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6.10.12 - Benvenuto a Galatro Don Giuseppe
Michele Scozzarra

8.10.12 - La due giorni di Lamezia del PD: il resoconto
Giovanni Napolitano

17.10.12 - Il centro moderato (ex democristiano) e i poteri forti
Domenico Distilo

19.10.12 - Da ricchi che eravamo... stiamo ritornando povera gente
Michele Scozzarra

26.10.12 - Quello che vorrei precisare sul mio licenziamento alle Terme
Giovanna Aloi

30.10.12 - Galatro è "capofila" ma i fondi regionali vanno agli altri comuni
Antonio Sibio

1.11.12 - Mancati fondi PISL: si accederà agli atti per capire le carenze progettuali
Carmelo Panetta

11.11.12 - I quattro giorni a Galatro della Madonna di Fatima
Michele Scozzarra

20.11.12 - L'insegnante: una professione in crisi
Domenico Distilo

24.11.12 - Un ragazzo di 15 anni ha scelto la morte: perche?
Michele Scozzarra

6.12.12 - Intervista a Loredana Longo
Davide Simone

24.12.12 - Natale 2012: lo stupore del mistero del presepio nelle nostre case
Michele Scozzarra





(6.10.12) BENVENUTO A GALATRO DON GIUSEPPE (Michele Scozzarra) - Carissimo don Giuseppe,
mi è ancora vivo il ricordo della nuova pagina di storia della Chiesa di Galatro, che è iniziata sera del 1° Ottobre con il tuo insediamento nella nostra Parrocchia, alla presenza del nostro Vescovo S. E. Francesco Milito, di moltissimi sacerdoti che ti hanno onorato della loro presenza, dei Sindaci di Galatro e Polistena e di una presenza straordinaria di fedeli.
Non si può negare come tutto è successo all’improvviso, nessuno a Galatro si aspettava il trasferimento di don Cosimo e l’arrivo di un nuovo parroco, ma nello scorrere delle umane vicende è la presenza, forte e decisa, dello Spirito Santo che segna il passo anche alla nostra piccola porzione di vigna del Signore. Per questo, suonano con una verità impressionante le parole di Milosz, nel “Miguel Manara”: “Adesso il mio cuore è gioioso come il nido che ricorda e come la terra che spera sotto la neve. Perché so che tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una Sapienza che (il Cielo ne sia lodato!) non è la nostra”.
Nonostante l’evidente emozione che ti ha accompagnato per tutta la celebrazione, ritengo che hai avuto modo di capire che migliore inizio della tua missione pastorale in mezzo a noi non ci poteva essere, non solo per i saluti che hai ricevuto dal Sindaco, quale rappresentante di tutta la nostra cittadinanza, dal prof. Umberto Di Stilo, in rappresentanza del Consiglio Pastorale Parrocchiale, la compostezza e attenzione dei fedeli durante la celebrazione, il coro e la perfetta organizzazione liturgica.
Tutto questo, sicuramente, ha rappresentato una perfetta cornice, dove S. E. Mons. Milito (con una straordinaria carica umana ha sorpreso benevolmente tutti, per la familiarità che è riuscito a creare nella sua prima venuta a Galatro) da buon Pastore e con uno spirito paterno eccezionale, ti ha indirizzato parole precise, non su cosa deve essere o non deve essere un parroco, se sa parlare bene o se conosce le Scritture. E’ andato ben oltre, con vero spirito missionario, guardando la nostra Chiesa stracolma di gente si è domandato se, in quel preciso momento, nel nostro paese, c’era più gente in Chiesa o fuori della Chiesa e, nella consapevolezza che quelli che sono “fuori” sono molti di più, ti ha detto: “Tre cose sono importanti per il parroco: la Chiesa, la strada e la casa. La Chiesa per pregare, la strada per incontrare tutti, la casa per entrare nell’intimo dei parrocchiani e vederne le gioie e i dolori… senza nessuna preoccupazione se, bussando a qualche porta, nessuno sarà disposto ad aprire”.
Ho notato che il Vescovo non ti ha posto un suggerimento “ti consiglio di fare così…”, ma ti ha detto, in maniera perentoria, come solo un padre può dire: “Vai e non avere paura, sappi amare in maniera piena coloro che il Signore ti ha affidato, perché da te, i tuoi parrocchiani, oltre a quelli che ti testimonieranno la gioia dell’appartenenza alla Chiesa, ci saranno sempre anche quelli che ti verranno a portare le loro pene, difficoltà, problemi, tensioni... in ogni momento di difficoltà sanno che possono venire a bussare e sapere che c’è un “padre” che aspetta”.
Caro don Giuseppe, Mons. Milito è stato di una chiarezza, nel tracciare un cammino di lavoro all’interno della parrocchia, a dir poco sconvolgente: con estrema semplicità ha ribadito che “vocazione” (parola, che oggi a tanti suona strana), significa “essere chiamati”, dunque che qualcuno ti ha chiamato, significa che Dio ha un disegno su di te, e tu devi rispondere; e che soltanto in questa risposta, e in sostanza obbedire (altro termine di questi tempi molto impopolare) puoi trovare la tua pace, avendo compiuto ciò per cui sei nato. Una vocazione che ti chiama ad essere “innanzitutto uomo”, nel senso più nobile del termine. Non come dei bambini, o degli illusi, o dei pii volontari arruolati nelle fila di un buonismo altruista in nome di “vaghi” ideali, ma degli uomini resi più maturi, generosi e capaci di coraggio, in quanto cristiani, cioè “chiamati” da Cristo a renderlo presente anche in posti ritenuti difficili.
Per essere “uomini” così (e questo è oggi un problema drammaticamente rilevante anche all’interno della Chiesa), occorre una madre, e un padre. Una madre prima, come a corrispondere con la pienezza del suo essere alla domanda di felicità originaria che si trova nella vocazione del figlio. E un padre, non solo biologico, capace di guidare, dare una direzione al desiderio di diventare, un giorno, simile a quel “padre”.
“Io voglio essere come lui”, è il desiderio scattato nella vita di molti sacerdoti davanti ad una persona capace davvero di umanità e di accoglienza dell’altro e, per diventare padre, occorre avere avuto la possibilità e volontà di seguire un “padre”: per te, sentendo le parole che hai pronunciato in Chiesa sera del 1° Ottobre, questo padre è stato don Peppino Falleti, che ti ha testimoniato come per diventare padre devi essere prima, e intensamente, “figlio”. In questo rapporto con il “padre”, ed in questo “volere essere come lui” si apre chiaramente il progetto che il Signore ha su te, ed è un progetto assai misterioso, che bisogna scoprire con intelligente attenzione… è un progetto che esige fatica, dedizione e, talvolta anche sofferenza e lotta contro le avverse debolezze dell’umana natura. Ma è un progetto superiore, divino, lungimirante e salvifico, è essenziale percepire questo progetto, accettarlo, realizzarlo, con fiducia e coraggio… magari con lo sguardo rivolto a Santa Teresa del Bambin Gesù, così come il Vescovo ti ha invitato a fare alla fine della celebrazione eucaristica.
Caro don Giuseppe penso che, con tanta fede, ti prenderai cura della nostra comunità con amore e totale disponibilità, incoraggiandoci nelle difficoltà e invitandoci a tenere sempre gli occhi fissi sull’essenzialità della nostra fede, con la certezza che, alla fine, sarà sempre la misericordia di Dio ad operare e a far fruttificare questa piccola porzione della vigna del Signore, che è la comunità cristiana della nostra Galatro.
Concludo questo mio affettuoso pensiero, affidando il tuo ministero di Pastore e tutta la nostra comunità a Maria, che a Galatro è presente nella Vergine del Carmelo e della Montagna, e al nostro Patrono San Nicola.
Benedetto chi viene nel nome del Signore… Benvenuto a Galatro don Giuseppe!








