(3.2.15) UNA MEMORIA DA NON PERDERE: LA FESTA DEI TRE GIRI (Michele Scozzarra) - Non si può non essere grati a Umberto di Stilo che, con i suoi molteplici articoli sulle grandi Tradizioni popolari e religiose dei nostri paesi, non smette di richiamarci a tanti importanti momenti che, soprattutto all’interno della Chiesa, ci hanno permesso di crescere con un giudizio “positivo” sulla vita di ognuno di noi all’interno delle nostre piccole comunità.
La festa di San Biagio a Plaesano, detta anche “la festa dei tre giri” si inserisce di buon grado in queste importanti tradizioni e Umberto di Stilo l’ha raccontata sulla Gazzetta del Sud nel 1982, e nel 2012 è stata ripresa da Galatro Terme News. Nonostante questo, mi piace riportare, oggi, alcuni stralci dell’articolo che mi permettono di inserire una bella pagina di fede, all’interno di una realtà che oggi rischia di allontanarci sempre più dalle nostre radici: “Ci sono, specie nel Sud, diverse località e piccoli centri conosciuti solo ed esclusivamente per una loro fiera, per il loro santo protettore, per un pellegrinaggio, per un preciso avvenimento che caratterizza la loro stessa identità geografica. Sicché, nella Calabria reggina, Acquaro di Cosoleto è conosciuto per la festa di San Rocco, Terranova Sappo Minulio per l’annuale pellegrinaggio in onore del “SS. Crocifisso”, Polsi, in Aspromonte, per la sua Madonna della Montagna, ecc. Lo stesso discorso vale per Plaesano che da sempre si identifica con San Biagio, con il pellegrinaggio del tre febbraio e con le classiche ed immancabili “tre girate” attorno alla chiesa che costituiscono una delle più genuine e schiette tradizioni di fede della gente di Calabria”... il tre febbraio, allorché, da sempre, diventa “l’ombelico della Piana” tant’è che sin dalle prime ore del mattino, le strade che lo collegano agli altri centri della zona si popolano di pellegrini che vanno a sciogliere i loro voti ai piedi del Santo. Giungono dalla montagna, dalla pianura e dalla valle… I pellegrini ora arrivano in macchina, giacché solo quelli dei paesi vicini (Galatro, Feroleto, Laureana) riuniti in allegre e chiassose comitive, seguendo la secolare tradizione locale, raggiungono a piedi il piccolo centro”...
Umberto di Stilo ha la capacità di evidenziare, con molta chiarezza, l’aspetto storico, geografico e anche culturale-ecclesiale delle tradizioni che racconta e tramanda… anche se talvolta con un gusto dolce-amaro, perché a fronte della “bellezza” che emerge dal racconto di come sono stati vissuti dal popolo cristiano questi momenti, si contrappone un “conformismo a ciò che oggi il mondo vuole”, che presenta un’immagine di una realtà ecclesiale svigorita, conformata a quel diabolico andazzo “mondano” che cerca di ridurre l’avvenimento cristiano non più a una “storia di popolo” (anzi della fede di un popolo), ma a un pensiero interpretabile solo per un impegno morale con l’esaltazione di valori che, spesso, niente hanno a che fare con Gesù Cristo e la sua Chiesa e sono accettati, solo perché utili alla cultura oggi dominante.
L’invadenza della logica “del mondo” nella vita della Chiesa s’identifica “con la rinuncia a una testimonianza franca e coraggiosa del ruolo, anche pubblico, che il Cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e il bene della società nel pieno rispetto, anzi nella convinta promozione della libertà di tutti e di ciascuno”, come ha detto Giovanni Paolo II nel famoso discorso di Loreto, da tanti chiamato “Enciclica per l’Italia”.
Ritorniamo a Umberto di Stilo nel suo raccontarci la festa di san Biagio a Plaesano: “… Inoltre la festa di Plaesano è ancora conosciuta come la “festa dei tre giri”. Anche se l’origine di questo antico rito è piuttosto oscura, ancora oggi, ogni persona che si reca alla festa deve compierlo; deve girare tre volte intorno alla
vecchia chiesa che ha la facciata rivolta verso la piazzetta ed è circondata da una viuzza stretta come un corridoio. Per tutto il giorno è un continuo girare di persone (e, una volta, anche di bestie; di intere mandrie, di armenti al gran completo); il giro non si deve mai interrompere. “E’ un girare uguale e lento come dell’asino legato alla stanga del pozzo, regolare come di un satellite intorno al suo pianeta”, scrisse Fortunato Seminara. Secondo una ben radicata tradizione, infatti, chiunque raggiunge Plaesano nel giorno della festa del Patrono e trascuri di compiere i tre giri, è da considerare come uno che manchi di rispetto al Santo…I giri devono essere tre perché nella simbologia cristiana il numero tre rappresenta la Trinità. Secondo alcuni studiosi, invece, i tre giri attorno alla chiesa sono da collegare alle tre apparizioni di Cristo a San Biagio, la notte precedente il suo arresto ed il suo martirio… Fra gli aspetti del culto di San Biagio, ricollegabili ad episodi della sua vita, il più importante è quello di taumaturgo per le malattie della gola che trae origine dal noto miracolo della spina di pesce e dalla orazione che il martire avrebbe fatto prima di morire, chiedendo a Dio di risanare da questa malattia chiunque l’avesse pregato in suo nome. A San Biagio viene anche attribuita la facoltà di guarire i mali di ventre”.
