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9.7.13 - Il fascino di lavorare per la bellezza del Metramo
Michele Scozzarra

14.7.13 - 16 Luglio: festa della Madonna del Carmine
Michele Scozzarra

28.7.13 - Il lavoro nobilita
Nicola Sollazzo

9.8.13 - Sulla festa della Madonna della Montagna alla Cona
Michele Scozzarra

21.8.13 - A difesa delle tradizioni
Nicola Sollazzo

23.8.13 - Pallone in piazza Matteotti: disagi per gli abitanti e pericoli per i bambini
Antonia Carè

29.8.13 - In ricordo del Prof. Francesco Distilo
Nicola Sollazzo

1.9.13 - In merito al gioco del pallone in piazza Matteotti
Francesco Orlando Distilo

6.9.13 - Sallusti svegliati, non sei Montanelli
Angelo Cannatà

25.9.13 - La logica nella repubblica delle banane
Domenico Distilo

28.9.13 - Terme: vietato crescere
Alfredo Distilo





(9.7.13) IL FASCINO DI LAVORARE PER LA BELLEZZA DEL METRAMO (Michele Scozzarra) - Scriveva Giovannino Guareschi nella prefazione del suo “Don Camillo” che “i fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, perché l'acqua è roba fatta per rimanere orizzontale e soltanto quando è perfettamente orizzontale l'acqua conserva tutta la sua naturale dignità. Le cascate del Niagara sono fenomeni da baraccone come gli uomini che camminano sulle mani… Perché è l'ampio, eterno respiro del fiume che pulisce l'aria. Del fiume placido e maestoso sull'argine del quale, verso sera passa rapida la Morte in bicicletta. O passi tu sull'argine di notte, e ti fermi e ti metti a sedere e guardi dentro un piccolo cimitero che è li sotto l'argine. E se l'ombra di un morto viene a sedersi vicino a te, tu non ti spaventi e parli tranquillo con lei. Io so che quando ero ragazzo mi sedevo spesso sulla riva del grande fiume e dicevo: "Chi sa se, quando sarò grande, riuscirò a passare sull'altra riva!". E spesso vado a sedermi come allora sulla riva del grande fiume e, mentre mastico un filo d'erba, penso: "Si sta meglio qui, su questa riva".
La lettura di Guareschi e l’immagine di un fiume (che non ha niente di più del nostro Metramo!) affollato da tante persone mi hanno portato a commentare sulla mia pagina facebook, che “a pensarci bene non è molto difficile realizzare questo a Galatro… e che bellezza poter lavorare per realizzare qualcosa del genere…”.


In seguito a tanti commenti, soprattutto di amici non galatresi, che mi hanno chiesto “cosa voglio dire quando scrivo che non è molto difficile realizzare qualcosa del genere a Galatro…”, ho pubblicato una bella foto del Metramo che attraversa Galatro, evidenziando, secondo me in modo “non contestabile”, che a Galatro si potrebbe realizzare qualcosa di ancora più bello di quanto riprodotto nell’altra foto.


Oggi il vero e proprio alveo del Metramo è andato ricoprendosi nel tempo di una lussureggiante vegetazione fino a costituirne, nella sua forma attuale, un ambiente di incomparabile bellezza e suggestione, dove l’acqua diventa elemento dominante, sia visivamente che concettualmente.
L’acqua si concede liberamente e “naturalmente” e volendo (come durante l’anno fanno diverse associazioni estranee al nostro paese), possiamo anche noi partire alla “scoperta” del grande Metramo, facendoci trasportare in uno scenario che ha del fantastico: una mescolanza di verde, dato dalla natura rigogliosa, dove scorre il fiume rispecchiando il cielo terso; mentre il ritmo dell’acqua ci immerge in una tranquillità che pervade, facendoci scoprire degli angoli di incantevole bellezza.
Penso che il nostro compito sia, semplicemente, quello di sostenere e salvaguardare quello che già c’è, e agire di conseguenza: l’acqua è una grande forza della natura e, al di là di tutte le potenzialità economiche ad essa legate ritengo che, per il nostro paese, rappresenti una grande risorsa naturale da sapere bene sfruttare, anche in termini di “bellezza naturale e ambientale”, lasciando che quanto di bello di cui è portatrice venga a galla, mettendo ben in evidenza, tutto quanto di bello dispensa.
Anche perché il nostro fiume parla e, nel suo piccolo (parafrasando Guareschi!), è uno dei fiumi più rispettabili della nostra terra; infatti, come il fiume di Guareschi, anche il Metramo è uno dei “personaggi” più importanti che la nostra terra ha avuto e, in un tempo in cui tutto sembrava possibile e tutto era ancora “pulito”, anche il nostro fiume ha sussurrato storie a tanti nostri poeti…che è bene cercare di riprendere anche nei nostri giorni, perché come concludeva Guareschi in tanti suoi deliziosi racconti, “…il che è bello e istruttivo!”.


Nelle foto, dall'alto in basso: l'autore dell'articolo Michele Scozzarra; un fiume molto frequentato per pic-nic; il fiume Metramo con i suoi greti; il ponte dell'Annunziata sul fiume Metramo con i greti.


