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18.5.15 - Nino Di Matteo: il mio atto d'accusa ai collusi
Angelo Cannatà

30.5.15 - Calcio e politica a Galatro, ma non solo...
Angelo Cannatà

3.6.15 - "Bizantinismi" teologici
Pasquale Cannatà

3.7.15 - Rimborsopoli e gli accattoni di Pasolini
Angelo Cannatà

16.7.15 - Chi non ha cosa dire dovrebbe tacere. Risposta al segretario del PD

27.7.15 - Sento tanto discutere di quanto "Melu Panetta si mangiau nu paisi!"
Arianna Sigillò

25.8.15 - I Casamonica e le colpe della Chiesa
Angelo Cannatà





(18.5.15) NINO DI MATTEO: IL MIO ATTO D'ACCURA AI COLLUSI (Angelo Cannatà) - “Il vero volto della mafia l’ho intravisto per la prima volta una mattina di vent’anni fa. Ero un giovanissimo magistrato della procura di Caltanissetta…”. Comincia così il racconto del pubblico ministero Nino Di Matteo, raccolto dal giornalista Salvo Palazzolo (Collusi, Rizzoli). Un testo lucido e toccante come sanno essere i racconti quando hanno il sapore della verità: il magistrato ricorda l’incontro decisivo col collaboratore di giustizia Cancemi: “Dottore, lo sa cosa mi ripeteva Riina? ‘Senza i rapporti con il potere, Cosa nostra sarebbe solo una banda di sciacalli’. Se non lo capite, non potrete mai contrastarla” (p.20). Parole decisive. Ho scoperto in quella occasione – dice Di Matteo – “il vero volto della mafia”: la sua potenza sta nel legame con la politica.
La ricostruzione del libro è precisa. Su Totò Riina: la verità è che anche la trattativa con gli uomini dello stato – di cui parlò la prima volta Brusca (1996) – gli sta stretta: “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me.” Le esternazioni del boss hanno un obiettivo: “ribadire il ruolo che ha svolto negli ultimi trent’anni e allontanare l’idea che sia stato un pupo nelle mani di forze occulte annidate dentro lo Stato” (p. 8).
Temi delicati, sui quali in Italia si è creato un clima ostile. Lo affermano Claudio Fava e Don Luigi Ciotti, in via Ripetta, a Roma – il 12 maggio – alla presentazione del libro. C’è come un isolamento dei magistrati che si occupano del legame mafia-politica (“Ancora questa trattativa!...”). Ne è consapevole Di Matteo: “subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio sembrava iniziata una vera e propria rivolta contro la mafia, a tutti i livelli”. Ora c’è un riflusso “una sorta di stanchezza e di fastidio nei confronti di quelle indagini che miravano a scoprire in che modo la mafia sia ancora ben presente dentro le stanze del potere.” E’ l’amarezza più grande. (pp. 23-24).
Troppe persone, anche all’interno delle istituzioni - dice Di Matteo - hanno recepito il messaggio lanciato da Berlusconi: quelle indagini dei magistrati di Palermo sono tempo sprecato, uno sperpero di risorse pubbliche. Molti esponenti delle forze di polizia: “tendono a concentrare le loro migliori risorse umane e tecnologiche sui pesci piccoli dell’organizzazione, quelli che è più facile processare senza creare troppi fastidi alla rete delle complicità” (pp. 25-26) Questo accade. E non è una denuncia di poco conto. La rende esplicita Don Ciotti nel suo accorato intervento: “Il problema non è solo l’illegalità, ma la legalità che agisce in modo illegale”. L’attacco non è solo al crimine organizzato, ma a chi dentro le maglie della legge – distorta, vilipesa, manipolata – favorisce la mafia, ne è connivente, la utilizza.
La utilizza è espressione precisa. Ascoltandola, non possiamo non pensare (anche) a quei leader politici che potevano intervenire per bloccare l’ingresso in lista di candidati inquisiti, ma non l’hanno fatto, hanno chiuso un occhio, forse tutti e due, perché, infondo, i voti dei candidati impresentabili fanno comodo. Meglio utilizzarli: mafia, candidati, voti. Poi, però, sempre pronti a partecipare alle cerimonie funebri dei morti ammazzati dalla mafia (da Mattarella a Pio La Torre… a Falcone e Borsellino). Don Ciotti è amareggiato: “troppe lapidi ci sono in Italia, e troppe strade e scuole intestate ai martiri uccisi dalla mafia.” E Claudio Fava: è incredibile che ancora oggi – oggi, non trent’anni fa – molti politici facciano salotto, discutano in società, con chi traffica illegalmente e ordina omicidi.