Come si fa, anche negli ambienti ecclesiali “ ritenuti più accreditati” a non percepire che non si può troncare l’albero sul quale siamo cresciuti, proprio perché quest’albero è stato il punto centrale della scoperta personale di Cristo, che tanti di noi hanno sperimentato, nella insostituibilità di questi gesti presentati sempre “missionari” negli ambienti nei quali siamo cresciuti e viviamo. Penso, e sono convinto sempre più, che la “persona” ritrova se stessa in un incontro vivo, in una presenza piena di storia e di attenzione verso il destino di ognuno… una presenza che non ti esclude, nonostante il peccato, ma ti dice: “Non avere paura… esiste quello di cui è fatto il tuo cuore; una presenza che corrisponde alla natura della tua vita e ricostituisce la vitalità del tuo essere “persona”… esattamente come l’incontro di Cristo con Zaccheo!”.
L’incontro con la Verità è sempre lo stesso, cambiano le modalità, ma l’essenza non cambia… così come per le tradizioni radicate nella Chiesa: “La processione è sempre la stessa, così come è lo stesso lo spirito che anima i fedeli che, numerosissimi, seguono la Statua lungo il suo girovagare per le viuzze del paese. Non c’è strada che non sia percorsa dal sacro corteo. Non c’è abitante di Plaesano a cui non sia data la possibilità di vedere sotto il suo balcone la statua del Santo di Sebaste… Nei pressi del sacro tempio i giovani e volenterosi portatori, osservano qualche minuto di riposo per sistemarsi bene sotto la vara. Quindi ripartono e quando la processione giunge nella piazzetta prospiciente la stessa chiesa, ad un segnale convenuto, i portatori, di corsa, fanno compiere alla statua del Santo i “tre giri” sullo stesso percorso e lungo la stessa viuzza dei pellegrini. Sono pochi minuti di confusione e di fervore indescrivibile. I fedeli, tenendo ben stretti i loro bambini si radunano nella piazza o si addossano ai muri delle case, mentre un complesso bandistico esegue una allegra marcia sinfonica. Tutti gli occhi sono rivolti allo sbocco della viuzza; nell’uscire da quella curva la statua sembra sbandare sulla destra, ondeggia, sembra che da un momento all’altro possa cadere… Ogni qualvolta la statua arriva davanti alla chiesa, i portatori, dimostrando grande abilità, tutti insieme accennano ad una genuflessione. E’ un attimo. San Biagio si piega in avanti verso il sacerdote e gli altri celebranti che, insieme ai fedeli, aspettano la conclusione dei tre giri. Poi riprende la corsa sulle spalle degli abili portatori. E i fedeli, sempre più pigiati tra di loro, trattengono il respiro e pregano. C’è chi si batte il petto coi pugni, chi stringe più forte a sé la propria creaturina, chi si limita a segnarsi devotamente. Sui volti di tutti si legge l’intima partecipazione al particolare momento di fede. Ultimati i tre giri, sia pur sfiniti, i giovani portatori riescono a trovare ancora le necessarie energie per gridare “Viva San Biagio” e per far scomparire la statua all’interno della chiesetta, passando tra la folla di fedeli con un rapido sobbalzo”.
Dalla lettura del lavoro di Umberto di Stilo esplode un grido “antico”, che viene da lontano, dai nostri antenati e da quanti hanno creduto a quanto di buono e vero esiste nei nostri paesi e ce lo hanno trasmesso, all’interno di una fede semplice ed essenziale. Questo “grido” dice che la Chiesa di Cristo non può conformarsi alla mentalità dei nostri tempi… non si può annullare la grande secolare tradizione dei nostri paesi, perché verrebbe meno la passione per comunicare l’Origine della vera umanità che ci contraddistingue, che è Gesù Cristo e ciò che proviene da Lui, in una incessante “memoria” che oggi, non solo per la lotta di chi è fuori della Chiesa, stiamo perdendo.
Se perdiamo l’interesse per la tradizione dei Santi che hanno segnato delle pagine di storia indimenticabili per i nostri paesi, corriamo il rischio di restare con una fede difficile e astratta che ci porterà ad avere chiese sontuose con liturgie spettacolari, ma vuote… che col passare del tempo diventeranno delle “pinacoteche o teatri” invece che luoghi di preghiera (in tanti posti lo sono già da adesso).
E questo, per il futuro dei nostri paesi, non è certo un bene…
Nelle foto: Michele Scozzarra, due momenti della processione di San Biagio a Plaesano e la statua del santo in chiesa.
(1.4.15) IN MERITO ALL'INTERVENTDO DI UMBERTO DI STILO SU CONIA (Michele Scozzarra) - L’amico prof. Umberto Di Stilo è intervenuto su Galatro Terme News, con un magistrale articolo “precisando una volta per tutte che il poeta Giovanni Conia era di Galatro”. Lo spunto è partito da un commento all’articolo postato sui social network dall’amico Bruno Demasi “Le campane e la fiera dell’Annunziata in Oppido di Calabria” del canonico Giuseppe Pignataro.
