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4.1.13 - La questione tedesca e l'Europa
Domenico Distilo

7.1.13 - Stupendamente Galatro nel calendario di Longo Gioielli
Michele Scozzarra

10.1.13 - Registro elettronico a scuola: siamo sicuri che sia un errore?
Angelo Cannatà

13.1.13 - A scuola meglio il contatto dal vivo che un freddo registro elettronico
Caterina Sigillò

4.2.13 - Quei poteri troppo forti
Angelo Cannatà

11.2.13 - Pino Sorrentino: un'ostia vivente in mezzo a noi
Michele Scozzarra

17.2.13 - Solo in Italia può capitare che...

18.2.13 - Pinuccio, tu mi hai dato la forza e il coraggio...
Marcello Sorrentino

22.2.13 - La senatrice PDL scrive ai parroci umbri: le risponde Don Gianfranco

24.2.13 - Pinuccio e Antonio condividono in Paradiso la gioia di Dio
Don Gildo Albanese

27.2.13 - Un grazie a Don Gildo nella gioia di Cristo risorto
Totò Sorrentino

1.3.13 - Sull'aggressione a Don Cosimo
Pasquale Cannatà

10.3.13 - Il movimento di Grillo e il voto di pancia
Domenico Distilo

12.3.13 - Anno della fede: riflessione ed esperienza per una fede presente e incontrabile
Giuseppe Romeo

14.3.13 - Laudato sii, o mio Signore, per Papa Francesco
Michele Scozzarra

20.3.13 - Un papa che promette bene
Pasquale Cannatà

25.3.13 - Problema diga sul Metramo... non solo sicurezza!
Michele Scozzarra

30.3.13 - La Pasqua ci dice che il sepolcro è vuoto... Cristo è risorto!
Michele Scozzarra





(4.1.13) LA QUESTIONE TEDESCA E L'EUROPA (Domenico Distilo) - La questione tedesca viene oggi identificata con le rigidità della cancelliera Merkel, un autentico macigno sulla strada per uscire dalla crisi economica. Si tratta però solo dell’ultima manifestazione di una iattura che ha accompagnato la storia dell’Europa moderna, a partire da Martin Lutero.
L’Europa della fine del Quattrocento appare felicemente avviata verso l’integrazione di religione, politica e scienza nella temperie del neoplatonismo, una filosofia di matrice ellenistica che pensa Dio come il luogo infinito della coesistenza degli opposti. L’infinita bellezza del divino riluce nella finitezza armoniosa delle opere d’arte, peraltro ispirando una teoria politica che, con Erasmo da Rotterdam, si sforza di tradurre la divina armonia nell’aspirazione ecumenica alla pace.
Lutero è però estraneo alla cultura del suo tempo, si fissa su una questione tutto sommato secondaria qual è quella delle indulgenze e vanifica il programma erasmiano. La questione tedesca comincia con lui e si riassume nel carattere tetragono, nell’incapacità di pensare dialetticamente (et-et), in un rapporto col divino che annulla l’umano e con l’asservimento dell’individuo allo Stato racchiuso nella celebre formula agustana della finta pace religiosa: cuius regio, eius religio.
E’ strano che si sia potuto scorgere nella Riforma l’inizio del libero pensiero. In realtà né Lutero, né Calvino né altri riformatori pensano mai la religione sotto la categoria della libertà, ritenendo quest’ultima fondamentalmente inconciliabile con la verità. E’ invece con i gesuiti che si ha la concreta fondazione della libertà moderna nel momento in cui attuano la separazione di verità e prassi, separazione generalmente sanzionata perché ritenuta generatrice di una qualità morale negativa qual è l’ipocrisia. Essa è invece il misconosciuto fondamento della tolleranza: se si assume che la prassi non può divergere dalla teoria, la vita concreta dalla sua definizione teologico-morale, allora lo Stato non potrà non coincidere con la Chiesa – si pensi alla Ginevra di Calvino e al rogo di Serveto - e le guerre di religione ne saranno la conseguenza ineluttabile, come in effetti avverrà per quasi un secolo e mezzo dopo la ribellione di Wittemberg.
La guerra dei trent’anni e i successivi trattati di Westfalia disegnano un’Europa divisa in stati-nazione che hanno ormai inglobato la religione e stroncato sul nascere ogni conato di libero pensiero. Tra le implicazioni di Westfalia c’è la metamorfosi del vecchio elettorato del Brandemburgo nel regno di Prussia. L’attitudine fanatica del luteranesimo può così trasferirsi dalla religione allo Stato: alla statalizzazione della religione tiene dietro la divinizzazione dello Stato attuata da Federico II nella forma della riduzione di politica e società all’esercito – nel Settecento si diceva che la Prussia fosse non uno Stato con un esercito, ma un esercito con uno Stato - e alcuni decenni dopo proiettata sub specie aeternitatis da Hegel nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto.
E’ con questa svolta che la storia della Germania e dell’Europa si converte nella storia del militarismo prussiano, dalle guerre del Settecento a quelle antinapoleoniche a Bismark e alla nascita del secondo Reich e, infine, a Hitler.
Con Bismark la Germania esce vincente dalla prima lunga fase della “guerra civile europea” ma dal 1870 (anno del crollo a Sédan dell’Impero di Napoleone III) lo spirito di révanche francese cova sotto e sopra la cenere: che una nuova guerra prima o poi debba scoppiare è facile previsione.
Il militarismo prussiano abbraccia ora l’imperialismo nazionalistico, trovando un formidabile supporto nell’ideologia della razza e allontanandosi definitivamente dalla risoluzione hegeliana del Volksgeist (lo spirito del popolo) nella Costituzione. Il percorso che giunge a Hitler è in tal modo inequivocabilmente segnato ma l’abbozzo più perspicuo si può già trovare molti anni prima, nei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte composti nei mesi successivi alla sconfitta della Prussia contro Napoleone a Jena, sconfitta che i romantici nazionalisti come lui si sforzavano di non interpretare come la definitiva vittoria della Civilisation francese sulla Kultur tedesca.
Con Fichte e, dopo di lui, con i teorici della “Rivoluzione conservatrice” la Germania di fatto si separa dall’Europa percorrendo fino in fondo la strada che porta ad Auschwitz. Un’altra storia è quella che comincia con l’arrivo dell’Armata rossa a Berlino nel maggio del 1945. Nell’Europa divisa dalla Guerra fredda, con la stessa Germania tagliata in due, il ruolo congeniale ai tedeschi (da entrambe le parti del muro) non può che essere il gigantismo economico coniugato al nanismo politico, contraddizione in qualche modo superata ad Ovest in una obbligata ortodossia atlantica spesso giocata in chiave antifrancese (nell’epoca di De Gaulle e della force de frappe autonoma).
La svolta interviene con Kohl-Mitterrand, quando si costruisce la nuova Europa sull’asse franco-tedesco approfittando delle convulsioni che accompagnano la fine della Guerra fredda. La diarchia si rivela un passaggio tutto sommato interlocutorio funzionale al recupero di un ruolo politico che poggia su quello economico, sulla forza di un marco che assurge a modello in una prospettiva di ortodossia liberista che, col pretesto della globalizzazione, finirà per conservare solo alcuni scampoli di economia sociale di mercato.
Come al solito i tedeschi non conoscono alternative ai modelli che essi stessi s’impongono, ciò che fa sì che agli interlocutori non resti che la sottomissione o la guerra. I nodi di un euro tarato sulla Germania e sulle economie del Nord sono però già venuti al pettine e sarebbe un dramma se le ragioni dell’interesse nazionale fossero lasciati ai populismi e ai populisti. Se le cose dette sull’Euro da Berlusconi e Grillo, per intenderci, venissero dette da altri leader non etichettabili come populisti si porrebbero le basi per cambiare i rapporti di forza. Ma a predominare è la retorica di un europeismo che finora è stato solo sottomissione alla Germania. Quando si capirà che le ragioni dell’Europa non sono quelle della Germania? Quando si prenderà sul serio il riproporsi, mutatis mutandis, della vecchia questione tedesca?

Nella foto: la cancelliera Angela Merkel e il presidente del parlamento europeo Martin Schulz.


