italia, i Padri del Risorgimento, anche se di modesto blasone, oggi più che mai, non possiamo non riconoscerli. Diceva Montanelli: “Saremo pure una famiglia dappoco, noi italiani, ma è sempre meglio che bastardi di famiglie altrui, come qualcuno vorrebbe, rinnegandola, farci ridiventare…”.

Nella foto: Michele Scozzarra.

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(14.2.10) IL GIORNO MANCANTE (Pasquale Cannatà) - Il filosofo Henri Bergson ha scritto che non esiste un metodo capace di provare l’impossibilità di un fatto: se un fatto esiste, i ragionamenti sulla sua impossibilità sono insostenibili.
Di fronte ai miracoli che avvengono anche ai nostri giorni e che sono confermati da molti testimoni, mi sembra dunque insostenibile l’atteggiamento che assumono gli atei non accettando neanche l’evidenza delle prove dei fatti: dicono che sono illusioni o falsità, oppure cose che un giorno la scienza saprà spiegare. Ma anche se nella Bibbia ci sono affermazioni o avvenimenti che solo oggi riusciamo a capire perchè la scienza è progredita nella conoscenza, il fatto che si siano verificati al momento giusto e nel posto giusto su ispirazione o comando divino contro ogni logica derivante dalle conoscenze di quel tempo ne provano l’origine miracolosa.
In questo articolo analizzeremo in che modo, quando la ragione è sostenuta da un briciolo di fede, si può chiedere e ottenere (oppure credere al fatto che si possa verificare) qualsiasi cosa, anche se questo potrebbe sembrare impossibile: Siate ragionevoli, chiedete l’impossibile! diceva un grande scrittore di cui purtroppo non ricordo il nome.
Prima di proseguire nell’analisi degli avvenimenti descritti nella Bibbia dopo che è stato raccontato della morte di Mosè, mi sembra doveroso fare un’altra premessa: bisogna ricordare che la Giustizia divina entra in azione solo dopo che la Sua Misericordia è stata più volte rifiutata dagli uomini, così che si può comprendere il perché siano avvenute le stragi dei popoli da scacciare dalla terra promessa agli ebrei, e vedremo come le modalità di queste vittorie siano tali da poterle attribuire esclusivamente ad una azione divina. Lo stesso Mosè aveva avvisato gli Israeliti che il Signore avrebbe scacciato quelle nazioni per le loro malvagità (quando la loro iniquità fosse giunta al colmo) e non per i meriti dei discendenti di Abramo (deut. 9,3), ed a causa di quelle malvagità bisognava che ogni cosa tra quelle appartenenti alla gente suddetta venisse interdetta per non contaminare il popolo ebraico: molte volte invece questi ultimi si sono mescolati con le popolazioni idolatre, assorbendone usi e costumi e meritando così che il Signore li abbandonasse temporaneamente, salvo poi accordargli la Sua protezione ogni volta che si pentivano e Lo pregavano di aiutarli.
Veniamo dunque al crollo delle mura di Gerico: certamente quegli ebrei (che dopo la morte di Mosè erano guidati da Giosuè) non erano esperti di fisica (sia statica che aerodinamica) e non conoscevano il meccanismo che può far crollare un ponte sospeso se non si tiene in dovuta considerazione il fenomeno della risonanza [che è quel principio per cui una forza periodica anche debole (detta forzante) può produrre sollecitazioni e vibrazioni notevolissime su un corpo che oscilli con la medesima frequenza della forzante, allo stesso modo in cui imprimendo al momento opportuno una piccola spinta ad un'altalena riusciamo ad aumentarne di molto l'ampiezza delle oscillazioni perché la nuova forza si somma al movimento già esistente].
La cosa più naturale per l’esercito israeliano sarebbe stata quella di tentare un assalto alla città con inevitabili gravi perdite di vite umane e magari uscendone sconfitti, ma il Signore ordina a Giosuè di far fare a tutto l’esercito una marcia al giorno intorno alle mura per sei giorni suonando le trombe: al settimo giorno avrebbero poi girato per sette volte sempre suonando le trombe ed alla fine del settimo giro avrebbero dovuto gridare tutti insieme l’urlo di guerra e poi andare all’assalto della città; era un comportamento che aveva tutte le caratteristiche per sembrare assurdo, ma in questa circostanza gli ebrei hanno fede e lo eseguono alla lettera.
Se altri eserciti prima e dopo questo fatto avessero ripetuto questa tattica nell’assedio di quella o di qualsiasi altra città in qualunque parte del mondo, certamente non sarebbero approdati a nessun risultato, ma solo Dio poteva sapere che le vibrazioni del terreno prodotte dalla marcia ripetuta di quel certo numero di soldati per sei giorni consecutivi e ribadita per sette volte al settimo giorno in aggiunta alle onde sonore delle trombe che entravano in risonanza col calpestio del terreno e con l’urlo finale che concludeva ed amplificava le precedenti onde d’urto avrebbe fatto crollare quelle mura perché avevano lo spessore, l’altezza, il peso e la consistenza tali da consentire questo risultato: la caduta delle mura ha fatto nascere negli abitanti di Gerico un grande terrore che si aggiungeva all’effetto psicologico del timore destato in precedenza dalla stranezza del comportamento di quell’esercito nei sei giorni precedenti, così che la città è stata distrutta senza conseguenze funeste per gli israeliti.
Questo fatto potremmo inserirlo tra i miracoli che avvengono per comando divino contro ogni logica ed evidenza umana, e si realizzano solo se si agisce avendo fede che ciò possa veramente succedere!
La conquista di Gerico ebbe un doppio effetto: per gli ebrei fu una ulteriore prova che il vero Dio li guidava e li proteggeva mantenendo la promessa fatta ad Abramo, e questo dava loro coraggio per proseguire nell’impresa; nelle popolazioni di quei territori si ingenerò invece la paura che gli invasori fossero pressoché invincibili.
Fu così che i cinque re che dominavano su quei territori si coalizzarono per combattere contro Giosuè ed i suoi guerrieri: era la battaglia finale per stabilire chi sarebbe rimasto nella terra di Canaan.

Allora il Signore mise lo scompiglio in mezzo a loro dinanzi ad Israele, che inflisse loro in Gàbaon una grande disfatta, li inseguì verso la salita di Bet- Coron e li battè fino ad Azeka e fino a Makkeda. Mentre essi fuggivano dinanzi ad Israele ed erano alla discesa di Bet- Coron, il Signore lanciò dal cielo su di essi come grosse pietre fino ad Azeka e molti morirono. Coloro che morirono per le pietre della grandine furono più di quanti ne uccidessero gli Israeliti con la spada. Allora, quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani degli Israeliti, Giosuè disse al Signore sotto gli occhi di Israele:

“Sole, fèrmati in Gàbaon
e tu, luna, sulla valle di Aialon”.
Si fermò il sole
e la luna rimase immobile
finché il popolo non si vendicò dei nemici.