La lotta alla mafia in realtà viene ostacolata. La si combatte a parole, nei fatti ci si muove in altra direzione. Basti pensare che Nino Di Matteo, uno dei maggiori esperti del legame mafia-politica, è ufficialmente scaduto da suo incarico alla Direzione distrettuale antimafia. Annota Palazzolo: “E’ stato assegnato a un altro gruppo di lavoro in procura. Così, mentre continua a scavare nei segreti dei rapporti fra mafia e potere, deve occuparsi anche di verande abusive e di contravvenzioni al codice della strada. Dove non è arrivata la mafia, per fermarlo, ha colpito certo l’antimafia”.
E’ un punto che meriterebbe tutti i giorni la prima pagina dei giornali. Tutti i giorni. Una campagna martellante. In Italia c’è una norma, secondo cui i pubblici ministeri possono occuparsi solo per dieci anni d’indagini sulla mafia. Tradotto: “Hanno appena il tempo di acquisire competenze, avviare una strategia giudiziaria e coglierne qualche risultato. Poi sono costretti a passare ad altro. Se negli anni Ottanta ci fosse stata questa regola, anche Falcone e Borsellino avrebbero rischiato di occuparsi di verande abusive. La lotta alla mafia deve fare ancora molta strada” (p.17). E’ una vergogna che quella norma sia ancora lì, mentre Renzi scrive i suoi tweet ipocriti (e complici, finché la norma resta ancora in vigore).
Un passaggio importante del testo di Di Matteo è strutturato intorno a questa catena deduttiva: “Torniamo a domandarci: chi erano e cosa rappresentavano le vittime dei delitti eccellenti? Erano esponenti politici come il presidente della Sicilia Piersanti Mattarella, che voleva mettere in discussione i collaudati meccanismi di spartizione politico-mafiosa degli appalti”. Erano grandi uomini come Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Ninì Cassarà... L’assassinio di queste persone “ha avuto un unico comune denominatore: la rimozione chirurgica di quelle anomalie che rischiavano di mettere in discussione l’operatività del sistema.” Poi arrivarono le stragi del 1992-1993. Con lo stesso obiettivo: eliminare chi metteva in pericolo il sistema. Dimenticare ciò, come fanno troppi politici, significa “sostenere la lotta alla mafia solo a parole” (p. 30).
Si è fatto un gran discutere sulle accuse mosse agli uomini delle istituzioni. In realtà Di Matteo indica fatti precisi: “la condotta che contestiamo ai soggetti istituzionali e politici – dice – è quella di aver assunto il ruolo di cinghia di trasmissione tra Cosa nostra e il governo nel prospettare i desiderata dell’organizzazione mafiosa, così concorrendo al vero e proprio ricatto che i boss stavano portando avanti nei confronti delle istituzioni” (p. 109). Parole inequivocabili. E infatti, alcune pagine dopo: “Cosa nostra non verrà sconfitta in modo definitivo fino a quando ci sarà anche un solo mafioso che trova in un esponente del potere la disponibilità al compromesso” (p. 114).
Quanti compromessi ci sono, oggi, alla vigilia delle elezioni regionali, è inutile dire. E tuttavia è proprio questo il punto. Si continua a pensare che i voti non puzzino. E invece il tanfo si sente. Eccome! Soprattutto quello dell’antimafia di facciata. Don Ciotti dice frasi definitive: “Ci hanno rubato le parole. Sono ladri di parole. ‘Antimafia’, per esempio, è parola logora, abusata. Cambiamola. Cambiamola per favore! – grida –, la usano persone che non lottano davvero la criminalità, ma se ne servono come pennacchio.” Applauso forte e commosso della sala. E’ l’immagine che porterò con me, per tanto tempo. Ci penso ancora mentre esco dal salone di via Ripetta. Uomini come Di Matteo e Don Ciotti fanno sperare che l’Italia possa farcela: se riprende a combattere, se non perde la capacità di indignarsi. A chi ha perso l’appuntamento – davvero interessante – della presentazione di Collusi, non resta che leggere il libro per ritrovare un clima di lotta civile e ricerca della verità. Di Matteo è stanco? Impossibile non esserlo. Ma: “Io resto al mio posto. Non mi rassegno a questo stato di cose” (p. 178). Anche per questo ha la stima e la fiducia di tutte le persone oneste.

