MAPPA METEO RECAPITI UTILI MERCATINO FOTO CODICE FISCALE PAGINE RADIO GALATRO IERI E OGGI FIRME
Archivi Generali  
< gen-mar 13 Commenti 2013
Aprile-Giugno
lug-set 13 >

7.4.13 - Una coppia suicida per il bisogno: chiniamo la fronte in silenzio
Michele Scozzarra

9.4.13 - Dalle lacrime alla gioia
Carmelo Di Matteo

10.4.13 - Riflessioni sul suicidio di Civitanova
Pasquale Cannatà

13.4.13 - Diga inaugurata in sordina? E' un senso di colpa del sindaco Panetta
Nicola Sollazzo

16.4.13 - Il "grillismo", ultima incarnazione dell'anomalia italiana
Domenico Distilo

19.4.13 - La diga sul Metramo: una fonte potenziale di pericolo
Maria Francesca Cordiani

20.4.13 - Pietro Maso: era morto ed è tornato in vita
Michele Scozzarra

1.5.13 - 1° Maggio: una festa da riscoprire
Maria Francesca Cordiani

6.5.13 - E' morto Andreotti... il "grand commis" che ha fatto l'Italia
Michele Scozzarra

10.5.13 - Mons. Milito a Galatro: una paternità che accende la speranza
Michele Scozzarra

15.5.13 - Un uomo è annegato nella diga: che riposi in pace
Michele Scozzarra

21.5.13 - Omofobia e omosessualismo
Pasquale Cannatà

26.5.13 - Per la morte del signor Lorenzo Demasi
Michele Scozzarra

19.6.13 - Un commento imprevisto e piacevole dall'Argentina
Michele Scozzarra

22.6.13 - Scena da un matrimonio: la sposa lancia il mazzo di fiori ma...
Pasquale Cannatà





(7.4.13) UNA COPPIA SUICIDA PER IL BISOGNO: CHINIAMO LA FRONTE IN SILENZIO (Michele Scozzarra) - Ho avuto più volte modo di rilevare come, per colui che si mette a scrivere, la realtà scorre sotto la tastiera tra durezze e asperità che nessun altra attività conosce. E come, avendo la necessità di rendere leggibile ed intellegibile ciò che accade, si è costretti ad "intendere" cosa significa la vita degli uomini e come questa sta sempre più sospesa sul filo della precarietà.
Effettivamente scrivere è, essenzialmente, come intraprendere un viaggio dove si può incontrare di tutto: difficoltà, gioie, dolori, sgomento, paura... Sgomento e paura è quanto le mie dita stanno trasmettendo in questo momento alla tastiera del mio computer, perché raccontare di una realtà, così come l’ho vista raccontata sui media, mi spaventa. E penso che lo spavento è uno stato d'animo normale nel leggere notizie come queste: “Dramma della povertà a Civitanova Marche, in provincia di Macerata. Una marito esodato e una donna pensionata si sono tolti insieme la vita e, poco dopo, il fratello di lei che aveva rinvenuto i cadaveri si è a sua volta suicidato gettandosi a mare.
L’uomo, un esodato di 62 anni, e la donna, una pensionata di 68, erano entrambi senza più un lavoro. Sulla morte della coppia stanno indagando i carabinieri, che al momento tengono uno strettissimo riserbo, ma secondo una prima ricostruzione il gesto della coppia sarebbe riconducibile a uno stato depressivo del quale soffrivano date le gravi condizioni economiche. L’uomo era stato licenziato e la moglie era un’artigiana pensionata. Avrebbero lasciato un biglietto con scritto: «Perdono». Sono stati i vicini a dare l'allarme: sul posto, in via Calatafimi, si sono subito messi al lavoro gli inquirenti.
Poi sono partite le ricerche per il fratello, che aveva trovato i corpi della sorella e del cognato impiccati nel garage della loro abitazione a Civitanova Marche, e ha deciso di gettarsi in mare al porto della stessa cittadina. Inutile l’intervento degli uomini della Capitaniera di Porto e del 118 che hanno cercato di rianimare l’uomo ma senza riuscirci. Le salme sono state portate all’obitorio per l’autopsia.
Romeo Dionisi, muratore artigiano, era al momento disoccupato: aveva lavorato fino a settembre in una ditta edile di Napoli; dopo la chiusura dell’azienda, non aveva più percepito lo stipendio. La moglie, ex artigiana, aveva una modestissima pensione: 400-500 euro. Questa la cifra con cui riuscivano ad andare avanti. La coppia, senza figli, aveva due mutui sulle spalle più i contributi che l’uomo, lavorando con la partita Iva, doveva pagare. Sembra non avessero neppure i soldi per pagare l’affitto. Li avevano invitati in Comune per parlare con i servizi sociali, ma i coniugi gli avevano riposto che non lo avrebbero fatto perché si vergognavano. A confermarlo le parole degli amici: “Non si erano mai rivolti ai servizi sociali, lui si vergognava anche di chiedere un euro…Hanno preferito scomparire piuttosto che chiedere aiuto, dimostrando una dignità estrema nella tragedia…”.

Storie come questa non ci possono non portare a chiederci: "Che società possiamo mai pensare di costruire se non ci decidiamo a ricollocare al centro della nostra vita il rispetto e l'attenzione per i nostri fratelli, quando questi si trovano nei momenti più difficili, cioè nella malattia, nella miseria, nella vecchiaia, nella disperazione e nella morte?" Ma queste sono cose che il nostro tempo ha preferito scordare, ignorando che così facendo, si muore ben prima che la nostra vita fisica si chiuda…
Forse, dinanzi a storie come queste, non ha senso neanche gridare “vergogna!” verso tutti, nessuna escluso… perché di vero esiste solo il silenzio: quel silenzio che s'affaccia sugli abissi della nostra nullità e, umilmente, china la fronte... e niente altro!


Torna ai titoli


(9.4.13) DALLE LACRIME ALLA GIOIA (Carmelo Di Matteo) - “Sai che spesso non mi viene da credere a tanti eventi miracolosi o ad apparizioni che si verificherebbero continuamente?”. E’ la riflessone interrogativa di un amico fattami dopo aver accolto giovedì scorso, con tutta la Chiesa di Galatro, il reliquiario delle lacrime della Madonna di Siracusa, che per circa tre giorni è stato posto a devozione dei credenti. Non ho battuto ciglio e non ho dato parola sui dubbi esposti ma, in chiesa, durante la funzione religiosa, di tanto in tanto mi tornava alla mente quanto dettomi e noto, oggi che sto scrivendo di quei momenti, che il tarlo del dubbio è sempre in agguato. E mi ritorna, come d’incanto, la riproduzione, a me tanto cara, che il Caravaggio fece dello stupore di Tommaso nel guardare il proprio dito infilarsi nel costato di Gesù.
Con l’atteggiamento di chi vuol sapere, comprendere ed approfondire, ho vissuto i tre giorni di esposizione del reliquiario delle lacrime. E così è stato. Cosciente che “la formula dell’itinerario al significato ultimo della realtà è di vivere il reale”, mi sono accinto, sera di giovedì 4, a vedere la proiezione del documentario della storia della lacrimazione. Documentario emozionante e reale per l‘appunto, fatto per dissipare ogni dubbio in merito alla lacrimazione del quadro raffigurante il cuore immacolato di Maria. Un cineamatore riprende, con una piccola cinepresa, le lacrime, proprio nel momento in cui escono prima da un occhio e poi dall’altro e che poi scivolano sul viso della figura in gesso. Sono attentissimo. Il quadro di gesso è stato aperto e controllato ed è risultato asciutto in tutte le altre parti. Il poliziotto intervenuto per l’ordine pubblico ne constata quanto stava accadendo e lo dichiara, ne dà conferma padre Bruno e nomina una commissione composta da lui stesso, due dottori di cui uno non credente, un ingegnere e un chimico. Si preleva circa un cm. 3 di lacrime e molte altre vengono assorbite con del cotone. Si fanno le analisi, in modo scrupoloso, presso il laboratorio di igiene e profilassi della Provincia, al Foro Siracusano e si arriva a queste conclusioni: ”In definitiva, l’aspetto, l’alcalinità e la composizione inducono a far ritenere il liquido esaminato di analoga composizione del secreto lacrimale umano. Siracusa 9 settembre 1953”.
Due testimonianze di quel documentario mi sono rimaste impresse, un componente del comitato giovanile del PCI Vincenzo Mincella, il quale incaricato a relazionare sulla vicenda che in quei giorni ha sconvolto il mondo intero, ne riportava la verità dell’evento. I componenti del partito ne restano delusi ed il Mincella fu costretto ad andare via dal partito stesso. Per tanto tempo per lo stesso si ebbe timore di rappresaglia. Il secondo, il Dott. Cassola, ateo, che analizzò quelle lacrime, rimaneva spesso solo davanti alla teca e dichiarò che con la sola scienza non è riuscito a dare risposta alcuna. La figlia lo trovò piangente abbracciato alla fiala contenente le lacrime. Spiegò che quelle lacrime hanno aperto la via per la scoperta di Dio.
Proporrei a Don Giuseppe Calimera, Parroco della Chiesa di Galatro, che ha voluto la tre giorni Mariana, di riprendere il documentario e riproporlo a piccoli e grandi, pur avendolo già proiettato in Chiesa venerdì mattina per tutte le scuole. E’ una storia stupenda, quanto accaduto tra il 28-29 agosto e l’1 settembre 1953 presso la casa Iannuso-Giusto!
Ed infine, perché la madonna ha pianto?
Un mio grande amico prete devoto di Maria ci chiedeva di recitare tre volte al giorno l’Angelus perché “La figura della Madonna – diceva - è essenziale e insostituibile per la comprensione dell’Avvenimento Cristiano. Per farci riconoscere che l’invisibile è entrato nella visibilità delle nostre azioni, che il Mistero è penetrato dentro la fattura esperienziale, la carne della nostra esperienza, la carne dei nostri rapporti, la carne dell’ora che passa, del libro da leggere o delle calze da rammendare”.
Maria ha pianto e piange ancora, perché abbiamo abbandonato Cristo, suo figlio e nostro redentore. L’uomo oggi, qui ed ora ha bisogno di Lui, ha bisogno di sentirsi amato. “Da quando Dio si è fatto uomo, Egli salva l’uomo attraverso altri uomini, per rendere possibile sempre ed ovunque la salvezza”. Padre Luca Saraceno, il rettore del Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, che accompagnava il reliquiario insieme alla volontaria Valentina ed al seminarista Helenio, ci ricordava che dal fuoco del cero votivo della notte di Pasqua si accende una fiammella, poi un’altra e un’altra ancora e così per tutti i partecipanti la veglia Pasquale. E così la Salvezza… per passare dalla Pasqua del dolore alla Pasqua della Gioia.
E lo stupore di Tommaso? E’ il mio, quando ho scoperto che il reliquiario veniva portato sempre con loro, ovunque andassero, coscienti che “la formula dell’itinerario al significato ultimo della realtà è di vivere il reale”. Quel fatto accaduto a Siracusa nel 1953. E’ VERO!