Non è forse scritto nel libro del Giusto: “Stette fermo il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero. Non ci fu giorno come quello, né prima né dopo, perché aveva ascoltato il Signore la voce d’un uomo, perché il Signore combatteva per Israele”?
Se fosse sopraggiunta la notte quando ancora infuriava la lotta, i cinque eserciti coalizzati avrebbero potuto riposarsi e riorganizzarsi così da poter avere il sopravvento sugli ebrei, mentre invece, continuando lo scompiglio del primo assalto la vittoria sarebbe rimasta ai discendenti di Abramo: per questo bisognava che il sole non tramontasse finchè la battaglia non fosse finita.
Fin da quando era piccolo, Giosuè aveva seguito Mosè in ogni azione di comando e di guida del suo popolo ed aveva assistito a molti degli avvenimenti miracolosi che Dio aveva compiuto per sua intercessione: aveva perciò una fede che gli derivava dall’esperienza diretta e quindi si è dimostrato molto ragionevole nel chiedere a sua volta quello che umanamente poteva sembrare impossibile!
Oggi sappiamo che è la terra che gira intorno al sole e che la rotazione del nostro pianeta intorno al suo asse ci da l’illusione del movimento della stella, ma questo non cambia la sostanza dell’avvenimento straordinario: c’è stato in quel tempo un giorno della durata doppia del normale. E’ possibile?
Allego a questo articolo una copia di
tre pagine del libro di Anna Maria Cenci dove è spiegato come ciò sia stato possibile: io ve ne faccio qui una sintesi.
Quando agli inizi degli anni 60 del secolo scorso gli americani cominciarono a pensare ad un possibile viaggio dell’uomo verso la luna, impostarono dei programmi al computer per calcolare le traiettorie della luna stessa, del sole, ecc. e di vari asteroidi e meteoriti al fine di valutarne le relative forze gravitazionali e di evitare possibili impatti letali per gli astronauti: per fare questo inserirono i dati conosciuti delle lunazioni e delle eclissi di cui erano al corrente per i secoli trascorsi al fine di confrontarli con quelli calcolati per gli anni a venire per conoscere la posizione di ogni corpo celeste al momento del viaggio.
Nel fare questi calcoli a ritroso, ad un certo punto il computer si bloccò perché aveva rilevato un giorno mancante!
A sostegno della veridicità delle conclusioni cui si giungeva a seguito dei suddetti calcoli c’è una carta geografica dell’oceano pacifico fatta nel 1969 tra le Hawaj e le Filippine che mostra una vasta zona di sprofondamento che potrebbe essere stata causata dalla caduta di un asteroide: questo impatto spiegherebbe anche l’enorme deposito di sabbia presente sulle coste della California che potrebbe essere stata trasportata dalle colossali onde di marea generate dall’urto, mentre a causa della suddetta collisione la rotazione della terra veniva rallentata per poi ritornare alla normale velocità a causa dell’attrito con il fuso interno liquido che continuava a ruotare con velocità immutata.
Questo secondo avvenimento va invece inserito tra i miracoli che si verificano per ispirazione divina (Giosuè non poteva sapere che dall’altra parte del mondo stava accadendo qualcosa che si sarebbe rivelata utile alla sua causa!), e quindi perché si ha una fede cieca nella potenza di Dio che opera anche facendo si che succedano al momento opportuno fenomeni naturali che provochino gli effetti da Lui voluti: la scienza moderna ci spiega quasi tutto, ma non ci spiegherà mai perché un semplice uomo può chiedere al sole di fermarsi, o una piccola, gracile e povera donna può fondare centinaia di istituzioni benefiche e provvedere a tutte le loro necessità.
Riporto a questo proposito uno stralcio del mio intervento del giugno/09.
“Madre Teresa di Calcutta non si preoccupava mai di come avrebbe potuto provvedere a tutte le necessità delle istituzioni che aveva fondato: lavorava nella vigna del Signore e Lui avrebbe provveduto a tutto; prima di iniziare la giornata di lavoro e poi anche la sera a conclusione delle sue fatiche, pregava insieme alle sue sorelle e immancabilmente arrivavano da ogni parte del mondo ed in ognuna delle sue fondazioni le Provvidenze necessarie (che continuano a non mancare ancora oggi con le offerte di molti benefattori).”
Solo la fede ci aiuta a credere, ma, come abbiamo visto, anche la ragione e la scienza possono dare una mano a chi non vuole chiudere gli occhi, la mente ed il cuore all’evidenza di certi fatti.
Preghiamo lo Spirito del Signore affinchè ci guidi in ogni istante della nostra vita, facendoci crescere in amore e sapienza.