Ci tengo a chiarire tutta la “querelle” che ha fatto scaturire il bellissimo intervento di Umberto Di Stilo, anche perché, se non inquadrato nel contesto che lo ha “provocato”, restano in ombra le reali motivazioni che hanno portato (finalmente!) ad aggiungere qualche pagina nuova alla conoscenza dell’Abate Conia.
Ritengo importante, almeno per me, raccontare l’intera vicenda perché qualcuno, leggendo solamente l’articolo di Umberto Di Stilo, e non conoscendo l’antefatto, mi ha chiesto “perché siamo entrati in polemica”.
Nessuna polemica, anzi il più contento di tutto questo bel servizio che ne è venuto fuori sono proprio io e, per evitare che una bella pagina sull’abate Conia sia confusa o interpretata come una polemica tra me e Umberto, voglio raccontare, per i lettori di Galatro Terme News, l’intera vicenda così come si è sviluppata.
Il tutto ha avuto origine da un mio commento, al link dell’articolo condiviso dal prof. Bruno Demasi, nel quale scrivevo: “Grazie Bruno, lo leggerò con attenzione anche perché conoscevo personalmente il canonico Pignataro, da bambino lo andavo a trovare in quello stanzino che sapeva di libri antichi, ed è stato lui che mi ha dato la copia del certificato di morte di Conia (che ho dato al prof. Raffaele Sergio che lo ha inserito nel suo libro), unico documento dove risulta che Conia era nato a Galatro.”
Ho scritto “unico” documento, perché fino all’articolo pubblicato oggi da Umberto di Stilo non penso che, non solo tra gli “addetti ai lavori”, qualcuno ne avesse mai visto un altro.
Umberto di Stilo, interviene scrivendo: “Avvocato, userei un pò di cautela prima di affermare che la copia del certificato di morte sia "l'unico documento" dal quale risulta che Conia è nato a Galatro. Certo se non si va a scovare negli archivi le notizie non piovono dal cielo. Avete mai avuto l'opportunità di farlo? Ho l'impressione di no. E allora perché dare per certo ciò che non è? Non volermene. Un carissimo fraterno saluto, anche all'amico Bruno”.
Devo dire che lo scritto di Umberto mi ha, piacevolmente, stuzzicato a cercare di “andare oltre” e, sperare che in maniera inaspettata, potesse venire fuori qualche notizia in più su Conìa. Ho continuato, più che per confutare (non ne ho titolo e conoscenza) per “provocare” una risposta: “Caro professore, che avete ragione non c'è bisogno che ve lo dico, è come dite voi... ma però (anche se non si può dire, lo dico lo stesso), c'è un 'mapperò'. Nessuno più di me vi ha riconosciuto 'l'arte' nello scovare negli archivi (a prezzo di sacrifici e pazienza), le notizie 'inconfutabili' che danno 'ragione' a delle affermazioni, che se 'sfornite di fonti' possono fare forma a un bell'articolo, ma non ad un saggio degno di fare testo. E conoscendo la minuziosità e scientificità del vostro lavoro, penso di essere in testa tra quelli che vi hanno sempre incitato a tirare fuori tutto il 'malloppo' che, in tutta la vostra vita, avete avuto modo di accumulare sulla nostra storia. Ho anche 'osato' dire di avere avuto il privilegio di tirare fuori 'l'unica' predica di Conia (quella sulla morte dell’Arciprete Mumoli di Limbadi), finora pubblicata; ma non è detto, anzi è probabile, che ce ne siano altre... ma ancora in qualche cassetto. Per questo ritengo vero che la storia non si fa con i 'si dice', però ricordo benissimo (nonostante siano passati più di 40 anni), la faccia del Canonico Pignataro quando mi ha dato la fotocopia del certificato di morte di Conia, così come ricordo il volto gioioso del prof. Sergio quando glielo ho consegnato. Sicuramente ci sono altri documenti, ma io fino ad ora di Conìa ho letto che tanti mettono in dubbio che sia nato a Galatro. Il Creazzo, nel riferire dei natali del Conia dice che ha avuto 'la sfortuna di nascere in quel di Galatro dove lì poco o nulla si apprezza...'. Ho letto una dispensa pubblicata dal Comune di Galatro tanti anni fa (penso era il resoconto di una conferenza) dove stringi stringi, almeno l'80% di quello che c'è scritto non riguarda il Conìa... ho, naturalmente il libro del Canonico Pignataro e del prof. Sergio su Conia... stop!
C'è un vecchio detto che dice 'cu 'u cappeju chi aju ti pozzu salutari'. Io, e non solo io, almeno fino ad oggi, ho letto 'solo' questo, sarà una goccia nell'Oceano, ma ho avuto a disposizione solo questa goccia che per il prestigio del nostro piccolo borgo più di come ho stirato non posso fare. Non è per dare per certo quello che non è perché (almeno io) non ho trovato altro. Tutto qua!”
Altro che polemica… nel leggere l’intervento di Umberto a questa mia provocazione (l’articolo pubblicato da Galatro Terme News) stavolta sono stato io che sono saltato dalla sedia… per la contentezza di quanto stavo leggendo.