Nelle foto: in alto Carmelo Di Matteo, in basso l'ultima benedizione a Galatro del reliquiario.


Torna ai titoli


(9.4.13) RIFLESSIONI SUL SUICIDIO DI CIVITANOVA (Pasquale Cannatà) - E' profondamente vero e giusto quello che scrive Michele Scozzarra a proposito della tragedia di Civitanova Marche, ma alla fine del suo articolo leggo una cosa che mi sconvolge ancora di più del dramma che hanno vissuto le persone che si sono suicidate in quella città: "Li avevano invitati in Comune per parlare con i servizi sociali, ma i coniugi avevano risposto che non lo avrebbero fatto perché si vergognavano. A confermarlo le parole degli amici: non si erano mai rivolti ai servizi sociali, lui si vergognava anche di chiedere un euro… Hanno preferito scomparire piuttosto che chiedere aiuto, dimostrando una dignità estrema nella tragedia…”.
Mi torna in mente ciò che scriveva don Giorgio Carraro: "A volte non si può donare, perchè il gesto generoso presuppone l'amore anche da parte di chi riceve. La cosa più difficile non è di fare del bene ad un altro, ma di farselo perdonare! Saper ricevere è una sfumatura dell'amore tra le più difficili che si possano incontrare."
A volte, come scrive Michele, manca "il rispetto e l'attenzione per i nostri fratelli, quando questi si trovano nei momenti più difficili, cioè nella malattia, nella miseria, nella vecchiaia, nella disperazione e nella morte", ma in questo caso, a parte il dovuto cordoglio e rispetto per una fine così tragica, mi pare sia mancato da parte di quei due coniugi l'umiltà e l'amore necessario per accettare l'aiuto che era stato loro offerto. La società in cui viviamo ci costringe quasi a vergognarci della nostra condizione se ci mancano le cose materiali imposte dalla pubblicità e dal fatto che i nostri vicini le posseggano, mettendo in secondo ed ultimo piano il rispetto per la nostra stessa vita e per quello che noi siamo in relazione al nostro prossimo.
Oggi molte coppie non vogliono avere figli perché non si sentono in grado di dare loro una stanza ciascuno per vivere nella dovuta privacy, i vestiti firmati, telefonini e relative ricariche per essere sempre connessi a internet, motorini, cinema, vacanze e chi più ne ha più ne metta, trascurando la sola cosa che conta veramente: dare e ricevere amore!
La recessione che sta sconvolgendo la vita di molte famiglie si potrebbe sopportare più facilmente in attesa della ripresa economica se tutti accettassero di abbassare (anche di molto, se necessario) il proprio tenore di vita, perché a mancare sarebbero magari auto, tv, ecc. ma non certamente un tetto e qualcosa da mettere sotto i denti: se la coppia di Civitanova avesse dato nei loro pensieri la precedenza all’amore reciproco, a quello del fratello di lei ed ai loro amici e conoscenti, avrebbe accettato l’aiuto loro offerto senza dare peso al sopravvalutato senso di “vergogna” loro imposto da valori materiali che ai nostri giorni hanno preso il sopravvento su quelli morali e spirituali.
La “dignità estrema nella tragedia”, morire piuttosto che accettare l’aiuto dei servizi sociali è forse preferibile ad una “dignità estrema nell’amore”, vivere in assenza di molti beni materiali ma accettando il “bene” che gli altri ti possono offrire e che ancora tu puoi dare?

Nella foto Pasquale Cannatà, autore dell'articolo.

Torna ai titoli


(13.4.13) DIGA INAUGURATA IN SORDINA? E' UN SENSO DI COLPA DEL SINDACO PANETTA (Nicola Sollazzo) - Leggo su Galatro Terme News che è stata inaugurata la Diga sul Metramo alla presenza di alcuni sindaci tra cui quello di Galatro e del Vescovo Mons. Milito.
Bene.
Dopo quaranta anni esatti viene a compimento una delle opere per le quali il sottoscritto si è impegnato come dirigente allora della locale sezione del Partito Comunista Italiano, a rischio della propria persona ed a scapito della sua professione.
Leggo ancora che la suddetta inaugurazione è stata fatta quasi di nascosto, con un solo manifesto e con l’assenza di partiti e sindacati che in quel tempo hanno dato un contributo per ottenere il finanziamento richiesto.
E’ normale che sia stato così!
Ciò è dovuto quasi certamente ad un atto di vanità del sindaco Panetta che rincorre soltanto passerelle mediatiche con relativa foto e probabilmente ad un suo moto di soggezione verso i galatresi e di senso di colpa.
Dirò appresso il perché.
Intanto, considerato che il problema diga è stato posto nell’anno di grazia 1972 e che la stragrande maggioranza dei giovani e l’intera generazione di giovanissimi non ha vissuto quel periodo, vorrei fare una estrema sintesi di quella che io chiamo "la favola della diga sul Metramo".
Gli anni settanta sono stati anni di crisi economica profonda ed intere famiglie facevano le valigie e partivano in cerca di lavoro all’estero ed a differenza di altre volte quando la gente partiva con la speranza di tornare, questa volta le famiglie partivano lasciando a Galatro anche la speranza del ritorno.
Io, Nicola Sollazzo, dirigente di un partito di lavoratori, sentivo il peso di questa situazione di disperazione.
Su decisione del direttivo di sezione (Carmelo Sorrentino segretario, Carmelo Spanò, Carmelo Romeo, Luigi Sollazzo, Salvatore Franzè) mi sono rivolto ai dirigenti provinciali del mio partito i quali con fare affabile ma deciso mi hanno detto: la crisi è un fatto nazionale, il lavoro è scarso ma voi a Galatro avete una grossa possibilità.
E’ depositato sin dal 1962 presso il consorzio di bonifica di Rosarno un progetto di massima per la realizzazione di una grande diga sul fiume Metramo. Sta a voi cercare di essere in grado di sbloccare tali lavori.
Sono partiti così inviti da parte della sezione del PCI a quelle della DC e del PSI per studiare delle iniziative unitarie onde chiedere al governo il finanziamento dell’opera.
Sono incominciati convegni e dibattiti durante i quali partecipavano di norma nomi importanti della politica calabrese, attraverso il mio partito sono riuscito a legare le nostre rivendicazioni a quelle dell’allora quinto centro siderurgico tanto che si è svolto a Galatro uno sciopero generale della Piana al quale hanno partecipato più di 20.000 persone.
Grandi manifestazioni ed iniziative per le nostre rivendicazioni, volute ed organizzate dal mio partito si sono svolte in tutto il territorio della Piana, rivendicazioni che non erano solo per ottenere il finanziamento della diga ma altresì per la rete di irrigazione e per la realizzazione di una centrale idroelettrica.
Abbiamo ottenuto il finanziamento della diga i cui lavori sono iniziati nel 1981 ed alla realizzazione della quale tanti galatresi che già avevano la valigia pronta per partire hanno contribuito, migliorando il loro tenore di vita.
E le altre due rivendicazioni?
Per la rete di irrigazione si è ipotizzata una destinazione alla irrigazione di nuove aree comprendenti i Piani della Ghilina ed aree dei comuni di Laureana di Borrello, Limbadi, Giffone, Rizziconi, Cittanova, Polistena, Taurianova, Seminara, Palmi con il pianoro di S. Elia, per una area complessiva di 35.000 ettari di terreno.
C’era inoltre l’ipotesi della realizzazione di una centrale idroelettrica che avrebbe prodotto energia per circa 60 milioni di Kwh.
Dal punto di vista occupazionale si prevedeva, oltre ai lavori di realizzazione delle opere suddette, l’occupazione e la gestione di queste opere di circa 300 addetti.
E qua riprendo quanto detto all’inizio di questa mia riflessione.
Che cosa hanno fatto in questi sette anni di amministrazione il sindaco Panetta e le sue maggioranze per fare ottenere finanziamenti che potrebbero cambiare il volto economico del nostro paese che si sta riducendo a lumicino e che a sentire tanti nostri compaesani può addirittura considerarsi un paese morto?
Parafrasando quello che diceva a suo tempo un mio maestro, non ha fatto nulla, proprio nulla, letteralmente nulla!
Ecco perché il sindaco potrebbe avere avuto un senso di colpa e di soggezione verso i suoi concittadini così come dicevo prima.
Perché non ha voluto o saputo sfruttare le grandi potenzialità di lavoro quali quelle elencate e le Terme (ma questa è un’altra storia) facendo del nostro paese il cimitero del lavoro della Piana.
E’ per questo che invito il sindaco ad indire una assemblea di tutti i cittadini galatresi per discutere di questi problemi e proporre la composizione di un comitato di lotta per ottenere finanziamenti al riguardo e far risorgere il nostro paese dalle ceneri in cui queste ultime amministrazioni lo hanno portato.

Nelle foto: in alto l'ing. Nicola Sollazzo, in basso la diga in un momento di basso livello di riempimento.