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(14.7.13) 16 LUGLIO: FESTA DELLA MADONNA DEL CARMINE (Michele Scozzarra) - Il 16 luglio la Chiesa celebra la Madonna del Carmelo: a Galatro, anche quando non c’era alcuna cosiddetta “festa civile”, anche se non passava per le strade del paese nessuna macchina ad annunciare la festa, nonostante questo i galatresi sapevano, e sanno!, che questo non è un giorno come gli altri... questo è un giorno di festa!
Lo sanno perché la festa della Madonna del Carmine, a Galatro, è una festa spontanea, semplice e vera, che ha la sua radice profonda nella tradizione più intima e più cara al popolo galatrese. I galatresi lo sanno perché sentono nel cuore che questa festa c’è, anche se nessuno ne parla, è presente anche quando non si vede... è come la luna che un pò non c’è e poi c’è di nuovo. Ma anche quando non si vede si sa che c’è lo stesso!
Ecco, la festa della Madonna del Carmine, per tanti galatresi è questo: sapere che c’è, anche quando tutto sembra buio… sapere che c’è, anche se fisicamente le circostanze ci portano lontano, sapere che c’è, tenersi pronti anche quando si è lontani, così come i contadini sanno, d’inverno, che la luglio ci sarà da mietere!
Proprio questi pensieri, che avevo già espresso in passato, mi sono tornati alla mente dopo una richiesta che, nei giorni scorsi, mi è arrivata dall’Argentina, da parte della Signora Teresa Piccolo: “Michele ti voglio chiedere un favore. Ti mando una foto della mia cara sorella Elsa, che da qualche mese non c’è più, se la puoi pubblicare il giorno della Madonna del Carmine, visto che lei era tanto devota alla nostra Madonna. La foto che ti mando mia sorella l’ha voluta fare con la Vergine nel 1960, prima di partire per l’Argentina e venire a Buenos Aires”.
Questopensiero che mi ha commosso, si inserisce a pieno titolo nella Tradizione che dal Monte Carmelo (Karmel tradotto significa: giardino-paradiso di Dio) iniziò il culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la “Stella Polare, la Stella Maris” del popolo cristiano e il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al beato Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte. Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine per vivere sotto la sua protezione.
Proprio nei giorni scorsi da Radio Maria ho ascoltato padre Livio dire che: “la Madonna, tra le diverse apparizioni di Fatima, ai tre pastorelli è apparsa come la “Madonna del Carmelo”. La stessa santa Teresa d’Avila, la grande riformatrice del Carmelo, così inizia il suo libro delle “Fondazioni”: “nel nome del Signore, con l’aiuto della sua gloriosa Madre, di cui, benchè indegna, porto l’abito”, cioè lo scapolare, l’abito proprio dell’Ordine carmelitano che da secoli ha professato la più tenera devozione a Maria.
Anche quest’anno il rivivere questa festa ci riporta a quanto accadde duemila anni fa:il cristianesimo accade così nel silenzio della vita quotidiana e poi capovolge la storia, incendia i cuori e illumina il mondo. Anche al tempo di Augusto, in quella primavera dell’anno 747, a Roma, capitale dell’Impero, nessuno avrebbe mai degnato di attenzione una fanciulla ebrea di 16 anni che in un borgo oscuro della Galilea, Nazareth, aveva ricevuto una visita misteriosa e aveva coraggiosamente detto “sì” ad una maternità “impossibile”. Eppure per secoli lei sarebbe stata detta “beata”, per millenni sarebbe stata acclamata come “Regina”, amata come nessuna mai, rappresentata e cantata da centinaia di artisti, invocata da oceani di infelici come il loro dolce soccorso, chiamata da poveracci e re.
“Dicevo che vi racconto la chiesa del Carmine. L’idea di farlo, è maturata circa un mese addietro, quando, dal nostro Parroco, ho saputo che quest’anno per iniziativa di un gruppo di devoti, sarebbe tornata la festa civile in onore di Maria Santissima del Monte Carmelo. E mi sono riproposto di scrivere un racconto che, pur nel rigoroso rispetto della storia, abbandonasse i classici canoni della storiografia per seguire la narrazione di fatti ed eventi con l’unico intento di portare a conoscenza dei fedeli locali, ma in forma semplice e chiara, le notizie più importanti riguardanti la nostra “chiesiola”: con queste parole il prof. Umberto Di Stilo ha presentato “ai suoi compaesani” la sua opera Il culto della Madonna del Carmine a Galatro: un titolo che conduce direttamente al cuore del contenuto del volume e che in poco più di cento pagine ricostruisce la storia della diffusione del culto per la Vergine del Carmelo nel nostro paese.
E se ci sono degli interrogativi sull’origine della Statua della Madonna, in quanto non si dispone di elementi per stabilire, con certezza, la bottega dalla quale nei primi anni del XIX secolo è uscita la statua e neppure chi ne sia stato il suo autore, non si può non costatare come “la statua, insomma, è tutta un messaggio di amore e di bontà e, per le sue peculiarità artistiche, è sicuramente una delle scultura sacre più espressive di tutta la dotazione statuaria galatrese perché, nel muto linguaggio dell’arte, riesce a comunicare una profonda interiore bellezza e a trasmettere dolci e teneri sentimenti materni”.
Dalla lettura del libro scopriamo che “la Chiesa del Carmine recentemente è stata dichiarata bene di interesse storico e artistico e, come tale, sottoposto a tutte le disposizioni di tutela”. Così come mi ha fatto piacere leggere (e si può ben capire il perché!) che “nel 1937, l’arciprete Marazzita, che già da tempo aveva notato che le condizioni della chiesa lasciavano molto a desiderare, grazie al contributo dei fedeli ha potuto provvedere a rifare l’interno… e per tutti i lavori si affidò all’estro artistico di un giovane muratore locale: mastro Peppino Scozzarra, del quale in paese si diceva un gran bene. E il giovane artigiano non deluse le aspettative, anzi, confermò le voci di quanti assicuravano che più che artigiano Scozzarra era un artista e che come muratore aveva superato anche il padre… A testimoniare la raffinata creatività artistica di mastro Peppino Scozzarra, resta la balaustra. Una piccola opera d’arte. Soprattutto se si considera che è stata realizzata tutta, pezzo dopo pezzo, nella stessa chiesa e senza mai poter ricorrere all’aiuto di macchine”.
Nel libro, in segno di gratitudine e ricordo, non sono tralasciati i nomi dei promotori “storici” dei festeggiamenti civili in onore della Madonna del Carmine: Carmelo Marazzita, Rocco Congiustì, Vincenzo Martino, Fortunato Mandaglio, Ferdinando Ocello, Ferdinando Ocello junor, Bruno Distilo, Nicola Scoleri, Carmelo Biagio Distilo, Michele Lauro, Gregorio Riniti, Luigino Scozzarra, Gregorio Sorrentino; per, poi, descrivere i vari momenti della devozione alla Vergine del Carmine, che passano attraverso la festa, la processione, il catafalco, i mercoledì, la novena, la giornata di preghiera e digiuno in chiesa, lo scapolare… già lo scapolare o, come lo chiamiamo noi, l’abitino… quell’abitino che da inizio al libro del prof. Umberto, dove racconta che “una signora, devota della Madonna del Monte Carmelo, avendo saputo dal figlio, mio amico, che da tempo ho pronto per la stampa un volume sulla storia della chiesa e della parrocchia della Madonna della Montagna, mi ha chiesto: E da’ Madonna e da’ chesia nostra no’ scriviti nenti? “Madonna e chesia nostra”: non è stato necessario specificare a quale Madonna e a quale chiesa facesse riferimento. C’era il possessivo “nostra” che era più eloquente di ogni altra precisazione. Almeno per me che, come la mia gentile interlocutrice, sono nato e cresciuto in una abitazione assai vicina alla chiesa del Carmine. Praticamente all’ombra di quel piccolo ma caratteristico e, almeno per noi galatresi del quartiere “La Madonna”, sicuramente unico campanile. La stessa signora credo sia l’ultima devota che ogni anno, per amici e conoscenti che glielo chiedono, confeziona lo scapolare, l’abitinu, come ancora oggi preferiamo definirlo comunemente. Già. Abitinu quasi sicuramente perché chi lo indossa con fede, acquisisce un abitus speciale; una corazza protettiva che preserva dal fuoco dell’inferno. Anche per questo nell’iconografia più comune ai piedi della Madonna del Carmine, tra alte lingue di fuoco, si notano tante anime pronte a prendere lo scapolare che la Madonna e il suo Divin Figliuolo tengono in mano. E’ lo scapolare che salva dal fuoco eterno, e quelle anime sono desiderose di essere salvate. L’abitinu, la Signora di cui parlo, lo ha confezionato anche a me e, lo ha impreziosito con il ricamo in seta bianca del monogramma che da sempre ci richiama Maria”.
E, su questo argomento, penso sia, da parte mia, necessario soffermarmi un attimo sulla “Signora” dell’abitino, che conosco molto bene e per questo posso ben testimoniare che la “Signora” ha avuto sempre un legame particolare, una predilezione particolare verso la Madonna del Carmine e la sua chiesetta: ricordo che da bambini, io e mio fratello, avevamo sempre attaccato alla spallina della canottiera l’abitino della Madonna del Carmine, preparato con cura e devozione da parte della “Signora” proprio come un affidamento dei suoi figli alla Vergine del Carmelo, per vivere sotto il suo sguardo e la sua protezione. Oggi, a distanza di anni, nel rivedere qualcuno di quegli abitini sgualciti dal tempo, che ancora gelosamente conservo tra le mie cose più care, si riempie il cuore di meraviglia e stupore, con la tenerezza di tutta una attenzione verso una storia che non mi ha mai allontanato dalla “nostra” Madonna.