Infatti, non ho perso tempo nel commentare: “Sono contentissimo che da una piccola 'provocazione' sia venuta fuori tutta questa discussione su Conìa e, il prof. Umberto Di Stilo ha messo i puntini su tante cose che, fino ad oggi, sono rimaste fuori dal dibattito culturale su Conìa (esclusi gli 'addetti ai lavori' e, anche se tra questi, non saprei chi citare!). Grazie a te Bruno abbiamo 'stanato' Umberto. Che dire ora? Trova qualche altro argomento sul quale fargli tirare fuori ancora qualcosa di più! Grazie per quanto ci avete trasmesso: in mezzo a tante 'leggerezze' (talvolta anche simpatiche) i social network, a saperli usare, sono anche un bel veicolo di trasmissione del sapere. Alla prossima!”
E il caro amico Bruno Demasi ha aggiunto: “E non finisce mica qui!”
Io lo spero proprio.
Nelle foto, dall'alto: Michele Scozzarra e Bruno Demasi.
* * *
Precisazione della Redazione La Redazione, a precisazione di quanto emerge in questi ultimi due interventi, aggiunge, come molti ricordano, che diversi decenni fa, nel 1980, durante la presentazione del libro di Raffaele Sergio su Conia, svoltasi nell'androne delle scuole elementari e organizzata dal Comune di Galatro, fra lo stupore dei numerosi presenti, un prelato della curia di Mileto - probabilmente mons. Luzzi (1918-95) di cui parla Umberto - intervenne esibendo un documento d'archivio ufficiale che testimoniava in modo inequivocabile come Conia fosse di Galatro.
Tanti degli allora presenti in sala certo hanno memoria di quell'intervento che contribuì a fugare i dubbi sul luogo d'origine di Conia. Si trattava, già all'epoca, almeno del secondo documento che provava l'origine galatrese di Conia, in quanto il canonico Giuseppe Pignataro (1901-87) aveva già reso pubblico nel 1975, sul n. 3 della rivista "Historica", l'atto di morte di Conia.
Risultano perciò piuttosto fumose e poco attendibili le altre procedure, emerse negli articoli, riguardanti l'acquisizione del primo importante dato sul luogo di nascita di Conia. Vero è certamente che quei due documenti, col passare degli anni e l'avanzare delle ricerche, non rimasero gli unici a testimoniare l'origine galatrese di Conia.
(29.4.15) INTERVISTA A DON GILDO SUL LIBRO DI UMBERTO DI STILO (Michele Scozzarra) - La Storia serve a farci capire da dove veniamo, cosa abbiamo alle nostre spalle: è la radice che ci rende saldi nel nostro cammino e ci fa sentire a casa, anche se ci troviamo dall’altro lato del mondo. In particolare poi, la Storia del nostro ambiente, dei “nostri” luoghi, che si inserisce nella nostra vita come parte fondamentale della nostra identità, e dobbiamo ringraziare chi, con il suo lavoro, contribuisce ad arricchire questo patrimonio.
Con l’ultimo suo libro “Una Chiesa, una Parrocchia. Il secolare culto di Maria SS. della Montagna a Galatro”, Umberto di Stilo, oltre a far conoscere dei documenti nascosti per tanto tempo in archivi polverosi, ha saputo raccontarci, in tutte le sue vicende storiche e personali, la storia della Chiesa della Montagna, dalla sua nascita fino ai giorni nostri, presentandocela come realtà sempre vitale e pulsante. L’Autore, da studioso fine e appassionato, ha ben armonizzato tutti i documenti che ha trovato negli archivi vicini e lontani, senza tralasciare il senso e il “succo” di questi documenti; pertanto, ne restano affascinati sia gli estimatori appassionati della storia e delle nostre tradizioni, sia i lettori che vogliono solo conoscere la storia della nostra Chiesa.
Questo libro si presenta come una lucida e accurata analisi storica sulla Chiesa della Montagna di Galatro, con particolare attenzione agli aspetti, non solo religiosi, che per secoli hanno scandito i momenti più significativi della vita delle persone e del nostro paese, racchiudendo in se un patrimonio di notizie preziose: dall’elenco dei parroci che si sono succeduti, dalla fondazione fino ai nostri giorni, alla rievocazione delle cerimonie e degli antichi edifici sacri del nostro territorio… e non mancano di certo le curiosità, come ad esempio le antiche rivalità campanilistiche che, per lungo tempo, hanno visto contrapposte tante famiglie di Galatro e conseguentemente i due rioni storici.
Oggi, grazie a Dio, i tempi sono cambiati, anche per il lavoro dei parroci che hanno guidato la Chiesa di Galatro, fino ad arrivare alla unificazione delle due Parrocchie. Con don Gildo Albanese ho avuto modo, nelle scorse settimane, di discutere sulle riforme (rivoluzionarie per quel tempo) che hanno rappresentato l'inizio di un cammino di comunione che ha portato all'unificazione delle due parrocchie. E parlando della sua presenza a Galatro come parroco della Chiesa della Montagna per più di 12 anni, è venuta fuori una sua bella e spontanea testimonianza anche sul contenuto del libro di Umberto di Stilo.