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(7.1.13) STUPENDAMENTE GALATRO NEL CALENDARIO DI LONGO GIOIELLI (Michele Scozzarra) - Scriveva Pasternak che l’arte nasce dallo stupore di fronte alla bellezza che la vita ci mette davanti. L’artista intuisce che oltre alla corteccia di quanto immediatamente appare si nasconde un valore, un valore che è bellezza, riflesso della verità che dà un significato a tutto: una verità che è armonia e un’armonia che è verità. Ecco perché la fotografia del calendario che, con la “Longo Gioielli” di Galatro, abbiamo realizzato per il 2013 è proprio bella, soprattutto nel mettere in risalto i “particolari”.
Nel retro dell’immagine vi è scritta una data “1937-XVI”, con la dedica "all'amico Albanese Nicolantonio, perché si ricordi di Correale Giovanni".
Ritengo che questa fotografia non debba portare solo a scrivere, ma a vedere: scrivere poi è una conseguenza. Chi scrive deve partire sempre da un’impressione: non è tutto avere occhi, bisogna imparare a servirsene… imparare dunque a vedere. Con questa fotografia accade che, alla prima immagine percepita ne succede una seconda, e poi un’altra ancora, che non è quella che avevamo visto prima, anzi ne diverge notevolmente. Allora, per un inevitabile automatismo, sorge in chi guarda, la preoccupazione che c’è qualcosa che gli sta sfuggendo e, senza volerlo, si mobilita al suo inseguimento, sforzandosi di interpretare gli indizi controversi.
In primo piano gli occhi si vanno a posare sul quartiere Montebello… che, nella realtà, si trova alle spalle dell’obiettivo del fotografo, e non di fronte, come appare nella foto. L’immagine è un perfetto fotomontaggio, ma proprio in quel “ritocco” s’intravede la mano dell’artista. Diceva Tolstoj che “correggendo lo studio di un allievo, il pittore russo Brjulov lo ritoccò in alcuni punti, e quel disegno squallido e senza vita subito divenne vivo. “Ecco, l’avete ritoccato un pochino, e tutto è cambiato”, disse l’allievo. “L’arte comincia là dove comincia quel pochino” rispose Brjulov, enunciando con queste parole la caratteristica più saliente dell’arte”.
Di seguito gli occhi poi si vanno anche a posare sulle persone che stanno lavorando nel fiume… scoprendo qualcosa di vivo, che nasce dai legami d’amore che ci legavano al nostro paese, ai personaggi, alla gente, ai parenti, che ci racconta le sensazioni che si provano, non come qualcosa a noi indifferente o estraneo: a cominciare dagli uomini che spaccavano le pietre del fiume e dalle donne che con delle grosse ceste le trasportavano ai muratori per costruire le case del nostro paese.
Questa gente, nei secoli, in questo modo, ha lavorato e trasportato le pietre con cui sono state costruite le case: ricordo ancora quante volte mio padre, appartenente a una famiglia di “maestri” muratori, mi ha raccontato del suo lavoro e di come erano trasportate sui “cantieri” le pietre (oggi sostituite dai mattoni!), con le quali venivano costruite le case. Anche per questo in quella fotografia ritrovo dei vincoli molto stretti, che mi legano alla nostra gente di Galatro e a tutta la storia della mia famiglia.
Per me, scrivere di questa foto del calendario 2013 della “Longo Gioielli”, non significa scrivere “tanto per caso”. Scrivere “per caso” è lasciarsi andare al gioco della pura osservazione e invenzione, che si muove fuori di noi, cogliendo a caso fra esseri, luoghi e cose a noi indifferenti. Scrivere non “per caso” vuol dire scrivere di quello che amiamo e la memoria è amorosa e non è mai casuale, perché affonda le sue radici nella nostra stessa vita, e può anche darsi che riesca far scattare la molla di un orgoglio delle proprie radici capace di far rinascere un amore per il nostro ambiente e le persone che vi abitano... forse ormai assopito da troppo tempo.
Mi ha sempre affascinato un pensiero di Tolstoj, dove afferma che “lo scopo dell’arte non è quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente ad amare la vita. Se mi dicessero che posso scrivere un libro in cui mi sarà dato di dimostrare il mio punto di vista su tutti i problemi sociali, non perderei un’ora per un’opera del genere. Ma se mi dicessero che quello che scrivo sarà letto fra vent’anni da quelli che ora sono bambini, e che essi rideranno, piangeranno e s’innamoreranno della vita sulle mie pagine, allora dedicherei a quest’opera tutte le mie forze”.
Ebbene se oggi, tutti quelli che quando è stata scattata questa fotografia non erano ancora nati, di fronte a questa immagine si stupiranno, si emozioneranno, s’innamoreranno del nostro ambiente e del suo passato, per tanti aspetti ancora sconosciuto, ma sempre bellissimo e affascinante… allora vale la pena spendere il nostro tempo e dedicare la nostra attenzione, per far sì che questa bella tradizione della “Longo Gioielli”, continui ancora negli anni a venire… per quanto mi riguarda, sto già selezionando le foto per il calendario del 2014!

Nelle foto: Michele Scozzarra e il calendario 2013 di Longo Gioielli.


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(10.1.13) REGISTRO ELETTRONICO A SCUOLA: SIAMO SICURI CHE SIA UN ERRORE? (Angelo Cannatà) - Pubblichiamo, dal numero de Il Fatto Quotidiano in edicola sabato 5 gennaio 2013, l’intervento di Angelo Cannatà, collaboratore della testata giornalistica. Si tratta della risposta a un “pezzo” della scrittrice Mariapia Veladiano, apparso su “Repubblica”.

* * *

Ho letto con attenzione l’articolo di Mariapia Veladiano (“Che errore per la scuola mettere i voti online”, la Repubblica, 2 gennaio 2012). E’ ben scritto e di piacevole lettura; la tesi di fondo, però, è discutibile e vorrei spiegare perché, alla luce di vent’anni d’insegnamento nei licei. Si sostiene che voti e assenze online permettono ai genitori di controllare tutto in tempo reale e da casa, ma in questo modo - leggo - “si smaterializzano i rapporti tra genitori, studenti, prof. E vengono meno l’incontro e la fiducia.”
E’ così? Per davvero il registro elettronico è un’illusione educativa? La tesi merita di essere discussa perché porta con sé un’immagine di scuola (e di Paese) che non convince. L’errore di fondo di questa interpretazione è di dare a un’innovazione tecnologica poteri pedagogici e significati che non ha. L’impressione è che l’autrice si costruisca un bersaglio (“il voto sul video”) per colpire meglio “la tecnica” che cancella “la pedagogia”. Fine della filosofia dell’educazione, sembra essere la tesi. Se così fosse, saremmo di fronte a una radicale incomprensione della funzione della scuola, del dialogo e del necessario rapporto scuola-famiglia: verrebbe meno l’idea stessa di scuola come comunità educante. Ma così non è. Anzi. L’esperienza dice che un genitore carico di problemi, può trovare nel controllo via internet, nel registro elettronico, un modo utile per aggiornarsi sulla vita scolastica del figlio; per acquisire in tempo reale informazioni e andare, subito, dai docenti, laddove riscontri anomalie rispetto alle attese. L’obiettivo è aumentare il rapporto - e gli incontri - scuola-famiglia, non ridurli.
L’immagine dell’iperconnessione come “spiritualizzazione tecnologica” è fuorviante, ricorda le critiche del Fedro alla scrittura in difesa dell’oralità (Platone). E’ il rifiuto – istintivo – di ciò che è nuovo, in nome di un passato mitizzato. Uno sguardo all’Europa dice che in molti paesi il registro elettronico, da tempo, è una realtà. Funziona e il rapporto scuola-famiglia non è entrato in crisi. E’ un fatto.
Perché dunque dire che in Italia la “fede nella tecnologia sostituisce la relazione con la connessione”? Mi sembra una forzatura. Il registro elettronico è uno strumento, dipende dall’uso che se ne fa: i genitori - stimolati da opportuni incontri coi docenti e il dirigente scolastico - potranno utilizzarlo per un monitoraggio continuo della situazione didattica dei figli, per una vigile partecipazione, online, certo, ma propedeutica (come tutte le esperienze virtuali), a incontri reali, a scambi di idee con i professori, a confronti concreti, operativi, sulle strategie educative da intraprendere.
Anche sul versante del rapporto genitori-figli, mi sembra che si possa dare una lettura opposta a quella di Veladiano. Se il genitore sa tutto in tempo reale – osserva – “non c’è il tempo per dedicare attenzione a quel che capita, interpretare i segnali”. Siamo all’elogio delle “parole non dette”, che produce – sul piano didattico – ritardi, talvolta incolmabili, negli interventi educativi che necessitano, spesso, un lavoro coordinato e immediato tra scuola e famiglia.
Insomma, il registro elettronico non è un abbaglio che ci impedisce “di vedere quel che capita”. Vuole “mostrare”, invece, subito e realisticamente i nudi fatti (i numeri), per stimolare incontri, confronti e migliori relazioni alunni-prof-genitori. Sarebbe indecente - leggo - “bocciare un ragazzo attraverso una comunicazione via web”. D’accordo. A patto di comprendere che la risposta non è la negazione del web e delle tecnologie. Piuttosto: una migliore utilizzazione di internet. Quando, per mesi, un genitore avrà visto l’andamento scolastico negativo del figlio, sarà di fronte a un bivio: assumersi la sua parte di responsabilità, in un rinnovato (più intenso) rapporto con la scuola; oppure, prendere atto della propria sconfitta. La tecnologia porta la scuola dentro casa. E’ un bene. Tutto cambia, anche la consapevolezza, per i genitori, del loro ruolo. Un risultato che non possiamo permetterci di sottovalutare.

Da Il Fatto Quotidiano del 5.1.2013

Nella foto: Angelo Cannatà


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(13.1.13) A SCUOLA MEGLIO IL CONTATTO DAL VIVO CHE UN FREDDO REGISTRO ELETTRONICO (Caterina Sigillò) - Dopo molto tempo leggo, sul Galatro Terme News, l'articolo di Angelo Cannatà inerente il registro online. Non vorrei polemizzare e chiedo scusa se così può sembrare; io non insegno nei licei bensì in una "semplice" scuola primaria della Brianza e di questo ne sono orgogliosa perché mi tornano sempre in mente le parole della mia eccellente maestra (Signora Federici di Pallanza), la quale ci ripeteva spesso che se esistono medici, avvocati, professori ecc., bisogna ringraziare proprio coloro che ci scolarizzano insegnandoci a "leggere", "scrivere" e "far di conto"... a buon intenditor...
Comunque, a parte il mio "misero" sarcasmo, volevo far presente che i genitori cosiddetti "moderni" sono poco interessati all'andamento scolastico dei figli; già alla primaria sono interessati alle attività extra scolastiche; il computer o eventuali strumenti tecnologici che permettono la navigazione in internet, vengono usati per "chattare" su facebook!
Non voglio fare la "paolotta" come si dice in "quel di Milàn", anch'io "chatto" e, nonostante non sia una "schiappa" col computer, desidero sempre avere un contatto personale: vedere un 5 sullo schermo, a mio parere, non è come un 5 riferito a voce dal docente (mi spiace dirlo ma a volte si capta dal tono di voce il tipo di personalità di chi ci sta di fronte).
Secondo il mio modesto parere la tecnologia è giusto e necessario usarla per attività che necessitano di risposte immediate, non per vedere i voti dei nostri figli che frequentano la scuola ad "un tiro di schioppo da casa". Non dico di tornare al tempo di Gugù, ma adesso stiamo arrivando all'estremismo esagerato.
Un'altra cosa che mi ha un po' "disturbato" è l'introduzione della lavagna multimediale. Mi chiedo: in una prima elementare dove un bambino, abituato a disegnare, deve iniziare a scrivere abituando le manine alla manualità fine, che tipo di evoluzione o progresso potrebbe avere? Ripeto: non sono contro la tecnologia, sono solo preoccupata perché ho paura che arriverà il giorno in cui tutti scriveremo allo stesso modo... e il calore umano? Gli specialisti riescono a percepire anche lo stato d'animo di una persona tramite gli scritti! Boh, sarò antiquata ma la cosa mi angoscia un po'.

Nella foto: Caterina Sigillò.