Post scriptum. Leggo che il senatore Macaluso ha sdoganato la parola “cazzo” per recensire Collusi, che dichiara di non aver nemmeno sfogliato: c’era bisogno che ce lo venisse a raccontare Di Matteo il rapporto mafia-politica. Osservo che il magistrato Di Matteo, il legame mafia-politica non si limita a raccontarlo: lo indaga, lo contrasta, lo combatte, ogni giorno, rischiando la vita. Lì, in trincea. Con l’angoscia di lasciare orfani i figli. Ci pensino i sacerdoti della Verità. Senza fretta: con comodo. Mentre a casa, in pantofole, bevono il the.

Articolo apparso su
Micromega.net il 15 maggio 2015

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Nelle foto: a sinistra Angelo Cannatà, a destra la copertina del libro "Collusi" di Nino Di Matteo.

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(30.5.15) CALCIO E POLITICA A GALATRO, MA NON SOLO... (Angelo Cannatà) - Se prendi la strada per Rizziconi e al bivio giri per Drosi, a un certo punto incontri – è sicuro – Santiago del Cile. Si dirà: in quel percorso fuori mano, pieno di buche tra l’altro, non c’è la città di Salvador Allende. Punti di vista. Consiglio di abbandonare la geografia: serve la storia. E la memoria. Io arrivai a Santiago – giuro – per quella via, avevo 16 anni, amavo il calcio, era il 1973.
C’era stata l’alluvione a Galatro, e la squadra di calcio era costretta a giocare fuori per l’indisponibilità del campo gravemente danneggiato dalle frane. Nell’anno calcistico 1974/1975 – spero di ricordare bene la data – il Galatro non disputò il campionato e molti (Pasquale Secli, Ciccio Lamanna, il sottoscritto, Enzo Ruggeri, Carmelo Gallace…), giocammo nei club dei paesi vicini. Cosa accadde? E cos’è più importante narrare? Come muoversi nei meandri della memoria?
I ricordi si accavallano. Scelgo. Dunque. Dopo una partita vinta e ben impostata a Drosi - sì, devo partire da qui - festeggiammo il mister al grido (molto particolare, lo ammetto): “Golpe! Golpe!”. Furono esclamazioni irrazionali e - come dire? - politicamente scorrette, pensandoci oggi. Non ricordo bene ma certo era accaduto qualcosa d’importante negli assetti societari. C’era un casino. Sudati e seminudi, pronti per la doccia, allegri, urlavamo di gioia. Poi, un compagno di squadra: “Perché gridiamo Volpe! Volpe!” Era giovanissimo e poco politicizzato. L’episodio dice di un’epoca. L’11 settembre 1973 in Cile c’era stato il golpe, le forze armate rovesciarono Allende, e Pinochet prese il potere. Sui giornali non si parlava d’altro, per mesi la notizia ebbe la prima pagina. Si trattò di un colpo di Stato. Anche noi, a Drosi, attuammo il nostro piccolo colpo di mano: avevamo imposto il nostro mister. “Guarda che abbiamo urlato Golpe, non Volpe”, gli dissi, e la cosa finì lì con una risata. Ma chi era il mister?
Erano anni di calcio e politica: pomeriggio, allenamento; sera, Camera del lavoro; domenica, partita. Questo ritmo scandiva – in quegli anni – le mie giornate e, naturalmente,la guida era lui: allenatore in campo e fuori.“Attacchiamo da sinistra sulla fascia - ripeteva - ed è fatta”. La sera, dopo il Tg e lunghe discussioni sulla via italiana al socialismo, la frase aveva una variante politica: “Attacchiamo uniti da sinistra, possiamo farcela.” Si trattava di sconfiggere la democrazia cristiana – fortissima a Galatro – combatterla significava, anzitutto, creare l’unità vera a sinistra. Non era facile. Il mister sapeva infondere ottimismo intorno alle sue squadre, ci volle qualche anno ma segnammo molti goal anche nella partita politica.
Allenatore - non solo sul rettangolo di gioco - era Franco Galluzzo: “A volte bisogna indietreggiare, in copertura. Al momento buono si attacca.” Regola aurea. La squadra si muoveva con intelligenza. Curava i dettagli, Franco, e vincevamo spesso. La vittoria più importante arrivò nel 1985. Ma non sono sicuro che fosse una partita di calcio: vero è che giocammo in copertura 5 anni e al momento opportuno attaccammo. Non ci fu partita per i notabili della Dc.