Nelle foto, dall'alto in basso: La statua della Madonna del Carmine nella chiesa matrice di San Nicola; Elsa Piccolo a fianco alla Madonna del Carmine nel 1960; La Madonna del Carmine e Ciccio Lauro, uno dei procuratoro storici della festa; La Madonna del Carmine in via Garibaldi negli anni Sessanta.


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(28.7.13) IL LAVORO NOBILITA (Nicola Sollazzo) - Il lavoro rende l’uomo libero. Questa frase si leggeva in un manifesto affisso dall’Amministrazione Comunale in occasione della festa dei lavoratori.
E’ vero, il lavoro nobilita perché rende l’uomo libero di esprimere le proprie idee, i propri pensieri, libera dalla dipendenza della volontà degli altri e dalla schiavitù morale, dona dignità alle persone che non si sentono legati da lacci e lacciuoli.
Ma quando il lavoro non è altro che una chimera allora tutto questo cambia e spesso si è costretti ad inchinarsi al più forte.
A Galatro tantissimi nostri concittadini se ne sono andati a trovare lavoro altrove proprio per non genuflettersi davanti a coloro che tanto potrebbero fare per ottenere posti di lavoro e nulla fanno per inerzia, per ignavia, per non dare quella libertà di cui tanto parlano a coloro che vogliono rimanere nel proprio paese, attaccati alle loro radici, felici di sentirsi e di essere galatresi.
Come già tante volte abbiamo detto, il nostro paese ha delle ottime potenzialità per ottenere lavoro e dare dignità a quelle persone che il lavoro lo cercano.
Si è già parlato della possibilità di creare molti posti di lavoro a tempo indeterminato sfruttando l’acqua invasata dalla diga sul Metramo, ma una altrettanto grande possibilità di lavoro ci potrebbe essere sviluppando adeguatamente quella eccelsa risorsa che sono le Terme.
Personalmente non conosco cittadine dove ci sono le terme che non abbiano un ottimo sviluppo economico e dove gli abitanti non godano di una vita abbastanza decorosa.
A Galatro l’Amministrazione Comunale invece di aiutare lo sviluppo, visto che le terme tra l’altro sono di proprietà del Comune, da un pò di tempo ha creato forti disagi attaccando il gestore ed impedendo, quando ne ha avuto la possibilità, di dare un adeguato risalto a questa nostra eccezionale struttura.
L’attacco indiscriminato fatto alla gestione delle terme ha determinato l’allontanamento di tutte le persone che in quella struttura vi lavoravano mettendo in crisi decine di famiglie.
Perchè gli amministratori si sono comportati in maniera così fanciullesca?
Per imperizia, per incapacità, per poco senso di responsabilità politica?
E’ vero che molti di quei lavoratori che erano stati allontanati sono stati dopo qualche tempo richiamati al lavoro, ma è altrettanto vero che alcuni di loro sono rimasti fuori perdendo quel tanto che li avrebbe aiutati ad avere una vita più decorosa.
Poco tempo fa Galatro Terme News pubblicava un
articolo inviato da una lavoratrice di quelli che non sono stati riammessi al lavoro.
Diceva questa lavoratrice in sintesi, che lei non si era mai sentita legata al carro di qualcuno, che non si sentiva certo un burattino tirato dai fili degli amministratori, che il suo unico obiettivo era avere il lavoro per aiutare la sua famiglia e per avere la libertà di poter esprimere liberamente le proprie idee.
Quell’articolo mi ha profondamente commosso perché in poche parole quella giovane lavoratrice ha dato a tutti, ma in primo luogo agli amministratori che quella situazione avevano creato, una lezione di democrazia e di dignità, di senso di responsabilità non da tutti conosciuto.
Sono certo che lo stesso senso di responsabilità avrà il gestore delle terme che da persona intelligente quale ha dimostrato di essere, si rileggerà quell’articolo apprezzandolo con nuovo spirito di solidarietà.
Agli amministratori comunali rinnovo l’invito a coinvolgere emotivamente tutti i galatresi a battersi per ottenere lo sviluppo economico della propria cittadina.
Avranno la volontà e la capacità di farlo?
Galatro è ormai da tempo che aspetta.

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(9.8.13) SULLA FESTA DELLA MADONNA DELLA MONTAGNA ALLA CONA (Michele Scozzarra) - Alle 5 del mattino di Giovedì 8 Agosto, la statua della Madonna della Montagna è stata portata in pellegrinaggio fino alla chiesa della Cona: si tratta di un gesto di preghiera inserito nell’ambito dei festeggiamenti che si terranno alla Cona dal 10 all’11 agosto dove, Sabato 10 alle ore 11.00, la Messa solenne sarà presieduta da S.E. Mons. Francesco Milito, Vescovo della nostra Diocesi.
Il pellegrinaggio alla Cona è sempre stato una festa, la meta di quasi sei ore di cammino, di tensione verso un luogo dedicato alla Madonna e che la fede della nostra gente ha voluto carico di significato, al punto da riuscire nella “realizzazione di un sogno durato secoli”, che si è concretizzato nella “realizzazione di una chiesa nelle immediate adiacenze dell’antica “Cona”.
Penso di rendere un servizio alla conoscenza di una bella pagina della nostra storia, nel pubblicare l’articolo che, nel luglio del 1999, l’amico Umberto Di Stilo ha pubblicato sul mensile “Proposte”, in occasione della “benedizione della statua della “Celeste Signora dei Campi”.