Nelle foto, dall'alto in basso: Don Giuseppe Calimera durante una fase della cerimonia con Don Gildo Albanese; con i sacerdoti concelebranti; con il Vescovo e il Sindaco; ancora fanciullo, in braccio a Don Peppino Falleti; sull'altare col Vescovo; col Vescovo e Don Cosimo Furfaro.


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(8.10.12) LA DUE GIORNI DI LAMEZIA DEL PD: IL RESOCONTO (Giovanni Napolitano) - Alla due giorni di Lamezia del 29/30 Settembre non poteva mancare la presenza del neo fiorente PD galatrese, nelle persone del suo segretario Gaspare Sapioli ed altri esponenti nella giornata del 29, con la partecipazione anche al forum Mediterraneo, e di me stesso, vicesegretario, nella giornata del 30.
"Con la Calabria ricostruiamo l'Italia". Si presenta così il leader Bersani a Lamezia, slogan che promette interesse per il nostro Mezzogiorno, ormai dimenticato dalla vecchia classe dirigente, in preda ai casi Belsito-Fiorito.
Quasi seicento adesioni ed oltre cinquanta interventi e dibattiti, questi i numeri dei sei forum (legalità, sapere, welfare, mediterraneo, sviluppo sostenibile ed istituzioni) che hanno soddisfatto il segretario Bersani, il quale giorno 29 spegneva 61 candeline.
Tra i tanti interventi è stato piacevole quello dello show-man D'Antoni, ex segretario della Cisl, che con le sue battute sul tubo metaforico, riferito alle carenze strutturali del Mezzogiorno e sulla selezione della classe dirigente "dei figli degli imprenditori", ha saputo animare la folla, o come l'intervento lucido del vicepresidente di Confindustria Lo Bello che ha affermato: "I manager della prima crisi erano tutti concentrati sulla trimestrale di cassa, purtroppo nel Sud la trimestrale è la massimizzazione della clientela a breve".
Altri, come Fioroni, hanno bacchettato il Governo sui problemi degli istituti scolastici: "Bene i tablet, ma attenzione ai tetti", o la freschezza e l'audacia della giovane Anna Pittelli, responsabile del PD giovanile.
Nonostante le ottime performance degli interventi, non sono mancate anche le critiche per il "no" al ritorno delle preferenze.
Ha chiuso infine la conferenza Pierluigi Bersani, con una premessa sulla situazione europea dove serpeggiano estremismi di destra nella ormai destabilizzata Grecia e dove la recessione arriva anche nei paesi UE che pensavano di star bene. Ha fatto così un appello a un nuovo modello democratico, cioè agli Stati Uniti d'Europa, per un patto fiscale e una linea economica comune.
Bersani ha continuato parlando della responsabilità delle classi dirigenti negli anni dei governi Berlusconi, dei costi della politica e della necessità che il governo assuma per decreto la proposta portata avanti dalle Regioni, facendo così i tagli nel breve tempo. Ha parlato poi dela riforma sulle Autonomie e si è detto contrario ad un Monti bis.
Per quanto riguarda la Calabria si è soffermato sul "caso Reggio", aprendo così un match con Scopelliti; ha confermato la "mozione Calabria" dando fiducia al Ministro Barca, ha annunciato la partecipazione del PD alla Triplice Sindacale del 13 Ottobre a Catanzaro ed infine ha spiegato che la lotta all'illegalità deve essere continua.
Entusiasmante ed interessante la nostra partecipazione, che ci conferma come nel PD si riparta dal Sud per ricostruire la nostra Bella Itallia. Ormai è finita l'era dei Cavalieri Oscuri o dei supereroi di quartiere, i festini sono finiti, è ora di lavorare per il popolo, basta con il magna-magna.
Non dimentichiamoci che i tecnici ci stanno risollevando, ma ora la nuova classe politica avrà un duro compito: riportare l'Italia al posto che merita.

Visualizza la
carta d'intenti del PD per il Mezzogiorno (PDF) 1,31 MB

Nella foto: Giovanni Napolitano, vicesegretasio della sezione di Galatro del Partito Democratico.

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(17.10.12) IL CENTRO MODERATO (EX DEMOCRISTIANO) E I POTERI FORTI (Domenico Distilo) - Il governo Monti è l’esecutore in Italia delle politiche dettate dai poteri forti, dalle istituzioni mondiali del capitalismo che hanno deciso di subordinare l’economia reale a quella finanziaria, con conseguente esclusione di politiche di gestione del debito diverse da quelle lacrime e sangue i cui effetti sono visibili nello spappolamento del tessuto sociale e nella proletarizzazione della classe media.
Gli ideologi – non tecnici, ideologi - in grisaglia ministeriale del capitalismo di guerra affondano il pugnale nel corpo delle classi medio–basse invocandone la generosità (il ministro Profumo con gli insegnanti) mentre tassano le indennità di accompagnamento dei disabili. Si tratta di politiche oggettivamente estremiste, oggettivamente reazionarie che non possono non provocare risposte durissime, restringendo lo spazio della moderazione e della mediazione, cioè lo spazio proprio del centro moderato. Che può esistere solo se esistono la possibilità e la disponibilità, degli attori sociali prima di tutto, ad essere moderati o a lasciarsi moderare; se si dà un contesto nel quale la mediazione sia esercitabile, essendo la moderazione nient’altro che un nome (flatus vocis) se non si estrinseca in una mediazione, in un compromesso in cui tutti più o meno ci guadagnano o perdono il meno possibile.
E’ davvero sorprendente che un politico navigato e a detta di molti anche furbo come Casini non si sia accorto che le politiche di Monti hanno eroso proprio lo spazio del centro moderato, tagliandogli l’erba sotto i piedi. Ma davvero crede che i sondaggi poco o punto lusinghieri si possono spiegare solo con l’avanzata dell’antipolitica? E che non ci sia un nesso tra i tagli indiscriminati e la lievitazione del partito del non voto? Non pensa, l’ex allievo di Forlani, che a lasciar fare Monti alla fine gli mancherà la materia prima, l’ubi consistam? E’ possibile che sia diventato così immemore del passato democristiano da pensare (il che è molto più grave del dirlo) che non ci siano alternative a Monti?
Alla DC, Casini lo sa benissimo, le alternative non hanno mai fatto difetto: non servirsi a un solo forno era la regola aurea nella quale si riassumeva il pragmatismo del partito, che non apparteneva al solo Andreotti né ai soli dorotei. Ma predicare ora, come fa Casini, che Monti è la sola alternativa a Monti è quanto di più antipragmatico, cioè antidemocristiano, si possa immaginare. E’ un atteggiamento che sconfina nel fanatismo, e non s’è mai visto un democristiano essere o apparire fanatico.
A meno che Casini non creda davvero alla lettura montista-corrierista-scalfariana che l’austerità e i sacrifici servano a preparare la crescita, che prima o poi, non si sa quando, dovrà arrivare ma che, in ogni caso, importante sia restare agganciati al treno dell’Euro, ai mercati, ai parametri di cui si esige il rispetto per non cadere nel discredito della comunità internazionale (leggi: le istituzioni del capitalismo finanziario).
Suvvia Pierferdi, perdona ma nessun democristiano è mai stato così rimbambito! Aspettare la ripartenza dalla cura Monti è lo stesso che aspettarsi dal digiuno del cavallo miglior salute e migliori prestazioni. Poiché la cura consiste nel sottrarre risorse al consumo, all’economia reale, per gettarle nel gorgo del debito, sarà già tanto se il paziente sopravviverà. E sarà tanto se, con l’aiuto di qualche miracolo, si riuscirà a preservare la pace sociale. Per cui non c’è che abbracciare quell’alternativa che un democristiano degno del nome avrebbe già abbracciato: chiedere la costituzione di un fronte dell’Europa del Sud, parlare a muso duro alla Merkel e al partito del rigore, dire expressis verbis che bisogna rovesciare i paradigmi, monetizzare il debito e assumere come priorità assoluta la salvaguardia dei livelli di vita delle classi un tempo medie e ridotte oggi a lumpenproletariat, proletariato straccione.
Questa è la strada da battere per il centro moderato, una via che apparirà sbilanciata a sinistra ma è la sola che possa garantire che il centro non perda i propri referenti sociali e, con essi, la propria identità e la propria ragion d’essere. E potrà impedire, forse, all’Italia e all’Europa di sprofondare.