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(24.2.10) UNA RICHIESTA PARTICOLARE (Biagio Cirillo) - Approfitto di questa grande opportunità di comunicazione messaci a disposizione non solo per le notizie quotidiane di Galatro, ma anche per comunicare e creare un avvicinamento con i galatresi sparsi per il mondo.
Da qualche anno ormai io e altri miei paesani, attraverso
facebook, ci teniamo in contatto non solo tra paesani sparsi per l’Italia o altri stati vicini, ma abbiamo allacciato le amicizie con nostri paesani di oltre Oceano.
Proprio di questo volevo parlarvi. L'altra sera, anzi a tarda notte, dopo aver chiuso una comunicazione con mio cugino Antonio su Skipe, mi vedo arrivare un semplice "ciao" da una nostra connazionale che vive da molti anni in Argentina, Teresa Piccolo, con la quale da tempo ormai ci scriviamo su fb e ci ripromettiamo di fare, prima o poi, una videochiamata su Skipe. Però, siccome ci sono 4 ore di differenza tra l’Italia e l’Argentina e io al pc mi siedo sempre la sera tardi, per non disturbare i vicini di casa, visto che abito in un condominio, evito il contatto. Ma ieri sera non ho resistito e ho lanciato la richiesta alla videochiamata.
L’emozione, dal momento tra il primo squillo e la risposta è stata tanta. La paura di non capirci nel linguaggio, parlare per la prima volta con delle persone a me sconosciute, il pensiero di disturbare i vicini di casa e tante altre cose mi facevano uno strano effetto ma, dal momento in cui iniziò la conversazione, mi sono dimenticato di tutte queste paure e, come se ci conoscessimo da sempre, abbiamo trascorso circa un’ora e mezza a parlare e discutere di tutto e di più. Nel frattempo è arrivata la sorella che abita sotto di lei e non vi dico quante cose da dirci abbiamo avuto, mi ha detto che è andata via da Galatro nel luglio del 1961.
La cosa che però mi ha colpito di più e mi ha lasciato l’amaro in bocca è stato che, alla domanda di mia moglie: "Sentite la nostalgia di Galatro?", la risposta è stata un "Sì" grande come una casa, seguito però da una successiva domanda: "Allora perché non venite a Galatro?". Beh, alla loro risposta mi sono commosso: "Ci vogliono tanti soldi e non ce lo possiamo permettere, perché il rapporto della nostra moneta con l’euro è troppo sfavorevole, allora ci sentiamo vicini alla nostra terra grazie al sito di Galatro Terme News che ci dà tutte le notizie, grazie ai tanti amici ormai su facebook con cui ci scriviamo tanto e grazie a Skipe per le videochiamate. Purtroppo dobbiamo accontentarci di tutto questo."
Sicuramente vi starete chiedendo il perché di questo racconto. Vi accontento subito.
Vorrei fare una richiesta per i nostri connazionali impossibilitati a venire da soli, o con i loro familiari, nella loro terra nativa. La richiesta la rivolgo: al Sindaco Carmelo Panetta, al Parroco Don Cosimo Furfaro, all’Associazione delle donne ADOS, alle Terme di Galatro, al sito di Galatro Terme News, ai tanti ragazzi musicisti di Galatro e a tutti i galatresi.
Vi starete sicuramente chiedendo: ma Biagio Cirillo, dopo aver scritto tante poesie, si è bevuto il cervello? Vi rispondo con un semplice no, sto benissimo e vi spiego la mia idea.
Si è parlato tempo fa di fare una giornata dedicata agli emigrati e purtroppo la risposta a questa richiesta non è stata positiva. Vi dico di più, perché non facciamo il mese di Agosto dedicato ai nostri connazionali di oltreoceano? Come? Subito spiegato. Con la collaborazione del Comune di Galatro dal lato finanziario; risparmiando soldi dei tanti spettacoli in piazza e destinandoli per i biglietti aerei; sicuramente i nostri ragazzi musicisti dovrebbero aiutare il Sindaco a rimpiazzare con la loro partecipazione le serate in piazza, non solo in piazza ma, con la collaborazione delle donne dell’associazione ADOS, distribuirli per i quartieri organizzando in modo simile all’ormai famosa festa di Montebello, con vari partecipanti della zona con prodotti tipici della Calabria. Anche la chiesa con don Cosimo potrebbe dare in qualche modo un contributo alla realizzazione, perché anche queste persone non solo sono figli di questa terra ma anche figli di Dio con il desiderio di ritornare, anche se per breve tempo, nella propria terra natale; le Terme di Galatro con il sig. Smedile potrebbero fare una convenzione per l’albergo; la popolazione galatrese, che ha dimostrato in tante occasioni di avere un grande cuore, potrebbe dare una mano non solo con la partecipazione alle serate, ma anche con l’ospitalità, mettendo a disposizione le case vuote, logicamente chiedendo anche un minimo di affitto per le spese; inoltre un aiuto potrebbe venire dall’Associazione delle donne ADOS con la messa a disposizione della loro arte culinaria.
Anche il sito di Galatro Terme News può dare il proprio contributo pubblicando il tutto e chiedendo la partecipazione per eventuali sponsor.
Forse non mi resta altro da aggiungere, ma sicuramente a qualcuno verrà in mente di scrivermi la famosa frase "ndi voi ca…i cu na lira" ma, permettetemi di dirlo, siamo in un piccolo paese, tanto cuore, tanta nostalgia per varie cose, tanti laureati, tanti emigrati e tanti problemi. Facciamo questo e sicuramente il punteggio dei galatresi sale molto più in alto.
Spero che i lettori di Galatro Terme News leggano le mie richieste e dicano la loro in proposito. Facendo questo già darebbero segno di collaborazione. Inoltre vorrei ricevere risposta sul sito dalle persone chiamate in causa (Sindaco, Parroco, ADOS, etc.).
Ringraziando tutti in anticipo e sperando che si trovi un organizzatore per il tutto, vi mando un caloroso saluto e un abbraccio a tutti, in particolar modo alla famiglia Piccolo in Argentina.
Vorrei inoltre fare un grande augurio ad Angelo Cannatà per la riuscita del suo libro.

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(27.2.10) POESIA, MIELE E NOSTALGIA (Caterina Sigillò) - Purtroppo, per gravi motivi di salute riguardanti mia figlia, non ho potuto seguire le varie "vicende" galatresi. Ho letto i vari articoli di Domenico Distilo che ho condiviso perchè "non bigotti"! Ho visto quanto, per l'ennesima volta, tanti galatresi hanno scambiato un sondaggio per la possibilità di esternare frasi offensive nei confronti dell'amministrazione comunale e, dulcis in fundo, l'ultimo "pezzo mieloso e nostalgico" di Biagio Cirillo con cui chiede al paese, all'associazione ADOS, al sindaco e al parroco, solidarietà per gli emigrati d'oltre Oceano.
Mesi fa avevo proposto che i soldi per le feste del paese venissero usati per aiutare la ricerca pediatrica ma tale richiesta fu interpretata, con mio rammarico, come un bisogno di soldi a scopo personale! Faccio presente che mia figlia è seguita presso una struttura di fama mondiale (quale il Gaslini di Genova) da un'equipe altrettanto famosa guidata dal Prof. Martini. Pertanto, visto che sia io sia mio marito lavoriamo e paghiamo regolarmente le tasse, usufruiamo gratuitamente delle cure necessarie! Mi ha deluso un po' tale comportamento, anche perchè una persona che scrive bellissime poesie mi ha dimostrato che a volte si può essere... un po' "aridi".
Approfitto di questo momento di breve tranquillità per salutare calorosamente tutti coloro che ci dimostrano affetto e ci sono vicini in questo momento difficile. Un saluto anche alla Redazione.

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(2.3.10) L'IDEA DI BIAGIO NON E' MALE, MA CON TUTTO QUELLO CHE C'E' DA FARE A GALATRO... (Salvatore Mannella) - BICHELSEE (Svizzera) Saluti a voi Redazione. Tempo fa avevo proposto di costituire un circolo degli emigrati, modo per dare contributi di sviluppo al paese, cosa possibile se ci fossero state le volontà di chi avrebbe voluto aderire.
Caro Biagio, la tua idea non è male, però devo dirti che ti sei bevuto veramente il cervello, con tutto quello che c'è da fare a Galatro, mò ci mettiamo a fare la colletta per far venire gli emigranti d`oltre Oceano?...
Vedi, alcune scelte nella vita sono difficili da prendere, perchè ti riservano delle sorprese. Redazione perdonatemi qualche errore. Un saluto dalla Svizzera.

