(15.3.07) NIETZSCHE E LEOPARDI: UN LIBRO DI ANGELO CANNATA' (di Domenico Distilo) - Angelo Cannatà, un nostro concittadino che da qualche anno si è trasferito con la famiglia in provincia di Roma, dove insegna filosofia nel liceo scientifico di Genzano, ha pubblicato, grazie ad un progetto della scuola sostenuto da altri enti, un interessante libro su Nietzsche e Leopardi - Edizioni Liceo Vailati, pp.192, € 15 - nel quale opera un’approfondita disamina dei non pochi “debiti” del filosofo tedesco nei confronti del poeta italiano.
Cannatà, esaminando con puntuali riferimenti la vasta letteratura sul tema, sostiene, intanto il carattere filosofico della poesia di Leopardi (che definisce, con un’espressione di Heidegger riferita ad Holderlin, “pensiero poetante”), carattere non disconosciuto da Nietzsche – contrariamente all’opinione di Emanuele Severino secondo cui la ricezione nietzscheana di Leopardi sarebbe avvenuta dal versante filologico, con conseguente sottovalutazione della grandezza filosofica del Recanatese; in secondo luogo l’origine leopardiana dei temi che caratterizzano il primo Nietzsche, il Nietzsche, cioè, che non ha ancora consumato la rottura con Schopenhauer e il cui sentimento della vita si esprime, nei vari scritti, pressoché negli stessi ritmi, addirittura con gli stessi termini riscontrabili nei Canti e negli Idilli, al punto, si potrebbe aggiungere se l’ipotesi non fosse manifestamente peregrina, da far pensare al plagio.
Tra gli scrittori europei frequentati da Nietzsche Leopardi occupa, questo è indubbio, un posto di primo piano. Anzi, Nietzsche è talmente compenetrato di “leopardismo” che ben dopo l’esaurimento della fase schopenhauriana culminata nelle "Inattuali" e fin nel cuore del suo pensiero maturo, nella teoria dell’eterno ritorno, al centro, com’è noto, del celeberrimo "Così parlò Zarathustra", è possibile avvertire echi leopardiani e cogliere assonanze, peraltro evidenti, col "Sabato del villaggio".
Nietzsche, dunque, tributario di Leopardi, un Leopardi che, per il fatto stesso di aver rappresentato un punto di riferimento di un autore fondamentale della filosofia contemporanea, viene riscattato da certe letture italiane, tra le quali quella di Benedetto Croce, che pur riconoscendo e magari esaltando la grandezza poetica del Recanatese, o meglio, proprio per il fatto stesso di riconoscerla ed esaltarla, ne misconoscono, non poi tanto implicitamente, quella filosofica, inapprezzata per non essersi espressa, conformemente alla lezione hegeliana (non a caso Lucio Colletti una volta definì la filosofia italiana “una provincia del Reich filosofico”), in forma sistematica, “la verità potendocisi offrire nell’unica forma del sistema scientifico di essa”, come si legge nella prefazione alla "Fenomenologia dello Spirito", l’opera forse più importante, certo la più suggestiva, del filosofo di Stoccarda.
Cannatà, appare evidente, aderisce alle letture che, a partire dal Leopardi progressivo di Cesare Luporini, valorizzano il Leopardi filosofo, ricusano di indulgere nella separazione crociana di filosofia e poesia ed evidenziano come il poeta marchigiano abbia colto poeticamente l’universale, confutando nei fatti, parecchi decenni prima che venisse formulato, lo schema crociano secondo cui la poesia e l’arte in generale non potrebbero aspirare che alla “conoscenza del particolare”, una sorta di “cognitio inferior” - al pari di quella dispensata dalle scienze empiriche, definite “meri apparati di pseudoconcetti” - rispetto alla conoscenza storico-filosofica, la sola degna del nome.
Per riassumere: se lo stile aforistico e la mancanza di spirito sistematico non hanno fatto velo allorché si è trattato di riconoscere la statura filosofica di Nietzsche, lo stesso non può non avvenire per Leopardi, che non è stato grande filosofo meno di quanto sia stato grande poeta e ha gli stessi titoli di Nietzsche per essere collocato tra i profeti della crisi della modernità e tra i maestri del cosiddetto “smascheramento”, per stare, insomma, tra gli interpreti più lucidi dell’epoca del Superuomo (o Oltreuomo), benché si tratti di un Superuomo senza la nietzscheana Volontà di potenza.
Il libro di Cannatà contiene poi altri spunti, sui quali magari sarà il caso di soffermarsi in altra sede. Un’ultima cosa va però detta: la prioritaria finalità didattica del lavoro non ha comportato il sacrificio dell’esigenza di svolgere un preciso percorso di ricerca, nel quale l’autore si è cimentato con risultati a nostro avviso apprezzabili sia sul piano storico che su quello teoretico. Relativamente al primo ha infatti concentrato esiti di ricerche dispersi in una bibliografia non facilmente dominabile dal cultore non specialista; quanto al secondo, ha prodotto una chiara riformulazione in chiave attualizzante del pensiero di Leopardi, una rilettura cioè né settecentesca né ottocentesca ma postmoderna, nonostante la presa di distanze del secondo Nietzsche.
Cu' nci ricorda 'a Crucivia,
tutta mpestàta di mularìa?
Mò si nci passi non c’è cchiù nudhu,
poi sulu parlari cu corchi muru.