Nelle foto: in alto a sinistra Domenico Distilo, autore dell'articolo; a destra Pierferdinando Casini.


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(19.10.12) DA RICCHI CHE ERAVAMO... STIAMO RITORNANDO POVERA GENTE (Michele Scozzarra) - Le difficoltà economiche di questo periodo (la “crisi”, tanto per usare una parola in questi giorni familiare) hanno allargato di parecchio la forbice tra ricchi e poveri: cresce il numero dei poveri, così come cresce anche “l’apprensione utilitaristica” per una vita che si spera ancora, che in un prossimo futuro, possa essere agiata e senza rischi.
Tagli all’occupazione e riduzione dei consumi. Lavoratori che si trovano senza lavoro a quaranta o cinquant’anni, neolaureati che non sanno a che santo votarsi per un posto. Famiglie che devono fare i conti con un bilancio che lascia margini sempre più esigui per i costi che la crisi fa inevitabilmente lievitare (il cibo, la salute, la casa, l’educazione dei figli).
La conseguenza più rilevante di questa crisi si fa sentire soprattutto nell’occupazione. E le difficoltà a inserirsi, o a rientrare, nel mondo del lavoro hanno un impatto sociale fortissimo… la riduzione di occupazione può colpire chiunque, indistintamente. Meriti e colpe personali non c’entrano.
Tutto questo ha certamente una ricaduta sui consumi e ne impone una certa riduzione, costringe a ripensare l’uso dei risparmi, le spese familiari o le vacanze, insomma impone un sacrificio reale che tocca tutti.
Chi reagisce lo fa solo per difendere privilegi e posizioni raggiunte, secondo la peggiore logica corporativistica: ognuno reagisce da monade. Ci si muove secondo un criterio di difesa della propria categoria: i parlamentari difendono i loro privilegi, così come i giudici, gli insegnanti, i medici, i commercianti, gli avvocati, ecc. Ogni gruppo difende, con le unghie e con i denti, i propri privilegi acquisiti che ora vede minacciati. Qualcuno deve essere sbalzato fuori per garantire la sopravvivenza di un altro: il disagio di un amico disoccupato difficilmente favorisce una vicinanza, ma approfondisce una distanza e, ultimamente, una solitudine.
La sensibilità verso i deboli diminuisce fino a scomparire. Non solo quella della persona, ma anche quella dello Stato. Quando c’è aria di crisi da dove cominciare a tagliare? Dalle spese per i deboli e i meno abbienti: lavoratori dipendenti, anziani, disoccupati, malati e studenti.
Una politica sociale in favore dei più deboli (sia che si chiamino immigrati, disabili, anziani, e quanti altri) distrarrebbe quote di denaro dei contribuenti, facendoci diventare tutti ancora più poveri!
Solo poco tempo fa, dire che migliaia di famiglie la mattina non hanno nel frigorifero il cibo per il pranzo, avrebbe fatto esclamare: esagerati! Ma ora, siamo arrivati a questo punto, il bisogno si sta misurando concretamente in termini di… fame! E se i contributi statali vengono tagliati per ridurre il deficit dello Stato, chi dispone di mezzi propri sopravvive, gli altri scompaiono… e non solo per modo di dire!
Spesso, nel sentire i dibattiti in televisione, ci sentiamo come chi ospita in casa propria uno straniero che parla una lingua sconosciuta: come non inorridire quando si sentono tanti inutili e “interessati” discorsi a tutela dei diritti di “casta”. In altri tempi, per molto meno di quello che sta succedendo, si riempivano (o si “pilotavano”!) le piazze. Oggi regna un silenzio tombale su tutti i fronti, non solo quello dei sindacati, ma anche quello degli studenti che, inutile negarlo, in tante proteste hanno sempre trovato la “giusta” occasione per scendere in piazza e non entrare in classe! Mi viene in mente la profezia del poeta Czeslaw Milosz: "Si è riusciti a far credere all'uomo / che, se vive, è solo per grazia dei potenti. / Pensi dunque a bere il caffè e a dar la caccia alle farfalle. / Chi ama la res pubblica avrà la mano mozzata".
Non possiamo assolutamente non domandarci dove stiamo andando a finire? In quali terribili interessi di “parte” abbiamo affidato le sorti nostre e della nostra Nazione?
Di fronte a questo continuo massacro, cosa possiamo dire noi poveri semplici cittadini, lontani mille miglia dalle stanze del potere?
Nobilitando molto le cose, potremmo riprendere quel discorso che Lucio Sergio Catilina nel 62 a. C. pronunciò, davanti ai congiurati, contro le oligarchie che, dietro il paravento di una Repubblica e di una democrazia ridotte a parodia, opprimevano, come sempre, il popolo: "Ora che il governo della Repubblica è caduto nel pieno arbitrio di pochi prepotenti, re e tetrarchi sono divenuti vassalli loro, a loro popoli e nazioni pagano i tributi; noi altri tutti, valorosi, valenti, nobili e plebei, non fummo che volgo, senza considerazione, senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la democrazia esistesse davvero".
Ma adesso che la democrazia e il rispetto verso il “popolo”, sembrano non avere cittadinanza nel nostro Paese, dobbiamo fermarci a ragionare, almeno per un pò, su che cosa significhi davvero la parola "libertà", e sul fatto che questa non può essere facilmente inghiottita dagli interessi di "pochi" (siano esse banche o altri centri di potere, occulto e meno!), perché l'alternativa ad una scelta di libertà, in questo momento, per il nostro Paese potrebbe essere davvero un suicidio!
D'altronde, era già stato detto della nostra Nazione, da parte del sommo Dante, quale sarebbe stata la nostra permanente tragedia, la tragedia che appartiene all'essenza della nostra storia, che anche in questi terribili giorni dell’anno del Signore 2012 viene confermata:
"Ahi serva Italia, di dolore ostello
nave senza nocchiero in gran tempesta
non donna di province, ma bordello!".

(Purg. VI, 76-78).

Nelle immagini: in alto Michele Scozzarra, in basso il mondo tira la cinghia.