L’ultimo libro di Umberto di Stilo, “Una Chiesa, una Parrocchia. Il secolare culto di Maria SS. della Montagna a Galatro”, racconta proprio la storia della “vostra” parrocchia: 400 pagine che vi toccano da vicino. Che cosa avete provato nel leggere un libro che, in buona parte delle sue pagine, inserisce anche il vostro servizio sacerdotale, che rappresenta una pagina di storia non trascurabile della vita della Parrocchia della Montagna di Galatro?
Prima di tutto ho provato semplicemente emozione, ma come ho avuto modo di affermare precedentemente, questo libro è avvincente perché coinvolge il lettore in tutto lo scorrere della storia della Parrocchia di Maria SS. della Montagna e ha un particolare pregio, quello di rendere presente il lettore nel tempo in cui gli avvenimenti si sono svolti. Sapevo di come con quanto amore ed entusiasmo Umberto di Stilo stava portando avanti questo lavoro anche perché ho avuto modo di trasmettergli del materiale a cui ha attinto.
In secondo, poiché ci sono dentro, il mio atteggiamento è quello di rendimento di grazie al Signore perché a distanza ormai di più di un quarto di secolo mi rendo perfettamente conto che quello che è stato realizzato nella Parrocchia non è opera di un solo uomo ma di una comunità che, se vuoi, si è lasciata coinvolgere dal mio entusiasmo giovanile e dalla voglia di concretizzare gli insegnamenti del Concilio Vat. II, ma in tutto questo non dobbiamo dimenticare che il protagonista è il Signore e noi siamo solamente strumenti nelle sue mani.
Nel suo libro Umberto di Stilo riesce a passare, con esaustivo excursus, su vicende legate alla storia della Chiesa di Galatro, ancora oggi rimaste controverse, anche perché, fino ad ora, erano basate su informazioni date superficialmente per “scontate”. Cosa vi ha colpito maggiormente nel libro sulla storia della Chiesa della Montagna, alla luce di quanto avete avuto modo di vivere direttamente, per oltre 12 anni, come Parroco di quella Chiesa?
Edificare una comunità non è facile per nessuno, soprattutto quando ti trovi ad avere a che fare con persone il cui modo di pensare era ancorato a determinati principi di tradizione. Debbo dire che il lavoro di semina è stato paziente, costante e con molta gradualità. In tutti i miei anni di Galatro ho potuto sperimentare la fede di questo popolo attaccato a Gesù Cristo e alla Chiesa, che ha saputo con sofferenza e coraggio adeguare la sua visione di Chiesa al novum per implantare una Chiesa conciliare. Nonostante le apparenze, per me questo è il lato più forte che ho riscontrato nella mia Parrocchia di allora, l’intelligenza di sapere accogliere e accettare la Chiesa così come veniva proposta loro. Certamente in questo lavoro io sono stato aiutato da un mio predecessore, Don Antonio Teti, Parroco negli anni trenta del secolo scorso che a quel tempo ha saputo portare una ventata di novità soprattutto con la formazione cristiana dei giovani che lo hanno seguito entusiasticamente perché era un prete che credeva. Quei giovani di allora erano gli adulti del mio tempo a cui debbo molta gratitudine perché ricordandosi dei cambiamenti pastorali in parrocchia nella loro gioventù mi hanno dato una grossa, invisibile, mano di aiuto, in questo la famiglia è stata determinante. Narrare esperienze del passato deve aiutarci a capire che se vuoi costruire il presente devi avere la memoria del passato e lo sguardo rivolto verso il futuro.
Questo libro è un contributo e un servizio alla conoscenza della storia locale, all’interno della quale i fatti legati alla Chiesa della Montagna hanno avuto delle lunghe e contrastate vicende, che vale la pena, grazie al lavoro del prof. Umberto di Stilo, scoprire e conoscere. Quale insegnamento, secondo voi, viene fuori dalla lettura di questo documentato e minuzioso libro, che pur narrando vicende, talvolta dolorose della vita della Chiesa locale di tanti anni addietro, lo rende attuale per la vita della Chiesa dei nostri giorni?
Quando si lavora nella e per la Chiesa il punto di riferimento è Gesù Cristo. In Lui dobbiamo saper leggere la nostra vita. Nella Sua vita niente è stato secondo la visione mondana, anzi Gesù Cristo ci ha insegnato, dandoci l’esempio, che bisogna piacere più a Dio che agli uomini. Questo vale per ieri come per oggi. È chiaro che quando si lavora per il Vangelo incontri la croce che devi saper assumere come parametro, ma incontri anche la gioia. A Galatro ho avuto gioie e dolori, le gioie hanno superato di gran lunga i dolori. Quello che ho voluto mettere come prioritario nel mio servizio a Galatro è che non bisogna lavorare mai per se stessi, per essere autoreferenziali e questo, mi sembra emerge da tutto quanto scrive il Prof. di Stilo; guai a lavorare per apparire simpatici e consenzienti, ti ritroveresti alla fine con molti applausi ma con in mano un pugno di mosche!
Dal libro di Umberto di Stilo emerge la grande importanza di conoscere le pagine di storia che hanno segnato la vita delle nostre piccole comunità, e in questo senso non possiamo non intendere la storia della nostra Chiesa come elemento inscindibile della storia e cultura di Galatro. La nostra realtà parrocchiale così come raccontata nel libro è l’insieme di un certo tipo di fede, di spiritualità (talvolta portata all’esasperazione fino a generare conflitti tra le due fazioni del paese), di tutta una concezione della vita, maturata e cresciuta intorno alla Chiesa dove la nostra gente si è sempre riconosciuta. Oggi, possiamo dire che è ancora così, oppure c’è stato un progressivo allontanamento della Chiesa dalla gente… o della gente dalla Chiesa?