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(4.2.13) QUEI POTERI TROPPO FORTI (Angelo Cannatà) - La Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza sul conflitto di attribuzioni Quirinale-Procura di Palermo. Abbiamo avuto fin dall’inizio la sensazione di un esito negativo per i magistrati. Oggi è una certezza: si attribuiscono al Presidente della Repubblica poteri (da sovrano assoluto) che la Costituzione repubblicana non prevede. Non si tratta, qui, di contestare una sentenza. Si vuole semplicemente prendere atto che, da oggi, la nostra democrazia è più debole:

1. Montesquieu addio. La divisione dei poteri è un ricordo, la politica ha il primato sulla magistratura: ci sono luoghi del potere inarrivabili, intoccabili.
2. Si dice: la Costituzione difende – soprattutto – i diritti e le prerogative del Presidente. Ecco dove abbiamo sbagliato: pensavamo che la Costituzione difendesse – innanzitutto – i diritti dei cittadini.
3. I cittadini devono sapere fino a un certo punto: oltre c’è l’indicibile, l’inconoscibile e la “sentenza su misura”.
4. Le vittime delle stragi hanno diritto a corone e funerali di Stato, per il resto “opportuni” silenzi. “L’ingiustizia è facile da sopportare. E’ più difficile sopportare la giustizia”.
5. Pensavamo che il Presidente avesse il dovere della trasparenza. Pertini, dicevamo ad agosto, avrebbe pubblicato le intercettazioni. Una questione di stile.
6. In questa brutta storia, sono lesi anche i diritti della difesa: se un’intercettazione fa male al Re, va distrutta; non è dato sapere nemmeno se contenesse “una prova tale da assolvere un innocente o condannare un colpevole” (Tinti).
7. Risultato: anni di indagini, ricerche, intercettazioni, frenati da depistaggi, accomodamenti e distruzione di possibili prove. E la verità? “In mezzo a troppe dispute la verità si perde.” La Consulta - arrampicandosi sugli specchi - si è pronunciata.

A questo siamo, pensavamo che la procura di Palermo fosse una postazione di legge e legalità per i cittadini, luogo di scontro con i poteri politico-mafiosi; scopriamo invece che certe intercettazioni sono pericolose “per il sistema costituzionale complessivo che dovrebbe sopportare le conseguenze dell’acuirsi delle contrapposizioni e degli scontri.” Chiediamo: un sistema liberale non si basa proprio sui contrasti e i bilanciamenti tra i diversi poteri dello Stato?

Articolo apparso su "Il Fatto Quotidiano” del 18 Gennaio 2013

Nella foto: la Corte Costituzionale.


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(11.2.13) PINO SORRENTINO: UN'OSTIA VIVENTE IN MEZZO A NOI (Michele Scozzarra) - Caro Pino, stasera, appena Alfredo Distilo ha messo su internet la notizia della fine della tua avventura terrena, per qualche minuto non sono riuscito a pensare niente, ma le lacrime che, spontaneamente, hanno cominciato a solcare il mio volto penso che sia il modo più bello, almeno per me di dirti, semplicemente: “Grazie”.
Grazie per la catechesi quotidiana che tu, nel passare degli anni, ci hai offerto e regalato come una grazia che il Signore ha voluto mettere in mezzo a noi.
Tu hai avuto la capacità di metterci nelle condizioni di interrogarci sul mistero della malattia e, nelle ultime settimane, anche sul mistero della morte. E lo hai fatto con semplicità, con serenità, con un senso dell’umorismo, dell’ironia e dell’autoironia della tua malattia che (a pensare bene la tua familiarità e confidenza con Dio, nelle tue immancabili presenze in Chiesa in ogni occasione) penso di poterlo definire esemplare della visione cristiana della vita. Questo tuo modo di rapportarti con le persone e con Dio ha contagiato tutte le persone che giornalmente frequentavi, con le quali ti presentavi in maniera schietta e paritaria, nonostante non si può negare che essere Down nella nostra società non è una cosa facile, anzi sta diventando sempre più difficile.
Ma tu, caro Pino, sei stato eccezionale, hai dato testimonianza che, nonostante non è stato facile accettare questa sfida, terribile e dolorosa, per come ti sei giocato nella tua avventura terrena, ci hai dimostrato che la vita è una bellissima avventura che tutti devono avere il diritto di vivere. Certamente è stata dura, in tante occasioni è stata una situazione da affrontare tutta in salita, con l’aiuto della tua famiglia che è stata con te fino in fondo in questa sfida. Ma per quanto possa, a volte, essere stato difficile, l’hai vissuta come una benedizione, perché hai dato prova che (anche negli ultimi giorni, quando un’altra malattia, forse più terribile, ti stava piegando), eri in grado di vivere una vita piena come qualsiasi altra persona, non sentendoti mai diverso da nessuno, pur dentro gli umani limiti che tutti abbiamo. Vedo come un miracolo il costatare come hai portato la tua croce nella tua avventura terrena con straordinaria forza e serenità, da persona assolutamente normale: per questo penso che la più grande testimonianza che ci lasci con la tua sofferenza è che la morte non ha l’ultima parola.
Ci hai lasciato una bella lezione di umanità che ritrovo solo nelle parole di uno scrittore francese, Emmanuel Mounier, il quale di fronte al letto della propria figlia malata, ha scritto delle lettere che sono la testimonianza di uno sguardo sulla realtà che non è limitato solo all’eliminazione dei problemi e della sofferenza. Il mistero del dolore, della sofferenza e della malattia trova solo in Cristo una plausibile risposta: “Che cosa importa se il sonno della nostra bambina si prolunga? L'universo dove dobbiamo vivere è presenza di Dio, dove tutte le delusioni del tempo possono trovare immediatamente il loro posto, tutte le sofferenze trasformarsi in gioia... Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo letto come ad un altare, ad un luogo sacro da dove Dio parlava mediante un segno. E tutto intorno alla bambina, non ho altre parole: un'adorazione. Bisogna osare di dirlo: una grazia troppo pesante. Un'ostia vivente in mezzo a noi. Muta come un'ostia. Splendente come un'Ostia... “.
Si caro Pino, per chi ti ha voluto bene, anche tu sei stato “un’Ostia vivente in mezzo a noi”, che cercheremo con lo sguardo ogni volta che entreremo nella nostra Chiesa, immaginando di vederti arrivare dal fondo, metterti al centro dell’Altare, fare il segno della Croce e ritornare a sederti tra i banchi, con lo sguardo fiero e tranquillo di chi sa che ha posto il suo essere nelle mani di un Altro che, nonostante tutto, non l’ha mai abbandonato.
Grazie per quello che ci hai testimoniato con la tua vita, con la tua sofferenza e con la tua morte… grazie per averci costretto a meditare sul senso profondo del mistero della vita, e della sofferenza e perché, senza saperlo ci hai lasciato un insegnamento tanto prezioso quanto di stimolo a non scoraggiarci di fronte alle difficoltà che la vita, quotidianamente, ci mette davanti.
Ciao Pino, riposa in pace nel cuore di quel Dio che hai sempre cercato, con la certezza che fino a quando non ci ritroveremo nella casa del Padre, il tuo ricordo sarà sempre vivo in mezzo a noi.

Nelle foto: in alto Pinuccio in una foto recente; in basso ancora fanciullo.


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(17.2.13) SOLO IN ITALIA PUO' CAPITARE CHE... - …Un vecchio venditore ormai bolso tenti di rivendere la stessa merce avariata agli stessi compratori, già da lui più volte truffati. Egli sa che la merce non conta nulla e che i compratori non comprano la merce ma lui stesso, il venditore. Come dire: il valore d’uso della merce è inessenziale, quel che conta è il sogno che il venditore riesce ancora ad evocare come nessun altro. La merce è così, per i compratori, solo il mezzo, il più delle volte pretestuoso, per continuare a vivere in un mondo irreale, onirico, a ben pensarci il più efficace antidoto alla crisi economica. P.S. Del resto il Banana ha sempre sostenuto l’irrealtà della crisi: da “gli italiani gente benestante” a “i ristoranti sono pieni” ha prodotto, sul tema, un infinito campionario di bestialità.

2 …Un comico non più di primo pelo raccolga messi di consensi sparando a palle incatenate contro i politici, come se il problema italiano fossero i politici, non la società che li esprime. Il fatto è che alla base del grillismo e della cosiddetta antipolitica c’è un equivoco: un problema che, semmai, è storico–antropologico viene scambiato per un problema politico, con tutto quel che ne deriva in termini di estremismo verboso, di proposte choc, di sciocchezze a profusione. Il comico, come il venditore, in realtà propone un approccio per risolvere i problemi psicologico-esistenziali dei suoi seguaci, non quelli reali del Paese. Entrambi rappresentano la negazione della politica come razionalità, come decisione avveduta e consapevole, esaltando la dimensione emozionale della democrazia, la più sudamericana e pericolosa.

3 …Un tecnico chiamato per fronteggiare un’emergenza economica si trasformi in politico e gareggi in demagogia col demagogo per antonomasia. Pretendendo, però, di restare tecnico, con la tecnica quale principale atout. Poiché si accredita come tecnico, c’è da chiedergli perché mai si sia voluto “sporcare” con la politica. La risposta potrebbe essere che l’unica politica possibile è la tecnica. Davvero la forma più raffinata di antipolitica! E’però paradossale che sul carro del tecnico-politico siano saltati due politici di lunghissimo corso che senza il tecnico divenuto politico avrebbero seriamente rischiato di iniziare a percepire il vitalizio dei parlamentari già nel prossimo aprile.

4 …Un giudice, che si dice di sinistra, assolutamente di sinistra, si getti nell’agone politico con la prospettiva di avere quale migliore risultato… la sconfitta della sinistra, sapendo perfettamente che non riuscirà a togliere nessun voto alla destra. Il fatto è che la sinistra italiana è storicamente piena di duri e puri, di anime belle, di paladini del non voto, di fautori del tanto peggio tanto meglio, di personaggi in cerca d’autore a cui la vittoria della destra assicura l’unica cosa che gli stia davvero a cuore: la possibilità di parlarne malissimo, di continuare a indignarsi senza doversi mai cimentare con le difficoltà del governo.

5 …Un tizio dal look eccentrico, giornalista ed ideologo del neoliberismo più spinto, scenda – o salga - in politica col programma riassunto nel nome: “Fare per fermare il declino”. Accidenti! Si dà il caso che l’ideologia che professa Giannino sia la principale causa del declino. Per quelli come lui l’unica cosa sensata sarebbe starsene assolutamente fermi e non muovere neppure un dito. E’ l’unico modo che hanno per sperare di attuare il proposito!

Nelle foto, dall'alto in basso: Berlusconi, Grillo, Monti, Ingroia, Giannino.