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(26.10.12) QUELLO CHE VORREI PRECISARE SUL MIO LICENZIAMENTO ALLE TERME (Giovanna Aloi) - A tanti potrà sembrare inutile, e pure stupido, che io scriva a Galatro Terme News, ma ritengo che sia opportuno ringraziare con questo mezzo di comunicazione così efficiente, e da me considerato di grande aiuto per tutti i cittadini volenterosi (se mi è concesso dire!) che, lontani da tante realtà ed ambienti, lo possono utilizzare, trovando su questa pagina notizie sulle sorti di noi cittadini galatresi.
Sono mesi oramai che si sente parlare della situazione venutasi a creare alle Terme, ed ognuno inizia pure a stancarsi di sentire e vedere questi manifesti che ci sono in giro per le vie del paese.
Ma se ognuno di noi o, per meglio dire, le persone che criticano questa scelta di comunicazione tra entrambe le parti si soffermassero davvero a leggere quello che c’è scritto, tanti discorsi ed i "manifesti di solidarietà", così come vengono definiti, non ci sarebbero.
Dico questo perché, essendo io menzionata, mio malgrado, in questi manifesti, mi sembra doveroso ringraziare in primis l‘Amministrazione Comunale, che sin dall’inizio di questa mia mancata assunzione, proprio alle Terme di Galatro, perché così sono e rimarranno (di Galatro!), mi è stata vicina, non solo per il
manifesto che tutti hanno letto, ma per l’impegno e la vera solidarietà avuta nei miei confronti vedendomi perdere un posto di lavoro che per me, oltre ad essere una fonte di reddito, mi permetteva nel mio piccolo anche di non dover chiedere nulla alla mia famiglia, cosa che oggi non posso dire.
Doveroso è, da parte mia, ringraziare pure il Partito Democratico che proprio grazie al suo manifesto, dove viene detto a chiare lettere dei diritti e le opportunità negate e che il lavoro è dignità e rende gli uomini liberi, mi ritrovo anzi ci ritroviamo di tutta risposta un manifesto della "maggioranza" (non so di cosa!), che esprimono "solidarietà umana" per noi poveri lavoratori lasciati a casa dopo anni di lavoro.
Ora, se mi è concesso, vorrei dire pure io due cose proprio a loro: quando il nuovo "direttore-gestore", che non so precisamente in quale carica collocare, non conoscendo la sua attuale posizione, ci comunicava le sue "strategie" per poter rilanciare le terme, offrendoci un contratto (penso che proprio per questa mia posizione a riguardo sono rimasta fuori), sono stata l’unica ad obiettare sulla proposta fatta da lui.
Per non parlare poi delle volte che pensava di usarci, ma mi duole ammettere pure, che ci stava riuscendo, quando io per prima ho firmato quello scempio di volantino fatto dalla "maggioranza" (?).
Solo a ripensarci mi viene da ridere e mi chiedo: ero proprio io "il pupo nelle mani del Comune"?
Mi chiedo pure, visto che sono tutti stanchi di questa politica spicciola, perché ognuno di loro non ha firmato l’ennesimo volantino nascondendosi ancora una volta dietro un dito?
Giusto era esprimere la solidarietà (cosi definita se davvero avessero voluto farlo), proprio quando il "signor Trimarchi" in una sua riunione ha comunicato di aver sbattuto fuori già tre lavoratori, ribellandosi, non rimanendo muti e continuare a fare il doppio gioco.
Questi sono i ringraziamenti che vanno a chi mi ha tolto pure il saluto come se avessero paura chissà di cosa o di chi.
Questo è il mio pensiero, condiviso pure dalle persone che mi sono state vicine, e che hanno visto sin dall’inizio il modo solidale avuto nei miei riguardi.
Spero solo che il Giudice del Lavoro dia una giusta sentenza nella vertenza delle Terme, per l’ingiustizia subita, perché sia io che gli altri due miei colleghi possiamo ritornare al nostro posto di lavoro... insieme agli altri 41 dipendenti.

Giovanna Aloi

Nella foto: Giovanna Aloi.

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(30.10.12) GALATRO E' "CAPOFILA" MA I FONDI REGIONALI VANNO AGLI ALTRI COMUNI (Antonio Sibio) - Venerdì 19 Ottobre presso l’hotel Guglielmo di Catanzaro, sono stati presentati, dal governatore Giuseppe Scopelliti e dall’assessore al Bilancio Giacomo Mancini ed alla presenza del dirigente generale del settore Anna Tavano, i Progetti Integrati di Sviluppo Locale (Pisl).
Ecco i numeri: 72 i Pisl finanziati: 26 per la provincia di Cosenza, 18 per quella di Reggio Calabria, 14 per Catanzaro, 8 per Vibo Valentia e 6 per Crotone.
I comuni beneficiari sono stati 210 sui 409 partecipanti e 279 le operazioni finanziate per un totale di quasi 350 milioni di euro, 205 per realizzare nuove opere e 145 per aiuti alle imprese.



Ma coso sono i PISL?
Sono degli insiemi di progetti, tra loro interdipendenti, che hanno come obiettivo comune lo sviluppo di un determinato territorio.
Sono state definite diverse tipologie di PISL, che si differenziano per ambito tematico:

Sistemi di mobilità intercomunale
Servizi intercomunali per migliorare la qualità della vita
Centri Storici e Borghi di Eccellenza
Sistemi turistici locali
Sistemi Produttivi Locali, Distretti Agroalimentari, Distretti Rurali
Contrasto allo spopolamento in aree marginali
Minoranze linguistiche.

Ecco una tabella dei progetti approvati per la provincia di Reggio Calabria.


Tra i vari progetti approvati compare anche PISL 20, 20, 20 ambiente, sviluppo e qualità (Sistema Integrato Servizi), con il comune di Galatro capofila.
CALABRIA FESR 2007/2013 (BUR Calabria parte III supp. str. N°1 al N° 32 del 12/08/2011)
Capofila: Comune di GALATRO
Posizione Graduatoria PISL: 2
Punteggio Graduatoria PISL: 70
Titolo PISL: PISL 20, 20, 20 ambiente, sviluppo e qualità (Sistema Integrato Servizi)



Si tratta di numeri importanti, soprattutto in tempi di crisi, spending review e patti di stabilità.
Resta da capire il ruolo del comune di Galatro che è sì capofila, ma non ha nessun progetto finanziato.

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(1.11.12) MANCATI FONDI PISL: SI ACCEDERA' AGLI ATTI PER CAPIRE LE CARENZE PROGETTUALI (Carmelo Panetta) - In questi giorni sono stati resi noti i risultati dell’attività istruttoria della Regione Calabria sui PISL (Progetti Integrati di Sviluppo Locale). Dalle graduatorie pubblicate si evince che il PISL denominato “20.20.20 Sistema integrato servizi", di cui è capofila Galatro è stato il secondo a livello provinciale. Allo stesso hanno partecipato 14 Comuni (Anoia, Candidoni, Cinquefrondi, Cittanova, Feroleto della Chiesa, Galatro, Giffone Maropati, Melicucco, Polistena, San Giorgio Morgeto, San Pietro di Caridà, Serrata). Di questi: sette progetti sono stati finanziati, due non ammessi e cinque, ammessi ma non finanziati per mancanza di fondi. Il Progetto di per se è stato ammesso con punti 70 su 100 e risulta essere il primo per finanziamenti concessi. Gli interventi proposti dal nostro PISL, ammessi e non finanziati sono i primi in graduatoria, lo dobbiamo considerare un buon risultato e, se è vero quanto affermato dal Presidente Scopelliti di rimpinguare i finanziamenti concessi, il nostro PISL è tra i primi.
La mia soddisfazione nella qualità di rappresentante del più ampio consesso comprensoriale non può che essere enorme, con la consapevolezza che occorre finalmente sgombrare il campo da rivendicazioni campanilistiche e pensare più grande, perché solo con una efficace politica di coesione capace di creare forti ricadute di cospicue economie di rete si possono dare risposte alla crisi finanziaria ed occupazionale. Il nostro territorio con la programmazione che si è data con i PISL, risulta fortemente competitivo, essendosi dotato di un modello di governance che gli consente di riportare in ambito sovra comunale tutti i temi che sino ad oggi hanno diviso i comuni e resa più complicata la risoluzione dei problemi.
Da Sindaco capofila ringrazio tutti i colleghi, lo staff tecnico con a capo l’Arch. Politanò che hanno collaborato a creare una realtà comprensoriale che oggi tanti ci invidiano.
Resta comunque inteso, che i Sindaci dei comuni che non hanno (speriamo per adesso) ricevuto finanziamenti, fiduciosi confidano sulle notizie e chiarimenti forniteci dal responsabile regionale del PISL Ing. Zinno. Tutti i Sindaci interessati, con alto senso di responsabilità e rispetto delle istituzioni, aspettano di poter accedere agli atti, anche per capire dove sono state le carenze progettuali che non hanno consentito di raggiungere un punteggio tale per poter vedere tutti i gli interventi progettati finanziati. Solo dopo questa fase, i Comuni, tutti insieme o anche singolarmente, ravvisando le condizioni, potranno decidere di ricorrere al tribunale amministrativo per vedere riconosciuti i diritti delle popolazioni amministrate.
In ogni caso, tenuto conto anche del clima sereno e pacato con cui si è svolta la riunione dei Sindaci del PISL che ha avuto luogo a Galatro il 29 u.s., il mio impegno sarà quello di garantire l’efficienza amministrativa, ma anche di eliminare ogni criticità politico istituzionale e quindi di rappresentare, come il resto dei colleghi Sindaci, gli interessi del nostro territorio nella sua interezza.

Carmelo Panetta – Sindaco di Galatro
Capofila del PISL 20-20-20 Sistema integrato servizi

Nelle foto: in alto Carmelo Panetta, in basso logo dei Pisl.