Erano anni bellissimi. Giocava con noi, talvolta, negli allenamenti, il mister. Centrocampista. Dribbling stretto. Visione di gioco notevole. Sapeva lanciarti come nessun altro e metterti davanti al portiere. Impeccabile. “Gianni Baget Bozzo lo presenti tu”, mi disse. Il prete rosso arrivò a Galatro nella primavera del 1985. Andai a Reggio, sul corso, e comprai i suoi libri. Il comizio andò bene. Passò l’idea di fondo: “Si può essere cattolici e votare a sinistra”. Il prete socialista era lì – testimonianza vivente – a dimostrarlo. Galatro capì. L’intuizione fu di Franco e di Nicola Marazzita. Visione di gioco notevole. Quell’anno dribblammo la democrazia cristiana e con molti punti di vantaggio vincemmo il campionato politico galatrese.
Il calcio da noi ha una sua storia, autonoma dalla politica, è vero, ma nello stesso tempo – come non vederlo? – intrecciata ad essa. Fu una passione che durò fino agli anni Novanta, credo, poi si affievolì molto, come tante cose a Galatro. Se prendo la strada per Drosi, la memoria mi riporta al golpe militare in Cile. Il ricordo crea nessi: adesso mi riporta al leader di quegli anni: il calcio ci avvicinò e la politica ci rese amici. La politica – maledetta! – lavorò anche contro di noi.
Litigammo, con Franco, dopo la vittoria elettorale dell’Ottantacinque, per questioni minime. Viste oggi - da una distanza siderale - quasi non li ricordo più. Con quello che succede da anni nella sinistra italiana, erano davvero quisquiglie, le nostre. Ci volle da parte mia molta ingenuità e irresponsabile candore per dirgli che aveva torto nel suo modo di aver ragione (questioni di democrazia interna al partito). Lui, forse, sbagliò a impuntarsi su non ricordo cosa. Sottigliezze. Resta il fatto che le partite di calcio erano ben preparate, in difesa e all’attacco - segnavamo molto - e la partita politica fu magistrale: poi a un certo punto tutto s’ingarbugliò; come, per vie indecifrabili, si complica e s’aggroviglia, la vita.
Tra i campionati disputati a Galatro ricordo la stagione 1975-1976: presidente Bruno Scoleri: puntuale, preciso, appassionato, nel suo amore per la squadra. Lo sport come momento di socializzazione. Ma anche di scontro, quando,in ballo, c’erano i tornei rionali: non erano solo partite di calcio, ma sfide, lotte, guerre, mai definitivamente perse o vinte, mai riconosciute - “quel rigore non c’era”- per la conquista del territorio e del diritto di sfottò (primato ambitissimo) tra i tifosi dei quartieri. Ciccio Sigillò, Fortunato Trimboli, Mimmo Curinga, Giacomo Manduci… Tecnica, ma anche gioco duro. Ci si faceva male, in quelle partite. Si giocava pesante. Ma nulla, poi, fu così leggero come quegli anni.
Calcio giocato e (molto) calcio visto in Tv. Salvadore, Furino, Anastasi… poi Causio, Bettega… per chi come me tifava Juve. La Juve e Battisti. Mi ritorni in mente, Ancora tu… Adorabile Lucio. Una certezza. Incerte, invece, le sorti del calcio galatrese nel lungo silenzio - quattro anni d’interruzione del campionato - fino al 1980. Giocai, in quegli anni, in seconda e prima categoria con il Laureana: belle gare, combattute, interessanti (e grandi compagni di squadra: Ettorino, Pangozza…), ma non c’era più la poesia degli esordi. La ripresa dell’attività calcistica, a Galatro, non m’appartenne più: ero al Nord, a Torino. Dopo la laurea, la città della Mole - colta, sofisticata, ricca di stimoli - e l’insegnamento, mi allontanarono dai campi di calcio. Andavo a sentire Vattimo e Bobbio. Eravamo sul finire degli anni di piombo, urgeva riflettere e capire. Nuove passioni s’impadronirono di me. E cominciò un’altra partita.