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(18.2.13) PINUCCIO, TU MI HAI DATO LA FORZA E IL CORAGGIO... (Marcello Sorrentino) - Pinuccio, come Gesù di Nazaret un giorno mi hai detto che vorresti tu avere il mio coraggio e la mia forza. Sì Pinuccio, oggi sono io, invece che ti dico che vorrei avere la forza ed il coraggio che hai avuto tu, la forza ed il coraggio di perdonare le persone che ti hanno sbeffeggiato, umiliato e deriso.
Vorrei avere la forza ed il coraggio di perdonare quelli che non ti hanno capito, che non hanno capito la grandezza della tua persona e anche quando tu hai provato a tendere la tua mano ti hanno negata la loro.
Vorrei avere la forza ed il coraggio di perdonare le persone che ti consideravano un essere inferiore.
Vorrei avere la forza ed il coraggio di perdonare questi piccoli uomini, falsi moralisti, che facevano la morale alla nostra famiglia dicendo che tu dovevi essere guardato come se fossi uno da tenere con la catena.
Ma loro non sanno che tu sei nato libero e hai vissuto da uomo libero… disubbidivi a tutto tranne a Dio che ti chiedeva di perdonare e tu lo facevi: ricordo quando io mi arrabbiavo con te, tu portavi l’indice sulle labbra e mi dicevi: ”Ssss, zittu tu… tu hai ‘a stari all’ordini mei…!”, e io ho sempre saputo che il tuo ordine è stato sempre il perdono, perdonare tutti… per questo io ti ho sempre visto con un “Essere superiore” ed ho sempre obbedito a quello che tu mi dicevi.
Infine Pinuccio perdonami di non averti capito fino in fondo, di non averti difeso abbastanza: in tanti tuoi solitari momenti di sconforto, più di una volta, mentre ero vicino a te, ti ho sentito dire: “Dio perché mi hai abbandonato?”.
Ricordo, in particolare, come eri infastidito quando mi mettevo a fare dei piccoli lavori in casa mentre tu sentivi il Rosario a Radio Maria, recitando ad alta voce le preghiere che sentivi alla radio. Un giorno che ti ho gridato “cùzzala..”, cioè di stare zitto, tu subito mi hai risposto: “cùzzala tu... io staju pregandu…!”
Ora penso che, dal posto dove Dio ti ha messo hai capito che Dio non ti ha mai abbandonato, ma è stato sempre al tuo fianco, così come anche noi, la tua famiglia, siamo stati sempre con te.
Dal 10 febbraio in poi, devo dirti che io ho la forza ed il coraggio che mi hai testimoniato tu, ESSERE SUPERIORE, la forza ed il coraggio di perdonare tutti, forse anche me stesso, io piccolo uomo, orgoglioso di essere...
...tuo fratello Marcello

Nella foto: Pinuccio fanciullo.

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(22.2.13) LA SENATRICE PDL SCRIVE AI PARROCI UMBRI: LE RISPONDE DON GIANFRANCO - Ecco il testo della lettera con cui Don Gianfranco Formenton, parroco di Sant'Angelo in Mercole, provincia di Spoleto, ha risposto a una lettera della senatrice del PDL Ada Urbani, indirizzata a tutti i parroci dell'Umbria, con la richiesta di appoggio per la sua campagna elettorale.
Si tratta di un documento esemplare che vale proprio la pena di leggere, testimonianza concreta della presenza di figure dalla solida moralità che non scendono a compromessi con i loschi affari che negli ultimi anni hanno stretto in un abbraccio mortale la politica e con questa anche parte della Chiesa (vedi i movimenti politico-ecclesiali lombardi).
Riportiamo sotto il testo di Don Formenton, più in basso quello della senatrice:

* * *

Spoleto, 12 febbraio 2013

Gentile Senatrice,
ho ricevuto la sua lettera ai pastori del popolo cristiano dell'Umbria e ho deciso di risponderle in quanto pastore di una parte di questo popolo al quale recentemente il Card. Bagnasco ha raccomandato, dopo alcune eclatanti ed astrali promesse elettorali, di non farsi abbindolare.
Vedo che nella sua lettera lei parla in gran parte dei cosiddetti temi etici che lei riferisce unicamente ai luoghi comuni che tutti i politici in cerca di voti e consensi toccano quando si rivolgono ai cattolici: il fine vita, le unioni omosessuali, gli embrioni, l'aborto.
La ringrazio anche per la citazione dei vescovi spagnoli e per il suo impegno per la formazione culturale e politica improntata al rispetto di tutti i valori non negoziabili.
Ma rivolgendosi ai pastori del popolo cristiano lei dovrebbe ricordare che tra i valori non negoziabili nella vita, nella vita cristiana e soprattutto in politica entrano tutta una serie di comportamenti di vita, di etica pubblica e di testimonianza sui quali non mi sembra che il partito di cui lei fa parte né gli alleati che si è scelto siano pienamente consapevoli.
Sarebbe bello stendere un velo pietoso su tutto ciò che riguarda il capo del suo partito, sul quale non credo ci siano parole sufficienti per stigmatizzare i comportamenti, le esternazioni, le attitudini pruriginose, le cafonerie, le volgarità verbali che costituiscono tutto il panorama di disvalori che tutti i pastori del popolo cristiano cercano di indicare come immorali agli adulti cristiani e dai quali cercano di preservare le nuove generazioni.
Sarebbe bello ma i pastori non possono farlo perché lo spettacolo indecoroso del suo capo è stato anche una vera e propria modificazione dei valori di fondo della nostra società (come lei dice) operata anche grazie allo strapotere mediatico che ha realizzato una vera e propria rivoluzione (questa sì che gli è riuscita) secondo la quale oramai il relativismo morale, tanto condannato dalla Chiesa, è diventato realtà. Concordo con lei, su questo mediare significherebbe accettare.
Un'idea di vita irreale ha devastato le coscienze e i comportamenti dei nostri giovani che hanno smesso di sognare sogni nobili e si sono adagiati sugli sculettamenti delle veline, sui discorsi vacui nei pomeriggi televisivi, sui giochi idioti del fine pomeriggio e su una visione rampante e furbesca della politica fatta di igieniste dentali, di figli di boss nordisti, di pregiudicati che dobbiamo chiamare onorevoli.
Oltre a questo lei siederà nel Senato della Repubblica insieme a tutta una serie di personaggi che coltivano ideologie razziste, populiste, fasciste che sono assolutamente anti-cristiane, anti-evangeliche, anti-umane. Mi consenta di dirle francamente che il Vangelo che i pastori annunciano al popolo cristiano non ha nulla a che vedere con ideologie che contrappongono gli uomini in base alle razze, alle etnie, alle latitudini, ai soldi e, mi creda, mentre nel Vangelo non c'è una sola parola sulle unioni omosessuali, sul fine vita e sull'aborto: sulle discriminazioni, invece, sul rifiuto della violenza e su una visione degli altri come fratelli e non come nemici ci sono monumenti innalzati alla tolleranza, alla nonviolenza, all'accoglienza dello straniero, al rifiuto delle logiche della furbizia e del potere.
Mi dispiace, gentile senatrice, ma non riterrò di fare qualcosa né per lei, né per il suo partito, né per i vostri alleati, anzi. Se qualcosa farò anche in queste elezioni questo non sarà certo di suggerire alle pecorelle del mio gregge di votare per quelli che mi scrivono lettere esibendo presunte credenziali di cattolicità.
Mi sforzerò, come raccomanda il cardinale, di mettere in guardia tutti dal farsi abbindolare da certi ex-leoni diventati candidi agnelli. Se le posso dare un consiglio, desista da questa vecchia pratica democristiana di scrivere ai preti solo in campagna elettorale, e consigli il suo capo di seguire l'esempio fulgido del Papa. Sarebbe una vera opera di misericordia nei confronti del nostro popolo.

don Gianfranco Formenton

* * *

Perugia, 8 febbraio 2013

Gentile Parroco,
mi sono decisa a scrivere questa lettera ai pastori del popolo cristiano dell'Umbria perché, dopo cinque anni trascorsi in Senato, so con certezza che nei primi mesi della prossima legislatura dovranno essere affrontati in Parlamento parecchi argomenti che riguardano temi etici importanti e delicatissimi. Mi riferisco, tra le altre, alle disposizioni sul fine vita (chi non ricorda il caso Englaro), alla legge sul matrimonio per le coppie omosessuali, all'adozione di bambini nelle stesse coppie omosessuali, alle problematiche sull'uso degli embrioni, all'apertura all'aborto eugenetico (che, di fatto, si va già diffondendo).
In Parlamento, lo scorso anno, ho costituito, assieme ad altri colleghi, l'Associazione parlamentare per la Vita. Una Associazione che è stata un baluardo contro ogni attacco volto a modificare in senso negativo la nostra legislazione. Malgrado ciò recenti orientamenti dei giudici hanno intaccato lo stesso dettato costituzionale in tema di famiglia, di adozioni e di fine vita.
Immagino che sulla politica economica del mio partito non tutto possa essere pienamente condivisibile e che, magari, alcuni preferiscano soluzioni diverse da quelle che abbiamo proposto o che abbiamo in programma di fare. Sui temi etici però, a differenza di altri partiti, il PdL è stato sempre unito e coerente, perché composto da molti cattolici e da altri che si definiscono laici adulti, la cui formazione culturale e politica è in ogni caso improntata al rispetto di tutti i valori non negoziabili. Se di politica economica si può discutere (ma io ho sempre lottato per orientare al bene comune l'azione dello Stato), su queste tematiche non ci sarà possibilità di mediazione. Mediare significherebbe comunque accettare che, prima o poi, si compia un'escalation che ha come traguardo la modificazione dei valori di fondo della nostra società, da ultima, per usare la denuncia dei vescovi spagnoli, la separazione della sessualità dalla persona: non più maschio e femmina, ma il sesso sarebbe un dato anatomico senza rilevanza antropologica. È necessario che nel futuro Parlamento ci sia un numero di persone sufficienti a non far passare leggi contro la famiglia, l'uomo e la sua vita. Io mi sono impegnata e mi impegnerò in questo senso. Per questo chiedo anche il Suo sostegno e ringrazio per tutto quello che riterrà di fare. Devotamente saluto,

Ada Urbani
candidata PdL al senato


Nella foto in alto: Don Gianfranco Formenton.