* * *

Tributo di popolo alla “Cona” di Galatro per la benedizione della statua della
CELESTE SIGNORA DEI CAMPI

Umberto Di Stilo

Festa grande per i galatresi delle contrade montane che, in occasione dell’arrivo e della benedizione della statua della Madonna della Montagna, tutti insieme si sono ritrovati alla “Cona” non solo per accogliere con applausi scroscianti e con l’accensione dei tradizionali fuochi pirotecnici la “Celeste signora dei campi”, ma per solennizzare un evento destinato a restare nella storia della comunità. Davanti all’antica icona, per secoli luogo di raccoglimento e preghiera per gli umili pastori della zona e per i semplici pellegrini di passaggio, insieme ad una osannante folla di fedeli, appositamente convenuta anche dai paesi vicini, c’erano il parroco Don Giovinazzo, il sindaco, prof. Cuppari, ed il comandante la stazione dei carabinieri, maresciallo Alioto.
La statua, che solo da poche ore aveva lasciato lo studio dell’artista che opera in un vicino paese delle Serre ed al quale era stata commissionata, perché tutti potessero ammirarla e venerarla, era stata sistemata su un camioncino, posteggiato accanto alla “Cona” e protetto da una improvvisata tettoia. Il parroco, prima di alzare l’aspersorio benedicente, ha sottolineato la grande devozione che ha spinto i fedeli della montagna a dotarsi dell’effigie della Madonna, assai cara a tutti i galatresi ed in modo particolare a quelli residenti nelle contrade montane che, da sempre, l’hanno eletta a loro protettrice. Dopo essersi soffermato sul valore dell’opera artistica, Don Giovinazzo ha dato lettura della pergamena che il 19 luglio era stata cementata nelle fondamenta della erigenda chiesa dedicata al culto di Maria SS. della Montagna.
La costruzione di questo moderno tempio, progettato dell’arch. Antonio Lamari, rappresenta “la realizzazione di un sogno durato secoli” e si concretizza non solo grazie alla generosità del defunto Duca Nicola Riario Sforza che ha generosamente fatto dono del suolo, ma anche per il lavoro di quanti da anni operano perché la chiesa di contrada “Carcafera-Castellace” diventi realtà: giovani e meno giovani che nella Madonna della Montagna, sin dalla nascita, per una tradizione ormai secolare, vedono la Mamma Celeste e la loro sicura protettrice.
Il sindaco, da parte sua, dopo aver ricordato le lungaggini burocratiche che hanno preceduto la posa della prima pietra, ha sottolineato l’amore filiale e l’attaccamento profondo che lega alla Madonna tutti gli abitanti delle frazioni montane, gente operosa impegnata nella dura agricoltura o nella pastorizia e spiritualmente legata alla Celeste Signora dei Campi. La realizzazione di una chiesa nelle immediate adiacenze dell’antica “Cona” è una vecchia aspirazione di tutti i fedeli galatresi. Già nel lontano maggio 1964, su iniziativa del parroco, Don Bruno Scoleri, il Vescovo di Mileto, Mons. Vincenzo De Chiara, benediceva e poneva a dimora la prima pietra di una erigenda e spaziosa chiesa che avrebbe dovuto sostituire l’antica ma angusta “Cona”. Alla cerimonia, oltre alle autorità locali con in testa il sindaco Marazzita, intervenne anche il vice prefetto Lombardo.
La morte del parroco e le difficoltà economiche di quei tempi, però, bloccarono il progetto. Solo in questi ultimissimi anni, per iniziativa di un gruppo di fedeli capeggiati da Salvatore e Nicodemo Nicolaci, da Pasquale Chindamo, Salvatore Mamone e da tantissimi altri ancora, l’idea è stata ripresa col fermo proposito di portarla a compimento. E c’è da credere che ci riusciranno molto presto. Ad alcune diecine di metri dalla “Cona”, infatti, sono già visibili i pilastri portanti di quello che sarà il “Tempio della Montagna”, una capiente chiesa che con le sue moderne linee architettoniche ben si inserirà nell’ambiente circostante.
Sull’altare maggiore di essa sarà posta la statua lignea della Madonna della Montagna che i promotori dell’iniziativa hanno preteso che, anche nei particolari, fosse uguale a quella che, realizzata nei primissimi anni del 1800 dal notissimo “santaro” De Lorenzo, da sempre è nella parrocchiale galatrese a Lei dedicata. Tutto ciò perché è davanti a quella statua che, sin da ragazzi, hanno imparato a recitare le prime preghiere e perché è quella, e solo quella, l’immagine che, suggellata dalla Fede e dalla devozione, da sempre portano impressa nel cuore. Perché quella (e solo quella) è la loro Madonna e poco importa che la espressione dolce e materna sia uscita dallo scalpello dello scultore dell’antica Garopoli o da quello di altro meno conosciuto artista.
Anche per questo hanno preteso che “la loro Madonna” avesse una chiesa tutta sua ed una festa che si differenziasse da quella che da secoli, ogni otto settembre, dalla intera comunità di fedeli galatresi viene tributata a “Maria SS. della Montagna”.
Secondo gli accordi raggiunti col parroco, infatti, la “loro” festa avrà cadenza annuale. Quest’anno in via del tutto eccezionale è stata celebrata domenica primo agosto in occasione dell’arrivo e della benedizione della statua lignea; per gli anni a venire, invece, sarà celebrata “nella domenica che cadrà tra l’otto ed il quindici agosto”.

Nelle foto, dall'alto in basso: La statua della Madonna della Montagna della Cona, la nuova chiesa della Cona, la vecchia Cona, il vescovo Mons. Milito.


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(21.8.13) A DIFESA DELLE TRADIZIONI (Nicola Sollazzo) - A casa mia si parla sempre il dialetto. Sempre, ad eccezione delle circostanze nelle quali è necessario parlare in lingua italiana. Ma perché parliamo il dialetto? perché con esso, con i suoi vocaboli spesso antichi, ritroviamo la nostra storia, la nostra cultura, la nostra civiltà.
Spesso infatti ci capita di incontrare vocaboli di antico dialetto di cui non conosciamo addirittura il significato ed allora ricorriamo a libri e desinenze che ci possano aiutare. E capiamo che spesso alcuni vocaboli hanno origine latina, greca o magari francese. E scopriamo così le nostre origini, le radici della nostra vita.
Il dialetto è cultura e non bisogna cancellarlo. Così come le tradizioni. Tante e di diverso genere sono le tradizioni che riempiono il nostro patrimonio di storia passata, tradizioni di vita vissuta, di giochi, di vita ecclesiastica. Molte di queste tradizioni ancora vivono nella storia della nostra comunità, altre sono state cancellate dal progresso e dal vivere civile. Ma quelle che di più resistono sono le tradizioni religiose che hanno scandito il nostro passato e che ancora oggi rivivono nel cuore di ogni galatrese.
L’otto settembre di ogni anno è un giorno indimenticabile per tutti i galatresi: è la festa della Madonna della Montagna, il giorno che si porta in processione la sua statua e questa data è così sentita ("all’ottu settembri facimu la festa") che molti nostri compaesani che lavorano all’estero prendono le ferie in quel periodo per poter essere presenti a quel rito.
E poi la prima domenica di agosto è la festa della Madonna del Carmine, anche se la sua ricorrenza è il sedici di luglio; e l’ultima domenica di settembre si celebrava la festa di San Rocco che chiudeva le feste religiose, anche se la ricorrenza è il sedici di agosto.
Sono date queste che hanno scandito la nostra vita, che provengono da lontano nel tempo e che ripercorrono la nostra storia di galatresi.
Qualche volta nelle feste ci sono dei momenti tradizionali che forse sono sconosciuti a tanti e molto di più ai giovani di oggi. Non tutti sanno ad esempio perché quando una statua portata in processione arriva al centro del ponte dell’Annunziata viene fatta una sosta ed iniziano i fuochi d’artificio. E’ una tradizione che si rifà ad un tempo lontano, quando gli abitanti dei rioni Magenta e Montebello non potevano attraversare il ponte per poter andare all’altra sponda perché tra di loro non correva buon sangue, fino a quando la pace non è intercorsa tra le due popolazioni. I fuochi d’artificio alla statua sul ponte vogliono essere il benvenuto al Santo che si sta portando in processione da parte della popolazione del rione dove la stessa statua si sta addentrando.
La venerazione per i Santi avviene giorno dopo giorno, imitando il loro stile di vita e la loro devozione al Signore, però queste date chiaramente ci richiamano e ci riportano al nostro passato.
Oggi un giovane prete, appena arrivato come parroco del paese, ha già voluto cambiare una di queste tradizioni, quella di San Rocco, andando in processione il giorno della ricorrenza.
Le tradizioni si possono cancellare perché comunque resteranno per sempre scolpite nella mente di ognuno di noi, ma cambiarle, correggerle senza motivo, può voler dire non avere rispetto per il nostro passato e per la nostra storia di credenti e fare mancare al nostro futuro un grande elemento della nostra civiltà passata.