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(2.3.10) SIGNORA SIGILLO', NON SONO "ARIDO" (Biagio Cirillo) - Ho riflettuto un po' prima di scrivere ma alla fine è stato più forte di me.
Cara signora Caterina Sigillò, adesso come in passato, le ripeto che mi dispiace dei problemi di salute della sua bambina. Questo però non le da il diritto di offendere
dandomi dell “arido”. Forse lei non mi conosce abbastanza bene e per questo non le permetto di usare certe parole.
Voglio dirle francamente che se lei ha la sua bambina in cura a Genova e, ripeto, questo mi dispiace, le voglio far notare che anche io con mio figlio, dopo aver girato per anni ospedali e strutture private, dal policlinico di Messina, al Sant’Orsola di Bologna, al Borgo Trento di Verona, in questo momento è in cura in ben tre ospedali contemporaneamente, Verona, Rovereto e Bolzano e, come se non bastasse, a quest'ora della notte trovo il tempo per scrivere nonostante siamo in allerta dal momento che non sta bene e come al solito ci teniamo pronti a chiamare un’ambulanza e correre in ospedale.
Mio figlio, soffre di Fibrosi Cistica, epilessia e tante altre patologie che non sto qua ad elencare, ha un’invalidità del 90%, ha quasi 26 anni e non trova un posto di lavoro e, tornando al nostro discorso, le ripeto che le donazioni presso il centro Fibrosi Cistica di Verona le facciamo noi e non vietiamo a nessuno di chiedere aiuti per motivi personali o dialtro genere.
Dal momento che sono una persona pacifica, le chiedo gentilmente di non attaccarsi con me ogni qualvolta esprimo un mio pensiero e, per di più, offendendo me come in questo caso e gli altri nel caso precedente, in cui non ho fatto alcuna replica per non peggiorare la cosa, anche se, a suo tempo avrei dovuto farla.
Detto questo, le auguro il meglio per sua figlia e spero in futuro non debba rispondere più alle sue provocazioni del tutto insensate.
Mi scuso con la Redazione e con quanti mi conoscono per questo sfogo, promettendo che in futuro non coglierò certe provocazioni, o almeno ci proverò.

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(9.3.10) SONO UNA COMBATTENTE, MA STAVOLTA BATTO IN RITIRATA... (Caterina Sigillò) - Caro Biagio Cirillo,
mi dispiace che, ancora una volta, ciò che ho scritto sia stato interpretato come un'offesa nei tuoi confronti; non era nelle mie intenzioni! Non è la prima volta che esprimo una mia opinione anche se divergente da ciò che leggo, inoltre tengo a precisare che, nell'articolo precedente, sei stato tu a definirmi "egoista" solo perchè avevo proposto che i soldi delle feste folkloristiche, venissero devoluti per la ricerca pediatrica (visto che purtroppo viaggia a passo di lumaca in quanto non "lucra" alle tasche dello stato)!!
Voglio inoltre far presente che in passato, per il quieto vivere, cercavo di non esternare quello che pensavo ma, col tempo, ho capito che vivevo come in uno stato di codardia e la situazione mi stava alquanto "stretta". Quindi, caro Biagio, l'offesa dovrei essere io!
Solitamente, senza falsa modestia, mi reputo una buona "combattente" però, in questo caso, "batto in ritirata" non per viltà ma perchè mi ritroverei a competere contro un "muro di gomma"! Chiedo scusa anch'io per questa situazione creatasi a causa di una incomprensione e voglio sperare che, in un Paese definito "democratico", ci si possa esprimere anche se si hanno pareri diversi.
Colgo l'occasione per ringraziare la Redazione e tutti coloro che sono vicini a me e Romualdo.

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(20.3.10) LETTERA AD UNA ZIA SPECIALE (Emanuela Palmeri) - “Che dura lotta è la vita!”…… Quante volte l’abbiamo sentita questa espressione e quante altre pronunciata.
La presenza di un malessere insolito, a noi sconosciuto, un disturbo che presto incomincia ad essere assiduo e si accompagna a dolori sempre più lancinanti.
Inizia così una corsa incessante contro il tempo, per cercare di capire, si fa la spola tra studi medici ed ospedali rifiutandosi di associare questa odissea alla terribile idea che tutto ciò sia dovuto alla presenza di quella “bestia feroce” che tanti altri hanno già incontrato.
Arriva però inesorabile la sentenza e la paura si materializza assumendo le sembianze di quel mostro che purtroppo abbiamo conosciuto con il nome di cancro. E’ quello che è successo anche a Te, quella terribile malattia si è insinuata in te invadendo corpo ed anima, una fortezza ai nostri occhi inespugnabile. Era solo l’inizio di un calvario, ma a denti stretti hai lottato per arrivare all’intervento, la tua forza e la tua voglia di vivere ci avevano dato coraggio, ci avevano fatto tirare un sospiro di sollievo fiduciosi che tutto fosse finito.
L’illusione di vederti stare bene però dura poco, le complicazioni dell’intervento non si fanno attendere ed in poco più di un anno, tra tanti affanni e sofferenze, quel male terribile ti ha portato via.
Ma tu sei ancora qui, continui a vivere nel ricordo di chi ti ama, di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di incontrarti. La tua perdita lascia un vuoto incolmabile, la tua assenza ci inumidisce spesso gli occhi, ma i meandri della memoria sono colmi di sorrisi, di carezze, di doni, di consigli, di ammonimenti.
Mai hai detto “sto male” e forse anche per questo, durante la malattia, ti abbiamo sempre guardato con gli occhi del cuore, ciechi di fronte a quello aspetto scarno, ti vedevamo in tutto il tuo splendore, nella tua figura giunonica irradiata da quel sorriso unico.
Tu sei una zia speciale, un’amica ed una sorella per i più grandi, una seconda mamma per noi più piccoli. Il rimpianto che mi fa stare male, per non esserti stata vicina negli ultimi giorni, si affievolisce quando sfogliando delle foto mi convinco di voler conservare di te le immagini più belle, quelle scattate in momenti di gioia e di spensieratezza.
Come Cristo hai portato la croce in mezzo agli uomini, ma adesso gioisci nella beatitudine celeste dove sono certa ti giungerà il mio affettuoso saluto,
“Ciao Zia”.


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(21.3.10) LA QUARESIMA (Giuseppe Romeo) - La Quaresima è un tempo spirituale che ricorda l’esperienza dei quaranta anni di vita nel deserto del popolo Ebreo uscito dal paese d’Egitto e i quaranta giorni di ritiro di Gesù, anche lui nel deserto. E’ una esperienza, la loro, che viene proposta a noi, per poter entrare nella terra promessa dell’incontro con Gesù risorto a Pasqua.
La Quaresima inizia con il giorno delle ceneri, cioè il tempo quaresimale, momento culmine della chiesa in preparazione alla Pasqua. E’ il segno di penitenza, durante il quale non si possono mettere fiori sull’altare, tranne con l’esposizione del santissimo.
Questa è la fase iniziale durante la quale Gesù si allontanò, per la prima volta, da casa sua. La Madonna si rattristò nel vedere che Gesù se ne andava, ma sapeva bene che Gesù doveva allontanarsi, sapeva bene quale periodo di vita iniziava per il figlio.
Tuttavia quando arrivano queste settimane precedenti alla Pasqua, la chiesa ama ricordare che non è un tempo di tristezza, ma un momento per chiedere perdono.
Il Battista predicava di pentirsi, ci invitava a rivolgere il nostro sguardo verso di Dio.
Durante la quaresima noi dobbiamo chiedere a Dio il suo perdono. Cristo ha vinto il male, e il suo perdono ci permette di rinnovare la nostra vita.
E’ alla conversione che siamo invitati, non volgerci verso noi stessi, ma cercare la comunione con Dio e con gli altri.
Nel mondo è diventato difficile per alcuni credere in Dio, vedono la sua esistenza come un limite alla loro libertà. Pensano che sono da soli a costruire la loro vita.
La Quaresima è un tempo che ci porta alla condivisione. Per alcuni il tempo di Quaresima è quello del digiuno. Bisogna scoprire il valore e la ragione profonda del digiuno cristiano. Non si tratta di una pratica materialistica, l’osservanza scrupolosa di una legge religiosa, con il cuore lontano da Dio come facevano i farisei, non si tratta di una cura del proprio corpo, come impone una certa cultura che è alla ricerca del benessere materiale.
Il vero digiuno è finalizzato a mangiare il vero cibo, che è fare la volontà del Padre.
Quindi durante questo tempo di Quaresima, rivediamo i nostri stili di vita, non per fare provare senso di colpa a coloro che faranno meno, ma in vista di una comunione con gli altri.
Il vangelo ci incoraggia a condividere liberamente disponendo tutto nell’amore di Cristo figlio di Dio.