Non c’è Biagiu, non c’è Carmelu,
no Peppi 'i Muntagna e no fràisa Melu.
Non c’è Garidha cu fràtisa Turi,
no jamu cchiù mu abbivaràmu i muli.
Non c’è Turi 'i Ciunna, no Ntoni Sorianu
e non ci su mancu io, puru luntanu.
Quantu sirati passammu arrigghiandu,
gridandu, zumpandu e puru minandu.
Si jocava a mmuccia o a cavadhìna,
arridendu e zumpandu era quasi matìna.
Chi belli ricordi nta Crucivia,
si tornarìa arretu 'u stessu farrìa.
Saluti da Giuseppe Ocello
Nella foto: visione d'assieme della parte esterna del rione Crocevia.
(31.5.07) PRESENTATO A CITTANOVA IL LIBRO DI ANGELO CANNATA' - Il libro di Angelo Cannatà, Nietzsche e Leopardi, da noi recensito con un articolo di Domenico Distilo, è stato presentato alla biblioteca Comunale di Cittanova nel corso di un incontro con l'autore e la presenza degli studenti del Liceo Classico "V. Gerace".
Pubblichiamo la relazione con cui Domenico Distilo ha presentato il volume, gli interventi degli altri docenti del Liceo, la relazione di Angelo Cannatà, gli interventi degli alunni e le risposte dell'autore.
'U Bandituri
Affacciato all'angolo "d'a calateda" che taglia la curva di via Regina Margherita, con le mani attorno alla bocca a mò di megafono, "u bandituri" lanciava il suo messaggio promozionale. Era il "media" della mia infanzia. Mi pare si chiamasse Rocco di nome, quanto al cognome sono incerto, ma mi sembra di ricordare... Aloi.
Ricordo lo strillo della sua voce che prolungava le parole come per permettere che arrivassero il più lontano possibile.
Mio fratello Nazzareno mi disse che l'antenato del bandituri conosceva la posizione ideale del paese per far giungere la sua possente voce fino "a Longa".
Da una recente conversazione con mio cognato Rocco Marazzita (che con molta autoironia dice d'essere Rocco "imbutu"), ho appreso che questo speciale bandituri era suo nonno!
La voce urlata, ma chiara e cadenzata, annunciava: cu' voli vinuuuuuuu! con dovizia di particolari sulla qualità, la speciale "cantina proponente" e a volte il prezzo. Dopo un pò, lo stesso annuncio si risentiva di nuovo ma per me molto più lontano, magari "du quarteri".
Nelle foto: a sinistra, servizio fotografico presso gli "studios" della Villa di Galatro. 1949: i miei fratelli, in ordine decrescente: Domenico, Rachelina, Palma detta Auriemma, Nazzareno, Pasquale.
A destra, qualche anno dopo, 1955: presso lo stesso 'studio all'aperto' Auriemma, nonno Michele Simari, Nazzareno, io e il piccolo Alfredo.
Un altro ricordo impresso nella mia memoria è collegato a quest'uomo. Probabilmente un bracciante, abituato a lavori umili e di fatica. Era l'epoca della raccolta delle olive.
"U trappitu" (con la caratteristica "tr" del nostro dialetto galatrese che fa quasi "ci" pittosto che "tri" , come invece per es. i rosarnesi) era dietro casa mia, proprio "a curva".
Una lenta fila di portatori di sacchi pieni di olive appena raccolte, passava per la via.
Sotto il peso del carico, avanzavano curvi e silenziosi, forse per non sprecare il fiato, nei loro vestiti neri, unti di olio, come il panno di iuta che poggiava sulle loro spalle e che poi, a carico svuotato, tornando dritti e con la schiena inarcata all'indietro come per raddrizzarsi, portavano allegramente sulla spalla oramai alleggerita o addirittura sventolandolo lungo il corpo a braccia lente.
Quest'uomo non urlava più, il lavoro era differente, e sorrideva beatamente seguendo questa fila di portatori di sacchi d'olive che, avendo svuotato il carico, di nuovo se ne tornava per un'altra coda che li avrebbe di nuovo visti sfilare davanti a casa mia in gravoso silenzio.
Nelle foto: a sinistra, 1953: foto di famiglia con grammofono.
A destra, 1953: Rachelina, Mamma, Domenico, Auriemma, Pasquale, Nazzareno ed io Guerino.
Pani friscu e olio extra vergine. Quant'era bonu!
Periodicamente, nel forno sotto casa, proprio a ridosso di quel ruscello che lambiva le mura delle abitazioni e che separava casa nostra dalle "arangari" dei Papa, mia madre faceva il pane!
Nazzareno ci ha ricordato che, ad ogni sfornata, la mamma mandava i miei fratelli più grandi verso quella o quell'altra famiglia a portare una pagnotta avvolta in un panno, perché sapeva che erano "bisognosi".
Ma quello che ricordo io, è quella larga fetta di pane bianco, ancora fumante, adagiato in un piatto che io porgevo al signore del Trappitu. Quel Signore, di cui non so nemmeno il nome, delicatamente affondava un specie di piccolo mestolo in quel recipiente pieno di olio appena spremuto e lo versava altrettanto delicatamente su quel pane fresco che tenevo con religiosa attenzione, pregustandone il sapore dal profumo soave che inondava l'ambiente.
E a proposito di sapori e profumi.
Mbiviti nu pocu i mustu figghioli!