È proprio vero perché non basta conoscere la grande storia, è necessario conoscere quella storia fatta di piccoli e a volte insignificanti avvenimenti che appartengono a tutte le persone e a tutte le comunità. Se posso fare una digressione, penso che l’insegnamento della storia nelle scuole non debba assolutamente ignorare la storia locale; personalmente ho incominciato a interessarmi della storia del nostro territorio da adulto perché ne sentivo la necessità e perché la scuola mi ha fatto imparare quella nazionale e continentale secondo una visione distorta e non mi ha aperto alla conoscenza della storia del mio territorio sulla quale ci siamo formati senza conoscerla. Perché il libro del Prof. Di Stilo non viene proposto agli alunni delle nostre scuole per conoscere il loro passato? Circa la seconda parte della domanda a mio parere non c’è tanta differenza tra ieri e oggi nel rapporto dell’uomo con la fede, io vedo l’uomo come “religiosus” e mi riesce difficile concepirlo diversamente perché la religione ha in sé il concetto dell’alterità, apre ad un “Tu Altro” e ad un “tu” simile a te. La differenza sta nel modo di vivere questa dimensione umana, ieri aveva più il senso dell’emotività e del sentimento, oggi ha più il senso della scelta personale e pensata.
Questo libro può ben essere definito come una grande “opera omnia”, che raccoglie in maniera completa e documentata le vicende legate alla chiesa della Madonna della Montagna: dalla richiesta di costruzione di una nuova Chiesa, alla realizzazione della Statua, all’acquisto delle corone, fino ad arrivare ai momenti più importanti della tradizione: i pellegrinaggi alla Cona. La preparazione della festa per il 25° dell’incoronazione del 1981 è stata un grande evento, che vi ha visto partecipare come parroco della Chiesa della Montagna. Ricordo bene quel momento e penso che, forse, sia stato uno dei gesti più intensi, almeno a livello d’impegno e preparazione dei fedeli, della vostra presenza a Galatro. Come ricordate oggi, a distanza di più di 30 anni, quel momento?
Certamente! Perché la Chiesa, come affermava S. Giovanni XXIII, è come la fontana del villaggio a cui tutti vanno ad attingere e tutti disseta, sia quelli che hanno grande sete, sia quelli che ne hanno poca; a seconda del tempo c’è una diversità di accostarsi. Riguardo agli eventi a cui hai accennato, mi fermo a quelli che mi hanno visto protagonista. I pellegrinaggi alla Cona e il Giubileo parrocchiale del 1981 per fare memoria del 25°dell’incoronazione.
Per la formazione pastorale che ho ricevuto in Seminario nella mia vita di pastore, non ho seguito l’improvvisazione o altre motivazioni se non quelle che servivano per far crescere il mio popolo nella fede e nell’incontro con Cristo, per cui tutte le scelte pastorali come quelle sopra accennate, erano dentro un programma nel quale mi sforzavo, con molta pazienza, di coinvolgere la partecipazione della comunità. Alla prima del 1974,che per me era un’esperienza nuova, ne seguirono altre ma tutte in rapporto ad un cammino pastorale della Parrocchia, se ben ricordo una in occasione della Prima Comunione dei fanciulli della montagna, era la prima volta che il sacramento veniva celebrato in montagna; un’altra durante la celebrazione della Missione Parrocchiale in montagna con la presenza dei cari Padri della Salette (P. Celeste, P. Umberto., P. Elpidio), l’altro nel 1981.
A distanza di 30 anni questi eventi sono talmente impressi nella mia memoria e nel mio cuore che spesso… sogno di essere ancora a lavorare a Galatro. A parte la battuta che è vera, sono eventi elaborati, costruiti e realizzati non da me solo, perché la Chiesa, come scriveva il Beato Paolo VI, non è opera di navigatori solitari, ma da un popolo, da una comunità viva, e questa è stata la bellezza di quel tempo che ancora mi stupisce perché nell’entusiasmo di quegli anni c’era viva la presenza del Signore e per questo non cesso di rendere grazie a Lui! Come si può dimenticare la gioia che trasudava dal volto dei pellegrini, fanciulli, giovani e anziani, per cui la fatica del cammino non era stanchezza e come dimenticare la marea di popolo che alla Villa aspettava la Sua Madonna per accompagnarla solennemente in Chiesa! Tutto questo resta nel mio cuore! Posso dire: “fecit mihi magna qui potens est”.
Ho letto un vostro pensiero sul libro di Umberto di Stilo, dicevate di “ritrovarvi pienamente nel racconto che emerge dal libro…”. Volendo esprimere un invito a chi legge, di entrare con la mente e con il cuore nella storia e negli avvenimenti di quegli anni, egregiamente descritti, cosa vi sentite di dover dire a un lettore attento e desideroso di conoscere la storia di questa porzione della Chiesa di Galatro, anche con tutte le difficoltà e lotte che hanno segnato un’epoca e non sempre sono stati edificanti?