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(22.3.10) ELEZIONI SENZA PROGRAMMI (Antonio Sibio) - Care elettrici e cari elettori, lo sapete che fra pochi giorni ci saranno le elezioni per la scelta del nuovo Governatore della Calabria? A Galatro (come si diceva nell’articolo La campagna elettorale fra pubblico e privato) come nel resto della Calabria, quando ci sono delle elezioni la scelta su chi cadrà il nostro voto viene dettata non tanto dai candidati e dalla loro caratura politica, né tanto meno dai programmi (questi sconosciuti) che vengono redatti, bensì da chi viene a casa nostra a darci dei consigli… Non esiste una vera e propria campagna elettorale ma, in linea con quanto succede a livello nazionale, i vari schieramenti puntano soprattutto a screditare l’avversario piuttosto che a proporre seri programmi elettorali. Si va a rimarcare ciò che è stato o non è stato fatto nel passato invece di illustrare come vogliono progettare il futuro. Ma a questo punto, senza un minimo d’informazione, come si fa a scegliere chi votare? Quali sono le qualità che ci portano a scegliere un candidato rispetto ad un altro? Partiamo dalla conoscenza dei tre candidati a Presidente.
Agazio Loiero, Presidente uscente, appoggiato dal PD e dai partiti di sinistra. Fino a pochi mesi fa nessuno nella sua coalizione lo voleva, compresi i vertici nazionali del partito. Poi, dopo un tira e molla utile solo a perdere tempo, dalle primarie di gennaio è uscito vincente il suo nome.
Giuseppe Scopelliti, sindaco di Reggio Calabria, appoggiato dal PDL, dall’UDC e da altre liste minori. Anche con lui i vertici nazionali hanno giocato un po’ al “si, no mah”. Prima l’investitura direttamente da parte del Premier ("Dobbiamo ancora incontrarci con gli alleati e decidere chi saranno i nostri candidati alle Regionali del prossimo marzo, posso sbilanciarmi solo su due nomi che sono certi: Formigoni in Lombardia e Scopelliti in Calabria"), poi messo in discussione dallo stesso Berlusconi con la proposta, reale o presunta, legata al nome di Misaggi, medico di origine calabrese. Alla fine è stato confermato, nonostante i tanti mal di pancia dei pidiellini Catanzaresi e Cosentini. Terzo incomodo della partita è l’industriale Vibonese Filippo Callipo, appoggiato da IDV, lista Pannella-Bonino e liste civiche. Candidato proveniente dalla cosiddetta società civile, Callipo ha ricoperto anche il ruolo di Presidente della ConfIndustria Calabrese. Rappresenta l’alternativa alle vecchie logiche di partito.
Detto questo passiamo ai programmi (vedi immagine a destra). Belli vero? In realtà di programmi finora neanche l’ombra. Solo mistificazione dell’avversario e slogan ormai risaputi che parlano di una Calabria migliore, di un futuro da scrivere, di un impegno per questo, di attenzione per quello… Alla fine si voterà, come quasi sempre è accaduto, solo per ideologie (“io votai sempri russu”) o peggio ancora per residenza anagrafica (“Scopelliti almenu è i Riggiu”). Beh, diciamo che anche queste sono discriminanti importanti. Ma più importante di tutto è chi, a Galatro come in Calabria, viene a casa a chiederci il voto. Se a Galatro fortunatamente si presentano solo persone con le quali comunque c’è un rapporto d’amicizia o di conoscenza, in molte altre realtà della Calabria a casa degli elettori vanno altre tipologie di “amici”, spesso con atteggiamenti poco amichevoli. Quindi, in assenza di programmi o di idee, uno dei pochi criteri che possiamo usare per scegliere chi dovrà guidare la Calabria nei prossimi cinque anni potrebbe essere quello di verificare chi e quanto è vicino alle famiglie ‘ndranghetiste. Ed in questo ci viene in aiuto la Commissione Antimafia, secondo la quale, scorrendo l’elenco dei candidati, ci sarebbero ben 21 personaggi in odore di ‘ndrangheta: 16 nelle liste collegate a Scopelliti e 5 in quelle che appoggiano Loiero. Solo le liste di Callipo sembrerebbero “pulite”. L’unico consiglio che quindi vi posso dare è di pensare con la vostra testa, perché in gioco c’è davvero il futuro di una Regione allo sbando.
Meditate elettori, meditate…

A te che odi i politici imbrillantinati
che minimizzano i loro reati
disposti a mandare tutto a puttana
pur di salvarsi la dignità mondana.
A te che non ami i servi di partito
che ti chiedono il voto un voto pulito
partono tutti incendiari e fieri
ma quando arrivano sono tutti pompieri…

Rino Gaetano

Nell'immagine sopra: programmi elettorali per le elezioni regionali.