Lungo la via che partendo "da villa" entrava in paese, nei pressi "du macellu", vicino ad una "gabbina da currenti", c'era una volta un muretto fatto di mattoni e non più alto di un metro e sessanta credo.
Quel muretto era strategico per noi piccoli poichè, aiutati dai "grandi", ci serviva da punto di attesa.
Sapevamo che prima o poi, tutte quelle donne con in testa "nu barili" poggiato "supra na curuna" fatta di stoffa, loro meno silenziose dei portatori di olive, tra una chiacchera e un'altra cosa, si sarebbero fermate per riposare "nu pocu".
Stavolta faceva più caldo che nel periodo delle olive, e le "cummari" che trasportavano in testa i barili di "mustu", anche loro in fila ma sempre impegnate in conversazioni tra loro ed i passanti ("undi ghiti cummari? a lu ccà!"), non meno faticoso il trasporto, ma perlomeno permetteva una breve sosta di riposo. E dove fermarsi senza dover posare il pesante barile se non al muretto che noi avevamo individuato?
Queste care donne, sapevano bene che il dolcissimo mosto era di nostro gradimento e non ci negavano un assaggio del prezioso nettare che succhiavamo attraverso le apposite cannuccie (per carità non quelle delle bibite odierne, ma quelle originali, naturali ed ecologiche, delle canne del canneto vicino).
Quel dolcissimo sapore di uva appena spremuta mi è rimasto impresso tanto chiaramente da risvegliare in me il ricordo del mio caro paese Galatro ogni volta che assaporo un grappolo d'uva... purtroppo sulla tavola della mia cucina.
Nelle foto: sopra a sinistra, non mi vedete, ma ci sono anch'io! 1952, S. Ferdinando, le mie prime "vacanze" al mare. Ricordo solo la paura dell'acqua. Con le mie cugine Italia Pettinato, una figlia di mio zio Antonio Simari, Rachelina, Mamma, mia cugina Caterina, un'alta mia parente e, sulla sabbia, Pasquale, Nazzareno ed Auriemma.
Sopra a destra, effetti speciali dagli studios di Napoli! Fotomontaggio fatto realizzare da mio padre Giuseppe Demasi, allora in servizio di Leva a Napoli 1931/32 con la foto della sua amata Meluzza Simari.
Nelle foto: sopra a sinistra, foto di famiglia per il passaporto. 1958, da sinitra in alto Pasquale, mamma Meluzza Simari, Nazzareno, Guerino, Mario e Alfredo.
Sopra a destra, foto in Francia con noi piccolini per il passaporto della mamma. Siamo nel 1960 o '61 e c'è anche l'ultimo nato in Francia: Raffaele.
Cari amici da crucivia
mo vi scrivu na bella poesia.
Cu' vi scrivi è Turi Garidha (u Renna):
purtroppu a vita ndi portau luntanu,
mu si sparti a vecchia mularia,
ma lu passatu sempri affiora
nta lu ceravedu nostru,
quandu nta la Crucivia
tanti arrisati si facìa.
Ricordu cu tantu affettu e simpatia
chidha bellissima cumpagnia,
cu Peppi Ocellu dettu u Cannuni,
Biagio Cirillu dettu u Merlu,
cu tutti i frati soi.
Turi i Ciunna e fraisa Peppi,
Muntagna e fraisa Melu,
Ntoni Sorianu e fraisa Manueli,
e non pè ultimu Cheli Sorrenti figghiu i Vitu.
Chi mularia spenserata,
tra na gridata e n'arrisata.
Mo vi salutu a tutti amici mei.
(30.8.07) L'ILLUSORIETA' DEL LIBERO ARBITRIO (di Guerino De Masi) - “Con la volontà si può ottenere tutto” ovvero: volere è potere!"
Ho letto alcuni mesi fa l’articolo di Francesco Zoccali sul tema del libero arbitrio ed allegato approfondimento.
A seguito del suo ultimo intervento sull’ottimismo della volontà nel quale fa riferimento al suo scritto del 2001, mi sono finalmente deciso ad intervenire a mia volta, pur con i miei limiti, senza voler competere con la preparazione culturale dell’autore dei sopraccitati articoli a cui vanno il mio rispetto e stima per quanto con competenza ha espresso.
Nessuno oramai si stupirà se nei miei interventi mi rifaccio alla Bibbia. Non potrei fare altrimenti e lo Zoccali ha giustamente fatto riferimento sin dalle sue prime frasi al dibattito teologico, prima ancora che filosofico, fino ad arrivare alla fisica quantistica, ultima frontiera scientifica.
Ci è noto, mi pare, che la Nobel Montalcini si dichiara “non credente” (nel senso comune del pensare religioso) come pure lo era Einstein. Pertanto, non mi aspetto da loro qualcosa che possa in qualche modo collegarmi alla fede ed alla fede in Dio che crea l’uomo libero di ubbidirgli e ciò sin dall’Eden.
Se è vero, com’è vero, che l’uomo è condizionato sin dall’infanzia, ed oserei dire prima ancora della sua nascita, è vero anche che ognuno è responsabile delle proprie decisioni e scelte nell’arco della sua vita.
Quando qualche tempo fa abbiamo discusso dell’uomo ad immagine di Dio (a somiglianza di Dio). In quella occasione ricordavo che è peculiarità della persona di Dio, e dunque dell’uomo che è a sua immagine, la facoltà di pensare, esprimere sentimenti e dunque di scegliere in quanto persona. Se tali caratteristiche non sono riscontrate nell’uomo, abbiamo dunque davanti qualcosa che non “assomiglia” a Dio.