Nell'immagine in alto: un vecchio francobollo della Germania Est che ricorda Salvador Allende.


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(3.6.15) BIZANTINISMI TEOLOGICI (Pasquale Cannatà) - Probabilmente non sono un buon cristiano, e questo lo potrete giudicare dopo aver letto le riflessioni che vado ad esporre.
Anche se cerco di osservare i comandamenti ed i precetti che la Chiesa ci invita a mettere in pratica, mi limito semplicemente a fare il mio compitino ("da 6 meno meno" direbbe un buon insegnante): per fare un esempio, vado a Messa solo nei giorni di precetto, e poi mi piace ascoltare e leggere commenti alle sacre scritture, ma non mi ci trovo a recitare il rosario.
A proposito di questa preghiera che viene elevata a Dio dalla maggior parte dei credenti, mi capita spesso di ascoltarla, e so che quando si arriva alla fine vengono proposti alcuni tipi di Litanie, tra le quali sono più frequenti quelle dei Santi e quelle alla Madonna.
In quest’ultima, la madre di Gesù Cristo è definita:
Salute degli infermi, Rifugio dei peccatori, Consolatrice degli afflitti, ed è bello;
Madre della Chiesa, Madre della divina grazia, ed è molto bello;
Sede della Sapienza, Causa della nostra letizia, e la bellezza ti porta in estasi;
Madre del Salvatore, e l’estasi cresce;
Santa Madre di Dio, e mentre l’estasi ti invade e ti riempie tutto avvolgendoti in quello che in termini musicali si definirebbe un crescendo rossiniano senti recitare:
Madre del Creatore, prega per noi.
E qui crolla tutto: "ceciderunt brachias!"direbbe un ascoltatore di lingua latina.
A scanso di equivoci vorrei precisare che io sono molto devoto alla Madonna, che nella parrocchia in cui sono nato è ricordata come “Maria Santissima della montagna”: so che Maria era umile e semplice, e che per questo Dio l’ha scelta per la Sua incarnazione, ma i fedeli hanno voluto esaltare questo suo essere madre di Dio andando oltre quello che lei stessa avrebbe voluto, rivelandosi più realisti del re (difendendo cioè la sua causa con più accanimento di quanto vorrebbe lei che è la diretta interessata) ed attribuendole qualità che sono estranee alla sua indole.
Maria è madre di Dio, perché è madre di Gesù Cristo che è Dio, e su questo non ci piove in quanto nel Vangelo è scritto che Gesù ha detto di essere una cosa sola con il Padre e che esiste un unico Dio.
Ma se si vuole entrare nello specifico delle tre Persone uguali e distinte nelle quali in tempi e modi diversi si manifesta questo Dio Unico, bisogna tener presente che lo Spirito Santo (che è Dio) agisce in mezzo a noi dal momento dell’Ascensione di Gesù e fino alla fine del mondo; del Figlio sappiamo dai Vangeli e dagli atti degli apostoli come e quando si è manifestato; il Padre ha creato l’universo, e in quel principio il Verbo era presso di Lui e lo Spirito Santo aleggiava...
Un unico Dio quindi, in tre Persone uguali, ma distinte al punto che Gesù afferma in un passo del Vangelo: “Alcune cose le conosce solo il Padre”; per questo sarebbe forse più corretto dare a Maria l’appellativo di "Madre del Signore nostro Gesù Cristo” piuttosto che “Madre di Dio”.
Madre del Salvatore, e non madre del Creatore, così come non si è mai sentito dire che sia madre dello Spirito Santo!
Un piccolo esempio di come possa essere chiarita questa distinzione tra unità e trinità ci può venire dalla storia dell’arte.
Uno degli artisti italiani più famosi e conosciuti al mondo è senz’altro Michelangelo Buonarroti: tra le sue opere più importanti ricordiamo la statua detta “pietà”, i dipinti della cappella sistina, palazzo farnese, piazza del campidoglio e ci fermiamo qui perché l’elenco sarebbe lunghissimo.
Quindi la persona “Michelangelo” racchiude in sé le qualità di architetto, pittore, scultore, ecc.., ma queste funzioni sono ben distinte tra loro così che mentre si può dire che la “pietà” è stata realizzata da Michelangelo e che dallo stesso artista sono state realizzate la piazza del campidoglio, i dipinti della cappella sistina ecc.. , non mi sembra corretto poter dire che i dipinti della cappella sistina siano stati realizzati dallo scultore Michelangelo o che la scultura della “pietà” sia stata realizzata dal pittore Michelangelo, perchè ogni specifica opera di Michelangelo rivela una sua attitudine che non si può confondere con le molte altre che l’artista possedeva. Un discorso simile a questo si potrebbe fare per Leonardo da Vinci e per molti altri eclettici artisti.
Allo stesso modo Dio coinvolge Maria per concretizzare il Suo manifestarsi su questa terra in forma di uomo, ma non mi risulta che l’abbia interpellata al momento di creare l’universo!
Maria è madre di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, e mentre noi facciamo fatica a credere, perché come Tommaso non abbiamo “visto e toccato”, Lei era compenetrata dalla Grazia ed aveva capito che il Figlio (Cristo che è Dio) doveva morire e risorgere in espiazione dei nostri peccati, cosa che i discepoli hanno tardato a capire e ad accettare; la sofferenza di Maria sotto la croce attiene solo alla perdita del figlio (Gesù uomo) che non avrebbe più ripreso la sua forma terrena in carne ed ossa.
Maria è madre del Salvatore, è madre del Redentore, è madre di Dio, e la sua fede non poteva non essere granitica, perchè si è trovata incinta senza "conoscere uomo": da un certo punto di vista è più grande la fede di Giuseppe che ha creduto semplicemente ad una voce che le era venuta in sogno, ma questa è un’altra storia e noi possiamo pure continuare a tributare alla Madonna tutti i meriti e le lodi che le competono cercando, se possibile, di non eccedere!
Spero di essere riuscito a chiarire il mio pensiero e che queste mie riflessioni tese ad eliminare uno dei tanti motivi che potrebbero allontanare dalla chiesa alcune persone che esaminano la fede alla luce della ragione non siano a loro volta catalogate tra quelli che io stesso in un’altra occasione ho definito “bizantinismi”, cioè ragionamenti futili che portano solo confusione.