Nelle foto: in alto l'ing. Nicola Sollazzo, autore dell'articolo; in basso la statua di San Rocco a Galatro.


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(23.8.13) PALLONE IN PIAZZA MATTEOTTI: DISAGI PER GLI ABITANTI E PERICOLI PER I BAMBINI (Antonia Carè) - Da trent’anni sono proprietaria della casa in piazza Matteotti e in questo lungo periodo ho permesso, ripeto, io ho permesso che si usassero le mie serrande come "improprie” reti di campo di calcio e, scusate se è poco, ho sempre riparato i danni senza mai chiedere o dire niente a nessuno. E fino quà ero brava e buona per “quelli“ che in questo periodo si riempiono la bocca, larga come un cratere, nel dire che ”si sono cresciuti in piazza”. A questi posso chiedere direttamente: perchè non si è mai fatto vivo nessuno ogni qual volta hanno rotto le improprie reti da calcio o provocato altro danno alla casa sulla piazza?
Da circa un mese la stessa casa, dopo essere stata demolita e ricostruita, è abitata. Da quel momento, se permettete, se no fa lo stesso, le regole sono cambiate; e scusate se è tanto chiedere di smetterla a quei pochi ragazzi che continuavano a usare le serrande in piazza come sopra descritto (dico pochi perchè la maggior parte dei genitori, da quando hanno visto che la casa è abitata, hanno spiegato ai loro figli che a questo mondo esiste una regola d’oro che vale più di un calcio ad un pallone e che purtroppo non tutti mettono in pratica, ed è il rispetto.
I ragazzi si sono spostati dall’altro lato ai margini della piazza e qui ho notato subito il pericolo, perchè andavano proprio nella curva e rischiavano di finire sotto le macchine che passavano nell’andare a recuperare il pallone in strada. Mi sono preoccupata nel vedere il grave pericolo che correvano e ho mandato un esposto a “chi di dovere” (in basso potete leggerne una copia) spiegando quello che ho visto. Non c’è stata nessuna denuncia, al contrario c’è stata da parte mia la preoccupazione per quello che sarebbe potuto succedere ai ragazzi giocando ai margini della piazza.
Per questo ho lasciato che si continuassero a dire menzogne e falsità, perchè sicura del contrario delle calunnie che sono circolate in paese, sono rimasta in silenzio, ho visto e sentito personalmente, ma ho lasciato la parola alle persone arrabbiate, non con gli altri ma con se stessi, perchè vorrebbero essere quelli che non sono e che non saranno mai e si sfogano parlando male oggi dell’uno, domani dell’altro, senza rendersi conto che il male è dentro di loro.
“Chi di dovere” sa che in piazza non si può praticare questo gioco ma, come al solito, se non succede un incidente o qualcosa di grave, tutti fanno finta di niente.
Ci sono state due telefonate: una ad un genitore di un ragazzo che pensavo fosse minorenne e un'altra ad un genitore di cui il figlio il giorno prima per ben due volte ha rischiato di finire sotto le macchine per andare a recuperare il pallone in strada. Le stesse persone (mamme) intorno alla piazza, vedendo il pericolo scampato, lo hanno richiamato dicendo di non giocare là, perchè è pericoloso.
A chi ha detto che ho “cacciato” i bambini rispondo ad alta voce: ai bambini ho dedicato la mia vita, i miei studi e il mio lavoro e non permetto a nessuno maldicenze a riguardo.
Concludo col dire che è semplice e facile sparlare male di una persona. Troppe bugie e falsità si sono portate avanti. Ma, se parlare male di chiunque, purchè si parli male, vi rende felici, allora fatelo. Da parte mia ci sarà sempre, come al solito, il silenzio.

* * *

Al Sig. Sindaco del Comune di Galatro
e p. c. Al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Galatro
Al Sig. Prefetto di Reggio Calabria
Alla Procura di Palmi, RC

La Sottoscritta Antonia CARE’ nata e residente a Galatro in via Vittorio Veneto, Le inoltra questo esposto per renderla edotta di quanto segue: alcuni bambini e adolescenti del nostro Comune usano la piazza, Giacomo Matteotti, come improprio luogo ove praticare il gioco del calcio, con tutti i rischi che conseguono quando si praticano attività sportive in luoghi non attrezzati, e quindi non idonei a garantire la sicurezza.

Cito solo alcuni dei motivi per i quali piazza Matteotti non è idonea alla pratica sportiva:

  • Il fondo della piazza è in cemento, quindi del tutto inadatto ad attutire le conseguenze delle cadute.

  • Lungo tre lati della piazza sono disposte delle panchine in cemento, ed è facile immaginare cosa accadrebbe se un ragazzo durante la concitazione della gara dovesse perdere l’equilibrio e battere con la testa sul bordo di una panchina.

  • La piazza è limitrofa alla strada percorsa da automobili e motocicli; tra la piazza dove i ragazzi praticano lo sport e la limitrofa strada non vi è nessuna barriera protettiva, ma solo due gradini che rendono ancora maggiore il rischio di fuoriuscire in modo incontrollato dalla piazzetta e finire nella sottostante strada trafficata.

  • Si può quindi aggiungere che, nel nel tempo in cui la piazzetta viene usata come improprio campo sportivo, aumentano i rischi di incidenti stradali per gli automobilisti e i motociclisti, in transito nella limitrofa strada, i quali potrebbero essere colpiti dal pallone mentre si trovano al volante.

  • In conclusione, anche in considerazione che nel nostro Comune non mancano gli impianti sportivi pubblici attrezzati ed idonei, mi permetto, Signor Sindaco, di invitarLa, in qualità di Primo Cittadino e quindi di Primo Tutore della sicurezza dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e Primo Tutore della sicurezza della viabilità stradale, a provvedere ad allertare con atto formale i competenti Organi Comunali, a Lei sottoposti, deputati a vigilare sull’incolumità dell’Infanzia e deputati alla prevenzione degli incidenti stradali.

    Galatro 18.06.2013

    Antonia Carè

    Nella foto in alto: piazza Matteotti a Galatro.