E’ vero anche che, sulla base del Touring, la macchina tende ad imitare la mente (perlomeno gli studiosi ricercano in tal senso); non mi trovo comunque in sintonia col pensare che l’uomo abbia un programma “predefinito” al quale non può sfuggire, perché tale pensiero elimina ogni sua responsabilità d’azione e dunque non sarebbe nient’altro che una macchina!
Sin dalla Genesi, primo libro della Bibbia(1), Dio che ha messo l’uomo (e la donna) nel giardino di Eden, chiede che si mangi di tutto fuorché dell’albero della conoscenza del bene e del male posto in centro al giardino. Impensabile dunque che Adamo ed Eva non avessero avuto alcuna alternativa che l’ubbidire. Difatti, la loro disubbidienza trascinò il genere umano in questa disavventura del mondo in cui regna il peccato!
In ultima analisi, l’uomo “scelse” di “non ubbidire” a Dio. Fidandosi delle insidie del “nemico delle nostre anime”, “scelse” invece il suo nuovo “signore”, il serpente antico, satana, che non manca di condizionare l’umanità tutta, per mantenerla sotto la schiavitù del “suo volere” malvagio.
La prima promessa biblica di un salvatore si trova anch’essa in questo primo libro(2): ...la sua progenie ti schiaccerà il capo... Preannuncio dell’incarnazione di Dio in Gesù che avrebbe vinto il maligno per ridare a l’uomo “la libertà di scelta perduta in Eden”, e con essa l’invito a riceverlo di nuovo prima come Salvatore ed infine come Signore.
Vi è un altro brano nella Bibbia, nel Vecchio Testamento(3), che chiaramente invita a “scegliere”: ...ho messo davanti a te la vita e la morte, scegli la vita... diceva il Profeta da parte di Dio. Un tale invito sarebbe senza senso se nell’uomo non ci fosse alcuna possibilità di scelta.
L’invito si estende in tutto il Nuovo Testamento fino all’ultimo dei libri che è l’Apocalisse. Nella sua conclusione(4), l’invito ad aprire il cuore al Signore (ed anche qui non avrebbe senso senza questa benedetta possibilità di scelta che Dio ci dà) dicendo ...ecco, sto alla porta e busso, se qualcuno aprirà io entrerò e cenerò con lui ed egli con me...
Rimane pur vero che la Bibbia parla dell’elezione divina e per questo basti un testo per tutti, quello di Paolo ai Romani(5) che sembrerebbe una chiamata arbitraria di Dio alla quale l’uomo non potrebbe sottrarsi (questa è la posizione calvinista “estrema”, quando parla dell’elezione incondizionata), ma ad una attenta analisi si delinea come la chiamata ed elezione divina è relegata al servizio piuttosto che alla salvezza. Questa elezione, o chiamata, è collegata alla preconoscenza divina più che al servo arbitrio di Agostino ed i suoi seguaci estremisti.
Il messaggio biblico pone sempre la responsabilità dell’individuo nell’accettare o nel rifiutare il Vangelo che è salvezza e potenza di Dio per chiunque crede(6). Mai e poi mai, la bibbia pone l’uomo sotto una cappa d’imposizione sia per ubbidire al Signore che (e tanto meno) per credere in Lui. Sempre, sin dalla nascita della chiesa del Nuovo Testamento, l’invito che Gesù prima(7) e gli apostoli dopo(8) hanno fatto agli uomini fu ed è: ravvedetevi, convertitevi, e credete al vangelo.
Se l’uomo fosse nell’impossibilità di scegliere, tutto il vangelo e la sua storia millenaria non sarebbe altro che un bluff, una presa in giro, ed una illusione che ben presto sarebbe stato smascherata. Gloria a Dio perché non è così. Da più di duemila anni, uomini e donne hanno scelto di credere in Gesù per il perdono dei loro peccati, per la loro salvezza eterna e per un ritornare al Padre Celeste che nel suo amore trascendente li ha creati “liberi di dire sì” e concludere con le ultime parole di Apocalisse(9): Amen vieni Signore Gesù.
Note:
(1) Genesi 3:3
(2) Genesi 3:15
(3) Deuteronomio 30:19
(4) Apocalisse 3:20
(5) Romani 8:29,30
(6) Romani 1:16
(7) Marco 1:15
(8) Atti degli Apostoli 2:38
(9) Apocalisse 22:20
(4.9.07) ANCORA SU LIBERO ARBITRIO E DINTORNI (di Francesco Zoccali) - Voglio ringraziare innanzitutto Guerino che ha avuto la pazienza e l’interesse di seguire le mie argomentazioni circa questa istanza, il libero arbitrio, che è una questione vecchia come l’uomo ed ha una così grande rilevanza da essere stata, tra l’altro, posta come cardine fondamentale della religione cristiana e non solo. Capisco bene che il nostro ‘essere’ si ribella tout court di fronte ad una espressione come quella che dichiara l’illusorietà del libero arbitrio ma la finalità dell’intelletto e della razionalità è quella della ricerca della verità vera senza misticismi ed inganni di alcun tipo anche a costo di scardinare visioni che sono state per millenni e sono tutt’ora alla base della coscienza e dello schematismo della mente umana.