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(23.3.10) IL MONDO VERO E LA FAVOLA TELEVISIVA (Domenico Distilo) - I sondaggi (che non si possono pubblicare ma in un modo o nell’altro rendicontare) dicono che il centrodestra alle ormai imminenti elezioni regionali sarà, in piccola o grande misura, penalizzato dall’astensionismo.
Non è questa la notizia. La notizia, anzi, le notizie sono altre e sono decisamente sbalorditive.
In Italia non diciamo il cinquanta per cento ma comunque una percentuale molto alta, incredibilmente alta di cittadini crede che nel 94, con la discesa in campo, Berlusconi abbia salvato l’Italia dal “pericolo rosso”, dai “comunisti al governo”.
Questi stessi cittadini credono che il cavaliere di Arcore abbia la ricetta per un “nuovo miracolo italiano” e che se non s’è finora visto nulla la colpa è delle toghe rosse, della giustizia a orologeria e via fantasticando.
Credono poi che l’Italia sia uscita dalla crisi economica (peraltro senza mai esserne entrata) anche se la disoccupazione continua a crescere e le difficoltà a sbarcare il lunario (mettere insieme il pranzo con la cena) ad aumentare. Mentre il governo continua a guardare lo spettacolo senza fare null’altro che ripetere ossessivamente di aver già fatto molto.
Sempre gli stessi cittadini credono che il problema dei rifiuti a Napoli sia stato brillantemente risolto dal governo Berlusconi. In realtà i rifiuti erano stati solo spostati in un luogo militarizzato. Ora sono riapparsi semplicemente perché, ben lungi dal risolvere il problema, si era preferito nascondere la polvere sotto il tappeto. Conformemente alla regola berlusconiana che non ci sono problemi se non d’immagine. Per i quali la ricetta, infallibile, è una buona pubblicità.
Dal credere nella soluzione del problema dei rifiuti a credere che il terremoto a L’Aquila sia ormai solo un ricordo il passo è poi estremamente breve. Anche se le macerie occupano ancora il centro della città, la stragrande maggioranza della popolazione colpita vive in albergo e i miracoli di Bertolaso sono consistiti nel distribuire (con enorme grancassa mediatica) casette regalate dalla beneficienza pubblica e privata.
L’elenco potrebbe continuare, ma sarebbe inutile.
Il punto è invece un altro. Quale futuro potrà avere la democrazia italiana se la metà, o giù di lì, dei suoi cittadini vive in uno stato di permanente dissociazione della realtà? Se pensa che il problema italiano non sia Berlusconi ma i giudici comunisti che non lo lasciano lavorare e cospirano contro di lui? Se crede che il padrone dei media sia vittima… di un complotto mediatico? Che i “comunisti” siano ancora un pericolo e mangino i bambini?
In questa situazione, francamente, non c’è dibattito possibile. Non c’è nulla di cui parlare, non essendoci il comune riconoscimento dei fatti e dei non fatti. In questo, ormai lo si è capito, consiste la devastazione compiuta in Italia dal berlusconismo, nell’aver indotto la gente a vivere in una favola, una melensa favola televisiva.

Nel disegno sopra: Berlusconi parla in tv con Lucia Annunziata.


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(25.3.10) CALCIO E SCIENZA (SECONDA PARTE) (Vittorio Cannatà) - Dopo la prima puntata, riprendiamo il discorso sul tema: "Correlazioni tra gioco del calcio e scienza".
Prima di addentrarci nei meandri della matematica, cominciamo in maniera soft:
qualche cenno su quello che unanimemente viene considerato il gioco più bello del modo è sicuramente adatto per alleggerire il discorso che faremo più avanti. Il gioco con la palla ha origini antichissime. Alcune fonti lo fanno risalire a Nausicaa forse perché suggestionati dalla poesia omerica.
In Cina sotto la Dinastia Huahg-TI [l’Imperatore giallo] si giocava al TSU-CHU che consisteva nel far passare una palla, costituita da una vescica animale, in un’apertura di circa 50/100 centimetri di diametro.
Un popolo di origine colombiana i Taino giocava la "Pelota". L’Europa conobbe il caucciù grazie all’uso che i Taino ne facevano per costruire le loro palle da gioco.
I Tarahumara, un altro popolo di origine Azteca, si dedicavano al gioco con una palla di legno.
I legionari romani, tra una campagna e l’altra, praticavano l’Harpastum che consisteva nel far avanzare una palla con ogni mezzo a disposizione.
I Greci praticavano l’Episkiros: il pallone era lanciato con le mani e fermato con i piedi.
Nel VII secolo una forma di calcio «il Koura» era giocata dai Berberi.
Famosissima era la "Pallonata fiorentina" che si svolgeva in Piazza Santa Croce.
Ma il precursore del gioco del calcio così come lo intendiamo noi è il "Dribbling game" [Inghilterra XVIII secolo]. Il gioco consisteva nel superare l’avversario con la palla (dribbling): era praticato tra studenti dei colleges e si giocava su un terreno erboso lungo 70 metri e consisteva nel far passare la palla tra due pali posti verticalmente alla distanza di undici metri.
Le squadre erano formate da 11 giocatori (10 studenti e 1 tutor).
Ai nostri giorni per praticare il gioco del calcio non sono richieste particolari strutture fisiche. Infatti è adatto alle più diverse tipologie umane: i Bisonti Rooney e Gattuso, le Saette Biabianye e il Papero Pato, i Super dotati Kakà e Cristiano Ronaldo, il Pinturicchio Alessandro Del Piero, i Funamboli Pelè, Maradona e Ronaldinho, gli elegantoni Gianni Rivera e Gianpiero Boniperti, gli Spilungoni Luca Toni, Zlatan Ibrahmovic, Marco Van Basten, John Charles, i Brevilinei Giovinco, Hamrin, Puccinelli, Johnston e Omar Sivori.
Di cosiddetti non dotati poi ce ne sono tantissimi; tanto per fare qualche esempio: Garrincha (poliomelitico) aveva una gamba più lunga e una più corta e nonostante questo “impedimento” riusciva a “saltare” facilmente gli avversari perché era assai veloce nella corsa. L’attuale pallone d’oro l’argentino Leo Messi ha cominciato a giocare a calcio per combattere il rachitismo.
Il calcio quindi è uno sport per tutti ma, per praticarlo, ad un certo livello, si richiedono delle condizioni da cui non si può prescindere: volontà di praticarlo con assiduità, rispettare e talora sottostare a determinate regole comportamentali, disponibilità al sacrificio, condurre una vita sana, equilibrata e ricordare sempre che “chi non gela e non suda e non s’estolle dalle vie del piacere, là non perviene” [T, Tasso, Ger. Lib.,XVII,61].
Mi rendo conto che gli argomenti che andremo a trattare nel presente studio possano suscitare delle perplessità ma è altrettanto vero che è come chiedere ad una persona perché l’incantesimo del venerdi Santo [l'Enchantement du Vendredi Saint dal Parsifal di Richard Wagner] è bello. Se uno non lo capisce nessuno può spiegarglielo. Se un fisico parla di stelle o atomi, il pubblico capisce a cosa si riferisce: un artista può esibire le sue tele e forse qualcuno ne apprezza lo stile, i chiaroscuri e gli sfondi della tela e dice che è bello, un economista può far sfoggio del suo danaro, un mercante può mostrare le sue preziose mercanzie ed essere apprezzato per il suo gusto.
I matematici non hanno niente da mostrare anzi, ciò di cui si occupa un matematico in un campo è incomprensibile per i colleghi di un campo diverso. Si pensi poi ad un compositore chino sui suoi fogli di note musicali durante il lavoro di composizione: apparirebbe un arido manipolatore di simboli grafici, se noi non possedessimo le orecchie per ascoltare il frutto del suo lavoro. E così è impossibile capire il vero significato di un’equazione, apprezzarne la bellezza, se non la leggiamo nel medesimo linguaggio deliziosamente bizzarro nel quale è stata scritta. Purtroppo l’orecchio per sentire le scienze è molto meno sviluppato e per nulla educato. Voglio raccontare, per meglio chiarire il concetto “intorno alle perplessità”, un avvenimento accaduto nel 1931. Charlie Chaplin e Albert Einstein parteciparono assieme all’anteprima del film “Luci della Città”; mentre la folla applaudiva calorosamente i due Geni, Chaplin si rivolge a Einstein e gli dice: “com’è strana la gente : applaudono me perché tutti mi capiscono e lei perché nessuno la capisce”. Infatti quanti riescono a capire che l’equazione