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(18.2.13) PINUCCIO E ANTONIO CONDIVIDONO IN PARADISO LA GIOIA DI DIO (Don Gildo Albanese) - Carissimi amici di Galatro,
Ho incontrato oggi casualmente Michele Scozzarra che mi ha dato la
triste notizia della morte del caro Giuseppe Sorrentino.
Ho provato in quel momento lo stesso dolore interiore di quel 13 giugno u.s. per la morte di mio fratello Antonio. Erano tutti e due disabili ma per noi e le nostre famiglie erano il più grande tesoro! Ci hanno arricchito di sorriso, comunione, amicizia sincera; ci hanno insegnato a capire la vita come dono di sé; ci hanno insegnato veramente come si ama Dio e come si prega, perché per amarlo veramente bisogna avere il cuore puro come il loro.
Vorrei con questo mio messaggio arrivare ai familiari di Giuseppe per dire loro grazie per l'esemplarità e la testimonianza piena di dignità e di amore che hanno dato alla Comunità nel curare quotidianamente Giuseppe soprattutto con l'amore.
Adesso Giuseppe è in Paradiso, là incontra Antonio e insieme condivideranno per l'eternità la gioia di Dio. Questi due dolcissimi fratellini non sono più nostri, sono di Dio e sono per sempre la gioia dei nostri genitori che sulla terra li hanno amato di amore intenso. Oggi noi abbiamo bisogno di loro e della loro preghiera. Il pensarli e il saperli nella fede in Paradiso non allevia il nostro dolore; personalemte Antonio mi manca e quanto! Penso che la stessa esperienza la stanno vivendo i fratelli di Giuseppe. Facciamocci coraggio a vicenda nel nome del Signore.
Fraternamente
don Gildo


Antonio e Pinuccio

* * *

Riportiamo una breve riflessione di Michele Scozzara (ed una foto) in occasione della morte di Antonio Albanese:

Ho appena saputo della morte di Antonio, il fratello di don Gildo Albanese.
Antonio, per tutti gli anni in cui don Gildo è stato parroco a Galatro, è stato sempre presente in ogni manifestazione che si è svolta nel nostro paese… mi piace ricordarlo, visto l’entusiasmo che manifestava ogni volta che capitava di incontrarci, come una presenza che non è mai andata via da Galatro.
Che riposi in pace, nella gloria del nostro Dio che, accanto a don Gildo, ha sempre con-celebrato ogni mattina.
Michele Scozzarra


Antonio (primo in piedi a sinistra) con la classe della signora Trungadi

* * *

Resterai per sempre lo zio speciale...
Nicola


Pinuccio col nipote Nicola Sorrentino

Nella foto piccola in alto: Don Ermenegildo Albanese, già parroco a Galatro.

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(27.2.13) UN GRAZIE A DON GILDO NELLA GIOIA DI CRISTO RISORTO (Totò Sorrentino) - Carissimo Don Ermenegildo Albanese,
dopo aver ringraziato il Parroco Don Giuseppe per le sue belle parole durante la celebrazione eucaristica funebre di
mio fratello Pino, e dopo aver ringraziato assieme ai miei fratelli e sorelle ciascun cristiano che ha partecipato al nostro lutto, mi commuovo leggendo la vostra lettera.
Dico anche a voi, Don Gildo, grazie nella gioia di Cristo risorto.
Totò Sorrentino


Antonio e Pinuccio

* * *


Pinuccio col nipote Nicola


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(1.3.13) SULL'AGGRESSIONE A DON COSIMO (Pasquale Cannatà) - Mi associo con forza a quanti hanno espresso il loro sdegno per l’aggressione subita da don Cosimo, anche se mi sfugge il perché per la denuncia si sia rivolto ai carabinieri di Galatro invece che a quelli di Taurianova cui credo spettasse la competenza: forse, anche se non ha riconosciuto bene il suo aggressore, ha avuto il sospetto che si trattasse di un nostro concittadino?
Il redattore dell’articolo ipotizza poi che l’aggressore abbia agito “in modo avventato perché spinto dalla disperazione” in quanto don Cosimo aveva chiesto offerte maggiori durante le messe e “avrebbe successivamente stilato un prezzario per le principali funzioni religiose”.
Vorrei ricordare a tutti i denigratori della Chiesa, che mettono in risalto i pochi (in percentuale) casi in cui alcuni pastori si comportano come tanti Giuda e tradiscono lo spirito del Vangelo, e non pensano alle numerosissime opere di carità e di accoglienza che esistono in tutto il mondo per merito di eroici seguaci di Gesù Cristo, che le offerte per qualsiasi funzione religiosa sono libere e non obbligatorie, che non bisogna “farsi prendere dalla disperazione” se non si hanno i soldi per fare un’offerta, e non credo che don Cosimo avrebbe preteso il benché minimo obolo da una famiglia bisognosa.
Se una famiglia fa officiare il rito funebre per un parente defunto, ingaggiando una banda per la musica sacra da suonare nel tragitto fino al cimitero, un carro trainato da chissà quanti cavalli, fiori a profusione e chissà cos’altro, il sacerdote potrebbe a ragione aspettarsi anche una buona offerta per le necessità della parrocchia, ma senz’altro non pretenderà un euro per un semplice funerale di un riconosciuto povero della sua parrocchia: nel mezzo ci stanno le offerte, non per lui, ma per le necessità della parrocchia, modulate a seconda delle possibilità e della generosità di ognuno.
Stesso discorso per i matrimoni: riporto quanto letto nell’articolo che la rivista pubblicava ieri forse non a caso a ruota di quello sull’aggressione a don Cosimo. Oggi la rubrica “la lanterna di Diogene” si ferma non so perché all’articolo precedente a quello da me letto, ma ecco quanto in esso c’era scritto:
«Siamo in una Chiesa, in una città (indefinita per convenzione), dentro la sagrestia, una coppia di futuri sposi: lui impiegato, lei studentessa universitaria, "Padre – inizia lui - ci piacerebbe sposarci in questa Chiesa il (...)", Ed il buono e misericordioso (?) padre (stavolta con la lettera minuscola) risponde: "Va bene, la data è libera, però (c'è sempre un però in questi casi e quel però è...), l'offerta volontaria è di 1.000 euro". Questo, quanto è accaduto ad una coppia di sposi che sogna il fatidico "Sì" del per tutta la vita (mera e crudele illusione), dialogando con un signore (rigorosamente con la lettera minuscola), tutto profumato e vestito con un paio di jeans a vita bassa (marca Hugo Boss), scarpe a punta in pelle martellata (marca Paciotti), asserendo di essere un prete (sempre in minuscolo) che gli espone un prezzario di "prestazioni d'opera" ecclesiastiche. Al Nord (in provincia di Bergamo) per una cresima il parroco ha chiesto per l'addobbo floreale 100 euro a testa a circa 35 famiglie, e nel giorno della funzione conti alla mano c'erano tre piante grasse e una decina di calle (dopo la celebrazione un furgone di una ditta floreale dopo la fine della funzione se è portato via tutto). Quindi, facciamo due conti: cento euro per trentacinque fanno 3.500 euro: alla faccia dell'addobbo.»
I due casi (se veri, ma ho i miei dubbi vista la precisione con cui vengono citate le firme dell’abbigliamento del sacerdote) rientrano nella percentuale (almeno1/12 come per gli apostoli, rapporto traditore/fedeli) degli immancabili giuda, ma se ci si può aspettare una buona offerta per la parrocchia da chi si sposa con un abito da migliaia di euro, fa ricevimenti presidenziali e viaggio di nozze alle Maldive, sono sicuro che ogni parroco offrirebbe gratis non solo la funzione religiosa, ma anche le sale del patronato per un rinfresco ad una coppia di innamorati che vuole intraprendere una vita coniugale benedetta da Dio.
Sposarsi non costa niente, quello che costa è il volersi mostrare con tutte le apparenze che la tradizione quasi impone: se quelli che vanno a convivere perché il matrimonio costa migliaia di euro avessero un briciolo di fede, potrebbero farlo tranquillamente dopo aver partecipato ad una semplice messa durante la quale il sacerdote dovrebbe solo aggiungere le parole e la benedizione richieste per celebrare il Sacramento del matrimonio. Il tutto gratis et amore Dei.
Neanche il funerale costa, così come Battesimo e Cresima: ma se si spendono tanti soldi per vestiti, regali e ricevimenti in bei ristoranti, sarà l’offerta (libera!!!) al parroco a sconvolgere le finanze di quelle famiglie?
Per fortuna l’articolista chiude con questa nota:
“Una volta un teologo progressista affermò queste testuali parole, "La Chiesa sta divenendo per molti l'ostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che l'ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo", quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.”
Pensava di dare il colpo di grazia alla Chiesa, non accorgendosi invece di avvalorare il fatto che essa pur essendo composta da uomini peccatori, anche nei momenti più bui è sempre capace di far sorgere nel suo seno persone capaci di riformarla riportandola sulla giusta via. Ecco cosa scrive Antonio Socci sul suo sito:
«Ratzinger fin da cardinale continuava ad affermare che la Chiesa è “semper reformanda” (deve essere sempre rinnovata), ma sottolineando che è sempre stata rinnovata non dai riformatori (che hanno fatto disastri), ma dai santi.
I media non lo capiscono. Se fossero esistiti – per esempio – nel XVI secolo, tv, internet e giornali avrebbero raccontato solo trame, corruttele, nepotismi, prostitute e altre cose simili. E avrebbero diagnosticato che la Chiesa stava morendo. Intervistando ogni giorno Lutero.
In effetti nessuna istituzione umana sarebbe mai sopravvissuta a tanta “sporcizia”.
Invece la Chiesa uscì da quel secolo con una rinnovata giovinezza, con uno slancio e una bellezza travolgente e attraversa i secoli. Perché non è una istituzione umana, ma letteralmente una “cosa dell’altro mondo”.
Per capirlo i media nel XVI secolo avrebbero dovuto spostare i riflettori su una quantità immensa di santi che, proprio in quegli anni, il Signore fece sgorgare nel giardino della sua Chiesa.»


Nelle foto, dall'alto in basso: Pasquale Cannatà, Don Cosimo Furfaro, La chiesa di San Giuseppe a Taurianova.