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(11.11.12) I QUATTRO GIORNI A GALATRO DELLA MADONNA DI FATIMA (Michele Scozzarra) - Allo scadere esatto del mese dalla venuta a Galatro di don Giuseppe Calimera insieme al nostro Vescovo, Mons. Francesco Milito, un’altra straordinaria visita ha toccato il cuore della Chiesa di Galatro.
Nei giorni dal 2 al 5 novembre la statua della Madonna di Fatima è giunta pellegrina nella nostra Parrocchia: quattro giorni intensi, nei quali è successo quello che, veramente, nessuno potrà mai scrivere (e non solo perché questo genere di notizie non sono tra quelle preferite dai grandi mezzi di informazione!). Perché nessuno potrà scrivere "dell'amore che non fa notizia", delle centinaia di storie vere, di bontà, di altruismo, di perdono, di sofferenza, di implorazione e grazia, poste ai piedi della statua della Madonna.
Per quattro giorni ha regnato in tutta Galatro un'atmosfera di grande tensione, ma insieme anche di celebrazione religiosa della gioia, così come anche della sofferenza... forse anche nella condivisione delle reciproche gioie e pene.
Perché negare come, soprattutto nel recente passato, non solo a Galatro, abbiamo potuto vedere come gli avvenimenti della vita sociale, anche quelle di vitale importanza, non sono riusciti a smuovere la gente dalle proprie case e dai propri interessi: più di una volta si è avuta l'impressione di assistere, forse anche come rassegnati testimoni, ad una lenta, quanto inesorabile, agonia che nessuno poteva sanare.
Nell'occasione di questa "visita mariana" abbiamo visto un paese uscire da un lungo torpore: interroga che il Paese abbia partecipato e si sia espresso in maniera così massiccia e profonda, proprio dove niente era stato minimamente forzato da alcuna organizzazione.
Don Giuseppe (era uno spettacolo vedere la sua felicità in quei giorni!) ha preparato tutto in maniera così semplice e vera, che veramente, per tutto il paese, sono stati quattro giorni di festa, che ci inducono a riflettere sul bisogno di ascoltare parole nuove, vere, consistenti... parole diverse dalla vacuità del nostro parlare di tutti i giorni.
Per quattro giorni, insieme a don Giuseppe e tutta la nostra Comunità, la Madonna ha avuto a fianco due Araldi del Vangelo che non l’hanno mai abbandonata, guardati forse con un po’ di curiosità per il portamento e l’abito indossato che, non a torto, li avvicinava agli abiti dei cavalieri medievali. A molti è potuto sembrare un abbigliamento così “fuori dal tempo”, possiamo dire che, nel suo insieme così come nei suoi dettagli, questo abito (che poi è lo “scapolare”) è per tradizione “l’abito della Madonna”, che indica l’appartenenza a Lei da un lato e la sua protezione materna dall’altro.
Giornate intense con al centro soprattutto lo sguardo verso Maria e noi, che abitiamo in un piccolo paese di poche migliaia di anime, non possiamo nascondere lo stupore provato in questa occasione: è stato tutto come duemila anni fa. Il cristianesimo accade così, inizia nel silenzio della vita quotidiana, poi capovolge la Storia, incendia i cuori.
Anche al tempo di Augusto, in quella primavera dell’anno 747, a Roma capitale dell’Impero, nessuno avrebbe mai degnato di attenzione una fanciulla ebrea di 16 anni che, in un borgo oscuro della Galilea, Nazareth, aveva ricevuto una visita misteriosa e, coraggiosamente, aveva detto “sì” ad una maternità “Impossibile”.
Quella ragazzina era considerata nulla, come tutte le donne a quel tempo. Eppure per secoli Lei sarebbe stata detta “Beata”, per millenni sarebbe stata acclamata come “Regina”, amata come nessuna mai, rappresentata e cantata da centinaia di artisti, invocata da oceani di infelici come il loro dolce soccorso, chiamata da poveracci e re.
In quella piccola ragazza si è compiuto il miracolo più grande che potesse accadere, il più sconvolgente ed il più inspiegabile. Per dirla con le parole di San Bernardo, così come leggiamo nel Paradiso di Dante: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / Tu sei Colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che il suo Fattore / non disdegnò di farsi sua fattura…”.
Di queste giornate a noi resta lo stupore, la meraviglia, la bellezza dell’adesione alla volontà di Dio… in questo vi è la “ragione” che ci fa ritenere queste giornate come dei grandi e significativi momenti di “festa” cristiana, con il desiderio nel cuore che questo gesto ci aiuti a pregare… ed a “far scoppiare dentro ognuno di noi il Niagara del pianto, l’Apocalisse del perdono…”.
Se questo è potuto accadere anche per una sola persona, magari solo per un minuto, tutto l’impegno, l’entusiasmo e la fatica per preparare questa “visita” nella nostra comunità, sicuramente non sono andati perduti…





Nelle foto, dall'alto in basso: La Madonna di Fatima a Galatro con i due Araldi del Vangelo; nella scuola materna; con Don Giuseppe; davanti all'altare del Gagini nella chiesa matrice di San Nicola; alla Cona con in primo piano il maresciallo Giuliani.