Quando il pallone viene a contatto con il suolo comincia ad appiattirsi [Fig.2], si deforma e la deformazione fa aumentare la sua pressione interna. Questo aumento di pressione è ridistribuito su tutto il pallone. Quando la palla ha raggiunto la massima deformazione, la velocità verticale è zero. Da questo momento in poi il processo si inverte, l’area di contatto diminuisce e la forza scende a zero, mentre la palla perde contatto con il suolo. E’ sempre il terzo principio della dinamica che ci dice che: dopo che il pallone si è appiattito deve conseguentemente ritornare nella posizione iniziale, cioè alla forza (diretta verso l’alto) durante l’appiattimento, la quale fa aumentare l’area di appiattimento corrisponde una forza uguale e contraria (diretta verso il basso) che fa diminuire l’appiattimento. Alla fine la risultante delle due forze è zero. Si può calcolare l’area della regione del pallone appiattito ricorrendo al "Teorema di Pitagora" [vedi calotta sferica e segmento sferico ad una base]. La velocità con cui questa ridistribuzione avviene è uguale alla velocità del suono, circa 1224 Km/h . Con tale velocità il suono attraversa il pallone in circa un millesimo di secondo e questo è sufficiente per mantenere una pressione uniforme su tutta la palla durante il rimbalzo.
Abbiamo detto che quando il pallone tocca terra si appiattisce, a questo appiattimento segue una diminuzione del volume interno e quindi un aumento di pressione interna. E’ stato calcolato che con una velocità di caduta di circa 32 Km/h si ha una deformazione di circa 2,54 cm causando un aumento di pressione di circa del 5%. Tale fenomeno, assieme all’effetto Magnus, è la causa del repentino abbassamento della traiettoria del pallone quando viene calciato con una certa forza e da una certa distanza dalla porta {calcio di punizione dal limite, circa 30 metri}.
La durata del rimbalzo è molto piccola, circa un centesimo di secondo, mentre la forza che si esercita sul pallone durante il rimbalzo è piuttosto grande, circa 250 volte il peso del pallone.
Naturalmente alla forza verso l’alto e a quella verso il basso corrispondono le rispettive velocità [prima dell’urto e dopo l’urto]. La somma delle loro energie cinetiche non sono uguali: una parte di energia si perde sotto forma di un lieve riscaldamento. Il rapporto [che chiamiamo coefficiente di rimbalzo] tra la velocità dopo il rimbalzo e quella prima del rimbalzo è uguale a:

Tale rapporto non è mai uguale ad 1 perché altrimenti saremmo alla presenza di un urto perfettamente elastico, senza attrito e quindi senza perdita di energia contravvenendo al Principio di conservazione di energia secondo il quale La somma totale dei valori delle varie forme di energia deve essere costante.

Un caro saluto a tutti i gentili lettori e... al prossimo mese di aprile con il terzo articolo.

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(28.3.10) LA FESTA DELLA DONNA A BUENOS AIRES (Pina Lamanna) - Cari amici di Galatro Terme News, voglio condividere con voi le foto (in basso) che ho fatto durante la festa in occasione della giornata della donna che é stata celebrata presso l'Associazione Calabrese di Buenos Aires, lo scorso sabato 20 Marzo.
Ho anche conosciuto le nostre concittadine Teresa Piccolo ed Elsa Piccolo. Abbiamo condiviso una bellissima serata nella quale non sono mancate le parole dedicate alla donna riguardo al lavoro che svolge in diversi ruoli nella vita sociale, su come si è trasformata la sua partecipazione, lavorando prima come casalinga fino ad oggi che lavora fuori di casa, in ufficio, nella medicina, nella politica e in tanti altri posti dove la sua partecipazione è uguale a quella degli uomini.
La festa é stata animata da un gruppo di ragazzi che ha suonato bellissimi temi musicali. Si è esibita anche una soprano che ha lasciato tutti i presenti a bocca aperta, bravissima!


Le oratrici della festa



Raffaela Cuppari al microfono



Teresa Piccolo, Pina Lamanna ed Elsa Piccolo



Teresa Piccolo, Raffaela Cuppari, Pina Lamanna ed Elsa Piccolo



Il gruppo musicale di chitarre



Le organizzatrici della festa della donna


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(31.3.10) CON OCCHI RISORTI (Don Giuseppe Sofrà) - Carissimi nel Signore
Abbiamo già celebrato il Natale, e il nostro cammino si sposta da Betlemme verso Gerusalemme: dall’umile mangiatoia alle strade polverose della Galilea e della Giudea, fino al sepolcro vuoto del Crocifisso. Andiamo dalla notte santa verso l’alba radiosa della Pasqua.
Mi permettete di entrare a casa vostra e di parlarne un po’ con voi?
Sono questi i due misteri centrali della nostra fede: il farsi uomo di Dio e il suo dare la vita per noi per poter dare a noi la vita che non muore mai. Non si tratta di favole mitologiche o di fantasiose leggende. Non mancano i testimoni che da duemila anni tengono vivo l’annuncio della “bella notizia”, spesso a costo della loro stessa vita: Gesù di Nazaret è veramente risorto. A una morte reale corrisponde una risurrezione reale. In altre parole, Gesù è veramente, realmente, corporalmente morto. Ed è risorto, cioè è veramente, realmente, corporalmente vivo. A differenza dei fondatori delle grandi religioni e di tutti i grandi personaggi del passato: nessun filo d’erba ha fatto in tempo a crescere sulla sua tomba.

Il “sol dell’avvenire” è già sorto
Solo un’esperienza così sconvolgente e trasformante spiega il cambiamento avvenuto nei discepoli. Durante la vita di Gesù essi appaiono spesso meschini e interessati; durante la passione hanno paura di condividerne il destino, e lo abbandonano, e fuggono; dopo la sua crocifissione e morte, si trovano in uno stato di angoscia penosa e di cocente delusione, paralizzati dalla paura e da una imbarazzata vergogna. E’ evidente: come può, da una speranza morta, nascere una fede forte e vivace? Sta di fatto che, improvvisamente, per Pietro e compagni, tutto cambia. Nonostante l’opinione corrente, che riteneva impossibile per il Messia il fallimento e l’umiliazione, essi, dopo non qualche resistenza, si arrendono finalmente disarmati alla realtà: Gesù, il morto sul patibolo degli schiavi, è proprio lui il Messia e Signore. E ben presto maturano la fede - per ebrei rigidamente monoteisti era una bestemmia - che Dio ha un Figlio di natura divina. Inoltre proclamano che il mondo nuovo non è più da sospirare e che una nuova storia è già cominciata, nonostante l’obbligata constatazione del peccato, del male e della morte che si continuava a fare.