E’ sempre necessaria, come diceva il nostro filosofo meridionale Giordano Bruno, una ‘morale eroica’, un comportamento pronto ad andare anche contro il senso comune per potersi liberare da ataviche convinzioni che potrebbero essere false. Giordano Bruno continuò ad asserire ostinatamente che è la Terra a ruotare intorno al Sole, sostenendo la tesi copernicana, ponendosi contro ciò in cui credevano tutti ed anche contro la Chiesa che voleva la Terra come sito eletto da Dio per l’uomo e che quindi doveva essere perfetta ed al centro dell’universo intero. Giordano Bruno pagò con la vita l’aver sostenuto con forza la sua tesi, contrariamente a quanto fece invece Galilei che abiurò, e fu arso al rogo quale eretico dalla stessa Chiesa per opera del ‘Santo Uffizio’. Oggi pure i bimbi sanno che è la Terra a ruotare intorno al Sole ma questa conoscenza non ci è derivata dall’opera di Dio ma dall’operosità dell’intelletto che si è spinto oltre il comune senso di ‘guardare’ ed oltre quanto asseriva pervicacemente la Chiesa.
Il libero arbitrio, come sicuramente tante altre convinzioni umane, in quanto tali, non sono assolute e quindi sono passibili di rettifiche ed infatti sono state spesso modificate se non sovvertite. Non dimentichiamo ad esempio l’altra rivoluzione del comune senso del fluire del tempo che ci è pervenuta dalla genialità di Einstein attraverso la sua concezione della relatività del tempo e dello spazio.
Guerino, come sicuramente tanti altri lettori, giustamente si pongono la domanda: ma che senso avrebbe una esistenza umana pre-programmata? Ebbene, io ribadisco che invece non ha senso quello che l’uomo pensa del fatto di considerarsi una macchina, ha senso invece cercare la verità a qualunque costo, anche a costo di doversi considerare una semplice misera macchina! Perché l’uomo deve continuare a porsi di fronte a sé stesso ed agli altri come un essere perfetto, un semidio, e non riesce a vedersi quale egli è? Un semplice misero animale sociale che in questa era particolare della tecnologia si sta, tra l’altro, distruggendo con la stessa? Perché non riesce nemmeno ad immaginare di poter essere (al limite) una semplice misera macchina?
D’altronde c’è comunque da sottolineare che nelle mie argomentazioni non ho mai asserito che l’uomo è completamente privo di libero arbitrio (potrebbe anche esserlo) ma ho detto che questo è molto ma molto più limitato di quanto si possa comunemente arguire. Ma perché, ci si potrebbe chiedere, l’uomo, essendo un robot, ha la coscienza nitida di autodeterminarsi? E qui la risposta, o meglio una probabile risposta, ci viene ancora dalla scienza ed in particolare dalla teoria della evoluzione di Darwin. Se l’uomo fin dalla notte dei tempi avesse avuto la coscienza netta di essere un robot egli avrebbe perso da tempo il suo entusiasmo per la vita ed il suo istinto di autoconservazione e la sua esistenza sarebbe stata già spenta probabilmente. Se in passato è esistito un uomo che ha pensato di essere una macchina probabilmente sarà stato quantomeno depresso e la Natura con l’evoluzione naturale propria non l’ha favorito, né lui né la sua progenie. Quindi l’ipotesi avanzata e percepita da quest’uomo è morta sul nascere.
Se invece vi è stato, come vi è stato, un uomo in cui, ad un certo punto della storia dell’umanità, è emersa la coscienza che egli è libero di decidere, ebbene, ciò lo ha portato ad essere più entusiasta della vita, più voglioso di operare e prolificare e ciò è stato favorito dal meccanismo, un po’ perverso, per certi versi, della evoluzione naturale. Questo secondo uomo di cui parlo è esistito, ha vissuto meglio, ha prolificato ed ha dato origine a noi tutti e noi tutti ci ritroviamo con questa sensazione della libertà decisionale codificata nei nostri geni.
Insomma, il nostro libero arbitrio potrebbe essere un meccanismo che si è creato ad opera della evoluzione naturale per garantire il perpetuarsi della specie umana. Ma questo non significa che lo stesso uomo, per mezzo del suo intelletto, non lo possa quantomeno criticare, nel senso di ‘giudicare’, darne un ‘giudizio razionale’ e tentare di vagliarne la veridicità mettendola perlomeno in dubbio.
Circa le argomentazioni che Guerino avanza a sostegno della realtà del libero arbitrio dico semplicemente che, mi dispiace, ma rifiuto drasticamente il confronto in quanto si basa su un preconcetto, quello dell’esistenza di un Dio buono, onnisciente, onnipotente, provvidenziale, ecc. (chi più ne ha più ne metta), che non hanno alcun sostegno come dimostrazione logica quindi non degne di essere prese in considerazione nemmeno come trampolino di partenza per una qualsivoglia congettura basata sui rigidi canoni della logica formale e della scienza.
E non dimentichiamo che quello che siamo diventati lo dobbiamo alla scienza e non a un presunto Dio: mi si obbietterà che anche la scienza ci è data da Dio ma, se ciò è vero, c’è da considerare che la scienza (fornita da Dio) si è mossa sul sentiero della critica al libero arbitrio e quindi ciò significherebbe che sarebbe lo stesso Dio che sta mettendo in guardia l’uomo circa l’attendibilità di questo concetto troppo presuntuosamente ed irrazionalmente dato per certo!