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(3.7.15) RIMBORSOPOLI E GLI ACCATTONI DI PASOLINI (Angelo Cannatà) - Nel 1961 Pier Paolo Pasolini girava, nelle borgate romane, “Accattone”. Mai avrebbe pensato che il set più idoneo per il suo film sarebbe stato la Calabria di questa estate 2015. Più esattamente, il Consiglio regionale della Calabria: accattoni di destra, centro, sinistra.
Se le accuse verranno confermate, rubavano di tutto - De Gaetano, Fedele, Biliardi, Nucera, Adamo… - nella Rimborsopoli calabrese: fiori, iPad, tv, iPhone, viaggi, cene, pneumatici, caramelle, chewinggum. Quel che stupisce è la pochezza: compravano perfino i “gratta e vinci” a spese della regione! Un’indecenza. Allora il confronto con Accattone di Pasolini va precisato, perché nei furti e nelle sbronze dei borgatari romani c’era almeno “una vitalità sottoproletaria autentica e tragica”, qui siamo al famelico rubare (tanto paga la regione), al disprezzo per la morale, siamo – ha ragione la gip Olga Tarzia – a un vero e proprio commercio del ruolo istituzionale.
Pensate a Nicola Adamo (Pd). Con l’associazione “Idea”, stando alle carte, lucrava sui servizi televisivi per il gruppo misto che (quando si dice l’ingegno!) non aveva nemmeno una web-tv. “Idea”: Platone le dà un valore alto, qui è termine caduto troppo in basso: strumento per accumulare vile denaro, una porcata.
Pier Paolo Pasolini descrive Accattone e la disperata quotidianità dei borgatari, ma non c’è disprezzo; sa che quella condizione sociale non è una loro colpa; accompagna il film con musica sacra - Passione secondo Matteo, di Bach -, c’è comprensione: racconta, non giudica. Qui, gli accattoni del Consiglio regionale della Calabria – se le accuse del gip troveranno conferma – sono davvero imperdonabili: c’è colpa e grave responsabilità (è la classe dirigente, “colta” e laureata, che delinque): deve esserci pena. La giustizia faccia il suo corso. Anche la politica, però, deve dare segni di vita, posto che, in Calabria, non sia definitivamente morta.
Il Presidente del Consiglio regionale, Mario Oliverio, ha le sue responsabilità. E’ indagata mezza giunta regionale, non ci sono scuse, parole, giustificazioni, sofismi: non è solo un fatto giudiziario, è, con tutta evidenza, anche (forse soprattutto) un fatto politico. Ci vuole pulizia. Aria pura. Giovani. La Calabria ha bisogno, con urgenza, di una classe dirigente nuova. Oliverio, Fedele, Amato, Nucera... sono nomi che circolano da un’eternità. Basta. Per carità basta.
Leggo che Oliverio si giustifica: “Io non c’entro, i reati riguardano fatti della passata legislatura”. Non è così. Ci sono responsabilità politiche, che non possono essere eluse: tutti i membri della giunta Oliverio sono indagati; gli assessori li ha scelti Oliverio; Oliverio ha le sue responsabilità. Non si esce da questo sillogismo.
L’ingresso di De Gaetano in giunta è stato contestato dalla Lanzetta. E’ un fatto. Abbiamo visto com’è finita. Adesso il Presidente della regione non può - preso da tardiva voglia di pulizia - fare finta che non c’entri nulla. Milano e l’Expo. Che immagine ha mostrato, esposto, Mario Oliverio, rappresentando la Calabria nella capitale lombarda? Va detto: non ci sarà decollo per questa regione afflitta e umiliata finché verrà rappresentata da questi politici: l’immagine è sostanza, penetra nella mente, la cattura: l’immagine che costoro trasmettono, lucrando (anche) sui detersivi, è devastante.
Le dimissioni del Presidente, che ha tutti gli assessori inquisiti, sarebbero - in un Paese normale - un atto dovuto; se non ha la forza di arrivare a questo, faccia almeno pulizia assoluta (ora, adesso, subito), riparta con l’etica come principio guida (seguiranno: l’estetica dei comportamenti, la serietà dei progetti, lo sviluppo dell’economia). Il direttore del Quotidiano del Sud ha detto parole chiare: “Un politico che ha sperperato soldi pubblici per sollazzare se stesso ed altri si deve semplicemente vergognare. A volte è un esercizio catartico ed è gratis. Non sono necessari i tre gradi di giudizio: abbia il buon gusto di sparire dall’agone politico”. Se la Calabria è una regione dove la legge, la morale e la Politica (con la maiuscola, per favore) hanno ancora diritto d’asilo, queste parole siano da monito. Per tutti.


Articolo apparso su "Il Quotidiano del Sud" del 29 giugno 2015

Nelle foto, dall'alto in basso: Angelo Cannatà, autore dell'articolo; il protagonista del film "Accattone" di Pasolini; le somme rimborsate ai vari consiglieri regionali secondo l'accusa.


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(16.7.15) CHI NON HA COSA DIRE DOVREBBE TACERE. RISPOSTA AL SEGRETARIO DEL PD - Nel manifesto con cui ha tappezzato il paese – neanche si trattasse dell’annuncio del matrimonio del principe ereditario o di un imminente bombardamento aereo - il segretario del PD parla di “false informazioni” che sarebbero contenute nell’articolo “Amministrative 2016: si scaldano i motori”.
Di tali “false informazioni” non ne cita però neppure una, per cui gli chiediamo:
è una “falsa informazione” che il candidato del suo schieramento alle prossime elezioni sarà, per la terza volta consecutiva, Carmelo Panetta?
E’ una “falsa informazione” che il PD è da tempo in sonno, al punto che per fargli “battere un colpo” c’è voluta, niente poco di meno, un’ipotesi giornalistica sulle aspettative del suo segretario?
E a proposito di queste ultime: si aspetta o non si aspetta di entrare, quantomeno, in lista?
Se le cose non stanno nei termini da noi raccontati – e sarà lui a dircelo rispondendo alle domande sopra formulate - allora il segretario del PD ha ragione; se però, come pensiamo, non avrà modo di rispondere, allora vorrà dire che ha semplicemente blaterato frasi prive di significato, essendo incapace di farsi una ragione della propria inconsistenza.
Inconsistenza che viene manifestamente fuori – tanto per citare uno dei molti esempi di incongruenze contenute nello squinternato documento - allorché ci muove l’appunto di “non fare alcuna valutazione politica” dopo averci accusato, poche righe sopra, “di patteggiare (sic) per una palese parte”.
Il lettore capirà da sé che lo stare da una parte comporta l’esprimere o l’avere espresso “valutazioni politiche”, sì che, essendo “partigiani”, non si vede come ci si possa nel contempo astenere da “valutazioni politiche”.
Per quanto ci riguarda, non possiamo fare altro che rammaricarci se il segretario del solo partito organizzato presente sulla scena politica galatrese esprime un così basso livello di competenze, maneggiando in modo assolutamente maldestro le armi della polemica politica. Vorrà dire che la ricostruzione, se mai ci sarà, dovrà curare un punto essenziale: la selezione dei quadri dirigenti.