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(10.3.13) IL MOVIMENTO DI GRILLO E IL VOTO DI PANCIA (Domenico Distilo) - La vocazione italiana al laboratorio politico ha prodotto, dopo il fascismo e il berlusconismo, un altro monstrum, il Movimento 5 stelle, sotto la guida di un capo visibile, il comico (o ex comico) Beppe Grillo e di uno invisibile (o quasi), tal Roberto Casaleggio, guru (cioè stregone, mago, in buona sostanza manipolatore) della comunicazione.
L’emme cinque esse è appunto un movimento e, a quel che se ne sa, è assolutamente determinato a restare tale, conservando la “leggerezza” propria dei movimenti e bloccando la naturale metamorfosi in un organismo strutturato, “pesante”, quale non può non essere un partito organizzato secondo regole, norme, statuti, organigrammi.
Quasi tutti gli osservatori colgono la peculiarità di M5S nel fatto che sia nato nella rete dei social network. Indubbiamente si tratta di una peculiarità, ma non decisiva né essenziale. E’ solo l’inevitabile conseguenza, come per ogni nascita, della particolare congiuntura temporale in cui è avvenuta. Poiché la quasi totalità dei suoi adepti sta sulla rete (nel senso che vi trascorre la maggior parte del tempo), che è il luogo, pressoché esclusivo, della socializzazione giovanile, è stato inevitabile che nascesse in rete, così come per il movimento del '68 la culla non potevano essere altro che l’università e la piazza. E’ sbagliato, quindi, spiegare il fenomeno M5S con l’esistenza della rete, tanto quanto lo sarebbe attribuire alle piazze e alle strade i movimenti politici del Novecento. Non è stata la stazione di Pietrogrado a creare Lenin, ma Lenin ad usarla per esporre le sue Tesi d’aprile non appena rimesso piede in Russia.
Piuttosto, vanno studiate le dinamiche interne al movimento e l’interazione tra queste e contenuti che appaiono, allo stato, estremamente frammentari e confusi, per di più costituiti da una pars destruens assolutamente preponderante, sproporzionata rispetto ad un’idea generale della società in grado di ispirare e guidare l’azione politica (la pars construens). Quel che risalta in questi concitati giorni post voto è il rifiuto dei vertici a stipulare qualsiasi alleanza e a dare la fiducia a qualsiasi governo. La cosa si spiega: l’istituzione parlamentare, di per sé, esige una conversione o perlomeno un’attenuazione della forma movimentista, giacché con la costituzione (inevitabile) dei gruppi parlamentari il movimento sarà costretto a darsi una struttura, rinunciando allo (pseudo) spontaneismo che ne è stato finora il principale connotato. E’ per questo che i due capi, per la loro scelta di non candidarsi rimasti esterni ai gruppi parlamentari, stanno cercando di correre ai ripari preservando ad ogni costo la forma movimentista. Vedremo nei prossimi giorni se si produrrà una qualche divaricazione tra gli eletti e i loro mentori. Quel che è certo è che non s’è mai vista, da nessuna parte, una democrazia senza partiti tradizionali, cioè strutturati, “pesanti”. Si può immaginare di riformarli, rinnovandone la classe dirigente, ma fuori della democrazia dei partiti c’è solo il caos, sempre suscettibile di mettere capo a forme autoritarie e/o dittatoriali.
Se M5S non evolverà in partito organicamente strutturato si possono, allora, prendere in considerazione le possibili alternative: la prima è che imploda, essendo difficilissimo conservare dentro le istituzioni la dimensione movimentista; la seconda che approfitti della crisi dei partiti – peraltro riflesso della crisi generale della società - e proietti all’esterno, nella politica nel suo complesso, il modello autoritario-carismatico che lo accompagna da sempre.
Quest’ultima sarebbe la cosa peggiore: vorrebbe dire che il sistema politico italiano non è riformabile dai partiti, con la conseguenza, ovvia, della moltiplicazione dei rischi per la democrazia.
Non c’è infatti solo l’anomalia rappresentata da M5S. La destra dello schieramento politico è ancora berlusconiana, in quanto tale priva di senso morale, ottusa e tetragona rispetto a qualsiasi evocazione dell’interesse generale e perciò inservibile per qualsiasi disegno di riforma delle istituzioni e della politica che non sia, per dirla à la Cordero, pro divo Berlusco. In questo contesto, con due forze estremiste di fatto maggioritarie nel nuovo parlamento, un governo di solidarietà nazionale, anche nella forma edulcorata della “non sfiducia”, è un miraggio, una sorta di araba fenice che, come si sa, esiste solo perché “ognun lo dice”, ma “dove sia nessun lo sa”.
Lo spettro del caos totale, di un nuovo e diverso otto settembre, con la crisi politica che si avvita su quella economica, non è mai apparso così vicino. Almeno serva, questa volta, ad insegnare ad un popolo di memoria cortissima che l’uso della pancia al posto del cervello non può provocare altro che immani disastri.

Nella foto: Gianroberto Casaleggio, il "guru".


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(12.3.13) ANNO DELLA FEDE: RIFLESSIONE ED ESPERIENZA PER UNA FEDE PRESENTE E INCONTRABILE (Giuseppe Romeo) - Gli anni trascorsi vicino a Don Cosimo Furfaro, parroco di Galatro, e quest’ultimo tempo di fraterna amicizia con Don Giuseppe Calimera, subentrato a Don Cosimo, mi hanno spinto ad una riflessione fraterna da cristiano e per i cristiani. Mi sono domandato: perché mai, spesso, noi cristiani ci comportiamo in modo strano ed assumiamo delle posizioni assurde o addirittura, incomprensibili?
Se testimoniare la fede è il compito della nostra vita, significa che siamo stati scelti per questo compito, altrimenti viviamo nel nulla. I giudizi avventati che spesso esterniamo senza mettere noi stessi in discussione pompano una esasperazione, spesso premeditata, dimenticando che, in particolare nella Chiesa, non vi può essere un dopo senza il prima e l’uno e l’altro vivono in armonia. Così come non si può dire era meglio prima, se, addirittura, il prima era già stato mortificato all’albore della sua comparsa e senza averlo vissuto nella sua totalità.
Il compito di noi cristiani è di obbedire e seguire l’Autorità, anche se costa dei sacrifici, in quanto non siamo cristiani per fare il favore o la cortesia a qualcuno, siamo cristiani perché l’incontro con Cristo ha sconvolto il nostro cuore, tutta la nostra vita. Per questo stupore del cuore, dobbiamo con sacrificio vivere l’Incontro per essere testimoni di fede e, vivendo da cristiani, gli altri si accorgono della nostra diversità. Perché una fede senza la vita si perde, come una vita senza la fede.
Essere testimoni significa riconoscere che Gesù Cristo è la salvezza presente nella storia dell’esistenza di ogni uomo. Affermare che Cristo è la salvezza significa delineare la strada giusta. Questo che ho detto non è un flusso di ragionamenti ma conseguenza dell’esperienza dell’Incontro vissuto in prima persona nella Chiesa. Incontro significa, secondo quanto affermato dal Papa Emerito Benedetto XVI, l’imbattersi con una Persona, con un Fatto accaduto nella storia e così essere richiamati a una vita diversa, più vera. Questo incontro ci provoca, e quando ci sentiamo provocati sentiamo messa in gioco la totalità della nostra vita.
Se non è così, se non si tratta della totalità, non si tratta ancora della scoperta della fede ma, semplicemente, di una conoscenza pratica di forme religiose e di conseguenza ciascuno di noi agisce secondo i propri pensieri o i propri comodi. Vincerà la premeditazione, la prevaricazione e l’orgoglio in funzione alle nostre esigenze.
E’, quindi, la compagnia della Chiesa che con certezza ci fa dire e sperimentare che il Cristianesimo non è una religione, ma una vita.

Nella foto: Giuseppe Romeo.


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(14.3.13) LAUDATO SII, O MIO SIGNORE, PER PAPA FRANCESCO (Michele Scozzarra) - Lo Spirito Santo deve avere soffiato veramente forte nella Cappella Sistina ieri, siamo sicuri che questo Papa ci sbalordirà, la Sua umiltà ha conquistato subito, anche i frati di Assisi esultano: "Laudato sii, mio Signore per il fratello Papa, per il nuovo padre e pastore che scegliendo il nome di Francesco, ancora oggi, addita la via dell’umiltà e della semplicità evangelica".
L’elezione del Cardinale Jorge Mario Bergoglio, che ha scelto di chiamarsi “Francesco”, ha travolto ogni aspettativa, offrendo alla Chiesa e al mondo un uomo che non solo continua, ma dilata le speranze suscitate quel 16 ottobre 1978 all’apparire, dal balcone di San Pietro, di Giovanni Paolo II. Sono stati colti di sorpresa quelli che avevano affidato a complicate congetture il pronostico sul successore di Benedetto XVI, ma nessuna sorpresa per il popolo cristiano che ha accolto con gioia e gratitudine il ripetersi di un dono che il Signore ha spesso riservato alla sua Chiesa, in momenti drammatici per la fede e per la civiltà: quello di darle come Pastore un uomo dotato delle qualità umane e cristiane più essenziali, la semplicità del cuore e la dirittura dell’animo.
Più che la rapidità dell’elezione, colpisce la chiarezza dell’indicazione contenuta in questa scelta che travalica ogni argomento di umana ragionevolezza e smentisce ogni calcolo di astuzia politica. Papa Francesco è un uomo del popolo, appartiene alla razza degli umili, è figlio di povera gente (italiani che sono emigrati in Argentina a metà del 1800), ne ha nel sangue il dolore e la pazienza, il coraggio e la fede.
Questa scelta, insieme al nome “Francesco” è già un programma di pontificato, non quello definito dalle alchimie delle posizioni e delle opzioni, ma quello suggerito da un’inequivocabile indicazione dello Spirito Santo, che ha voluto dare al Popolo di Dio, come Padre e Pastore, un uomo del popolo, che sia per il popolo Padre e Pastore, in un momento in cui il popolo è come orfano e smarrito.
Papa Francesco è la sorpresa per una scelta di libertà: non solo perché questo Papa appartiene al “nuovo mondo”, ma più ancora perché i cardinali elettori hanno dimostrato di non tenere in nessun conto le divisioni del mondo. E’ la sorpresa per una scelta di chiarezza: la certezza della fede, la forza della speranza e la testimonianza della carità, che hanno avuto la meglio sui compromessi di un clericalismo curiale non attento e partecipe alla vita della comunità nella quale vive il popolo di Dio. E’, infine, la sorpresa per una rinnovata scelta di fede: nessuna considerazione di potere, di sacre alleanze o di ambigue complicità, ma la risposta all’esigenza di una guida sicura, che non impone la sua “autorità”, ma è seguita per la sua “autorevolezza” perché amica del popolo che il Signore gli ha affidato, nel cammino di riscoperta della dimensione più umana e più vera.
Agli occhi della fede questa scelta ha del prodigioso e questo si può ben vedere sin dalle prime parole di Papa Francesco: «Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.»
Poi il Papa ha recitato il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre con i fedeli presenti in Piazza San Pietro ed ha proseguito: «E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.»
Papa Francesco ha quindi dato la sua benedizione Urbi et Orbi a tutti i fedeli presenti. Poi ha concluso: “Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!”.
Da parte nostra possiamo ben rispondere: “Buonasera a te, Francesco. Grazie per avere accettato di essere il vescovo di Roma, la prima fra le Chiese. Grazie per avere chinato il capo e chiesto la benedizione di Dio attraverso la nostra preghiera. Grazie per essere venuto dalla fine del mondo per evitarci la fine del mondo ed aprirci alla conversione. E grazie allo Spirito per averci preso così troppo sul serio. Adesso camminiamo insieme, come hai detto”.
Il compito è arduo, perché sulle spalle di papa Francesco vi è il peso della Chiesa universale ed in ogni parte del mondo il popolo di Dio anela a ricomporre la propria amicizia, la propria unità, la propria affezione ad una guida sicura, un pastore, un padre, un amico.
Per questo, oggi, tutto il mondo esulta di una gioia santa: “Ad multos annos”, papa Francesco…


Nelle foto, dall'alto in basso: Papa Francesco saluta dalla loggia della Basilica di S. Pietro; nella metropolitana quando era ancora cardinale di Buenos Aires; in preghiera davanti alla Madonna.