Bene, detto ciò, ho voglia ora di mettere un po’ da canto la parte razionale che palpita spesso in me con veemente bramosia di ricerca e verità per lasciare libero spazio al cuore che pure palpita con tanto calore. E torniamo dunque alla nostra piccola Galatro sebbene ben lontana dalle questioni che riguardano l’universo e oltre.
Mi ha procurato una non lieve emozione l’occorrenza che Guerino De Masi dopo tanti anni di lontananza da Galatro abbia via via riconquistato i suoi ricordi di adolescente in un crescendo di nostalgia che lo ha riportato quest’anno nel suo paese natìo. Le esperienze, i luoghi, le passioni che avevano determinato la sua gioventù si sono rinverdite d’incanto e lo hanno condotto per mano, non senza una lacrima che sicuramente è corsa calda lungo il suo viso, a riappropriarsi di ciò che aveva un po’ perso. Quella lacrima si è ahimè moltiplicata nel vedere la situazione attuale di una realtà che tarda a cambiare in maniera drastica e sta scorrendo in un fiume assieme a tante altre di tanti altri meridionali che devono, loro malgrado, dopo le loro esperienze altrove, riconoscere in maniera nitida che il luogo in cui sono cresciuti, in cui hanno cominciato a maturare le basi del loro essere persona, è semplicemente al di fuori del mondo.
Un impulso di rivalsa, a reagire, a scuotere le coscienze si è impossessato di lui con la passione del buon meridionale e con l’entusiasmo del ‘fare’ tipico delle genti nordiche portandolo, tra l’altro, ad organizzare il raduno di emigrati e galatresi alle terme. E ciò rappresenta bene quanto ho già detto circa la risorsa dei nostri emigrati come fonte di impulso al nuovo.
Ho esperienza personale, nel mio piccolo, di più persone che tornate dal Nord o dall’estero hanno manifestato la loro operosità con voglia di agire e con una carica di industriosità che qui da noi è spesso carente e puntualmente ho visto crollare questa energia nel nulla dopo un breve periodo di permanenza degli stessi in questo ambiente che risulta deprimente in tal senso. Eh si! Purtroppo pare che sia l’ambiente sociale intorno ad un individuo che lo determina abbastanza incisivamente nelle sue azioni ed emozioni (altra lancia spezzata a sfavore del libero arbitrio).
A quanto pare è tutto o gran parte dell’ambiente che dovrebbe cambiare all’unisono affinché l’energia rinnovativa del singolo si possa esprimere, manifestare e determinare. E tale cambiamento a quanto pare è destinato a Galatro come in tutto il Meridione a passare attraverso, non gli anni come dovrebbe, ma i secoli. Le menti fertili ed industriose ai quali pure il Meridione contribuisce a dare la genesi sono costrette ad andare via lasciando qui il marcio se non l’inutile che tende ad ingenerare altro marcio ed altro inutile che ostacola il normale seppur lento progredire. La gente è rassegnata ma continua a restare aggrappata a questa terra come fosse l’ultimo lido prima del baratro più abissale. E nessuno, a quanto pare, si accorge che dovrebbe essere lui in prima persona a staccare la spina col passato ed affrontare con coraggio il nuovo per smuovere il pantano.
Non vorrei concludere con sole e tutte note negative ma è questo che la maggior parte della gente dovrebbe capire, seppur con dolore, seppur con sofferenza, e cominciare ad adoperarsi per cambiare in prima persona e per creare assieme a tanti altri quell’onda travolgente che la nostra terra brama pietosamente, in ginocchio, piangendo, pregando, dimenandosi, da tempo ormai immemore!
(7.9.07) CERIMONIA DI PREMIAZIONE PER BRUNO ZITO - Nella splendida cornice di Palazzo Baldari a Gioia Tauro si è svolta qualche giorno fa la cerimonia di premiazione per i vincitori della XIV edizione del premio "Calabria America". Come già da noi annunciato tempo fa, con grande soddisfazione per la nostra Redazione, tra coloro che si sono fregiati quest'anno della prestigiosa statuetta c'è l'avvocato Bruno Zito, di origine galatrese, nostro collaboratore da Buenos Aires.
Il riconoscimento, ideato e fondato dal maestro Mimmo Morogallo, è assegnato annualmente alle più significative espressioni professionali tra i calabresi all'estero e anche a coloro che nella propria terra si sono distinti nell'ambito della cultura, dell'arte, dello sport e delle professioni.
Molto numeroso il pubblico presente alla cerimonia alla quale hanno presenziato, oltre al maestro Morogallo, il sindaco di Gioia Tauro, Giorgio Dal Torrione, ed altre importanti personalità.
Al momento della consegna del premio, l'avvocato Bruno Zito, titolare di uno dei più importanti studi legali di Buenos Aires, ha dichiarato: "Non scorderò mai Galatro; quello con la Calabria è un legame per me indissolubile".
All'avv. Zito rinnoviamo i più fervidi auguri!
Nella foto: l'avvocato Bruno Zito, vincitore del premio Calabria America 2007.
(8.9.07) NON MI SOTTRAGGO AL CONFRONTO (di Guerino De Masi) - Sul libero arbitrio
Non mi aspettavo che il mio scritto fosse unanimemente condiviso, pertanto, non mi meraviglio della risposta di Francesco Zoccali.
Il confronto sulla questione del libero o servo arbitrio ha visto colti e preparati uomini confrontarsi nei secoli (vedi per es. Erasmo da Rotterdam e Lutero) e non capisco perché Zoccali dichiari di rifiutarne drasticamente il confronto perché secondo lui mi baso sul preconcetto dell’esistenza di un Dio buono!