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Visualizza il manifesto del PD pubblicato qualche giorno fa (PDF) 922 KB

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(27.7.15) SENTO TANTO DISCUTERE DI QUANTO "MELU PANETTA SI MANGIAU NU PAISI!" (Arianna Sigillò) - Alla luce degli ultimi accadimenti "politici" e dopo aver sentito diverse "voci di popolo" vorrei tanto esprimere il mio parere in merito alla "questione politica" galatrese.
Sinceramente non ho molto chiara la situazione del segretario di partito del PD che
controbatte ad un articolo apparso sul Galatro Terme News, anche perchè non mi sono soffermata a leggere più di tanto gli innumerevoli manifesti affissi in paese, nè le decine di locandine presenti in più esercizi commerciali, poichè non amo molto queste manifestazioni "teatrali" di assurdi dibattimenti contro "ignoti".
Quello su cui vorrei soffermarmi a "dire la mia" oggi riguarda il decennio amministrativo dell'attuale Sindaco.
Sento tanto discutere di quanto "Melu Panetta si mangiau nu paisi", di quanto non ha fatto questo, non ha fatto quello, non è in grado di... e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno potrebbe chiedersi: "E quale sarebbe la novità che ha suscitato in Arianna Sigillò tanto scalpore?" Di per sé, nessuna novità, se non fosse per il piccolo particolare che a "ricordarsi" di tutta la negatività del nostro primo cittadino, siano gli stessi che al suo primo mandato l'hanno fortemente voluto e sostenuto.
All'epoca del primo mandato dell'attuale amministrazione, come tutti ben ricorderanno, io facevo parte della lista avversaria, e ricordo ancora i dibattimenti durante i vari comizi che, come consuetudine, si avvicendano durante il periodo elettorale. Ricordo anche di quanto si "chiaccherava" dell'allora lista CPG della quale facevo parte, soprannominata col dispregiativo di "lista baby".
Oggi, a distanza di nove anni, "piovono proposte" di ogni genere: c'è chi vuole i giovani nella coalizione, chi vuole mettere insieme "diverse realtà" a collaborare per il "fine comune" e chi fortemente, per il bene del paese, pensa sia il momento di prendere in mano "le redini" per farlo risalire dal baratro nel quale con "si tanta incompetenza" l'attuale primo cittadino l'ha fatto precipitare.
Allora mi viene da chiedermi: ma questi signori che oggi si prodigano a benefattori della comunità, non sono gli stessi che nel 2006 si sono impegnati a fare "carte false" affinchè vincesse le elezioni il PD?
Questi soggetti che oggi vogliono i giovani nella coalizione, non sono gli stessi che nel 2006 dicevano che "non era il momento di fare tirocinio a Palazzo San Nicola"?
Non sono forse coloro che nel 2011 hanno permesso che venisse creata la "famigerata" lista civetta per permettere la rielezione della stessa coalizione?
Ma sopratutto, di quale forma di "profonda letargia" si sono ammalati "tutti costoro" che per dieci lunghi anni non hanno mosso un dito nè espresso un giudizio concreto contro le continue "malefatte" dell'amministrazione comunale?
Senza ombra di dubbio, l'attuale sindaco avrà commesso degli errori nel fare e gestire diverse situazioni, ma comunque in linea con le "baggianate" che hanno compiuto tutti i suoi predecessori, prima fra tutte la cessione delle nostre terme al privato.
Io per prima potrei dire di un "clamoroso" errore che il nostro primo cittadino ha commesso non concedendo una delle stanze della biblioteca, non ad Arianna Sigillò, ma bensì alle mamme, delle quali io ero rappresentante, che avevano bisogno di discutere di piccoli dettagli riguardanti i loro figli, solo per aver dato retta a "delle voci". Proprio per questo ci tengo a ricordare al primo cittadino che "l'ultima" che ha dato retta alle voci è stata messa al rogo.
Detto ciò, va anche dato "onore al merito" a Carmelo Panetta e alla sua squadra: in questi anni ha intrapreso tante belle iniziative, come la colonia estiva per gli anziani e quella per i ragazzi ad esempio, è riuscito a far "rimanere" il paese "in attivo", ha fatto lavorare un pò tutte le ditte presenti in paese, chi più chi meno, a dire di alcuni, "cosa chi non ficiaru mai l'atri amministrazioni", ha messo le telecamere in tutto il paese, che può sembrare un "di più" ma è un qualcosa di molto buono, è riuscito a far arrivare la raccolta differenziata, che a quanto pare, sta procedendo con successo e altre "piccolezze" che, tutte insieme, fanno una certa differenza.
Perciò spero che prima o poi finisca questo continuo volersi appigliare ad inezie tanto per sollevare inutili polveroni. Le prossime elezioni sono ormai vicine e nonostante io non muoia affatto dalla curiosità di sapere chi ci sarà "dall'altra parte", cercherò di preparami "psicologicamente" allo "spettacolo".