Altro sulla Diga:
L'inaugurazione della diga sul Metramo
Problema diga sul Metramo... non solo sicurezza!
Pericoli per la piena della diga: convocati gli enti preposti
Servizio del Tg1
Lettera del Sindaco sui possibili pericoli della diga
Rai3 sulla diga: contestato Misiti
Un video sulla diga
Info sulla diga

Torna ai titoli


(16.4.13) IL "GRILLISMO", ULTIMA INCARNAZIONE DELL'ANOMALIA ITALIANA (Domenico Distilo) - Il successo elettorale di M5S ha riaperto la discussione sul caso italiano, sul fatto incontestabile che da sempre il nostro Paese sia la patria d’elezione di fenomeni di movimentismo che si traducono in anomalie politiche, in creazioni, diciamo così, “originali” che invariabilmente generano passaggi storici drammatici.
Sin dall’Ottocento nel paesaggio politico italiano si aggira una figura – destinata a divenire un vero e proprio tipo antropologico - che si nutre esclusivamente di ideali, bellamente ignorando che, proprio perché ha a che fare con uomini concreti, fabbricati anche, se non soprattutto, con quello che Kant chiamava “il legno storto dell’umanità”, la politica è di necessità mediazione e compromesso, adattamento dei mezzi al fine e, talvolta, del fine ai mezzi, sempre nell’ottica di procurare il bene possibile, quasi sempre inconciliabile con il meglio (tanto meglio quanto impossibile da realizzare).
In quest’ottica di puri ideali durante il Risorgimento si muovono i mazziniani, il cosiddetto partito d’azione, che proprio per la pretesa di purezza e durezza –non fa una piega, al riguardo, l’analisi di Gramsci - finisce per perdere l’iniziativa a vantaggio dei moderati e a discapito delle istanze giuste di cui era portatore. Il Risorgimento si compie infatti con Mazzini e i mazziniani fuori dal gioco –certo non li aiutava la pratica estemporanea del terrorismo- e nel segno del moderatismo, con l’esclusione delle masse contadine. Ancora oggi c’è però chi sostiene che ci sarebbe stato un modo tanto diverso quanto possibile. Non è altro che un controfattuale, per definizione indimostrabile (controfattuale, sia detto per inciso, mai asserito da Gramsci che, pur rammaricandosi della cosiddetta “rivoluzione mancata”, non ha mai detto che qualcuno aveva creato le condizioni politico-culturali perché si attuasse: da questo punto di vista le note di dissenso da Gramsci dello storico siciliano Rosario Romeo si basavano probabilmente su un equivoco).
L’evoluzione del mazziniano azionista e talvolta terrorista – si ricordi il caso di Felice Orsini, attentatore di Napoleone III - è il giovane interventista, antigiolittiano e antiliberale, delle “radiose giornate di maggio” che, manifestando con fervore, procura l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale sulla base di motivazioni lontane le mille miglia da ogni barlume di razionalità politica nella definizione di un concreto interesse nazionale. Nell’avversione alla giolittiana “lettera del parecchio” - bollata da D’Annunzio come svendita della Patria alla Germania - e negli insulti al “boia labbrone” si cementa l’ alleanza tra i giovani e puri idealisti e i pescecani di guerra (gli industriali che accumuleranno immense fortune con le commesse per l’esercito).
L’antigiolittismo ha dentro di sé l’antiparlamentarismo e l’antipoliticismo, cioè i due costituenti principali del fascismo, alimentati entrambi dai miti del cambiamento per il cambiamento, del nuovismo, del giovanilismo, dell’irredentismo, del futurismo, insomma, tutta la paccottiglia ideologica primonovecentesca che dopo aver generato il disastro della guerra alimenta la confusione del dopoguerra cavalcando il reducismo e la portentosa corbelleria dannunziana della “vittoria mutilata”, il maggiore alibi patriottico dei mentori politici e giornalistici delle squadre in camicia nera.
Dopo la guerra e la Resistenza la situazione, grazie allo scenario internazionale, non gli offre molte opportunità e bisognerà aspettare gli anni Sessanta e Settanta perché il tipo italiota dell’idealista irrazionale riemerga quale protagonista del dramma del terrorismo. In quanto tale l’idealista è sempre antipolitico, negatore della politica nella sua realtà prima che nella sua essenza. Il pregiudizio che lo anima è infatti il secco aut- aut tra la rivoluzione e il nulla, con l’inevitabile corollario del rifiuto di qualsiasi approccio che non implichi l’eliminazione dell’avversario convertito in nemico, idea che oggi è la fondamentale caratteristica, sia pure con tratti finora non cruenti, del grillismo.
Nella richiesta di M5S di un proprio governo monocolore è venuta allo scoperto questa vocazione, distruttiva e totalitaria nel contempo, che considera nulla la democrazia con la scusa dell’avversione alla politica corrotta; così com’è allo scoperto la pretesa di incarnare la verità assoluta che si nutre della totale ignoranza del passato e si esprime nel modo goffo di stare nel mondo degli altri, che non è il mondo virtuale della rete ma quello reale che vive nella storia.
Di fronte a un fenomeno di questa pericolosità le blandizie del PD appaiono perciò davvero incongrue e scontano la non comprensione o la persistente sottovalutazione della mutazione genetica della democrazia italiana avvenuta ai tempi di tangentopoli, quando alle leadership plurali se ne sono sostituite altre monocratiche e carismatiche, con i partiti ridotti ad appendici di leader i cui nomi gli elettori trovano nei simboli e perfino sulla scheda. Ebbene, M5S non è che l’ultimo approdo di questa deriva personalistica, inconciliabile con la democrazia in generale e soprattutto inconciliabile con l’impianto della Carta, rispetto a cui esprime un potenziale eversivo non inferiore a quello del berlusconismo.
Qui sta l’essenza dell’anomalia italiana, nell’incapacità di vivere la democrazia come ordinaria amministrazione gestibile anche da personalità mediocri, esattamente come avveniva nella cosiddetta prima repubblica, quando i leader politici, anche di elevata statura, erano solo ed esclusivamente leader politici, non icone carismatiche elevate dai seguaci al di là del bene e del male, in una dimensione estranea alla razionalità disincantata che della democrazia moderna costituisce il presupposto e l’essenza.
Fateci caso: un Berlusconi e un Grillo non li trovate da nessuna parte nelle democrazie occidentali, sono peculiarità italiane, che fanno sì che l’Italia sia considerata un paese levantino, fuori dagli schemi delle democrazie moderne e perciò perennemente a rischio, rischio non più tanto remoto se solo si considera quello che sta avvenendo in Ungheria, non un qualsiasi satellite dell’ex Unione Sovietica, ma il paese dell’Europa orientale dove maggiormente si pensava fosse radicata la cultura occidentale per via della lunga appartenenza all’impero austriaco, dal 1866 al 1919 austro-ungarico. Già, ma quanto è radicata e popolare la cultura occidentale ed Europea in Italia? Non molto, evidentemente, se il cinquanta per cento dell’elettorato ha fatto scelte irrazionali, gratificando due clown.

Nelle foto: in alto Domenico Distilo, autore dell'articolo; in basso Grillo.


Torna ai titoli


(19.4.13) LA DIGA SUL METRAMO: UNA FONTE POTENZIALE DI PERICOLO (Maria Francesca Cordiani) - La notizia dell’inaugurazione della diga costruita sul Metramo ha fatto affluire nel nostro borgo alcuni turisti accorsi per contemplare la bellezza di questo enorme lago artificiale.
La magnificenza e la venustà di tale struttura è infatti davvero incommensurabile.
Essa è capace di regalare a chi la osserva uno spettacolo meraviglioso, ma nel contempo è in grado di suscitare un forte stato di apprensione.
L’imponente bacino artificiale dovrebbe costituire, com’è noto, una risorsa molto importante per l’agricoltura e la produzione di energia.
L’ingente quantità d’acqua in essa contenuta potrebbe però, tuttora, come già evidenziato in precedenti articoli di questo giornale, costituire un grave pericolo per molti paesi della Piana di Gioia Tauro.
L’eventuale cedimento strutturale del grande invaso determinerebbe difatti la loro distruzione, come purtroppo del resto è già avvenuto in altre zone dell’Italia.
Il pericolo per i galatresi e per le popolazioni limitrofe aumenta ancora di più durante la stagione invernale, visti i forti cambiamenti climatici a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, nonché la condizione di quasi totale abbandono in cui versa il Metramo.
L’immane quantità d’acqua che a seguito della rottura dell’invaso defluirebbe ad una velocità inaudita su tale corso d’acqua, provocherebbe a mio avviso la sua esondazione.
Ciò perché nonostante le numerose richieste di intervento rivolte agli Enti preposti, non si è ancora provveduto alla messa in sicurezza ed alla ripulitura del fiume.
La situazione a tutt’oggi, infatti, è solo parzialmente mutata, atteso che il fiume è ancora in gran parte invaso da arbusti e canneti, mentre i suoi argini non sono ancora stati risanati.
Ed allora dov’è la prevenzione? Perché aspettare che si verifichi una catastrofe?
E’ proprio questo d’altronde il dramma dell’Italia: la mancanza di una cultura della prevenzione.
Difatti le grandi catastrofi naturali che si sono verificate nel nostro Paese sono spesso anche il frutto della scarsa attenzione dedicata al territorio.
Le conseguenze sono state però catastrofiche e tragiche, sia per la perdita di vite umane, che per i danni materiali, che è ormai impossibile quantificare.
Di fronte a tale prospettiva è importante che cittadini ed istituzioni continuino a lottare per ottenere i finanziamenti necessari non solo per bonificare e mettere in sicurezza il Metramo, ma anche per poter sfruttare al meglio il serbatoio artificiale costruito su di esso, ciò a fine di prevenire ed evitare possibili pericoli per la collettività.

Nella foto: l'invaso della diga sul Metramo in un momento di basso livello di riempimento.