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    (29.8.13) IN RICORDO DEL PROF. FRANCESCO DISTILO (Nicola Sollazzo) - Siamo ormai al trigesimo del giorno in cui il Prof. Francesco Distilo ha lasciato il purgatorio di questa terra per andare a godere dell’eterna felicità.
    Il Prof. Distilo, uomo mite e generoso, ha espletato molti impegni nel campo culturale e sociale del nostro paese, ed io che sono stato diverse volte testimone di questo impegno, nel religioso rispetto del dolore dei familiari, intendo, con queste poche parole, ricordarlo.
    Egli ha operato sempre nell’interesse del suo paese e dei suoi compaesani sia nel campo politico, quando è stato segretario della locale sezione della Democrazia Cristiana, sia quando è stato dirigente della squadra di calcio del Galatro, nata per la prima volta nel nostro paese.
    In entrambi gli impegni ha profuso il meglio del suo carattere mite ma capace ottenendo sempre degli ottimi risultati.
    Il suo motto era "avanti Galatro" e lo ripeteva metaforicamente spesso nei suoi scritti di poeta del nostro tempo, di cui mi faceva amorosamente sempre dono e che io conservo con grande stima e con felice ricordo.
    Ma il meglio di sé lo ha dedicato alla scuola.
    Insegnante di vecchia linea ha saputo trasmettere ai suoi alunni la vera essenza della cultura di base.
    Ma ha saputo essere anche un grande educatore, ed io che sono il padre di una ragazza che è stata una sua alunna ho capito quanto fosse per Lui necessario ed importante essere nello stesso tempo insegnante e coadiuvatore della famiglia per la educazione dei ragazzi.
    Per questo lo voglio ricordare e ringraziare per tutto quanto ha fatto per tutti i ragazzi suoi allievi.
    Grazie Prof. Francesco Distilo. Vale.





    Nelle foto: il prof. Distilo con due sue classi di scuola elementare negli anni Sessanta.


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    (1.9.13) IN MERITO AL GIOCO DEL PALLONE IN PIAZZA MATTEOTTI (Francesco Orlando Distilo) - Ero indeciso se scrivere o meno. Ho preso la decisione di scrivere, soprattutto per evitare che si cada in una sinistra rassegnazione nell’accettare, nel più formale dei modi del “silenzio assenso”, qualsiasi decisione venga “imposta” alla comunità. Mi riferisco all’articolo pubblicato da codesta testata a firma di Antonia Carè.
    Ho passato circa la metà della mia vita se non sulla piazza almeno nelle sue immediate adiacenze, per cui credo di avere il diritto di replica a quanto affermato nel citato articolo. Ho vissuto quando Piazza Matteotti era il salotto di Galatro, quando è stata spettatrice dei più importanti avvenimenti politici, di costume e di cronaca della nostra comunità, quando si consumavano “riti pagani” come la benedizione delle autovetture e “riti sportivi” come le gimcane.
    La piazza ha visto formarsi nuove famiglie e concludersi, nella benedizione di Dio, le vite di molti nostri concittadini, ma ha visto anche, e vorrei dire soprattutto, crescere bambini, diventare adulti e padri a loro volta. Bambini che qualche volta tornavano a casa con i pantaloni strappati e le ginocchia sbucciate perché giocavano “a pallone” sulla Piazza ma che erano gioiosi e spensierati come la tenera età permetteva loro di essere.
    Ho vissuto sulla piazza quando nella sua prossimità c’erano due bar, un negozio di generi alimentari, un forno, una merceria ed un’edicola e si giocava a pallone, soprattutto d’estate, sino a notte inoltrata. Tutte le sere era una festa di voci. Si giocava anche 12 contro 12 e forse anche di più. Nessuno veniva escluso. La piazza era di tutti e tutti godevano dei suoi spazi. Chi abitava nelle sue prossimità non ha mai impedito a quei bambini di giocare e socializzare anche se d’estate, con le finestre aperte, era difficile prendere sonno.
    A memoria non c’è stato un solo (dicasi uno) incidente. Nessuno si è mai fatto male se non per normali azioni di gioco. Qualche sbucciatura o cose di poco conto. Non ricordo vetri rotti o danni alle abitazioni circostanti. Ora la signora Carè, in nome della sicurezza, vorrebbe impedire ai bambini di giocare a pallone sulla piazza di Galatro? Forse preferisce vederli chiusi in un appartamento a giocare con i video games? Non importa alla signora Carè sapere che molti di quei video games sono impregnati di violenza? Non importa alla signora Carè sapere che molti bambini confondono la realtà con i video games? oppure li vuole attaccati ai social network? o magari alla tv a vedere reality e programmi spazzatura?
    Forse è il caso di ricordare a tutti che i bambini, oggi, hanno un’agenda troppo fitta di impegni. Si muovono poco e, purtroppo, si divertono ancora meno, compressi fra scuola, compiti, catechismo e mettici pure l’inglese e la musica ed altre attività post scolastiche. Ed allora, lasciamoli scorazzare sulla Piazza, tranquilli, dietro ad un pallone i pochi bambini rimasti a Galatro.

    Nella foto: scorcio di Piazza Matteotti a Galatro.

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    (6.9.13) SALLUSTI SVEGLIATI, NON SEI MONTANELLI (Angelo Cannatà) - Marco Travaglio, su "Il Fatto Quotidiano", attacca, da anni, Berlusconi e i suoi accoliti. Tra questi c'è Sallusti, direttore de "Il Giornale". Angelo Cannatà, collaboratore di "Galatro Terme News", evidenzia in un articolo sul “Fatto” l'assoluta improbabilità di paragoni con Indro Montanelli.