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(20.11.12) L'INSEGNANTE: UNA PROFESSIONE IN CRISI (Domenico Distilo) - La scuola pubblica e gli insegnanti sono di nuovo sotto attacco. Per ora è stata accantonata la disposizione contenuta nella legge di stabilità che aumentava le ore settimanali di lezione da 18 a 24 a parità di retribuzione. Non è però per nulla escluso che venga ripescata. Sarebbe un formidabile incentivo a far finta d’insegnare, essendo peraltro impossibile farlo per così tante ore in aule superaffollate.
La reazione degli insegnanti di fronte a una misura che non si può definire altro che devastante –sarebbe il colpo del kappaò dopo un continuo lavoro ai fianchi cominciato con Berlinguer e proseguito con i successori, soprattutto la famigerata Gelmini- è stata un po’ meno blanda del solito ma non c’è da scommettere sull’attitudine alla resistenza ad oltranza dell’immensa palude che a parole s’indigna e nei fatti collabora coi dirigenti (misconosciuta cinghia di trasmissione del ministero) per un piatto di lenticchie. Il fatto è che la categoria è divisa in primo luogo sul piano sociologico – troppe donne con un’elevata percentuale che ha scelto d’insegnare sostanzialmente per diporto o per non avere altro da fare; troppi professionisti che hanno scelto l’insegnamento come secondo lavoro - con motivazioni, prospettive e aspettative molto diverse. Si può dire che ognuno abbia una sua idea di ciò che l’insegnante è, dovrebbe e non dovrebbe essere, anche se è convinzione generale, benché poco manifestata, che l’insegnamento rivolto alla formazione abbia fatto il suo tempo e basti la tecnologia: pc, tablet, smartphone, lavagna multimediale e altro ancora. Non si riflette sul fatto che se la scuola deve farsi solo o soprattutto con le macchine è inevitabile che l’insegnante si riduca a gestore, al massimo programmatore delle macchine stesse, divenendo inessenziale. Così come non è oggetto di opportuna riflessione la spinta verso la superfluità che ai docenti viene dall’uso generalizzato e massiccio dei test, con cui si dequalificano in addetti alla misurazione. Misurazione senza valutazione che consegue dalla scelta di fondo delle politiche educative e dell’istruzione di rinunciare, senza neppure dirlo espressamente, alla formazione, cioè all’idea che con la scuola si trasmetta cultura, non solo conoscenze e abilità tecniche –come nel caso dell’insegnamento meramente linguistico delle lingue straniere.
Invero, con il tentativo di rifilare sei ore d’insegnamento in più il governo dei banchieri ha mandato agli insegnanti e alla scuola un messaggio del seguente tenore: ebbene carissimi docenti, nella società che stiamo costruendo voi non servite. Poiché sta per completarsi la trasformazione del vecchio professore ormai obsoleto in tecnico esecutore privo di pensiero e destinato a funzioni sempre più semplici e fungibili, potete ben lavorare sei ore in più. Non dovendo faticare per produrre e trasmettere idee, per fare cultura, 18 o 24 ore non fa differenza: la vigilanza dei ragazzi e l’esecuzione di funzioni sempre più ripetitive e banali non usureranno nessuno e potrete permettervi di apparire generosi, come vi esorta il ministro.
Non è questa concezione della figura e del ruolo dell’insegnante un’invenzione di Profumo. L’attuale ministro ha solo tratto le conseguenze di un lunghissimo periodo nel quale la funzione docente è stata presa in sandwich tra la costrizione a fare da burocrate – redigere griglie di valutazione (cioè di misurazione), costruire test, programmare articolando gli obiettivi in chiave interdisciplinare, trasversale, orizzontale ecc. - e l’esasperazione formalistica, in chiave giuridica e mercantile insieme, del rapporto didattico, ingessato in formule ipergarantiste –verso studenti e famiglie, verso l’immagine e le conclamate esigenze di competizione e di marketing - e incapace di evolvere in un proficuo processo di crescita culturale. Chi sta nella scuola conosce bene quali e quanti siano i luoghi comuni che frustrano ogni tentativo di sottrarsi all’omologazione, alla docenza ridotta a “disbrigo di pratiche”. Non c’è perciò da meravigliarsi se l’insegnante, impegnato per quasi tutto il tempo a “sbrigare pratiche” –da qualche anno anche la contabilità mensile delle assenze degli alunni-non possa avere il prestigio e l’autorevolezza che sarebbero necessari, soprattutto non possa educare al pensiero e alla riflessione autonoma, incompatibili col connotato marcatamente procedurale del modello pedagogico dominante.
L’imposizione ministeriale di tale modello ne fa un funzionario, cioè uno che espleta funzioni alla stregua – sia detto con tutto il rispetto - di un impiegato del catasto. Siamo sempre più dentro, per intenderci, a una scuola priva di consapevolezza e identità che produce individui-massa, macchine da test a cui non si adatta neppure la vecchia definizione husserliana di “meri uomini di fatto”. Una mutazione genetica, si badi bene per sgombrare il campo da equivoci, che non è il prodotto del Sessantotto, che aveva semmai conservato, democratizzandola, l’ispirazione storico-umanistica della riforma gentiliana, ma dell’imperversante liberismo degli ultimi decenni, che ha estromesso dal campo del sapere tutto ciò che non ha un immediato riscontro in termini di valore di mercato.
Quanto al problema del rapporto tra scuola, macchine e mercato, c’è da dire che lo si pone quasi sempre nel modo sbagliato, presupponendo una doppia incompatibilità: della generazione digitale (e mercantile) con i contenuti della cultura (soprattutto umanistica) da un lato; degli stessi contenuti con il mezzo che dovrebbe veicolarli dall’altro. Si tratta però non di una doppia incompatibilità ma di una duplice sciocchezza.
Primo, si scambia l’ignoranza, l’incapacità di articolare una frase con soggetto, predicato e complemento con l’avvento di una nuova civiltà (niente poco di meno!), sottendendo che il sillogismo ha fatto il suo tempo e qualcos’altro, non si sa cosa ma più adatto alla generazione digitale, lo “caccerà dal nido”. E’ il caso di sgombrare il campo da equivoci e vari illusionismi: fuori del sillogismo non c’è un’altra civiltà fondata sulle emozioni, sulle immagini o non si sa cos’altro, ma solo la barbarie. Vivaddio, se dobbiamo basarci sulle emozioni e valorizzarle, allora c’è da dire che anche i barbari si emozionavano. Nei goti di Alarico che saccheggiavano Roma e nei lanzichenecchi di Carlo V le emozioni erano assolutamente preponderanti. Francamente però, non si vede perché si debba andare a scuola per poi farsi dominare dalle emozioni. E’ una verità incontestabile che l’uomo è diventato civile quando ha imparato a controllare le emozioni senza farsene travolgere, quando la logica ha prevalso sugli istinti e il “bestione tutto senso”, come lo chiamava Giambattista Vico, ha ceduto il campo all’animale razionale.
La seconda sciocchezza sta nel pensare, sulla scia di un McLuhan mal digerito, che il messaggio universale della cultura non si adatti ai nuovi mezzi di comunicazione, sì che, si lascia intendere, sarebbe il caso di arrendersi e rinunciare a una mediazione divenuta impossibile. Non si sospetta neppure che il problema – peraltro ai posto-non è la compatibilità del messaggio e del mezzo ma il cambiamento nella ricezione del messaggio dovuta al mezzo, cambiamento che non necessariamente deve tradursi in impoverimento, anzi, può darsi benissimo un’amplificazione e un arricchimento di cui i nuovi mezzi e le nuove forme di mediazione possono essere forieri.
Il fatto è che attraverso la scuola è passata in questi ultimi decenni una gigantesca operazione di stravolgimento della nostra identità culturale che è consistita nella elezione del mercato a dominus di tutte le situazioni, col corollario dello spiazzamento di una professione che era stata pensata per corrispondere ad altri e ben diversi modelli, a una società in cui la tradizione autenticamente occidentale del pensiero critico contava e aveva nello Stato, nella Costituzione e nella stessa scuola le sue garanzie.
Consegnare gli organi collegiali ai privati è ora il punto d’arrivo di questa operazione che privatizza beni pubblici che dovrebbero essere indisponibili: la cultura, la storia, la tradizione, che avevano nella scuola il punto di amalgama e di trasmissione alle generazioni future, di cui contribuivano in misura determinante a forgiare l’identità nel segno dell’ethos. Non capire che la democrazia se non ha dietro tutto questo è una mera finzione giuridica, la foglia di fico di un mondo di individui atomizzati, è il vero dramma del nostro tempo.

Nella foto: insegnante alla lavagna con alunno.