Altro sulla Diga:
Diga inaugurata in sordina? E' un senso di colpa del sindaco Panetta
L'inaugurazione della diga sul Metramo
Problema diga sul Metramo... non solo sicurezza!
Pericoli per la piena della diga: convocati gli enti preposti
Servizio del Tg1
Lettera del Sindaco sui possibili pericoli della diga
Rai3 sulla diga: contestato Misiti
Un video sulla diga
Info sulla diga

Torna ai titoli


(20.4.13) PIETRO MASO: ERA MORTO ED E' TORNATO IN VITA (Michele Scozzarra) - Nei giorni scorsi, su stampa e tv è rimbalzata la notizia della liberazione anticipata (condannato a 30 anni, ne ha scontati 22) di Pietro Maso, “il feroce viveur che spezzò il patto tra generazioni… trucidò i genitori per i loro soldi”.
Il 17 aprile del 1991, nella sua casa di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, aiutato da tre amici, servendosi di un tubo di ferro e di un bloccasterzo, a sangue freddo ed in un corpo a corpo, nel corso di una lunga aggressione, Pietro Maso massacrò sua madre e suo padre.
In questi giorni è stato scritto che Pietro Maso ha “l’età di una generazione il cui apprendistato alla vita è un apprendistato all’irrealtà. La più sfrenata. Nati, come lui, a cavallo tra ’60 e ’70, come lui avviatici all’età adulta negli anni ’80 delle tv simulacral-commerciali, abbiamo poi avuto un’economia che passava di bolla speculativa in bolla speculativa, un’educazione sentimentale basata sulla pornografia di massa, una politica ridotta a comunicazione pubblicitaria, una Nazione divaricata tra Paese reale e Paese mediatico”.
Ricordo che era il luglio del 1992 quando da più parti veniva invocata, a gran voce, la sua liberazione e “osannato” il suo gesto. Addirittura sono stati creati dei “Maso-fan club”… ed io non sono stato certamente tenero, in un mio articolo pubblicato su “Proposte” proprio nel numero di luglio del 1992:

MASO-FANS CLUB: RESTARE IN SILENZIO E' COLPA!
"Libertà per Maso... Maso Sindaco... Pietro Maso Fans Club...". Applausi a scena aperta per il biondino di Montecchia di Crosara che, appena l'anno scorso, ha ucciso i genitori per godere subito della consistente eredità. Solo per caso non uccise anche le sorelle. I giudici lo hanno condannato a 30 anni di carcere, ma anziché suscitare orrore, è diventato un mito.
Anche allo stadio, rifacendo il verso a "Nella vecchia fattoria...", i suoi "fans", tutti in coro, hanno cantato le "nobili" gesta dell'omicida. Eppure, vorrei tanto vedere in faccia uno di quelli che, esaltando il fatto che Maso ha ucciso i genitori, per questo e solo per questo, lo richiedono a gran voce come Sindaco. Non è vero che, solo perché sono giovani, anche in questo, meritano ascolto e comprensione: questi sono soltanto dei delinquenti che meritano solo di essere presi a calci nel culo (e che nessuno si stracci le vesti per queste espressioni) perché l'assistere in silenzio a questo sfacelo non è solo viltà, ma colpa cosciente che porta perfino a vedere il giornale "Verona infedele" titolare una intera prima pagina, in dialetto ed a caratteri cubitali, "UCCIDI TUA MADRE COL CRICK!". Così, di tolleranza in tolleranza, stiamo assistendo in silenzio a qualsiasi nefandezza. Fino a quando?... e fino a quanto?!
Di fronte a questi rantoli, a queste ombre di cui le nostre strade vanno riempendosi, come se una inarrestabile peste andasse dilagando per ogni dove, bisogna porsi la domanda: chi ha fabbricato questi modelli di demenza, di cecità, di morte? In questa domanda le responsabilità che la "cultura", in questi ultimi anni, si è assunte risultano gravi e pesanti: esaltazione del profitto e dell'oggetto come valori assoluti o, addirittura, religiosi; scatenamento meccanico e cieco del sesso, prima divinizzato, poi mercificato, quindi deturpato e distrutto; destituzione d'ogni valore, d'ogni legge e d'ogni regola, come elementi a priori illibertari e castranti.
Il peggio è che tutto questo viene spacciato dalla "cultura" come tappe gloriose del progresso. E questa è una vergogna, sulla quale tanti "illuminati" uomini di cultura dovrebbero essere subito chiamati in giudizio, perché qualcuno deve pur sentire il dovere d'impedire questo pazzesco imbarbarimento... A qualunque costo!”.


Oggi, a distanza di più di vent’anni da questo mio scritto (che non rinnego!), perché negare che sono rimasto commosso nel leggere le parole di perdono e riconciliazione che ha pronunciato la sorella di Pietro, Laura Maso, in una intervista a Telepace nel 2008: «Mio fratello era morto ed è tornato in vita… Sono la sorella di Pietro Maso che 17 anni fa uccise i nostri genitori. Noi sorelle insieme alla perdita dei due genitori avevamo perso anche un fratello e dunque ci trovammo a ricominciare un percorso nuovo e difficile, con una sofferenza dentro che era abbastanza forte, perché non è facile perdonare una cosa così grave. Ringraziamo don Guido per il suo aiuto: è stato lui ad andare a trovare per primo Pietro in carcere e a seguirlo in questi anni. Così anche noi piano piano abbiamo ricostruito un bel rapporto con quel fratello che avevamo perso, come avevamo perso tutta la famiglia. Lo potevamo anche abbandonare quel fratello, sarebbe stato facile. Invece perdonare è una cosa un poco più profonda e difficile ma che ci ha anche procurato una gioia dentro per i piccoli passi che vedevamo fare al nostro fratello, il suo cammino, la sua conversione. L’abbiamo perdonato in ascolto delle parole di Gesù “amatevi gli uni gli altri”. E’ facile amare quando ci si vuole bene, ma è difficile quando ci si sente dire “ha ucciso i genitori” e sono parole molto forti per noi, ma noi sappiamo che dobbiamo far nostre anche quelle altre parole di Gesù che dice “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Noi abbiamo perdonato con l’aiuto di Dio ed ecco che questo fratello che era morto è come risorto ed è lui, a volte, che ci conforta con il suo cammino. Oggi, che è il giorno di Pasqua, ci pareva bello di poter dire: “Eravamo morte e siamo risuscitate”. Alle volte andiamo alle tombe dei nostri genitori e li sentiamo in paradiso e che ci sono vicini e approvano il cammino che i loro figli stanno facendo.
Perdonare non vuol dire voltare pagina e fare come se non fosse successo nulla. Vuol dire vedere tutto, anche quel delitto, alla luce della fede. Non è che uno dimentica. Il perdono è una cosa profonda e uno deve sentirsela dentro per poter vivere bene. Odiando non so come si potrebbe vivere.
Tante volte siamo andate a trovarlo in carcere, ogni due o tre mesi circa. Non ce l’aveva chiesto, magari era don Guido che ce lo chiedeva e all’inizio noi eravamo contrarie perché temevamo che lui si approfittasse di noi. A poco a poco, trovandoci con lui ci riscoprivamo fratelli e ci dicevamo che magari tanti fratelli che vivono insieme non provano quel sentimento. Così è finita la nostra paura del suo approfittamento e oggi siamo sicure che ha compiuto un cammino senza del quale si sarebbe perso e ci saremmo perse anche noi, in fondo. I nostri mariti ci hanno assecondato in questa scelta. I nostri bambini piano piano hanno cominciato a capire e sanno e lo chiamano zio e vivono bene il rapporto con lui. La gioia che sentiamo nel cuore di aver ritrovato un fratello ci ha forse aiutate a dare questo insegnamento.
Il vescovo Flavio Carraro che era informato da don Guido più di una volta ci ha detto: “Stategli vicino, perdonatelo, pregate per lui”. Noi abbiamo cercato di farlo.»


Mio fratello era morto ed è tornato in vita, ha detto la sorella di Pietro… che grande testimonianza di riconciliazione e perdono… non vale la pena che io aggiunga altro!

Nelle foto: in alto Pietro Maso (al centro) durante il processo, in basso com'è oggi.


Torna ai titoli


(1.5.13) 1° MAGGIO: UNA FESTA DA RISCOPRIRE (Maria Francesca Cordiani) - Anche quest’anno numerose sono le manifestazioni ed i concerti organizzati per commemorare la festa dei lavoratori. Una festività che, com’è noto, viene celebrata in molte nazioni del mondo per ricordare le lotte affrontate da operai e sindacati, volte ad ottenere una maggiore emancipazione e una più ampia libertà rispetto alla classe imprenditrice.
Grazie a tali manifestazioni, che fin dalla fine dell’Ottocento dall’America si svilupparono in quasi tutto il mondo, essi riuscirono, infatti, a conquistare diritti fondamentali, ovvero un orario di lavoro ben determinato, un salario più equo, il diritto di voto.
Ciò perché a livello internazionale si sviluppò tra i proletari la coscienza di appartenere ad una classe di soggetti aventi una propria personalità ed identità. La caduta del muro di gomma tra la borghesia e gli operai ha, in sostanza, determinato il trionfo di principi fondamentali come la libertà, l’uguaglianza, la democrazia e la giustizia, che rappresentano le basi per lo sviluppo e la dignità dell’uomo. Valori talvolta messi in discussione dalle pratiche vessatorie e prevaricatrici dei datori di lavoro.
Tale ricorrenza dovrebbe rappresentare, quindi, l’occasione per riflettere su di essi. Ciò è oggi in un contesto economico-sociale fortemente mutato quanto mai necessario.
Il grave stato di recessione che il nostro Paese sta attraversando, infatti, spesso si traduce in riforme basate sulle logiche di mercato e tende a far considerare ormai indispensabile il mantenimento di un dato livello dello spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi, mentre i valori della persona vengono continuamente messi in secondo piano. Basti pensare ai numerosi casi di suicidi e omicidi consumati tra le mura domestiche, spesso dovuti a motivi economici.
Storie drammatiche che ci insegnano come fondamentale sia il lavoro per lo sviluppo e la dignità della persona. Drammi che coinvolgono non più solo i lavoratori ma anche e soprattutto gli imprenditori, che talvolta vengono quindi a trovarsi sullo stesso piano, entrambi travolti dalla crisi che da decenni attanaglia la nostra società.
Non una semplice giornata di festa, un ponte festivo durante la settimana, dunque, ma una ricorrenza da riscoprire.