Presunta esistenza (a parer suo) non sostenuta da dimostrazione logica o da congiuntura di logica formale e scientifica e pertanto indegna di essere presa in considerazione.
Tale scelta di posizione optata dallo Zoccali, e che rispetto pur non condividendola, richiede una “fede” che a mio parere supera di gran lunga la fede del credere in Dio.
In effetti non è poca quella (la fede) da applicare per credere che il nostro libero arbitrio si sia “creato” ad opera dell’evoluzione! (Darwin)
Una evoluzione “naturale” che con il suo meccanismo avrebbe favorito in quel secondo uomo l’emergere ad un certo punto di una coscienza di libertà di decidere facendolo vivere meglio, prolificando e dandoci oggi questa “sensazione” di libertà decisionale oramai codificata nei nostri geni!
Il verbo "barà" (“creare”) è un verbo unico.
Utilizzato solo in Genesi e con un unico soggetto: Dio.
Dio crea dal nulla (barà ex nihilo). Nel principio Iddio creò il cielo e la terra (Genesi 1:1). Verbo assolutamente “impossibile” all’infuori di Dio creatore se consideriamo la prima legge di termodinamica che dichiara che “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Io credo in Dio che crea dal nulla, senza alcun supporto tecnologico o materia prima. Egli crea, non trasforma.
Credo in Dio, non “presunto” ma “reale”, per chi accetta la sua rivelazione, che si avvicina all’uomo che è sua creatura.
Non lo si dimostra. Sfido comunque la dimostrazione della sua non esistenza!
Quanto alla “teoria” evoluzionistica Darwiniana (fortunatamente così chiamata dal mio interlocutore e non definita scienza come tanti arditamente affermano), anch’essa deve fare i conti con la legge della termodinamica, la seconda, che recita: tutto invecchia, tutto deperisce.
E’ l’Entropia, questa brutta bestia, che fa tanto paura perché ci dice che ogni energia utilizzata si appiattisce e non sarà mai più utilizzabile. Questa Entropia che ci costringe a fare i conti con essa quando valutiamo il rendimento di qualsiasi macchina ad energia. Questo rendimento non raggiunge mai 1, ma 0,90 nei casi più fortunati.
Però è questo che viene affermato con l’evoluzionismo di Darwin (che comunque dubitava se fidarsi o meno della sua umana logica in quanto derivata dall’evoluzione), che il rendimento sia superiore a uno.
Cioè l’evolversi migliorando delle cose.
Ci vuole tantissima fede!
Basti pensare alla complessità dell’unicellula, che di gran lunga supera quella dei nostri migliori e sofisticati meccanismi automatici, per almeno dubitare che l’evoluzione abbia combinato tale apparizione per caso!
Se passeggiando in piazza Matteotti trovo un cronometro ultracompleto con calendari e quadranti i più svariati, dunque di gran valore, non penserò che le molecole si siano per puro caso assemblate fino a comporre questa meravigliosa tecnologia, ma penserò che appartenga a qualcuno e che ci sia stato un costruttore, almeno per la marca che vi è riportata! (Il paragone non è esagerato, mi vengono in aiuto studiosi biologi e ricercatori medici. L’unicellula è forse un più semplice meccanismo dell’orologio?)
Giordano Bruno che si rifece a Copernico, come pure Galileo, Keplero ed anche Isaac Newton, hanno applicato quella scienza che è intrinseca nella creazione e che il ricercatore scopre ma non inventa (vedi Zichichi nel suo libro: Perché credo in Colui che ha fatto il mondo).
La Chiesa, quella Cattolica Romana, medievale, prima ancora di mettere sul rogo Giordano Bruno, aveva nel secolo precedente messo all’Indice, e dunque come libro proibito, lo scritto di Copernico perché non “geocentrista” ma ben “eliocentrista”.
Ma è la Chiesa, quella Cattolica Romana, quella delle Sante Inquisizioni, quella delle Bolle, dell’Indice, che si opponeva a queste menti geniali che scoprendo le leggi del creato dissentivano dai suoi ciechi e per nulla cristiani dogmi. Non c’entra Dio e la Sua rivelazione che è la Bibbia Parola del Signore e colui che crede in Lui.
Le espressioni che troviamo nella Bibbia, e quelle a proposito del sole in rapporto alla terra, non sono per nulla in opposizione alla scienza, ma normali espressioni del parlare, tali e quali a quelle di oggi quando parliamo del tramonto!
Ogni buon ricercatore scientifico sa che ciò che abbiamo scoperto nella natura, il creato, è così insignificante di fronte a quanto ancora ignoriamo. Chi sa dire cosa c’era prima del Big Bang? Cosa c’è oltre gli Universi? Dov’è l’inizio? Dove la fine? Perché? Perché noi che siamo animali pensanti ci troviamo a riflettere su questo? Quante risposte ancora ci mancano?
Di fronte ai suoi interlocutori Giobbe dovette dire: Ma a chi credete di parlare? Le cose che affermate le so anch’io. Ma della vastità del Suo creato, non ne percepiamo che un lembo (alcune traduzioni danno: una frangia) e del fragore della Sua opera, non ne percepiamo che un sussurro (Giobbe 26: 4-14).