    * * *

    Sallusti è caduto sull’inciso. Ha dato mille prove della sua faziosità - è vero - ma la verità più profonda talvolta si annida nei particolari: dettagli, smemoratezze, lapsus… e incisi, appunto.
    Da domani all’11 settembre a Sanremo si terrà Controcorrente, gli incontri organizzati da il Giornale. Sallusti parla della rubrica quotidiana di Montanelli e sente il bisogno di precisare: “Controcorrente per questo Giornale è più di una parola, è la sua natura, lo spirito - mai tradito - che ha animato i suoi fondatori”. Mai tradito. Scrive proprio così, senza pudore, mentre, seguendo la corrente del conformismo all’italiana fa, quotidianamente, della testata di Indro il megafono del potere berlusconiano. Cortigianeria e servilismo. Il contrario, se le parole hanno un senso, dello spirito di libertà e indipendenza che animava il Giornale nel primo ventennio.
    “Controcorrente” attaccava tutti (nessuno escluso): migliaia di pezzi contro comunisti, socialisti, democristiani, liberali, missini, socialdemocratici… - tutti cadevano sotto l’ironia acuta del fondatore del Giornale: anche il Presidente della Repubblica. Montanelli non aveva padroni; non sopportava i conformismi di regime, le caste e, bisogna dirlo?, i ladri, i corrotti, gli evasori fiscali. Da liberale di destra condusse grandi campagne giornalistiche per la moralizzazione del Paese e lo stato di diritto.
    Celebre, negli anni Settanta, la critica alla tesi degli “opposti estremismi”; non si tratta qui di discutere se avesse ragione o meno: si individua un carattere, uno stile di pensiero, un modo di essere: coerente con le proprie idee (lo scontro con B. lo conferma), mai leccaculo dei potenti. Cosa resta della testata di Indro, nel Giornale degli ultimi decenni?
    “Controcorrente sarà il titolo - scrive Sallusti - di un grande evento che si terrà a Sanremo dal 6 all’11 settembre quando porteremo sul palco del teatro del Casinò il meglio dei pensatori e dei politici dell’area moderata e liberale”. L’assist è imperdibile per Travaglio: “Il luogo prescelto, un casinò, è perfetto”. Cosa direbbe oggi il fondatore del Giornale? La sua risposta a un lettore reazionario vale - credo -anche per il direttore Sallusti che ha smesso di leggere Montanelli e non ha mai iniziato a capirlo: “approvo di tutto cuore la sua decisione di non leggermi più. Lei non ha sbagliato soltanto giornale: ha sbagliato secolo…”.
    Ecco, caro Sallusti, lei ha sbagliato giornale e secolo. Ha trasformato la testata di Montanelli in un foglio cortigiano dai riflessi pavloviani: ogni volta che B. viene “toccato”, scatta l’attacco: oggi si bastona il giudice di Cassazione Antonio Esposito per lesa maestà. La lista dei servizi - il termine è polisemantico - è troppo lunga: B. viene difeso dalle accuse di corruzione, frode fiscale, induzione alla prostituzione…; gli avversari di B. sistematicamente infangati, da Boffo a Fini a Esposito. Berlusconi è innocente: sempre, in ogni caso, qualunque cosa accada.
    La verità è che posti di fronte alla domanda, “che cosa deve fare B. per essere considerato indifendibile?”, Sallusti e i liberali alle vongole dei giornali di regime non saprebbero rispondere. Questo è il punto. Cultura. Dottrina. Giurisprudenza. Tutto al servizio del capo. C’è come una maniacale protezione della propria posizione. Per non tradire se stessi, tradiscono la logica. Illustri teorici della divisione dei poteri, che dalle cattedre universitarie esaltano Montesquieu, sulle pagine dei giornali lo calpestano. Ci sarà da divertirsi, a vederli insieme, i cosiddetti liberali, quando, “controcorrente”, in fila per due, sul palco del casinò di Sanremo, attaccheranno la magistratura e difenderanno il boss, in linea con le direttive di Arcore ai giornali e alle Tv di regime.
    C’è stato un tempo in cui il Giornale polemizzava con l’Unità. Celebri gli scambi di battute con Fortebraccio: “Carissimo nemico…”. Una lezione. Di giornalismo e onestà intellettuale. Oggi è tempo di larghe intese e inciuci irricevibili. Vittorio Sgarbi sul Giornale (17 agosto), chiede un’indagine su Travaglio per vilipendio al capo dello Stato: una difesa sguaiata di Napolitano - e un attacco alla libertà d’opinione - in attesa della grazia a B. Montanelli se la ride: mi sono turato il naso per votare Dc, d’accordo; ma non avete capito niente, allora c’era il muro di Berlino e il comunismo, quello vero. Oggi, vi turate il naso, tappate le orecchie, coprite gli occhi, per un nano che vorrebbe trasmettere il potere alla figlia e creare un regime ereditario. Svegliatevi. Soprattutto: non invocate “l’erede” in convegni “Controcorrente”. Quando il figlio di Craxi, nel ’91, divenne segretario del Psi milanese, Montanelli scrisse: “Comprendiamo le ragioni della longevità della Chiesa come istituzione: Papi e Cardinali non hanno figli. E se li hanno, li tengono nascosti”.

    Articolo apparso su Il Fatto Quotidiano del 5 Settembre 2013

    Nelle foto: in alto a sinistra Angelo Cannatà, a destra Alessandro Sallusti.