Nell'immagine un famoso quadro di Pellizza da Volpedo: il Quarto Stato.


Torna ai titoli


(6.5.13) E' MORTO ANDREOTTI... IL "GRAND COMMIS" CHE HA FATTO L'ITALIA (Michele Scozzarra) - E’ morto oggi, all’età di 94 anni, il senatore a vita Giulio Andreotti. Considerato uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana e protagonista della vita politica italiana per l’intera seconda metà del XX secolo, Giulio Andreotti è nato a Roma il 14 gennaio 1919, si è laureato in giurisprudenza nel 1941 e si è specializzato in diritto canonico.
Inizialmente cominciò ad avviarsi al giornalismo, diventando presto professionista e fondando la rivista politica “Concretezze”. Andreotti si fece presto notare nella Fuci, la Federazione degli Universitari Cattolici Italiani di cui era assistente mons. Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. Quando Aldo Moro lasciò la presidenza della Fuci, Papa Pio XII scelse come nuovo presidente proprio Andreotti che, in quello stesso periodo, si stava rendendo protagonista, con Alcide De Gasperi e Guido Gonella, della fondazione della Democrazia Cristiana.
Giulio Andreotti: l'immagine che i media hanno sempre dato di lui è quella di un "perfetto Cardinale di Curia da Chiesa del Settecento, tutto cipria, parrucca (e forca) senza speranza di Paradiso, né timore d'Inferno perché è in confidenza anche col Diavolo”.
Scriveva sempre Montanelli, più di dieci anni addietro: "Siamo sicuri che Andreotti è molto migliore della sua leggenda, che addita in lui il Grande Vecchio di tutte le più tenebrose e losche affaires dell'ultimo trentennio... Talvolta arrivo a sospettare ch'egli abbia volontariamente accettato questa parte di genio del male, per offrire a una pubblica opinione assetata di dietrologia un bersaglio su cui sfogarsi. In tempo di peste, una strega da bruciare è più preziosa di un vaccino".
Certamente Andreotti non è stato un santo, ma nemmeno l'untore di tutti i mali di cui l’Italia è stata “affetta”. Per questo, penso che neanche i più malpensanti credano che questa entità chiamata “Andreotti”, possa essere stato il Male (e il capro espiatorio) di mezzo secolo si storia di mafia, P2, assassini di lusso, trame internazionali, stragi, più qualche altro milione e passa di reati. Anche il processo, ha scritto qualche acuto giornalista, rischia di passare alla Storia come la caricatura della Prima Repubblica: non si può processare in tribunale un habitat e una mentalità, di cui se Andreotti è stato il maestro, innumerevoli sono stati i discepoli… "pur di restare al potere accordiamoci con tutti".
E se ci addentriamo su questo binario, è la storia di oggi, maggio 2013, che ci dice che tutto concorre a farci, un giorno, perfino rimpiangere Andreotti!
In questo momento, non starò a discutere se Andreotti, in vita, con tutto il potere che ha “amministrato” sia stato realmente Belzebù o un Figlio di Maria… Né, tanto meno, del potere che ha amministrato e dei benefici che ha elargito ai suoi innumerevoli "clientes" (nelle ultime elezioni che ha affrontato da candidato, ha superato le 500.000 preferenze!). Voglio solo evidenziare come un uomo che ha "amministrato" tanto potere e che ha procurato tanti "benefici", sia rimasto "solo" nel momento in cui la barca ha incominciato ad affondare... "Così va il mondo..." diceva il Manzoni e non sbagliava, perché, a ben vedere, al di là di tutte le vicende giudiziarie di cui è stato chiamato a rispondere, buona parte dei suoi censori sono stati gli "amici" di quando era al “potere”, che si vantavano della sua amicizia e lo "ammiravano" perché "era un gran figlio di mignotta".
Su "Il Giornale" del 25 agosto 1999 don Gianni Baget-Bozzo scriveva: “Ho sempre notato che Andreotti fu una figura singolare nella Dc, laterale alla grande contesa tra moderati e sinistra, tra fanfaniani e dorotei, tra demitiani e forlaniani, che domina la storia ideale della Dc. La contesa era posta in questa domanda: la Dc doveva governare a partire dal suo elettorato o situarsi, per avere l'egemonia politica, a sinistra del centro, quindi fuori dal suo elettorato? Bisaglia più che Forlani rappresenta la scelta moderata. De Mita ha svolto più chiaramente di tutti la tesi che la Dc doveva governare a sinistra del centro per fare della Dc il partito di governo in cui tutti si potessero riconoscere. Andreotti ha giocato ambedue le carte: si disse uomo di destra e fu il democristiano che ebbe migliori rapporti e fece le maggiori concessioni al Pci. Andreotti non fu un uomo del 'partito cristiano': si iscrisse direttamente al partito vaticano. E la politica estera e interna da lui praticata ne porta il segno. Andreotti si è definito un popolano romano: un popolano di Borgo Pio. Ed è per questo difficile comprenderlo e meno che mai giudicarlo nel contesto politico nazionale. Il Tevere per lui era divenuto strettissimo, un torrentello. Ciò indica un fatto, non un giudizio. Ci sono certamente dei vantaggi per la nazione italiana nell'avere 'con la santa Chiesa mosso i piedi': secondo il modo andreottiano. E anche per Andreotti: la sua storia è più lunga di quella della Dc. Ed è questo Andreotti che il Meeting applaude: infine chi sostenne Solidarnosc? Chi ha mantenuto una porta aperta verso il mondo arabo? E ciò infine ha nuociuto, o non piuttosto giovato, all'Italia? Sono problemi del personaggio Andreotti, il personaggio della storia democristiana più difficile per chi cerca di comprendere la Dc all'interno della storia del partito cristiano. Un enigma è stato anche per me, che ho con lui giovanili rapporti di stima e di affetto, ravvivati dalle 'risposte senza domande' di Palermo. La storia vera di Andreotti è un capitolo dei rapporti tra Stato e Chiesa e dei rapporti tra Chiesa e società internazionale. Grand commis, Andreotti: grand commis che ha fatto storia. E persino ha ottenuto, nei giorni della infamia, il sussulto dei puri di cuore".
Ciao Giulio! Forse sarà vero quello che dicevano, forse no... a me non importa quali e quanti errori tu abbia fatto, una cosa è certa, chi ti ha tanto criticato, non ha saputo fare meglio di te, né è stato più santo...". Come credente innalzo al Signore la preghiera per la tua anima: "L'eterno riposo dona a te il Signore, e splenda su di te la luce perpetua, riposa in pace. Amen"

Nella foto Giulio Andreotti.


Torna ai titoli


(10.5.13) MONS. MILITO A GALATRO: UNA PATERNITA' CHE ACCENDE LA SPERANZA (Michele Scozzarra) - Il Cristianesimo è una grandissima orchestra di musica classica, in cui ognuno, con i carismi e i talenti che Dio gli dà, suona melodie e spartiti che, per volontà divina, riescono a fondersi in una meravigliosa armonia che supera gli angusti e soggettivi limiti dell'essere umano, caduco e fallibile.
Ho sentito il bisogno di riandare al discorso fatto nel 1990 dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, “Una compagnia sempre riformanda”, dopo la lettura di questa semplice massima cristiana. D’altronde valgono ancora oggi le medesime preoccupazioni allora espresse:
«… Forse si è evitato di menzionare nel titolo il termine "Chiesa" solo perché esso provoca spontaneamente, nella maggior parte degli uomini di oggi, reazioni di difesa. Essi pensano: «di Chiesa, ne abbiamo già sentito parlare fin troppo e per lo più non si e trattato di niente di piacevole». La parola e la realtà della Chiesa sono cadute in discredito. E perciò anche una simile riforma permanente non sembra poter cambiare qualcosa. O forse il problema è solamente che finora non è stato scoperto quel tipo di riforma che potrebbe fare della Chiesa una compagnia che valga davvero la pena di essere vissuta? Ma chiediamoci innanzitutto: perché la Chiesa riesce sgradita a cosi tante persone, e addirittura anche a credenti, anche a persone che fino a ieri potevano essere annoverate tra le più fedeli o che, pur tra sofferenze, lo sono in qualche modo ancor oggi? I motivi sono tra loro molto diversi, anzi opposti, a seconda delle posizioni. Alcuni soffrono perché la Chiesa si e troppo adeguata ai parametri del mondo d'oggi; altri sono infastiditi perché ne resta ancora troppo estranea. …
L'amarezza contro la Chiesa ha però anche un motivo specifico. Infatti, in mezzo ad un mondo governato da dura disciplina e da inesorabili costrizioni si leva verso la Chiesa ancora e sempre una silenziosa speranza: essa potrebbe rappresentare in tutto ciò come una piccola isola di vita migliore, una piccola oasi di liberta. in cui di tanto in tanto ci si può ritirare. … Anche se è diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l'idea che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in attività ecclesiali. Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica dell'attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all'interno della Chiesa. In un qualche modo, così si pensa, ci deve sempre essere un’attività ecclesiale, si deve parlare della Chiesa o si deve fare qualcosa per essa o in essa. Ma uno specchio che riflette solamente se stesso non è più uno specchio; una finestra che invece di consentire uno sguardo libero verso il lontano orizzonte, si frappone come uno schermo fra l'osservatore e il mondo, ha perso il suo senso.
Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto un cristiano. Può capitare invece che qualcun altro viva solo semplicemente della Parola e del Sacramento e pratichi l'amore che proviene dalla fede, senza esser mai comparso in comitati ecclesiastici, senza essersi mai occupato delle novità di politica ecclesiastica, senza aver fatto parte di sinodi e senza aver votato in essi, e tuttavia egli è un vero cristiano. Non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana. …
Nella Chiesa l'atmosfera diventa angusta e soffocante se i portatori del ministero dimenticano che il Sacramento non è una spartizione di potere, ma che invece espropriazione di me stesso in favore di Colui, nella persona del quale io devo parlare e agire. Dove alla sempre maggiore responsabilità corrisponde la sempre maggiore autoespropriazione … Quanti più apparati noi costruiamo, siano anche i più moderni, tanto meno c'è spazio per lo Spirito, tanto meno c'è spazio per il Signore, e tanto meno c'e libertà. Io penso che noi dovremmo, sotto questo punto di vista, iniziare nella Chiesa a tutti i livelli un esame di coscienza senza riserve. … La Chiesa infatti non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa, ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna. …
La Chiesa: essa non è soltanto il piccolo gruppo degli attivisti che si trovano insieme in un certo luogo per dare avvio ad una vita comunitaria. La Chiesa non è nemmeno semplicemente la grande schiera di coloro che alla domenica si radunano insieme per celebrare l'Eucarestia. E infine, la Chiesa è anche di più che Papa, vescovi e preti, di coloro che sono investiti del ministero sacramentale. Tutti costoro che abbiamo nominato fanno parte della Chiesa, ma il raggio della compagnia, in cui entriamo mediante la fede, va più in là, va persino al di là della morte. Di essa fanno parte tutti i Santi, a partire da Abele e da Abramo e da tutti i testimoni della speranza di cui racconta l'Antico Testamento, passando attraverso Maria, la Madre del Signore, e i suoi Apostoli…Non sono le maggioranze occasionali che si formano qui o là nella Chiesa a decidere il suo e il nostro cammino. Essi, i Santi, sono la vera, determinante maggioranza secondo la quale noi ci orientiamo. Ad essa noi ci atteniamo! Essi traducono il divino nell'umano, l'eterno nel tempo. Essi sono i nostri maestri di umanità, che non ci abbandonano nemmeno nel dolore e nella solitudine, anzi anche nell'ora della morte camminano al nostro fianco… .»