Nella foto: Arianna Sigillò.

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(25.8.15) I CASAMONICA E LE COLPE DELLA CHIESA (Angelo Cannatà) - Sarebbe troppo facile dire che nel romanzo più letto (e odiato) tra i banchi di scuola ci sia già tutto. Con una variante: “Questo funerale s’ha da fare”. Insomma. Il codardo don Abbondio “non vede e non sa nulla” delle gigantografie del boss vestito da Papa attaccate ai muri della sua Chiesa; Don Rodrigo ha disposto; l’Innominato ha approvato; gli azzeccagarbugli già giustificano scaricando ogni responsabilità sull’elicotterista.
Sarebbe troppo facile leggere parafrasando Manzoni. Frate Francesco, divenuto Papa, assomiglia a Fra Cristoforo: lotta contro il male, anche interno alla Chiesa, ce la farà o soccomberà? Sarebbe facile continuare su questo tono, ma la vicenda dei funerali di Casamonica è complessa e richiede un’altra analisi.
Che Paese è il nostro. Altro che inchino della statua nella processione di Oppido Mamertina! Qui accadono cose terribili, e non da oggi, qui è-la-Chiesa-che-non-ama-Francesco (sono in tanti) che s’inchina alla mafia dei Casamonica!
Ha un bel dire il Papa: i mafiosi sono scomunicati. E’ tragicamente smentito dai fatti. I mafiosi sono (ancora) in corrispondenza d’amorosi sensi con preti, vescovi e cardinali. Temo per Francesco, ha scritto Gratteri: è uno che vede lontano, il magistrato, speriamo che stavolta abbia preso un abbaglio. La fredda ragione, però, non si nutre di speranza. Indaga. Coglie nessi. Osserva. Giudica. Perché Santa Romana Chiesa ha permesso, per 18 anni, a un uomo come Marcinkus, legato alla mafia, di guidare lo Ior? Proprio perché era legato alla mafia, è la risposta vera e terribile. Insomma. Bisogna guardare l’intero quadro - compresa la cornice - del “grande giallo della politica italiana”.
Un giallo nauseabondo in cui c’era (ma gli effetti li vediamo ancora oggi) davvero di tutto: la mafia, la P2, i servizi segreti, alcuni gruppi politici italiani, l’Eni, il Vaticano e l’omicidio/suicidio di Roberto Calvi. Questo è “il contesto e l’antefatto” da cui derivano le complicità nel funerale tragicomico del boss Casamonica. Comico, perché non si vedeva da anni niente di più Kitsch; tragico, perché la Chiesa, la società civile e lo Stato ne escono umiliati e offesi. Da una pagina di cronaca degli anni Ottanta (si era appena saputo della P2): si avverte una sensazione di sconcerto per la natura criminale degli eventi e per il livello dei personaggi coinvolti: “Può dare la vertigine pensare che, in un solo mazzo, si siano trovati il Vaticano, Sindona e Calvi, l’ala bacata della massoneria e la mafia; ma molti riscontri conducono a questa sconvolgente verità.” Può dare la vertigine. E’ così. Anche oggi sgomenta sapere che mentre Papa Bergoglio scomunica la mafia, la sua chiesa lo tradisce (per trenta denari, o poco più), vendendosi ai boss.
Qui tocchiamo il punto decisivo. Che la politica si venda e sia corrotta, l’abbiamo capito. Si fa fatica a comprendere – forse dovrei scrivere: ad accettare – che si venda e sia corrotta anche la Chiesa.
Paese di cattolici lettori di Manzoni, sappiamo vedere le colpe di don Abbondio, che certo non aveva un cuor di leone. Il resto ci sfugge o non vogliamo vederlo. Invece bisogna porle le domande dolorose. Dunque, di nuovo: Perché Santa Romana Chiesa ha permesso, per 18 anni, a un uomo come Marcinkus, legato alla mafia, di guidare lo Ior? Quanto pesano, oggi,nella Chiesa, gli uomini che ne hanno ereditato lo stile (si fa per dire) e i modi? Quanto sono legati, tra loro, il marcio di Santa Romana Chiesa e la corruzione della politica italiana? Il valore simbolico, devastante, di quanto è accaduto a Roma è un segnale. Diretto a Chi? Cosa dobbiamo aspettarci? Davvero qualcuno può pensare che certe cose accadano per caso?

Articolo apparso su “Il Fatto Quotidiano” del 23.8.2015 e "Il Quotidiano del Sud" del 24.8.2015

Nella foto: Mons. Paul Marcinkus.


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