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    (25.9.13) LA LOGICA NELLA REPUBBLICA DELLE BANANE (Domenico Distilo) - Se qualcuno mettesse in dubbio la rotondità della sfera o che un quadrato abbia inequivocabilmente quattro lati gli si darebbe del matto e lo si abbandonerebbe al suo destino. Se poi insistesse, pretendendo di convincerci delle sue tesi, ci spazientiremmo e chiameremmo l’ambulanza.
    Ebbene, è ormai da due decenni che in Italia le tesi dei matti appaiono plausibili, degne di discussioni nelle quali s’ingaggiano personaggi di grande calibro: oltre che politici, giuristi, filosofi, massmediologi, perfino teologi. Che la “nipote di Mubarak” non fosse la nipote di Mubarak e nessuno sano di mente potesse credere il contrario è un’ovvietà – gli inglesi dicono truism, una proposizione autoevidente, che si dimostra cioè da sé - che solo in Italia avrebbe potuto trovare degli obiettori, con un ramo del Parlamento che ha sfidato il ridicolo asseverando che sì, era del tutto plausibile, al punto da poterlo credere perfino il capo del governo, che la “nipote di Mubarak” fosse effettivamente la nipote di Mubarak.
    Così come solo in Italia è possibile discettare su una materia quale l’agibilità politica di un condannato in via definitiva per evasione fiscale, come se non fosse un truism che non possa avere nessuna agibilità politica, perché se l’avesse l’Italia uscirebbe, eo ipso, dal consorzio delle nazioni civili – ammesso che ne possa far parte con circa un terzo del paese che fa quadrato attorno alle “ragioni” di un pregiudicato, continuando a riconoscerlo come proprio leader.
    Il guaio è che le deviazioni dalla logica non stanno mai da sole. Essendo il pensiero more loico, secondo le regole dell’arte del pensare, una sequenza di proposizioni che stanno tra loro nel rapporto premesse-conseguenze, è inevitabile che da premesse false assunte come vere discendano conseguenze altrettanto false che agli sprovveduti sembrano vere perché, essendo appunto sprovveduti, non si peritano di controllarne le premesse.
    Qualche esempio potrà rendere agevolmente l’idea. Premessa assunta come vera: contro il tizio è stata messa in atto una congiura giudiziaria; conseguenze: se il tizio è vittima di una congiura giudiziaria, allora il processo contro di lui è ingiusto e ingiuste, a maggior ragione, saranno la condanna alla pena principale e alle altre, secondarie, che il gergo tecnico chiama “accessorie”, quali la decadenza dal seggio parlamentare in base a una legge che si sostiene, in modo del tutto infondato, non possa valere retroattivamente. Orbene, che la tesi della congiura giudiziaria sia semplicemente risibile e presenti per di più, a un minimo approfondimento, un effetto boomerang, non sarebbe cosa di difficile comprensione. Da cosa sarebbe mossa, infatti, tale asserita congiura che, è il sottinteso, non sarebbe scattata contro nessun altro leader del centrodestra? Dal fatto, è la risposta, che il tizio è unico, anzi l’Unico! Ma su cosa poggia questa sua unicità se non sulla forza mediatica, cioè sul conflitto d’interessi che altera e deforma sul nascere il processo di formazione della pubblica opinione e, dunque, delle tendenze degli elettori? Al massimo la congiura, se fosse vera, sarebbe un modo, ingiustamente giusto ma giusto, di compensare un’ingiustizia. Si dà il caso, però, che i piemme che hanno inquisito il tizio non siano stati mossi dall’esigenza di una giustizia particolare – un’impropria neutralizzazione del conflitto d’interessi - ma dall’obbligo costituzionale di perseguire comportamenti che la legge qualifica come reati e che mediante prove e riscontri fattuali e documentali, come con buona pace delle pitonesse ben chiariscono le motivazioni, sono stati imputati al de cuius. Tutto l’ambaradan inscenato dal giorno della sentenza della Cassazione avrebbe, dunque, una sua pur accidentata comprensibilità se non poggiasse su una premessa manifestamente falsa, su una tesi che sta sullo stesso piano di quella che nega la rotondità della sfera o dell’altra che asserisce che l’asino vola, con tutto il corteo di assurdità che ne conseguono.
    Ma se premessa (assurda) e conseguenze (necessariamente altrettanto assurde) a una gran parte dell’opinione pubblica italiana sembrano plausibili è perché essa in anni di dominio mediatico di una sola parte è stata addestrata a pensare, avrebbero detto gli scolastici, quia absurdum, sulla base di assunzioni assurde, alla cui assurdità si è ormai talmente assuefatta da non accorgersi di vivere in un mondo capovolto, nel quale ogni rovescio è diritto e ogni diritto è rovescio.
    Si pensi alla critica spesso rivolta al PD, anche da parte di suoi elettori o esponenti di primo piano come Matteo Renzi, di non combattere il de cuius sul piano politico. Ma sant’Iddio! La critica avrebbe un senso se in Italia ci fosse ancora la politica. E’ però da due decenni che in Italia la politica è stata sostituita dalla propaganda, dallo spot pubblicitario, piano sul quale non c’è stata e non ci potrà essere partita fino a quando non sarà tolto di mezzo il conflitto d’interessi, anzi, è un miracolo che per due volte il centrosinistra abbia vinto e l’ultima volta sia riuscito a non perdere.
    La politica, e la cosa ha dell’incredibile se si pensa che è accaduta in un paese occidentale tra il XX e il XXI secolo, è stata di fatto sequestrata da una lobby - la cui natura affaristico/criminale non è una semplice opinione, essendo suffragata da più d’una sentenza - che ha invaso il campo mediatico e costruito un’egemonia nella dimensione della cultura degli atteggiamenti, dei comportamenti e dello stile di vita quotidiani, imponendo nel tempo un sistema di disvalori attraverso la distorsione della facoltà di giudizio di milioni di persone.
    Si tratta di una situazione oggettivamente incompatibile con la democrazia, come nei paesi a maggioranza islamica o in certi regimi dove il processo politico democratico è manifestamente inquinato e condizionato, esattamente come in Italia, paese nel quale la forza del denaro con cui un tycoon corrompe i parlamentari facendo saltare le maggioranze contrarie diventa prassi banalmente normale, al punto che nessuno più si sorprende, tantomeno s’indigna.
    Di fronte all’evidenza della non normalità l’errore capitale della sinistra e delle istituzioni – in primis il presidente della Repubblica - è stato e continua ad essere di far finta che non ci sia nulla che faccia dell’Italia un paese diverso rispetto ai canoni delle democrazie liberali e quindi che la democrazia possa esaurirsi nella mera salvaguardia dei suoi aspetti meramente giuridico-formali. Senza un’adeguata riflessione sul fatto che se è vero che la sua essenza è nelle regole e nelle procedure, lo è altrettanto che queste debbono essere supportate da un senso comune, da un ethos condiviso che impedisca a chiunque di sfidare la logica o difendere l’indifendibile, subordinando tutto alla difesa di un leader pregiudicato.
    La democrazia intesa come espressione puramente giuridica si riduce infatti a una fictio iuris, dove non si fa altro che salvare le apparenze, mentre la sostanza si corrompe. Alla fine cadono anche le apparenze e resta in campo solo la brutalità di un regime corrotto. Un esito tutto sommato ancora evitabile, se si capirà che la cosa che conta è portare l’attacco al cuore del conflitto d’interessi, le televisioni, l’arma decisiva di tutti i successi del Banana, checché se ne blateri per negare, anche qui, l’evidenza.


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    (28.9.13) TERME: VIETATO CRESCERE (Alfredo Distilo) - "Vietato crescere", questo, in pratica, è quanto sancito dalla Regione Calabria e dalla Direzione dell'ASP 5 di Reggio Calabria, per quanto riguarda le nostre Terme. Nonostante il trend di crescita dell'utenza termale, che a fine stagione dovrebbe portare un incremento di circa il 40% rispetto a due anni fa (anno in cui è stato stabilito il budget attuale) gli Enti Sanitari preposti alla distribuzione delle somme relative ai volumi di prestazioni erogabili a carico del Servizio Sanitario Nazionale, hanno confermato anche per il 2013, il tetto massimo di spesa in € 520.990,00 (inspiegabilmente ridotto a tale importo con una decurtazione di € 100.000 sui € 620.000,00 previsti inizialmente!!!). Cifra assolutamente inadeguata per le effettive prestazioni fornite dalla Terme Service srl che, già nella scorsa stagione, ha fatturato prestazioni per € 600.000,00, rimettendoci la bella cifra di quasi € 80.000,00.
    Considerato che per il corrente anno si prevede un fatturato di circa € 700.000,00, a fronte di € 520.990,00 stanziati e, quindi, con un surplus di €.180.000,00 (!!!), la Direzione della Terme Service Srl, dopo avere portato a conoscenza dei dipendenti la situazione insostenibile che si è venuta a creare, con nota del 24.09.2013 trasmessa alle varie Autorità competenti (Commissario ad Acta e Presidente della Giunta Regionale Dott. Scopelliti, Sub Commissario Gen. Pezzi e Dirigente del Servizio D.ssa Squillacioti e, per conoscenza Prefetto e Presidente della Provincia di Reggio Calabria), ha chiesto un congruo adeguamento del Budget per poter continuare a lavorare fino al termine della stagione termale, senza dover ricorrere a licenziamenti anticipati del personale.
    Anche i Dipendenti, a loro volta, hanno chiesto un urgentissimo e immediato incontro con il Presidente della Giunta Regionale e con il Prefetto di Reggio (portando anche a conoscenza il Sindaco di Galatro), per esporre la loro problematica inerente i paventati licenziamenti anticipati preannunciati dall'Azienda.
    In conclusione, stando così le cose, è inutile farci illusioni sul fatto che Galatro, nonostante gli sforzi profusi dall'attuale Staff Dirigenziale delle Terme, che è riuscito ad incrementare notevolmente sia l'utenza termale che quella alberghiera (ancora oggi presso il Grand Hotel delle Terme, soggiorna un gruppo di turisti Russi e se ne aspettano altri, sempre Russi, anche per la prossima settimana), possa diventare veramente un Grande Centro Termale, come tutti i Galatresi vorremmo che fosse.

    Alfredo Distilo - Consulente in Organizzazione Aziendale della Terme Service srl

    Si apprende in queste ore che Lunedì 30 Settembre i dipendenti delle terme di Galatro entreranno in sciopero e nella stessa giornata si recheranno nella sede della Regione Calabria a conferire con il presidente Scopelliti.

    Nella foto: Terme di Galatro.


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