Dico questo perché ritengo che, a torto, alcuni pensano che in quanto credente e credente in Dio creatore, io non possa applicare la logica tanto decantata e relegata, pare, solo a chi mette da parte Dio e la fede in Lui, pensando di avere strumenti più alti e razionali essendo scientifici e dunque degni (loro sì) di avere opinioni e pareri che contano e dunque confrontabili.
Da animale pensante e sociale, ho anch’io una logica che applico in ogni campo del pensare e dell’agire. Affronto e confronto pareri, idee, opzioni per giungere ad un risultato che collimi con una logica, la mia logica.
Pur non negando neanche io che il condizionamento in un certo qual modo ci tocca tutti, e dunque non mi cristallizzo su una definizione strettamente dogmatica del libero arbitrio (in ogni modo divergendo dall’idea di macchina preprogrammata), affermo comunque la responsabilità individuale delle nostre scelte personali e collettive così come trovo nella lettura, lo studio e l’applicazione a me stesso della Bibbia che è Parola di Dio e dall’analisi che riesco ad effettuare nel mio piccolo quotidiano di artigiano, padre di famiglia e cittadino del mio paese, l’Italia, dove spero perduri uno stato di diritto. Diritto che presuppone la libertà di scelta e di pensare.
E’ con questo spirito che mi addentro nelle riflessioni riguardanti Galatro e le problematiche affrontate in questo sito che così calorosamente ci ospita.
I miei incontri a Galatro
Ma passiamo al mio breve soggiorno a Galatro.
Sì, le emozioni furono tante tornando al mio caro vecchio paese.
Senza la “Raffaella Nazionale”, ho finalmente incontrato, dopo esattamente cinquantanni, il mio amico di prima infanzia, Vincenzo Fazio, che saluto ancora con piacere (Carramba che sorpresa!...)
Se non ci sono state calde lacrime, profondi ed intensi sentimenti mi hanno accompagnato in quei pochi giorni e continuano ad occupare i miei pensieri.
Con piacere ricordo gli incontri fatti:
- Prima persona incontrata quella prima mattina davanti a quella che era la mia casa.
- Maria Simari “guardafili”, la cara signora vedova di Giuseppe Marazzita, nostra da sempre vicina di casa, mamma di “Nicolino”, sorella di Giuseppe vigile in pensione!
La cena in casa della figlia e quelle stragustosissime melanzane ripiene.
- Il Signor Maurizio, che ci riceve alle Terme. Lui che mi ha incuriosito sin dalle prime telefonate fatte per informazione. Sempre presente. Sempre disponibile. Sempre cordiale e gentilissimo ma con uno sguardo perennemente malinconico assorto nelle innumerevoli occupazioni e preoccupazioni dell’hotel.
- Biagio Cirillo, ovviamente, e tutta la cara famiglia d'a “crucivia”. Le buone conversazioni con la sorella ed il marito. I suoi attivissimi fratelli di Bolzano. E la tarantella ballata con Biagio alle Terme.
- Michele Scozzarra, avvocato che dapprima mi smontò dicendomi che la mia venuta a Galatro avrebbe inquinato (alterato) i miei genuini ricordi, ma che poi si dimostrò essere una squisita persona con la quale la conversazione fu ricca per la sua disponibilità al dialogo ed all’ascolto.
- Il medico Lucia, attento osservatore e suggeritore di prospettive future per il paese.
- La visita a casa Distilo, chiedendo del Dott. Domenico, assente, ma l’incontro con la sua stimatissima mamma, la prof. sig.ra Messina, il nostro breve dialogo ed il suo regalo di una vecchia edizione di poesie.
- E che dire del “tabacchino” Callà, del barista Juventino “Eurobar”, dell’altro barista figlio della sig.ra Sgrizzi, del prof. Galluzzo, di Pino membro della chiesa evangelica, del sig. sindaco Panetta, del geom. Alfredo Distilo e del “postino” mio caro cugino Nicola Pettinato che ci ha dedicato tanto del suo tempo e della sua cara mamma.
Parlare poi e ancora degli altri miei cugini: Domenico Mannella, figlio di mia Zia Rosa, sorella di mia mamma, la sua famiglia con tutti i nipotini... là sì ci fu qualche calda lacrima. Biagio (Biasi) Pettinato incontrato fortuitamente a Plaesano mentre con mia moglie degustavamo un gelato nella piazzetta. A Rosarno, gli altri miei cugini Mannella, Pepé e le loro care famiglie. E finalmente una capatina a S. Ferdinando ad incontrare mio fratello maggiore Domenico in vacanza con famiglia.
Non mi sono prefisso altro, venendo a Galatro questa estate, che di rivivere i miei dolci vecchi ricordi. La realtà mi ha catapultato nel grande bisogno che c’è e che mi coinvolge sentimentalmente pur non avendo alcun interesse personale.
Sarà pure, come dice Francesco Zoccali, che il mio è il “fare” tipico delle genti nordiche, ma quello che sento da quando visito il sito, e soprattutto dalla mia ultima vacanza, è questa passione dettata dall’amore per il mio caro paese natio.
Ed in conclusione, tornando alla questione Galatro, ribadisco la necessità, secondo il mio punto di vista, che i singoli si diano una mossa! E su questo concordo pienamente su quanto ha detto il nostro Francesco, per creare quell’ondata travolgente che la nostra terra brama assieme a tanti altri che avranno questa agognata visione.
Con rispetto saluto calorosamente Francesco Zoccali che mi ha dato anche questa volta lo spunto per esprimermi e la Redazione per lo spazio offertomi.