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(24.11.12) UN RAGAZZO DI 15 ANNI HA SCELTO LA MORTE: PERCHE'? (Michele Scozzarra) - La Procura di Roma ha avviato un’inchiesta sul suicidio del quindicenne deriso su Facebook e additato come gay: rabbia verso chi lo prendeva in giro, ma anche verso i professori che lo richiamavano per le sue unghie smaltate e per il suo vestire sempre abiti di colore rosa.
Non è la prima volta che le cronache dei nostri giornali si occupano, purtroppo, di analoghi casi di suicidi di giovani: eppure lo sgomento che, in questa occasione, ha colto non solo i suoi coetanei, in ogni angolo d’Italia, non deve essere quello di sempre… alla reazione immediata ed emotiva deve prendere il sopravvento una profonda, pur se dolorosa, riflessione sulle ragioni e sul perché di un tale destino.
Il gesto di questo povero ragazzo ci mette davanti alla nostra (e quando dico “nostra” voglio dire di tutti), indifferenza per il dramma che tante persone, in silenzio e senza nessuna parola di conforto, vivono senza che neppure ce ne accorgiamo, occupati come siamo in tante attività che poi, alla fine, non salvano il mondo e nemmeno noi stessi.
Il mondo, talvolta non è padre, ma patrigno perché all’assetato non dà di che bere, e all’affamato non dà di che sfamarsi… soprattutto se è troppo giovane o troppo vecchio!
Agli esami di maturità quest’anno è stata chiesta la riflessione dei ragazzi su un pensiero di Paul Nizan: “Avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che questa è l’età più bella della vita”.
Questa ultima tragica notizia di cronaca, me ne riporta alla mente un’altra, purtroppo strettamente collegata, pubblicata su “il Manifesto” alcuni anni addietro. Eccola.
“Milano. A ventuno anni Marco Riva, redattore del “Quotidiano dei lavoratori” si è tolta la vita, lasciandosi asfissiare dai gas della marmitta della sua auto. Un ritorno di fiamma ha poi incendiato la vettura. Marco aveva militato in Ao e si occupava al giornale di politica interna. Ha indirizzato questa lettera ai suoi familiari.
“Non vi chiedo perdono per quello che ho fatto. E’ stata una decisione meditata, una scelta precisa. La scelta dell’unica alternativa che mi restava ad una vita fatta ormai solo di angoscia e dolore. E’ troppo tardi, adesso, domandarsi perché. E sinceramente non mi sento di dare spiegazioni a nessuno. Quello che veramente mi rattrista è di avervi coinvolto direttamente in una scelta profondamente individuale e della quale, però, adesso anche voi pagate le conseguenze. Posso immaginare cosa significherà per voi ed è per questo che, se non è possibile la comprensione, vi chiedo almeno il rispetto per una scelta personale. Credo che ognuno abbia il diritto di disporre della propria vita. Esistono situazioni nelle quali è preferibile morire piuttosto che continuare con una esistenza che, a volte, può trasformarsi in un vero e proprio inferno. Io mi sono trovato a scontrarmi con una realtà troppo grande e troppo diversa dalla mia e ho deciso di non voler tirare avanti una situazione veramente insostenibile e senza prospettiva (e credo proprio sia stata quest’ultima verità a farmi decidere). Una sola cosa non voglio: essere giudicato. Nessuna persona che non abbia conosciuto fino in fondo la mia realtà o che non abbia vissuto almeno per un istante una situazione simile alla mia ne ha alcun diritto. Le sentenze ed i giudizi lasciateli agli ipocriti e agli stupidi. Avrei voluto vivere, amare, essere amato. Non è stato il rifiuto della vita, ma l’impossibilità di vivere, di vivere la mia vita, la mia realtà, a farmi scegliere la morte. Mi spiace darvi questo colpo, ma non ce la facevo veramente più. Al mio funerale vorrei tanta musica, e poi vorrei essere cremato. “Avevo vent’anni e non permetterò a nessuno di dire che questa è l’età più bella della vita” Mi piacerebbe che questa frase di Paul Nizan) fosse posta sulla mia tomba. Non piangete e pensate che questo è stato molto meglio di quello che avrebbe potuto offrimi questa vita. Marco”.
Cosa si può scrivere per commentare simili notizie, di fronte a storie di giovani che proprio nel momento in cui scelgono la morte non esitano a scrivere: “. Avrei voluto vivere, amare, essere amato. Non è stato il rifiuto della vita, ma l’impossibilità di vivere, di vivere la mia vita, la mia realtà, a farmi scegliere la morte”.
Forse, dinanzi a storie come queste, passate o presenti, di vero esiste solo il doloroso umile riconoscimento della nostra nullità, della nostra fragilità… ed il silenzio: quel silenzio che non “giudica” ma che s'affaccia sugli abissi della nostra nullità e, umilmente, china la fronte... e niente altro!

Nelle foto: in alto Michele Scozzarra, in basso volto di donna tenebroso.


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(6.12.12) INTERVISTA A LOREDANA LONGO (Davide Simone) - La leader del movimento "Sruotiamoci", che qualche mese fa ha scritto un articolo sul nostro giornale, racconta in un'intervista la sua vita e la sua attività.

* * *

Loredana è una bella ragazza mora. Loredana ha 29 anni, una laurea, un master e un lavoro. Loredana fa tante cose, Loredana è impegnata in politica. Loredana è paraplegica da 11 anni. Loredana lotta per la ricerca. Loredana non si arrende, perché vuole che il suo futuro sia com’era il suo passato. Questa è la sua storia, la storia di Loredana Longo.

-Loredana, da quanto e perché sei su quella sedia?
-Avevo 17 anni, era il 06/07/2001 quando un banale incidente d’auto che ha coinvolto la mia famiglia mi ha reso paraplegica. Questo vuol dire che ho subito una lesione al midollo spinale che mi ha paralizzata dal seno in giù-

-Solitamente si tende a pensare che il problema di un paraplegico stia “soltanto” nell‘impossibilità di utilizzare gli arti inferiori. E’ proprio così?
-Ti ringrazio tantissimo per avermi posto questa domanda. Chi ci vede seduti qui sopra pensa che il nostro problema sia il “non camminare”. Purtroppo ci sono una serie infinita di conseguenze, che derivano dalla gravità e dal tipo di lesione spinale subita, che ci rendono dipendenti da farmaci e/o ausili e spesso con il passare degli anni queste aumentano e/o si aggravano. Cercherò di elencare quelle maggiormente ricorrenti. Comincio con il dire che procurarsi una lesione spinale pare sia relativamente semplice, solo in Italia sono circa 80.000 le persone affette da mielolesione con un incremento di 1.500/2.000 nuovi casi l’anno. Incidenti stradali, sportivi, cadute e malattie che coinvolgono il sistema nervoso centrale ne sono la causa più frequente e in un attimo chi subisce una lesione del midollo spinale perde la propria indipendenza e l’autonomia. Per chiarire meglio il concetto, vi dico anche che in caso di lesione a livello cervicale (tetraplegia) si può persino perdere l’uso delle mani e delle braccia, rimanere paralizzati dal collo in giù e nei casi più gravi essere costretti a respirare con l’aiuto di un respiratore artificiale. Il più delle volte, per chi subisce una mielolesione, diventa impossibile anche espletare autonomamente i normali bisogni fisiologici (si perde cioè il controllo di vescica e intestino). La sensibilità al di sotto del livello della lesione viene a mancare (o comunque viene alterata), non si ha più quindi la possibilità di sentire né il caldo, né il freddo, né alcun tipo di tocco. Nel concreto, non ci rendiamo conto se ci bruciamo, se ci facciamo male (tutto ciò aumenta il rischio ad esempio di piaghe da decubito) e non sentiamo nemmeno una carezza. La lesione spinale può causare inoltre anche gravi disfunzioni a livello sessuale, sia nell’uomo che nella donna, dolori di tipo neuropatico, problemi circolatori e tanto altro ancora-

-Entriamo in un argomento spesso al centro di polemiche e dibattiti quando si parla di disabilità motorie: le barriere architettoniche. Qual è la tua esperienza a riguardo?
-Mentirei se dicessi che le barriere non ostacolano la mia vita di tutti i giorni, ma non credo che sia solo dovere dei mielolesi far sì che vengano abbattute, esistono infatti fortunatamente tantissime associazioni che si occupano di questo in maniera egregia. Non possiamo dire altrettanto se parliamo di enti a supporto della ricerca per la cura delle lesioni spinali croniche. Purtroppo le barriere “effettivamente rompono” ma, anche se il mondo fosse piatto e tutto a misura di carrozzina, noi mielolesi continueremmo ad avere i nostri guai comunque, quindi io punto a risolvere questo problema alla radice e per farlo c’è bisogno di una cura per le lesioni spinali croniche; i miei sforzi sono focalizzati su questo-

-Abbiamo detto che sei particolarmente impegnata e attiva sul fronte ricerca. In che cosa consiste la tua attività?
-A livello italiano sono la co-fondatrice/portavoce del Movimento “Sruotiamoci”, mentre a livello “internazionale” sono una Cure Girl. In breve, ciò che facciamo è sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di supportare la ricerca di una cura per le lesioni spinali croniche. Ci siamo prefissi l’obiettivo di far capire in cosa consiste davvero una lesione spinale e perché bisogna far si che si trovi al più presto un modo per rendere la paralisi reversibile. Gli strumenti che usiamo sono principalmente il gruppo/la pagina FB di Sruotiamoci e il Blog delle Cure Girls curegirls.wordpress.com che gestisco. Inoltre ci teniamo sempre informati sui vari progressi scientifici partecipando a meeting, incontrando i ricercatori e visitando i loro laboratori. Per quanto riguarda l’estero seguiamo, le varie notizie dal mondo tenendo sempre gli occhi puntati sul lavoro svolto da enti come ad esempio Spinal Research e "Unite 2 Fight Paralysis" Ognuno di noi inoltre a titolo personale, aiuta la ricerca a livello economico con piccole donazioni a enti not-profit impegnati nel settore e/o supportando eventi che vadano a finanziarli.Ad esempio, il 18 novembre scorso sono stata a Faenza in occasione di Ride For Life, una splendida manifestazione sportiva a scopo benefico organizzata dalle associazioni Riders4Riders e Marina Romoli Onlus, in cui grandi nomi del mondo delle 2 ruote hanno dato spettacolo col fine di

  • raccogliere fondi da destinare a piloti/ciclisti paralizzati a causa di una lesione spinale;

  • creare un fondo per la ricerca di una cura delle mielolesioni croniche.