In questa settimana abbiamo avuto, per due giorni, il nostro Vescovo a Galatro, nell’ambito di alcuni incontri mensili organizzati con i diaconi ed i sacerdoti ordinati negli ultimi 5 anni nella nostra Diocesi. L’incontro con Mons. Francesco Milito, la sua fresca e genuina testimonianza ci ha mostrato, ancora una volta, come sono vere le parole dell’allora cardinale Ratzinger, cioè che è illusorio pensare di capire ciò che è il cristianesimo, attraverso un esame della sua storia o attraverso una lettura diretta dei Vangeli, come fossero dei libri da cui attingere “motti”. Il nostro Vescovo è la testimonianza vivente che il fatto dell’Incarnazione si comunica oggi così come duemila anni fa, attraverso un incontro umano che ci rende contemporanei di Cristo, come avvenne per Giovanni ed Andrea, i primi che incontrarono Gesù. Ho visto sempre uomini, donne, fanciulli, anziani, andare incontro al nostro Vescovo manifestando un trasporto ed una gioia che solo in un rapporto “paterno” può trovare giustificazione e significato.
Come l’Innominato, di manzoniana memoria, nei confronti del Cardinale Borromeo, così noi vedendo il nostro Vescovo in mezzo a tanta gente festosa, non possiamo non dire che anche in noi cresce la domanda “di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa… Che allegria c’è…? Cos’hanno di bello tutti costoro?".
Non c’è l’Innominato, ma tanta gente semplice nei luoghi visitati dal nostro Vescovo, ma certamente domande analoghe a quelle rimbalzavano nella mente di quanti gli vanno incontro e lo avvicinano anche per un lieve saluto… Cos’hanno di bello costoro? Dove sta il segreto di quella rara allegria dipinta sui loro volti, capace di rompere anche la crosta della fatica? Che cosa tiene insieme persone di paesi diversi, per la maggior parte sconosciute l’una all’altra, eppure così unite? Li tiene insieme il desiderio di trovare risposte credibili ai grandi interrogativi dell’esistenza, risposte che la Chiesa continua ad offrire alla ragione e alla libertà degli uomini in un tempo in cui è così difficile incontrare qualcosa di realmente affascinante, Qualcuno che muova l’intimo dell’uomo, che accenda e compia il suo desiderio di verità, di bellezza, di giustizia.
I volti di quanti si avvicinano al nostro Pastore, nelle sue, speriamo, sempre più frequenti visite, assomigliano a quelli di coloro che, come scrive Manzoni, andavano insieme come amici a un viaggio convenuto. Gente che testimonia anche plasticamente la natura popolare della Chiesa, una natura così diversa da quella che i grandi media si ostinano a presentare.
Questi momenti di vicinanza della nostra Chiesa al suo Pastore, sono un contributo alla terra in cui viviamo, come segno di speranza dove la disperazione avanza, e rappresentano un fattore di costruzione e positività in un momento storico in cui il cinismo e la rassegnazione guadagnano terreno. Ottant’anni fa Pavese scriveva: «Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno in cui nulla accadrà». Anche a lui, come all’Innominato, come ai tanti che in questo tempo sperimentano la fatica di vivere, sarebbe piaciuto conoscere «cos’hanno di bello tutti costoro» e «cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa»… forse è il bisogno di riconoscersi non in un progetto ma in un Padre… Grazie Eccellenza della sua testimonianza… perché in modo semplice e diretto, in ogni occasione, ci fa capire che siamo le persone che Lei ama…!


Nelle foto, dall'alto in basso: Michele Scozzarra, autore dell'articolo, e il vescovo Milito in varie cerimonie pubbliche.


Torna ai titoli


(15.5.13) UN UOMO E' ANNEGATO NELLA DIGA: CHE RIPOSI IN PACE (Michele Scozzarra) - La notizia che da 4 giorni si cerca un uomo annegato nella diga sul Metramo, provoca diversi e contrastanti sentimenti… in tanti di sgomento, in altri di incredulità, in tanti di totale, assoluta indifferenza.
Lo stanno cercando da giorni, ma per il rumeno di 31 anni (stando a quanto si dice!) non c’è più nulla da fare: è morto annegato nella diga del Metramo. Si dice che abitava in un paese del Vibonese, da dove era partito domenica mattina con un gruppo di amici. Destinazione: la diga sul Metramo, per una tranquilla domenica all’insegna della pesca. Ma la domenica, purtroppo, non si è rivelata affatto tranquilla in quanto il trentenne è scomparso in acqua senza più riaffiorare. E ancora non lo hanno trovato.
Non voglio fare il moralista, ma vedo questa morte come un segno per riflettere su delle cose che il nostro tempo ha preferito scordare... Lassù sulle montagne di Galatro si è consumata una tragedia, anche se il paese è rimasto nella sua ormai cronica indifferenza.
Anche se “l’annegato della Diga” non ha un volto e nessuno che ne reclami il corpo, anche per lui vale il detto che “bisogna seppellire i morti con la carezza della terra. Anche senza le lacrime, anche senza amore di nessuno, ma la carezza della terra dice che tu sei nato, un giorno qualcuno ti ha fatto esistere. E la terra, anche se è fredda, anche se non ne ha voglia, ripete il gesto di tua madre che ti tenne nel ventre amoroso, in quelle acque di mistero”.
Purtroppo non c'è il superlativo assoluto di morte. O forse sì: nullificazione, annichilimento. Anzi, eccola lì la parola: zero, un bello zero. Sembra proprio questa la parola da usare, perché, purtroppo, se non fosse per quel suo corpo ancora non ritrovato, non saremmo qui a parlarne.
Che morale trarre da questa storia? Nessuna morale, non c'è. Una predica contro l'indifferenza? E chi sono io per farla…? Ma “l’annegato della Diga” dice che non c'è nulla di più disumano che una morte così leggera da non disturbare nessuno… svanire nel nulla, senza procurare uno sfrigolio di dolore, un pensiero a nessuno…
C'è qualcosa di insopportabile in questo mondo senza significato. E però è evidente che così non va, che non siamo nati per questo: per essere dimenticati in vita e sparire morendo.
“L’annegato della Diga” che giace in quel letto di milioni di metri cubi d’acqua grida qualcosa… non è uno Zero, è stato un uomo, ha avuto un volto. Ha avuto un destino. E' tornato al Mistero. In un tragico destino è ritornato alla vita eterna?
Che riposi in pace...

Nella foto: cala la notte sulla diga sul Metramo.

Articoli sulla Diga:
Il Sindaco scrive al Consorzio di Bonifica per la situazione della diga
La diga sul Metramo: una fonte potenziale di pericolo
Diga inaugurata in sordina? E' un senso di colpa del sindaco Panetta
L'inaugurazione della diga sul Metramo
Problema diga sul Metramo... non solo sicurezza!
Pericoli per la piena della diga: convocati gli enti preposti
Servizio del Tg1
Lettera del Sindaco sui possibili pericoli della diga
Rai3 sulla diga: contestato Misiti
Un video sulla diga
Info sulla diga

Torna ai titoli


(21.5.13) OMOFOBIA E OMOSESSUALISMO (Pasquale Cannatà) - Riporto uno stralcio della lettera di Camillo Langone al presidente del Senato Pietro Grasso:

“Illustre presidente, le scrivo e contemporaneamente mi confesso: faccio parte di quella categoria di cittadini «meno uguali degli altri», come lei ha definito gli omofobi in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia. Più che l’omosessualità a me fa paura l’omosessualismo, l’ideologia che considera l’omosessualità cosa buona e giusta, anzi migliore, da promuovere e sostenere con ogni mezzo, culturale, politico, economico, sottraendo risorse ai padri e alle madri colpevoli di aver messo al mondo dei figli.”