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(20.3.13) UN PAPA CHE PROMETTE BENE (Pasquale Cannatà) - "Voglio una Chiesa povera e per i poveri" ha detto Papa Francesco: come non condividere?
Leggo quindi un commento di Antonio Gallo: “Va bene. Ma poi chi aiuta i poveri ?”. Si può non condividere anche questa riflessione?
Per dare a tutti una fetta di torta, bisogna che ci sia una torta; per distribuire la ricchezza, bisogna che si produca ricchezza, altrimenti si distribuiscono stracci e pane ammuffito! Voler distribuire senza produrre è come quel cittadino della Valle d’Aosta che non vuole la TAV, ma poi usa il treno ad alta velocità nelle tratte in cui è stato realizzato per andare a Roma nel più breve tempo possibile.
Il vero problema è come sempre nel non esagerare, nella giusta misura da usare: la Chiesa non produce direttamente ricchezza, ma distribuisce ai poveri quanto raccoglie dalle offerte dei fedeli. Possiede anche beni immobili dovuti a secoli di lasciti e tesori di opere d’arte: è innegabile che ci siano molti eccessi e patrimoni che si potranno vendere, ma sarà necessario tenere quanto serve per tutti i servizi che necessitano per l’organizzazione umana indispensabile se si vuole annunciare il Vangelo a tutto il mondo e sostenere le missioni che danno anche un sostegno materiale alle popolazioni dei paesi più poveri. Sono sicuro che il Papa non intende indirizzare la Chiesa verso un pauperismo straccione che non avendo niente non può dare niente, ma che farà dismettere tutto quello che non sarà necessario e funzionale ai fini di una nuova e più efficace evangelizzazione.
Leggevo l’altro ieri un articolo in cui si diceva che un popolo disprezza i suoi politici quando non rinunciano ai loro privilegi nel momento in cui chiedono sacrifici agli altri cittadini, ma allo stesso tempo non si sentirebbe rappresentato da quelle istituzioni che in tempi normali non lo facesse vedere agli occhi del mondo con la dovuta dignità anche esteriore di cui si sente avere diritto: le ostentazioni fanno rabbia e vanno cancellate, ma la miseria va combattuta, non cercata come obiettivo di una vita.
Walter Veltroni scrive su “Corriere.it” che “Papa Francesco sembra dire alla Chiesa di rimettersi in cammino ritrovando i suoi sentieri naturali, che non sono i tappeti rossi, ma la ricerca, nei viottoli del mondo, dell'altro da sé… il volto che «parla» della Chiesa è quello che hanno i missionari che si occupano dei poveri, quello che le suore mostrano ai bambini delle zone più disagiate del mondo. La Chiesa deve essere luogo di «misericordia» e di «solidarietà»”.
Come non condividere, anche se esaltare la semplicità ed il calore umano di Francesco sembra quasi un’accusa all’apparente freddezza e distacco di Benedetto XVI dalla gente: ma senza papi teologi ed altri religiosi che si dedichino allo studio, chi contrasterebbe le teorie materialiste che tentano di eliminare le religioni, con particolare accanimento verso la Chiesa cattolica?
La verità sta nel motto di San Benedetto, quel “ora et labora” rivolto a tutti i seguaci di Cristo, che partendo dalla constatazione che noi uomini siamo corpo e spirito ci invitava a coltivarli entrambi: bisogna nutrire ed allenare lo spirito perché sia capace di controbattere agli attacchi degli intellettuali materialisti, come nutriremmo ed alleneremmo il corpo per combattere un avversario che ci volesse far del male. Questo vale sia a livello individuale (mens sana in corpore sano) che a livello di gruppi di persone (c’è bisogno di missionari e di contemplativi/studiosi; di operatori di carità e costruttori di dighe teologiche contro le piene materialiste che vorrebbero travolgere la casa della fede).
Lo Spirito Santo che governa la Chiesa ci dà di volta in volta dei Papi come Benedetto o come Giovanni Paolo I e II, a seconda delle necessità che Lui vede, ed ora ci regala Papa Francesco, che ha ricordato che senza la fede le opere di carità citate da Veltroni ridurrebbero la Chiesa ad una semplice onlus: è il posto in cui i non credenti vorrebbero relegare la Chiesa che fa comodo per le opere di carità ma disturba con la sua pretesa spirituale che ostacola alcune “conquiste civili”.
E’ il famoso accettare l’umanità di Cristo e rifiutare la sua identità con Dio padre.
Quante verità in pochi giorni di governo!
Promette bene (e non potrebbe essere diversamente!).

Nella foto: Papa Francesco I.


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(25.3.13) PROBLEMA DIGA SUL METRAMO... NON SOLO SICUREZZA! (Michele Scozzarra) - Nelle scorse settimane è rimbalzata la notizia, ampiamente documentata anche su Galatro Terme News, che l’invaso della diga sul fiume Metramo è attualmente al massimo livello di riempimento e, data la situazione di possibile pericolo, visto il mancato collaudo e l’assenza di adeguati sistemi di sorveglianza, il Sindaco di Galatro Carmelo Panetta, ha indetto una riunione operativa, che si è tenuta nel Municipio di Galatro con il Consorzio di Bonifica, la Ragione Calabria, il Prefetto, ecc.
Non sappiamo gli sviluppi di questa riunione, tenuta il 12 marzo, anche se, pare, che è stata fissata un’altra riunione per la prima settimana del mese prossimo. Il Sindaco di Galatro, senza mezzi termini, nella sua lettera di convocazione per l’incontro, da atto che “ … visto lo stato di piena dell’invaso e quantunque i diversi Enti, a ciò preposti, hanno confermato la volontà di procedere al suo collaudo, ancora oggi non vi è documentazione in proposito, tale da rassicurare circa la sicurezza dell’opera… e dato atto che non vi sono sistemi di sorveglianza (e se esistono, il Comune di Galatro non ne è a conoscenza) atti a segnalare eventuali deficienze della struttura… per questo ha indetto la riunione operativa onde discutere e dare concreta attuazione agli adempimenti normativi in merito”.
Domande legittime che non possono rimanere senza risposta ma, senza voler eludere le preoccupazioni espresse dal Sindaco, legittime e sacrosante, ritengo opportuno tracciare, a brevi linee, un “profilo” della diga sul Metramo, sulla problematica tecnica che è scaturita dalla realizzazione di quest’opera, tanto impegnativa per le soluzioni tecniche e metodologiche adottate, alcune delle quali applicate, per la prima volta in Italia nelle strutture di dighe in materiali sciolti, perché ritengo che non tutti sono a conoscenza di questo, e sapere tecnicamente “che cos’è questa entità astratta chiamata diga”, forse contribuirà ad allontanare tanti argomenti, il più delle volte fatti “senza cognizione di causa”.
Nel luglio del 1985, organizzato dal Consorzio di Bonifica della Piana di Rosarno e dalla FELOVI (l’impresa appaltatrice dei lavori della diga), si è svolto presso i cantieri della diga il “Congresso Mondiale delle Grandi Dighe”, al quale hanno preso parte tecnici venuti apposta da tutte le parti del mondo.
Penso non sia inutile riportare, sommariamente, quello che in questa circostanza è stato detto sulla Diga (che a mia firma è apparso in un ampio servizio pubblicato il 5 luglio 1985 sul quotidiano Oggisud), come contributo a capire il senso di quanto contiene l’espressione, divenuta ormai usuale, che “dormiamo con trenta milioni di mc d’acqua sulla testa”:


«Il tema della creazione di un serbatoio sul fiume Metramo, ha formato oggetto di studi, da parte della Cassa per il Mezzogiorno e del Consorzio di Bonifica della Piana di Rosarno, risalenti a molti anni addietro: con essi, si tendeva alla formazione di adeguate riserve di acqua da assegnare al servizio delle vaste superfici di collina e pianura del Comprensorio, che aveva in programma di destinare all’irrigazione. Gli studi ebbero a concretizzarsi con la presentazione, nell’ottobre 1962, di un progetto di massima, a firma del dott. Ing. De Rogatis, sotto la guida dell’ing. Augusto Borrelli. Il progetto di massima venne quindi concepito essenzialmente per poter derivare l’acqua a scopo irriguo durante la stagione estiva, invasando i serbatoi durante il periodo invernale. Dopo approfonditi studi, portati, avanti con competenza e tenacia, e anche con passione, dai tecnici della Cassa per il Mezzogiorno, si è pervenuti, nel 1981, alla fase di realizzazione dello schema idrico avviando, per prima la costruzione della diga sul fiume Metramo...
Il Consorzio di Bonifica, costituito sin dal 1939, opera su un comprensorio di circa 87 mila ettari ricadenti nella fascia tirrenica della provincia di Reggio Calabria. Assume rilevante importanza l’opera sul Metramo. Difatti, finito il sogno delle ciminiere nelle pianure calabresi e costatato che la grande industria tarda a venire, l’unico settore, oltre a quello turistico, che può determinare occupazione e reddito è certamente quello agricolo, unitamente all’industria di trasformazione dei prodotti stessi. Non vi è dubbio quindi che quest’opera, che consentirà l’utilizzazione di tanti milioni di metri cubi d’acqua, rendendo irrigue vaste zone di territorio, rappresenta uno dei punti basilari del processo di evoluzione...
La diga è impostata in corrispondenza della stretta della Castagnara. L’andamento piuttosto irregolare delle sponde ha suggerito la scelta di un’asse longitudinale mistilineo: questo determina una lieve concavità verso monte della struttura, nella zona di maggiore altezza, ed una modesta flessione verso la sommità dell’imposta sinistra. Ne risulta uno sviluppo complessivo del coronamento di 596 metri. Le caratteristiche geotecniche variabili nei terreni di fondazione, l’alta sismicità della zona e le irregolari morfologie delle sponde hanno fatto escludere la costruzione di una struttura di tipo rigido. È stata perciò studiata una diga di tipo misto; terra-rockfill, particolarmente concepita in rapporto all’elevata sismicità della zona delle opere. La tenuta della diga in fondazione è realizzata mediante un articolato sistema di iniezioni lanciate in profondità, a partite dalla base de! nucleo. Una parte dell’intervento assicura l’impermeabilizzazione del terreno nelle zone più prossime all’imposta del nucleo. La strumentazione adottata consente i tradizionali controlli in corpo diga, sia durante la fase esecutiva che nel corso dell’esercizio e, data la sismicità della zona, il rilevamento di movimenti tellurici principali e indotti. A completamento di questa strumentazione si è prevista una fitta rete di punti di riferimento topografico e una serie di piezometri opportunamente disposti sia in fondazioni che fuori dall’impronta della diga…
I lavori sono stati consegnati ufficialmente l’8 giugno 1981 e lo svolgimento di essi era distinto in due fasi diverse: la prima della durata di circa 2 anni, durante la quale sono state effettuate alcune ulteriori indagini a conferma delle previsioni progettuali; la seconda, dopo l’esito positivo delle indagini supplementari, ha visto l’inizio di tutte le opere connesse alla realizzazione della diga. La natura dei terreni e la presenza di abbondanti acque hanno reso particolarmente difficoltoso l’avanzamento dello scavo per il verificarsi di rilasci di fornelli, ed hanno imposto l’adozione di interventi speciali quali infilaggi espansi in calotta e trattamenti di consolidamenti preventivi. Ciò malgrado l’avanzamento è stato accompagnato da notevolissime difficoltà con soste forzate, che hanno comportato un notevole slittamento dei tempi di esecuzione dell’opera...