    -Soltanto in Italia ci sono ogni anno 20-25 nuovi casi di lesione spinale per milione di abitanti. Quali consigli sentiresti di dare a chi si trova a dover affrontare una prova così difficile?
    -Per prima cosa gli direi di non mollare, di continuare a crederci sempre anche nei momenti più duri (e per esperienza so che ce ne saranno davvero tanti). Gli consiglierei di attivarsi per far si che questa terribile situazione duri il meno possibile. Raccomanderei però di non lasciarsi ingannare da false promesse, di valutare sempre accuratamente e con occhio critico tutto ciò che leggeranno e che si sentiranno promettere, purtroppo c’è tantissima gente pronta ad approfittarsi delle sofferenze altrui. È importante cercare quindi di non perdere la testa e continuare a lottare perché la lesione spinale cronica deve assolutamente diventare curabile!-

    -Una domanda non facile: pensi arriverà mai una cura?
    -Io non credo sia questione di se, ma di quando e ne sono fermamente convinta. Alcuni mi danno dell’illusa ma non me ne preoccupo, vado avanti per la mia strada e rispondo loro che in questi anni la scienza ha fatto grandi passi avanti, ad esempio in Svizzera sono già state fatte promettenti sperimentazioni sull’uomo. Attenzione, ancora una cura non c’è, ma se supportiamo la buona ricerca medica presto o tardi arriverà. Certo è che se noi per primi non ci attiviamo per velocizzare i tempi, nessun altro lo farà per noi e l’attesa sarà maggiore-

    Articolo tratto da ilsitoditalia.it

    Nella foto in alto: Loredana Longo.

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    (24.12.12) NATALE 2012: LO STUPORE DEL MISTERO DEL PRESEPIO NELLE NOSTRE CASE (Michele Scozzarra) - “Presepio”: è questa una parola che ha la virtù magica di farci rivivere momenti felici della nostra vita, e non solo per i ricordi che riaffiorano del nostro essere stati bambini.
    Penso che questo avvenga non solo per me, ma anche per molti altri, che da bambini sotto le feste natalizie, si industriavano a “fare il presepio” in casa. Ricordo come già verso la metà di dicembre cominciava il fervore dei preparativi, Si recuperavano le “statuine” messe a dormire in qualche scatolone e poi si andava in giro a fare rifornimento di muschio. Si prendevano poi dei fogli di cartone, si dipingevano con colori vivaci, e poi con abili tocchi si trasformavano in valli e montagne. E non si dimenticava il cielo, le stelle e la cometa.
    Non credo che vi sia nella storia dell’arte cristiana un “avvenimento” che abbia avuto più riproduzioni plastiche o pittoriche di quello della nascita di Gesù a Betlemme, anche se, spesso, non si riesce a superare la soglia di un compiacimento estetico o sentimentale, perché, impregnati di tanto paganesimo che abbiamo intorno, rischia di venire meno la consapevolezza dei segni che la tradizione e la storia ci hanno consegnato.
    Ma voglio anche cercare di andare un po’ più in profondità e arrivare al cuore di questa tradizione: il suo cuore è la fede, è l’amore. Fare il Presepio, infatti, prima di tutto è un atto di fede nel mistero dell’Incarnazione, nel mistero di Dio che si fa carne, uomo come noi.
    Il Presepio riesce a proporre, in una narrazione comprensibile anche ai più “piccoli”, ciò che è ineffabile e trascendente: il suo linguaggio è così semplice da essere accessibile a tutti e in tutte le sue molteplici rappresentazioni ripropone ogni anno, nelle chiese e nelle nostre case, lo stupore, la meraviglia, l’incanto per l’incontro tra l’umano e il divino… “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.
    Da paese a paese, così come in ogni famiglia, diversi sono i modi di esprimere questa rappresentazione: l’ambientazione nel paesaggio tipico locale, la meccanizzazione dei presepi, che mira a rendere sempre più vivaci le scene, e a rendere il più realisticamente possibile il vissuto; l’uso di materiali legati al lavoro, all’ambiente, alle attività caratteristiche.
    In pratica, nella preparazione del presepe la creatività di ognuno non trova alcun limite, a cominciare dai personaggi che si avviano verso la grotta portando doni: pecore o altri animali, vino, frutta. Ma i doni propri del presepe sono l’oro, l’incenso e la mirra: i doni portati dai Magi. Anche i pastori sono figure essenziali: il Vangelo li descrive intenti alla custodia del gregge quando ricevono la visita dell’Angelo che annuncia la nascita del Salvatore e li invita ad andare a Betlemme dove troveranno un Bambino avvolto in fasce deposto in una mangiatoia.
    Accanto ai pastori nel presepio troviamo altri personaggi che variano da luogo a luogo: la natura popolare del presepio ha dato la possibilità a tanti artisti, per lo più ignoti, di esprimere la loro realtà, di ricostruire i luoghi a loro noti, i gesti quotidiani, i mestieri. Ecco allora lo zampognaro, i musici, la portatrice di doni, il vasaio, il pescatore, la contadina che reca un fascio d’erba, il fabbro, l’uomo dei pesci, il dormiente… Ogni aspetto della vita è raffigurato nel presepio, perché nulla è estraneo a quella nascita. Tra i mestieri presenti nel presepio di casa mia come poteva mancare il muratore… sarebbe stata una mancanza di attenzione e gratitudine verso la storia e la tradizione della mia famiglia.
    A casa mia, quest’anno, mia moglie, con la radice di un vecchio albero, ha realizzato una rappresentazione straordinaria: non c’è stato bisogno di “costruire” niente, tutto era già nel legno. L’estro artistico è consistito solo nel mettere i pastori al posto giusto e dare risalto all’importanza che hanno le figure “umane” del presepe, nelle varie connotazioni dei costumi, della attività e degli atteggiamenti che distinguono le diverse componenti che fanno parte del presepio. Fare in modo che la creatività venga esaltata per lo stupore che riesce a suscitare e non si perda solo nella costruzione e realizzazione di un qualcosa che, anche se esteticamente bello, nulla ha a che fare con la tradizione che il presepe rappresenta.
    Ecco perché un’autentica rappresentazione del Presepio richiede, innanzitutto, l’ispirazione della fede: disporre le statuine non è difficile, tutti lo possono fare, ma creare un’atmosfera di stupore e di venerazione, intorno ad una nascita che ha cambiato il mondo, è un’impresa molto difficile.
    Come, infatti, sarà possibile esprimere la gioia della giovane Vergine-Madre, senza entrare in quel mistero con gli occhi della fede? Come sarà possibile, senza quegli occhi, riprodurre lo sguardo trepidante di Giuseppe e ricreare quel silenzio, quell’atmosfera mistica che pervade l’insieme dell’avvenimento?
    Allora quando ci troviamo davanti ad un’opera che sa parlare del mistero, dobbiamo concludere che alla sua origine c’è un atto di fede, magari umile, ma certamente grande!
    Di fronte a queste sensazioni, che sgorgano dal cuore di ogni uomo che vive con consapevolezza la propria esistenza, il presepio continua, ancora oggi, a riproporre la memoria di un Dio che si è fatto uomo per accompagnare con discrezione, con tenerezza e potenza il cammino faticoso di ogni uomo, alla ricerca del proprio volto umano.
    Buon Natale a tutti…









    Nelle foto, dall'alto in basso: la grotta nel presepe di Michele Scozzarra; particolare dei personaggi; il muratore; Carmelina Massara accanto al presepe; visioni d'assieme e altro particolare.


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