Cosa posso dire? Sono tante le sollecitazioni che mi balenano dento il cuore e che vorrei riassumere con una frase dei Padri della Chiesa: “Agnosce, christiane, dignitatem tuam”, che mi sento di tradurre così: “Riconosci, o galatrese, che in Maria c’è tutta la pienezza del tuo essere e non ti dimenticare che la tua storia di ieri, oggi e domani è impregnata di valori che hanno in Maria la sua piena realizzazione; non ti vergognare di Lei e abbi il coraggio di testimoniare sempre il Suo Figlio, Gesù. Ricorda che più cerchi di dimenticare la fede e più ti insegue perché appartiene al tuo DNA”.
Nelle foto, dall'alto in basso: Michele Scozzara; Don Gildo Albanese; la copertina del libro di Umberto Di Stilo; cittadini intorno al palco in attesa del concerto di mezzogiorno il 7 settembre 1956; lapide nella chiesa che ricorda la sepoltura di Caterina Defelice Protopapa vedova Barone; l'altare della chiesa della Montagna come si presentava nei primi anni '50 (foto tratte dal libro di Umberto Di Stilo).
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La FITA è inoltre: ente di promozione sociale riconosciuto dal ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali; iscritta con Decreto del 10.6.2008 al numero 149. L'iscrizione consente alle associazioni affiliate di essere riconosciute EPS, con tutti i vantaggi conseguenti. E’ l’unica federazione di teatro amatoriale; affiliata AGIS (Associazione generale italiana dello spettacolo), con la quale collabora in numerose e prestigiose iniziative. La tessera del socio dà diritto alla riduzione Agis negli ingressi agli spettacoli; affiliata al C.S.A.IN. (centri sportivi aziendali industriali) "ENTE DI PROMOZIONE SPORTIVO E CULTURALE", riconosciuto dal ministero dell'interno e dal coni. Le associazioni affiliate sono presenti nella pubblicazione "Tempo sport" diretta dal giornalista Giacomo Crosa.
La FITA è socio fondatore della COEPTA "Confederazione Europea per il Teatro Amatoriale", che ha lo scopo di coordinare l'attività delle federazioni di teatro amatoriale dei paesi aderenti all'Unione Europea. Con essa partecipa a progetti europei; è socio fondatore dell'AITA-IATA (Associazione Internazionale Teatro Amatori), organismo internazionale di promozione culturale è riconosciuto dall'UNESCO; è componente del CIFTA (Comité International des Fédérations Théatrales Amateurs de Culture Latine); ha aderito all’iniziativa Carta dello Studente promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dal Ministero dell’Istruzione, dall’UNESCO – Comitato Nazionale per l’Italia e dall’Agis, grazie alla quale tutti gli studenti sino alle scuole secondarie hanno ricevuto una carta personalizzata che consente di ottenere una sensibile riduzione sui biglietti di ingresso a Biblioteche, Musei, siti artistici, cinema e teatri.
La FITA ha aderito alla campagna internazionale di Amnesty International – Small Places Tour – per la ricorrenza dei 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; è partner di Agiscuola e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Dipartimento per l’istruzione - Direzione generale per il personale scolastico - nella sezione teatro del progetto nazionale “I COME INTERCULTURA” riservato alle scuole secondarie per l’anno scolastico 2008-2009; è partner con l’ETI, con l’AGIS e con l’AGITA per le celebrazioni della Giornata Mondiale del Teatro 2010.
Lo porto a conoscenza dei lettori perché si tratta di una bella realtà per il nostro paese e di un’opportunità di sviluppo artistico-culturale da portare avanti con buona volontà, impegno costante e semplicità. Questa associazione culturale - come tutte le formazioni sociali in genere - contribuisce alla crescita e allo sviluppo della persona che intenda dare il contributo per il bene comune. Questa compagnia infatti - in base agli artt. 1 com. 2 e 4 dello Statuto - non ha scopo di lucro e persegue il fine esclusivo della tutela e valorizzazione della cultura, del patrimonio storico ed artistico; educazione permanente e attività di animazione ricreativa, attraverso ogni espressione di creatività; valorizzazione artistica e ludica nel campo della recitazione, del teatro, della danza e della musica dal vivo caratterizzandosi e qualificandosi come organizzazione di volontariato ai sensi della L. 11 Agosto 1991 n. 266.
Una bella realtà, dunque, per il presente ma anche per chi (specialmente i giovani) in futuro voglia, liberamente, costruire qualcosa di positivo per se stessi e per il paese. Auspico, pertanto, che possa dare buoni frutti e non sia, a lungo andare, concretamente sterile.
Ringrazio il referende nazionale della FITA nella persona di Minniti per il costante supporto tecnico nella procedura on line di affiliazione.
Porto a conoscenza, inoltre, che non oltre il 31 Luglio 2015 verrà pubblicato il bilancio consuntivo dell’attività annuale del 2013 e del 2014. Colgo l’occasione per ringraziare l’Amministrazione comunale per il contributo concesso a questa associazione, inerente l’acquisto del servizio audio di amplificazione, che questa compagnia provvederà ad acquistare non oltre il 31 Luglio 2015, fornendo la dovuta rendicontazione con le relative pezze giustificative allegate.