Il progetto speciale “Schemi idrici della Calabria” che interessa tutto il territorio della Regione Calabria, è stato istituito per dotare il territorio calabrese della infrastruttura idraulica necessaria per distribuire le risorse idriche in modo ottimale ai vari settori idroesigenti (Irriguo, Potabile, Industriale). Le opere vitali degli schemi idrici sono gli invasi che accumulano in posizioni strategiche le abbondanti acque invernali e le lasciano nei periodi di richiesta - all’80 per cento nel periodo estivo nel quale a fronte di una richiesta di punta di 120 mc al secondo le disponibilità globali di tutta la regione oscillano tra minimi di 30 mc sec. a medie di 50 mc sec. La diga sul Metramo è inquadrata nello schema idrico intersettoriale della Piana di Gioia Tauro-Rosarno, (sottosistema tirrenico Meridionale) nell’ambito del sistema idrico meridionale. Esso rappresenta il fulcro più importante dell’alimentazione idrica essendo posto in posizione strategica a quota 800 m.s.m. …


Come materiali per la confezione del nucleo impermeabile della diga del Metramo è stata prevista l’utilizzazione di un complesso di terreni a grana prevalentemente sabbioso-limosa costituenti una copertura di depositi continentali sovrapposta alle rocce del basamento cristallino calabro. Si è inoltre costatato che la scopertura del materiale, e quindi la sua scopertura all’area, determinava una sensibile riduzione dell’umidità solo nella porzione corticale. Si è reso necessario asciugare la dovuta riduzione di contenuto d’acqua tramite prosciugamento in forno del materiale….»


A questo punto resta solo da dire che, a distanza di vent’anni dal suo completamento, la diga ancora non funziona. L’unica considerazione che si può fare è che l’invaso, capace di contenere 30 milioni di metri cubi di acqua, fino a quando è rimasto vuoto (alla stregua di una vasca priva di accesso e quindi inutilizzabile), ben pochi hanno alzato la voce, se non per denunciare la creazione di un altro inutile monumento allo sperpero, con le conseguenti attenzioni della Magistratura.
Oggi il problema è diverso, al di là delle destinazioni d’uso (irriguo, potabile, industriale) finalizzate allo sfruttamento della diga una volta riempita, resta aperto, e non può rimanere senza risposta il “problema così delicato ed importante per la sicurezza dei cittadini” invocato dal Sindaco di Galatro nella sua lettera dove ha coinvolto tutti gli Enti preposti alla sicurezza e sorveglianza della diga…
In una precedente occasione, proprio nell’aula del Consiglio Comunale, il Sindaco Panetta ha affermato che “più volte ha scritto agli Enti preposti per smuovere le acque, quando l’acqua ha raggiunto il massimo livello, ma non sono mai venuto a capo di nulla, nonostante la denuncia che in una eventuale emergenza, l’Amministrazione non è in grado allestire un eventuale piano di evacuazione e gli argini non sono in grado di reggere a una eventuale emergenza… Qualcuno deve farsi carico del problema, perché il problema esiste e, considerato che la diga così come è adesso non serve a nessuno e gestirla in questi termini rappresenta solo un pericolo che non ci porta nessuna utilità… il nostro progetto è riuscire a far mettere d’accordo i vari soggetti interessati per un progetto di sviluppo per la diga… bisogna trovare un progetto per usare la diga… Renderla sicura e utile… altrimenti svuotiamola!"
Queste domande e considerazioni non possono rimanere senza risposta. La capacità, e possibilità di risposta a queste domande renderà credibile un progetto di sviluppo che, allo stato, non solo non è in grado di dare risposte adeguatamente confacenti alle modalità di utilizzo di un serbatoio di tanti milioni di metri cubi d’acqua… ma, ancora peggio, non potrà mai rendere credibile un progetto che non esiste!

Nelle foto, dall'alto in basso: invaso della diga pieno con lo sfioratore a calice quasi sommerso; panorama dell'invaso nella stessa situazione; lo sfioratore a calice con la diga vuota; due disegni illustrativi delle caratteristiche della diga sul Metramo.

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(30.3.13) LA PASQUA CI DICE CHE IL SEPOLCRO E' VUOTO... CRISTO E' RISORTO! (Michele Scozzarra) - La Via Crucis è terminata, scendiamo di passo svelto dal Calvario fino al paese. Qui come altrove, chissà quanta gente, indifferente, ci ha visto passare ed è rimasta in casa come se niente fosse, come qualcosa che non la riguardasse.
Chissà se sarà stato così anche “quella” sera di Gerusalemme. "Hai saputo? Hanno crocefisso quel Rabbi, quello che faceva miracoli… Ah, davvero? Senti, parliamo di cose più importanti, chissà dove posso trovare qualcosa da portare a casa per mangiare".
Allora come oggi, sono un pugno di persone coloro ai quali importa la vita di quello “Sconosciuto”… allora come oggi, la vita va avanti, nell'assenza di ciò che “vale”, di ciò che dovremmo avere di “più caro”… allora come oggi, la vita va avanti fino alla morte che sempre arriva inattesa e inevitabile… con la sensazione di non avere mai “vissuto!”.
Già, inventiamo scuse per non vedere Gesù sotto il peso della Croce… perché altrimenti dovremmo incominciare anche a vedere i “nuovi poveri” che ci circondano oggi, che non sono solo, o soltanto, quelli che non hanno i soldi e non possono permettersi degli stili di vita da ricchi; dovremmo modificare, e di molto anche, la nostra visione sulle persone che, per un motivo o per un altro, abbiamo accanto, dovremmo modificare anche le nostre parziali, egoistiche e limitate valutazioni su tutto ciò che ci sta intorno.
Invecchiati a causa di un tenore di vita ricco, quanto disumano, dovremmo abbattere le barriere della miseria morale in cui sono sommerse le vite di tanti di noi, e scoprire le potenzialità umane, tenute celate per pigrizia, grettezza, cattiveria… dovremmo assumere a metro di paragone per la nostra vita, la grandezza di un Dio che si rivela a noi nel volto sfinito di suo figlio caduto a terra sotto il peso della Croce.
Abbiamo visto, durante la Via Crucis, tante persone in disparte, quasi senza accorgersi di ciò che stava accadendo; c'era chi oziava nei bar, o nei soliti punti di riunione, magari discutendo del tempo che sta cambiando, augurandosi di non avere rovinato il “giorno di pasquetta”; tanti negozianti sono stati dietro il banco, come sempre.
Qualcuno ha dato una lieve sbirciata dalla finestra, altri sono rimasti in casa indifferenti a tutto: è il giorno della morte, eppure la morte, sarà sconfitta; la morte sarà sconfitta, anche se nessuno l'ha capito, o non gli importa, o non ci crede. La morte sarà sconfitta dal Risorto… vana sarebbe la nostra fede se non fosse così!
Ma già è sera quando la Via Crucis finisce, e poi domani sarà mattina, e poi ancora.
Il sepolcro è vuoto, tutto è cambiato… è realmente e veramente risorto! E davvero mi auguro che voi tutti che mi leggete, vediate e crediate, perché a differenza dei tempi di Tommaso, quando si voleva “toccare e vedere” per credere, oggi siamo arrivati al punto che non si crede neppure dopo che si è “toccato e veduto”.
Ma Gesù, proprio nella sua settimana di Passione ci testimonia che il bene non ha bisogno di grande rumore, neanche per essere “veduto e toccato”: il bene, come il seme gettato nella terra, deve prima mettere le radici per poter, poi, perforare la terra.
Il male non vince, non potrà mai vincere, anche se per qualche tempo può trionfare, solo non bisogna perdere la speranza della vittoria del bene, del bene che, talvolta, nelle nostre vite, è così poco visibile. Ciò che è bene, ciò che è nobile, ciò che è stato edificato su Dio attraverso la preghiera, la consacrazione, la fatica, la sofferenza anche se oggi e a terra, imbrattato di sputi, coperto di sporcizia, umiliato e deriso da tutti: risorgerà!
Risorgerà perché sotto tutta questa sofferenza, sotto il peso della Croce, nonostante tutte le apparenze, abbiamo visto non una persona sconfitta, non una persona umiliata e offesa, ma Colui che è passato per il mondo annunciando che Dio è la Buona Novella per l’uomo di ogni tempo e di ogni condizione sociale. Anche noi, a distanza di duemila anni, abbiamo visto Colui che ha aperto nuovi spazi per la pienezza dell’esistenza umana e nuovi ambiti per la libertà di ogni uomo, per la creazione di un mondo nuovo, riconciliato e giusto.
A questo siamo chiamati tutti, per questo ha senso “vivere” la Pasqua e augurarci l’un l’altro… Buona Pasqua!



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