Credo che Langone (che potremmo definire cattolico ortodosso) non abbia personalmente nulla contro le persone gay, ma che con le sue parole voglia invece sottolineare che molti di quelli che vengono definiti omofobi non lo sono affatto, perché non disprezzano gli omosessuali in quanto individui, ma anzi li accolgono e li rispettano rifiutando però di uniformarsi alla corrente di quelli che si ritengono «più uguali degli altri» perché vogliono concedere alle coppie gay, tra gli altri diritti, anche il diritto di adottare dei figli. Un bambino ha diritto di avere un padre ed una madre, come natura vuole, e se poi da grande per stimoli materiali o culturali scoprirà di essere gay, farà le sue scelte non condizionato dal fatto di essere cresciuto in una famiglia di non-genitori appartenenti allo stesso sesso.
A questo proposito riporto altre due recensioni che possono aiutare ad illustrare meglio questi temi:

“Lo Stato laico garantisce dei diritti reciproci alle persone che assumono reciproci impegni, che accettano dei doveri a fronte dell’acquisizione di diritti. Uno Stato laico non può fare distinzione di sesso, di razza e di religione. Uno Stato laico deve garantire gli stessi diritti alle persone che si assumono gli stessi reciproci impegni siano loro dello stesso sesso o di due sessi diversi, della stessa razza o di due razze diverse, della stessa religione o di due religioni diverse. Lo Stato laico garantisce diritti “reciproci” e tutela coloro che sono al di fuori dell’unione delle due persone, in primis gli individui indifesi: i bambini. I bambini, figli di mammiferi, hanno il diritto naturale di avere un genitore maschio e un genitore femmina: uno Stato laico deve garantir loro questo diritto naturale. Tutto il resto è punto di vista, opinione, fede religiosa, pregiudizio, ideologia: tutto tranne che libertà. Uomo libero è colui che non ammette che altri non abbiano i suoi stessi diritti e che prioritariamente difende i diritti di chi non può farlo.” (Roberto Bellia sul foglio quotidiano)

“Sono dei ladri. Dei ladri di parole e quindi, essendo le parole cose, sono ladri e basta. Nella clinica universitaria di Padova hanno rubato la parola “padre”. Al suo posto, nei braccialetti consegnati ai genitori in visita nel reparto di ostetricia, hanno messo un surrogato: la parola “partner”. “Abbiamo preso questa decisione per non offendere la sensibilità di nessuno”, dice il direttore della clinica che invece ha offeso la sensibilità di tutti gli uomini. Io sono un uomo e se faccio un figlio esigo di essere chiamato padre. Non voglio essere definito, io che sono italiano, con una parola inglese. E nemmeno con la sua traduzione: non sono socio di nessuna donna, “socio” è parola del mondo dell’economia e io distinguo l’amore, che è dono, dall’economia, che è scambio di un bene o servizio in cambio di moneta. Io, tanto per cominciare, non compro i figli nelle banche del seme e non noleggio corpi di donne povere come fanno gli omosessuali bramosi di riprodursi contro natura. Io non sono né partner né socio, e loro sono dei ladri. Hanno rubato ai padri e hanno rubato ai bambini. Che Dio non li perdoni. E nemmeno i bambini, quando saranno grandi.” (Camillo Langone sul foglio quotidiano)

A proposito dei diritti delle coppie omosessuali, Gianfranco Amato, su La Nuova Bussola Quotidiana (30-04-2013), scrive:

"E’ un falso problema la questione successoria, in quanto attraverso il testamento è possibile trasmettere il proprio patrimonio a chi non avendo vincoli legali e/o familiari col testatore sarebbe escluso dalla successione legittima. Oggi nulla vieta, peraltro, al convivente omosessuale di ricorrere agli strumenti del diritto volontario stipulando una polizza assicurativa o una pensione integrativa a beneficio del partner, o stipulando un contratto di comodato d’uso vita natural durante, ovvero costituendo un usufrutto d’immobile.
E’ un falso problema il subentro nel contratto di locazione della casa di comune residenza, in quanto tale contratto può ben essere stipulato congiuntamente dai due partner, e in ogni caso già la giurisprudenza costituzionale è intervenuta riconoscendo il diritto di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente (Corte Costituzionale sent. n. 404/1988). Così come è un falso problema la possibilità di visita in carcere del partner, oggi concessa anche ai conviventi grazie ad espresse disposizioni dell’ordinamento penitenziario (art. 18 della legge 26 luglio 1975, n.354, e art. 37 del regolamento di esecuzione D.P.R 30 giugno 2000, n. 230).
Per quanto riguarda le visite in ospedale oggi già quasi tutti i regolamenti interni dei nosocomi contemplano la possibilità di accesso ai conviventi. E’ un falso problema, inoltre, la risarcibilità del convivente omosessuale per fatto illecito del terzo (ad esempio in un incidente stradale), poiché la giurisprudenza ha ormai pacificamente riconosciuto tale diritto (Tribunale di Milano 12 settembre 2011, n. 9965), secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione (Cass., sez. unite Civ., sentenza 26972/08, Cass. III sez. pen. n. 23725/08).
Numerose sono, del resto, le disposizioni normative che attribuiscono diritti specifici alle «persone stabilmente conviventi».
Basti citare, ad esempio, la possibilità di richiedere la nomina di un amministratore di sostegno (art. 408 e 417 c.c.), la facoltà di astensione dalla testimonianza in sede penale (art. 199, terzo comma, c.p.p.), la possibilità di proporre domanda di grazia (art. 680 c.p.), e così proseguendo.
La giurisprudenza riconosce, infine, la possibilità a conviventi omosessuali di stipulare, nell’ambito dell’autonomia negoziale disponibile, accordi o contratti di convivenza, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322 del Codice civile) e non contrastino con norme pubbliche, l’ordine pubblico o con il buon costume. Si tratta in genere di accordi di natura patrimoniale che rientrano nella disponibilità delle parti (ad esempio la scelta e le spese per l’abitazione comune; la disciplina dei doni e delle altre liberalità; l’inventario, il godimento, la disponibilità e l’amministrazione dei beni comuni; i diritti acquistati in regime di convivenza, ecc.).”


Alla fine, ed in buona sostanza, a me sembra che tutto questo baillame sui diritti degli omosessuali si riduca alla suddetta pretesa di adottare figli, di cui abbiamo parlato ed a quella più venale della reversibilità della pensione: e qui sta il busillis, si parla tanto di principi e valori, ma poi si va sempre a finire ad una questione di soldi!
La reversibilità delle pensioni è stata pensata in tempi in cui il matrimonio era unione tra un uomo ed una donna che aveva come conseguenza la nascita di nuovi cittadini, per dare “ai padri e alle madri colpevoli di aver messo al mondo dei figli”, come dice Langone, anche in mancanza di uno dei due coniugi che producono reddito, quella sicurezza economica utile a sostenere una famiglia che ha dato alla nazione un futuro, perché senza nuovi nati una nazione muore: estenderla anche alle unioni omosessuali, che per quanto rispettabili e non condannabili sono per loro natura sterili, è una forzatura che lo stato sociale, in questi tempi di crisi economica, forse non si può permettere.


Torna ai titoli


(26.5.13) PER LA MORTE DEL SIGNOR LORENZO DEMASI (Michele Scozzarra) - Giovedì 16 Maggio è morto il signor Lorenzo Demasi.
Nel comunicare la notizia della sua morte, sulla mia pagina facebook, ho scritto che avevo in mente di raccontare della sua vita, della sua fede, del suo lavoro: della sua partenza per l'Argentina e del suo ritorno; del suo impegno per le celebrazioni, a partire dal 1956, per la festa per l’incoronazione della Madonna della Montagna, ai fondi recuperati in Argentina per il restauro anche della Chiesa; della sua partenza, poi, per andare a lavorare in Svizzera e del suo definitivo rientro a Galatro.
Non evitando di affrontare direttamente la sua vita di fede, dal suo irrealizzato desiderio a diventare sacerdote, fino alla sua ben nota passione a realizzare delle statue di gesso o di terracotta, raffiguranti la Madonna del Carmine, la Madonna della Montagna, Padre Pio, il Cuore di Gesù e tanti altri.
A Galatro sono tante le case nelle quali vi è una statua realizzata, e regalata!, dal Signor Lorenzo Demasi. A cominciare dalla mia: quando mi sono trasferito nella casa dove abito ora, una sera ho sentito suonare alla porta. Era il signor Lorenzo con un involucro in mano: “So che siete una persona religiosa, che crede in Dio – mi ha detto – per questo ho pensato per la vostra casa questa mia piccola realizzazione”. Era una statua del Cuore di Gesù, che ho subito messo vicino al caminetto e lì si trova ancora.
Erano questi alcuni degli argomenti che volevamo mettere per iscritto, ma non ce l'abbiamo fatta, i tempi del Signore sono stati diversi dai nostri. Nei giorni scorsi, i familiari del Signor Demasi hanno trovato una busta, con sopra il mio nome e dentro delle vecchie fotografie che servivano per documentare le cose che mi voleva dire.
Ci ha lasciato un uomo buono che, sicuramente, il Signore ha già accolto nella sua casa eterna...
Don Gildo Albanese, che durante il periodo di parroco della Chiesa della Montagna ha avuto modo di conoscere molto bene Lorenzo Demasi, ha così commentato la mia nota su facebook: “Michele, ho saputo della morte di Lorenzo ieri sera, purtroppo non mi è possibile partecipare ai funerali perché sono a Roma. Fare memoria di quest’uomo semplice e pieno di vita non è facile. Condivido pienamente quanto hai scritto. Mi piace però custodirlo nel cuore perché è stato un uomo esemplare e di grande fede”.
Molto toccante anche l’omelia di don Giuseppe Calimera, durante i funerali dove, tra l’altro, ha detto: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Ho scelto di proposito questo brano evangelico perché ho avuto modo di costatare di persona come il nostro fratello Lorenzo l’ha vissuto di persona. La sua costante presenza alla messa domenicale, il suo continuo confessarsi mi hanno dimostrato che lui era un uomo di fede, di amore per la Chiesa ma soprattutto alla Madonna, morto proprio nel mese di maggio che a mio parere non è un caso. A noi ci lascia il ricordo e a noi l’impegno di imitarlo nelle sue qualità di cristiano. La sua devozione all’Eucaristia e alla Madonna gli hanno consentito oggi di entrare in paradiso cosi da contemplare la terra promessa ai servi fedeli. La mamma celeste oggi lo accoglie e offre al suo Figlio”.
Grazie signor Lorenzo per la grande testimonianza di fede che ci ha lasciato, vuol dire che quello che mi voleva dire me lo dirà nell'eternità lì, sicuramente, quando ci incontreremo avremo più tempo per discutere...
Avevo pensato che non c'era modo migliore per ricordarla, che con questo applauso che Lei ci lascia, così nella foto che lo ritrae, anche se avevo aggiunto che, per come ha vissuto su questa terra, penso che questo applauso siamo noi che lo rivolgiamo a Lei.
Ma la sensibilità di don Giuseppe Calimera mi ha commosso, forse come suo confessore conosceva il suo animo meglio di chiunque altro, per questo alla fine del rito funebre ha chiesto al coro, come saluto di congedo il canto a Lei più caro di affidamento e devozione alla Madonna della Montagna; infatti, non c’è stata persona che è riuscita a tenere gli occhi asciutti mentre in Chiesa tutti i presenti, a gran voce, insieme al coro hanno cantato per Lei:

Bona sira vi dicu a vvùi Madonna,
la Gloriusa di Santa Maria.
E la matina bongiornu, bongiornu,
siti patruna di tuttu lu mundu.
Mu ndi libbara di li peni di lu 'mpernu,
di tutti li mali disgrazi di lu mundu...