Siamo nati per vivere felici
Benedetto XVI ci descrive la risurrezione di Gesù come “la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il ‘salto’ decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l'ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l'intero universo”. La nostra vita non finirà nel nulla: è questa la speranza che rende meno angoscioso il peso del passato, più vivibile il presente, meno ansiosa e brancolante l’attesa del domani. Il grande muro nero della morte è crollato. “La porta del futuro è stata spalancata”, ci assicura il Papa. Ora ci domandiamo: non è incomprensibile tutto ciò? Certo, non potremo riprodurre la risurrezione in un laboratorio scientifico, ma non ci troviamo di fronte a qualcosa di assurdo o di estraneo a ciò che noi stessi intuiamo e desideriamo. La Pasqua è il nostro destino: è il compimento pieno della nostra umanità. E la porta per entrare in questo mistero è l’amore; solo in questa logica possiamo accostarlo e in qualche modo comprenderlo. Perché l’amore è davvero più forte della morte; apre ad orizzonti impensabili; ci rende pienamente liberi, sciogliendoci da tutte le catene, comprese quelle della tristezza e della disperazione più nera. Chi dona la vita nell’amore, vivrà felice in eterno. La risurrezione di Gesù è stata l’esplosione di un amore incontenibile, ha inaugurato un mondo nuovo, il Regno dei cieli. Da allora quel Regno cresce continuamente come lievito nella pasta della storia, la trasforma dall’interno e la impregna di sé.

Se ci decidiamo a vivere e a non lasciarci vivere
Ecco cosa avviene con la Pasqua: il Signore Gesù non si sottrae alla nostra presa, anzi continua ad operare con noi; entra in quella misteriosa ma realissima sinergia che gli permette di rendersi vivo e presente oggi, dappertutto, là dove ci sono almeno due cristiani risorti a vita nuova e riuniti nel nome suo, secondo l’infallibile promessa: “Là dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20). Ed ecco come noi possiamo essere testimoni di questo evento, il più sorprendente e “rivoluzionario” di tutti i tempi: se lo lasciamo accadere in noi; se permettiamo a Cristo di risorgere in noi, di operare il bene attraverso il nostro cuore e le nostre mani, di continuare a lottare contro il male, l’egoismo, la cattiveria che c’è dentro e fuori di noi. Se risorgiamo da una vita ripiegata e depressa, da una fede sbiadita, da una speranza spenta; se ci convertiamo da una vita cristiana incolore e insapore, noi diventiamo i discepoli appassionati e convinti, i testimoni umili e gioiosi, i messaggeri credibili e convincenti del Signore risorto.

Non ci salverà né una formula né una vaga utopia
In effetti quella mattina di Pasqua è stata realmente spezzata in due la linea del tempo, e la storia ha cambiato decisamente corso. Forse le parole più belle su questa inversione di rotta – non più follemente diretta verso l’abisso del nulla – si trovano nella seconda Lettera a Timoteo: Cristo “ha sbaragliato la morte e ha reso luminosa la vita” (1,10). Certo il male ha ancora le sue parole terribili e raccapriccianti da scrivere nel grande libro della storia. La vittoria di Cristo non è ancora definitivamente compiuta. Ma è stata decisiva: l’ultima parola sarà della Vita sulla morte, della Verità sulla menzogna, dell’Amore sull’egoismo. E già ora è possibile vivere una vita serena e appagante. Dunque sperare si deve, e si deve perché si può: Cristo è il Signore della storia; la sua risurrezione non ci salva sempre dal dolore, ma nel dolore ci mette immancabilmente al riparo dalla disperazione.

Una Chiesa vicina ed amica
Il Risorto non ci parla solo del mondo che verrà, ma anche del nostro oggi. Nella vita che attendiamo, ciascuno di noi troverà la sua identità più vera e una piena, intramontabile felicità, ma già ora l’amore di Dio ci raggiunge, ci fa vivere nella pace anche quando dobbiamo attraversare la prova, ci trasforma e sorregge la nostra vita quotidiana. È questa la ragion d’essere della Chiesa: sentitela sempre vicina e tenera come una vera madre, esperta e premurosa come una buona maestra, e guardate a lei come il segno di un amore più grande, il compimento di una promessa che supera tutto e tutti coinvolge. Guai a vedere la Chiesa come un “centro servizi”, la Chiesa va amata! Nel sacerdote che bussa alla vostra porta per la benedizione delle case, non vedete il funzionario di una società per… buone azioni (!), ma un padre e un amico a cui state a cuore, che prega per voi e vi offre il tesoro della sua vita: lo sguardo di perdono e di consolazione del Crocifisso, la certezza che il cuore di Dio è aperto a tutti, a cominciare da quanti sono intimamente lacerati e smarriti di cuore.

Non ci siamo stancati di… cercare tra i morti?
Fratelli, e amici carissimi, Ci sia di utile richiamo, in questi giorni di grazia, la domanda che le donne si sentirono rivolgere dall’angelo, in quel mattino di primavera in cui il sepolcro di Gesù rimase vuoto per sempre: “Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?”. Non vi pare che anche noi finiamo col “cercare tra i morti” quando le nostre più profonde aspirazioni cedono il passo a interessi meschini, a piaceri effimeri e inconsistenti? quando inseguiamo solo una rivalsa o un’affermazione personale? quando svuotiamo del suo senso autentico l’esperienza straordinaria dell’amore o accettiamo le logiche dell’apparenza e del successo a qualsiasi costo? Perché ci costringiamo a vivere da… morti?


Cristo è vivo e possiamo incontrarlo oggi
La Pasqua, che ogni domenica si rinnova nell’Eucaristia della nostra parrocchia ci dà la chiave per incontrare il Risorto, per non vivere più da orfani e vagabondi, ma da figli del Padre, e da fratelli tra di noi e con tutti, a cominciare dai più poveri. Se siamo risorti con Cristo, non teniamoci questo tesoro per conto nostro, non gestiamoci la vita a nostro uso e consumo. Mettiamoci a disposizione dei tanti fratelli “morti”, che sono attorno a noi, per aiutarli a non vivere più una vita “mordi e fuggi”, a risorgere a vita nuova, a una vita bella, buona e beata, finalmente riconciliata, non più gelosamente trattenuta ma generosamente e irreversibilmente offerta. Una vita illuminata dall’amore, inondata dalla pace, profumata dalla gioia. Sia questa la pasqua per Galatro!
“Cristo, nostra gioia, è risorto”: è il saluto pasquale, caro all’Oriente cristiano; è l’annuncio della nostra salvezza, la professione della nostra fede. “Cristo risusciti nei nostri cuori!”: è l’augurio che dal che profondo del cuore lancio a tutti voi, la passione e la pace di Cristo vivente, ieri, oggi, sempre siano sempre con voi.
Cosi sia!
Buona Pasqua!

Il Vicario Parrocchiale
Don Giuseppe Sofrà

Nella foto: Don Giuseppe Sofrà.


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