Ringrazio, infine, la redazione di Galatro Terme News per averci concesso la possibilità di diffondere queste positive notizie.
Ecco Curriculum e Vademecum dell'Associazione Culturale "Valle del Metramo":
La Compagnia Teatrale Galatrese ”Valle del Metramo” parte da molto lontano. Affonda le sue radici nella metà degli anni '80, ai tempi della vecchia Compagnia teatrale galatrese. Nasce nel salone della Chiesa di San Nicola, dopo una recita di carnevale fatta tra amici e frequentatori della parrocchia.
L’associazione culturale (teatrale) “Valle del Metramo” viene costituita giorno 23 Luglio 2013. L’atto Costitutivo e il relativo Statuto vengono registrati in data 29 Luglio 2013 presso l’Agenzia delle entrate” di Palmi.
Dal 20 Aprile 2015 è affiliata alla FITA (Federazione Italiana del teatro amatoriale)
FINALITA’
L’associazione “Valle del Metramo” (in base agli artt. 1 com. 2 e 4 dello Statuto):
- non ha scopo di lucro
- persegue il fine esclusivo della tutela e valorizzazione della cultura, del patrimonio storico ed artistico;
- educazione permanente e attività di animazione ricreativa, attraverso ogni espressione di creatività;
- valorizzazione artistica e ludica nel campo della recitazione, del teatro, della danza e della musica dal vivo;
- si caratterizza e qualifica come organizzazione di volontariato ai sensi della L. 11 Agosto 1991 n. 266.
ATTIVITA’ ESTERNE
- 1986 “ Gatta ci cova”
- 1987 “L’eredità du ziu bonanima”
- 1989 “I morti non paganu i tassi”
- 12 Agosto 2013 partecipazione alla “1° Rassegna teatrale” organizzata dal Comune di Galatro, con lo spettacolo teatrale con la commedia farsesca di Pietro Scammacca e Pippo Barone “U figghiu masculu”.
- 13 Agosto 2013 Spettacolo teatrale con la commedia farsesca di Pietro Scammacca e Pippo Barone “U figghiu masculu” rappresentato a Feroleto della Chiesa.
- 25 Agosto 2013 partecipazione alla manifestazione artistico (culturale) dell’estate 2013 organizzata dal Comune di Rosarno.
- 6 Settembre 2013 partecipazione alla Rassegna teatrale organizzata dalla associazione Pro loco di San Calogero.
- 1 Agosto 2014 partecipazione manifestazione artistico culturale (teatrale) dell’estate 2014 organizzata dal Comune di Polistena all’Anfiteatro, con la commedia brillante in tre atti “Quandu è troppu… è troppu” di A. Leotta, M. Leotta e Cannata.
- 14 Agosto 2014 partecipazione alla “2a rassegna teatrale galatrese” organizzata dal Comune di Galatro con lo spettacolo teatrale “Quandu è troppu… è troppu”.
- 21 Agosto 2014 partecipazione alla manifestazione artistico culturale (teatrale) promossa dal Comune di Cinquefrondi, in Piazza Castello, con la commedia brillante in tre atti “Quandu è troppu… è troppu”.
- 7 Settembre 2014 partecipazione alla “XXVIIa edizione della rassegna San Costantinese” organizzata dal Comune di San Costantino Calabro, con il patrocinio della Regione Calabria, in provincia di Vibo Valentia, con la commedia brillante “Quandu è troppu… è troppu”.
- 19 Marzo 2015 partecipazione alla manifestazione “Festa San Giuseppe” organizzata dal “Comitato Festa San Giuseppe”della Parrocchia San Giuseppe di Taurianova, con la commedia brillante “Quandu è troppu… è troppu”.
MOTIVAZIONI
Volontà di dare un messaggio di speranza, attraverso il teatro, alle nuove generazioni presenti sul territorio, di fronte ad una crisi non solo economica, ma soprattutto di valori umano-sociali che coinvolge Galatro, la Calabria, l’Italia intera. Crescita umana, sociale e culturale. Forte passione per il teatro.
Ridare speranza ai giovani costretti ad emigrare al nord o all’estero.
MODALITA’ DI SVOLGIMENTO DELLE ATTIVITA’ INTERNE
- Concretizzazione di un progetto che coinvolga bambini, giovani e adulti che nel loro piccolo, ognuno con le proprie esperienze, conoscenze e capacità, intendano dare la propria disponibilità per costruire qualcosa di positivo per il paese;
- realizzazione di un programma di attività culturale che possa regalare un sorriso ma anche far riflettere sulle potenziali risorse di cui possiede il nostro territorio;
- esclusione di atteggiamenti pessimisti e/o scoraggianti;
- volontà costruttiva delle risorse;
- creatività, semplicità, buoni propositi di migliorare se stessi attraverso l’apertura, la solidarietà, l’integrazione, l’impegno costante;
- consapevolezza che “affinchè una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere” (Falcone).
- concretizzazione dell’attività culturale con l’arricchimento dei progetti teatrali di contenuti;
- cura dell’interpretazione dei personaggi con lo sforzo di renderli il più possibile attinenti alla realtà quotidiana affinchè il teatro sia vero e concreto e non ipocrita o solo accennato.