Nelle foto, dall'alto in basso: Lorenzo Demasi, la busta per Michele Scozzarra, vari momenti dell'incoronazione e della processione della Madonna della Montagna nel 1956, in gruppo davanti alla nave in partenza.


Torna ai titoli


(19.6.13) UN COMMENTO IMPREVISTO E PIACEVOLE DALL'ARGENTINA (Michele Scozzarra) - Per chi scrive, la realtà è come un treno, e il suo viaggio come quello di un pendolare dove, al limite, non è interessato neanche alla destinazione, perché lui è lì per registrare e commentare le vicende che ritiene importanti, cioè le “stazioni” più significative nelle quali si ferma, talvolta ignorando pure l’estensione e le ripercussioni che potrà avere questa “sosta”, perché tutto scorre, sotto la tastiera, come in un baleno. Tutto passa in un attimo, in uno stato d’animo che, continuamente, ti butta fuori e dentro la realtà, facendoti scendere, di volta in volta, in una stazione diversa, anche quando materialmente si resta sempre incollati dietro la tastiera del computer.
Eppure questo scrivere è un’occupazione nobile ed esaltante come poche altre attività, anche se della scrittura felice o infelice, nella quale si impegna il tempo e le risorse intellettuali, apparentemente, sembra che, da un giorno all’altro, nulla rimane… nonostante i lunghi percorsi vissuti e comunicati dietro i tasti del pc.
Ma è la realtà descritta in un foglio bianco, oppure riprodotta in qualche vecchia fotografia, che tante volte non ci sta ad essere archiviata in fretta, anzi apre altri orizzonti dove ci si imbatte in qualcosa che non si immaginava neanche di incontrare.
In effetti, proprio un mese addietro, quando ho scritto
l’articolo per la morte di Lorenzo Demasi, non avevo neanche lontanamente immaginato che nella fotografia scattata in Argentina, c’erano i mei cugini e la lettera di mia cugina, Pina Lamanna, veramente mi ha fatto capire come la realtà riprodotta, anche in qualche vecchia fotografia, ci apre a degli orizzonti inimmaginabili:

“Ciao Michele, ho letto il tuo articolo e quando sono arrivata alla fine questa fotografia mi ha procurato una grande emozione, anzi un brivido... Ti sei reso conto che ci sono i miei zii morti: sotto, in basso, Gerardo Ambesi con gli occhiali, Luigi Ambesi e poi, in alto, anche con gli occhiali Raffaele Ambesi. Sicuramente erano amici di Lorenzo Demasi. Certo che non è stato un caso la morte del Signor Demasi avvenuta nel mese di maggio, proprio il 16 maggio. Sai che si festeggia da noi in questa data? Santo Padre Orione: il cuore si trova a Claypole, proprio nel cimitero che si trova nei fondi del Santuario, dove mio zio Raffaele riposa in pace! Credi sia una cosa casuale? Io no, penso che tutto è opera del Creatore...
Hai scritto che questa foto è stata fatta il giorno della partenza nel Porto di Buenos Aires nel 1956. Che bel ricordo che ti ha lasciato il Signor Lorenzo Demasi, adesso la invierò ai miei cugini, a mia madre e zia Maria. Grazie per l´articolo che di sicuro non ti sei reso conto che si trattava dei miei zii e dei cugini di tua mamma e anche tuoi. Un forte abbraccio e baci per questo bel ricordo di miei zii. Pina”.


Anche per me la lettera di mia cugina Pina è stata come una scossa, è vero che non avevo neanche la più pallida idea che stavo pubblicando una foto con i miei cugini, anche se penso che Lorenzo Demasi avesse messo da parte proprio “quella” foto per me, per raccontarmi di loro.
Questo rende ancora più evidente quello che ho scritto prima, cioè che scrivere è come intraprendere un viaggio dove si può incontrare di tutto, anche cose che non si poteva immaginare che potessero essere così “familiari”… e tutto continua a scorrere sotto la tastiera, non sapendo a cosa si va incontro.
E le stazioni dove fermarsi, se Dio vuole, ancora sono tante… e le impreviste sono le più belle!



Torna ai titoli


(22.6.13) SCENA DA UN MATRIMONIO: LA SPOSA LANCIA IL MAZZO DI FIORI MA... (Pasquale Cannatà) - C’era una volta il matrimonio. Quale che fosse la loro età, un uomo ed una donna che si amavano o dei quali era stato combinato il matrimonio, andavano a sposarsi in chiesa: solo poche coppie di atei duri e puri ufficializzavano la loro decisione di andare a vivere insieme registrando questa scelta negli uffici del comune di residenza. Anche i credenti più tiepidi infatti, e moltissimi non credenti si sposavano in chiesa per far contenti i genitori o per rispettare le tradizioni.
Con l’avvento della legge che introduceva il divorzio anche in Italia, inevitabilmente i matrimoni civili sono aumentati di gran numero per l’impossibilità di celebrare un secondo matrimonio religioso, ma veniva sentita dalla coppia la necessità di regolarizzare legalmente la nuova posizione ai fini di stabilire secondo criteri di equità e giustizia i diritti ed i doveri di ognuno dei due coniugi riguardo i figli ed il patrimonio familiare.
Si è diffusa in seguito la tendenza di molte coppie ad andare a convivere senza alcun legame ufficiale, salvo poi ricorrere al matrimonio quando si decideva di avere dei figli, per il motivo sopra esposto.
Nella maggior parte dei casi era la donna a desiderare questa “tutela legale”, e ciò è comprensibile essendo lei a generare una nuova vita della quale si sente naturalmente responsabile e quindi più propensa a garantirle ogni bene possibile, materiale e morale: per questo motivo ogni sposa, ad un certo punto della festa che segue il rito civile o religioso, lanciava il mazzo di fiori in direzione delle amiche non ancora sposate, e queste facevano a gara per prenderlo in quanto la tradizione dice che chi se ne impossessa sarà la prossima a sposarsi.
Ultimamente poi molte coppie mantengono la separazione dei beni materiali e non ponendosi più il problema di avere dei figli, al matrimonio non ci pensano proprio: il matrimonio ed il desiderio di avere dei figli sembra interessare solo le coppie gay.
Queste riflessioni mi sono venute in mente quando pochi giorni fa sono stato presente al matrimonio del figlio di una coppia di amici: si è svolto tutto secondo tradizione consolidata fino al momento del lancio del bouquet da parte della sposa. Come già detto, si tratta di un gesto beneaugurante per le amiche della sposa, le quali si sarebbero dovute impegnare per entrare in possesso dei preziosi fiori in vista del loro prossimo matrimonio. Ma a questo punto mi è toccato assistere con mia grande sorpresa alla riluttanza delle suddette ragazze nel prendere posizione alle spalle della sposa, e quando, dopo molte insistenze di alcune di esse, le ragazze si sono sistemate e la sposa ha lanciato il bouquet, tutte si sono scansate per non prenderlo, così che è finito in mano ad un bambino!
La sposa, pensando di aver fatto un lancio corto tale da non raggiungere le amiche posizionate più lontano, ha insistito per ripetere l’operazione, ma le ragazze hanno anche questa volta evitato accuratamente di prendere il mazzo di fiori che è stato conquistato da una bambina.
E’ stata una scena veramente triste e desolante, da far cadere le braccia, ed io ho visto in questo atteggiamento una mancanza di rispetto verso la sposa, come se le amiche avessero voluto dirle che loro non faranno mai una cosa così stupida come quella di sposarsi: loro sono “avanti” e non si presteranno a simili inutili rituali perché l’amore non ha bisogno di “carte bollate”.
Le motivazioni di un simile comportamento, secondo me, potrebbero essere due:

a) Le ragazze avrebbero il desiderio di avere dei bambini e di sposarsi, ma non vogliono dare ai loro partners l’impressione di voler forzare la scelta verso il matrimonio, e così evitano anche un gesto simbolico che porta in quella direzione.

b) L’istinto materno si è in loro affievolito a tal punto da non voler avere figli e quindi, mancando la necessità di una tutela nei loro confronti, sono indifferenti al matrimonio.

Sono propenso a credere alla prima ipotesi, anche perché i giovani di oggi tendono ad evitare le responsabilità che derivano dall’assunzione di impegni verso le altre persone, siano esse l’altro coniuge o i figli: è più comodo stare insieme finchè non ci sono intoppi ed andarsene ognuno per conto suo alle prime vere difficoltà che la vita ci pone davanti, senza ostacoli burocratici o marmocchi a cui badare.
Se le cose stanno così, quanto mancherà all’estinzione della civiltà e della cultura occidentali?
Se la natalità delle popolazioni originarie del nostro continente continuerà a diminuire, diventeranno preponderanti i nuovi nati dalle coppie di immigrati che aumenteranno sempre più di numero, raggiungendo inevitabilmente posti di potere ed approveranno leggi ispirate alla loro cultura: una volta si poteva affermare che “non possiamo non dirci cristiani”, ma fra qualche anno diventerà una realtà il fatto che “moriremo tutti musulmani o buddisti!”

Nella foto: la sposa lancia il bouquet.


Torna ai titoli

INDIETRO

Copyright @ Associazione Culturale del Metramo 1999 -