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10.7.12 - Politica, antipolitica e Machiavelli
Domenico Distilo

25.7.12 - Sruotiamoci
Loredana Longo

28.7.12 - Stato-Mafia: il dovere e le imprudenze
Angelo Cannatà

29.7.12 - Quando le lucciole illuminavano la vita
Michele Scozzarra

4.8.12 - A che cosa serve la pena... se non si conosce la pietà?
Michele Scozzarra

6.8.12 - Con "Libera" e la Procura della Repubblica contro tutte le mafie
Angelo Cannatà

6.8.12 - L’avvento in Italia del sistema semi-presidenziale
Maria Francesca Cordiani

9.8.12 - Quel malandrino di mio padre
Pasquale Cannatà

11.8.12 - Col digitale terrestre riemergono i vecchi fantasmi
Michele Scozzarra

17.8.12 - Piccola guida per vivere a Galatro meglio che altrove

19.8.12 - A proposito di digitale terrestre: la televisione di oggi e di ieri
Domenico Distilo

25.8.12 - Digitale terrestre e social network
Michele Scozzarra

17.9.12 - Fenomenologia del renzismo
Domenico Distilo





(10.7.12) POLITICA, ANTIPOLITICA E MACHIAVELLI (Domenico Distilo) - Tra le ipotesi di governo per la prossima legislatura pare che la riconferma di Monti – dunque dell’attuale quadro politico - sia la più accreditata. Ed è un’ipotesi degna della classe politica – e invero non solo politica - più insipiente della storia, negatrice dei fatti non tanto per partito preso, quanto per puro e semplice rifiuto psicologico e ideologico di vederli.
Il professore della Bocconi, non c’è dubbio, sta facendo le cose per le quali è stato ingaggiato: tagliare la spesa pubblica per rendere il debito più sostenibile. Sostenibile, beninteso, non in sé – ché la sostenibilità in sé del debito non si sa quale sia, nessuno ce l’ha mai detto - ma nel giudizio dei mercati.
Si dà il caso, però, che dopo i tagli con cui ha finito di distruggere lo stato sociale il giudizio dei mercati è rimasto invariato. Ed è ormai evidente non solo che i tagli non servono a far scendere lo spread ma, più in generale, che ridurre la spesa pubblica non serve assolutamente a nulla. Avete capito bene: ridurre la spesa pubblica significa solo imporre sacrifici certi (e inutili) oggi nella speranza di incerti benefici chissà quando. Per cui è semplicemente folle proseguire su una strada che la stessa Confindustria, per bocca del suo presidente, giudica dissennata.
Invece è opinione assolutamente prevalente - tra i politici di centrodestra e di centrosinistra e tra i loro pendant giornalistici - che sia da giudicarsi folle chi dice le cose che detta il semplice buon senso:
1° - Il debito ha raggiunto dimensioni tali che non c’è altro da fare che monetizzarlo: stampare moneta è la sola via d’uscita che abbiamo;
2° - la si deve smettere con l’aberrazione dell’autorità monetaria indipendente: in democrazia non possono esistere poteri irresponsabili, per cui la politica economica, compresa quella monetaria, deve tornare in capo alla politica;
3° - nel negoziato con la Germania e con gli altri “rigoristi” non si deve rinunciare a priori a nessuna opzione, compresa l’uscita dalla moneta unica;
4° - seguire l’esempio dell’Islanda non è eresia, ma indice di avvedutezza mista a coraggio;
5° - la crisi nasce dalle politiche liberiste che hanno ridotto la spesa pubblica, non certo dalla sua dilatazione;
6° - esistono politiche alternative all’austerità e al rigore, basta solo vederle e non scartarle a priori come impraticabili.
Così alimentano, giorno dopo giorno, quella che chiamano antipolitica. Che avrebbero un solo modo per contrastare: fare quello che la politica e i politici degni del nome hanno sempre fatto, seguire quella che Machiavelli chiamava “la realtà effettuale della cosa”, non la sua rappresentazione ideologica, immaginaria, irrealistica, in una parola: antipolitica.

Nell'immagine: Niccolò Machiavelli.


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(25.7.12) SRUOTIAMOCI (Loredana Longo) - Cari amici galatresi,
io sono Loredana, una delle fondatrici del Movimento “Sruotiamoci”. Molti di voi mi conoscono fin da quando, ancor bambina, “sgambettavo” ogni estate tra le viuzze del quartiere Montebello. Nel 2001 però ho subito un incidente stradale e adesso “sgambettare” mi è diventato impossibile. Per muovermi da quel giorno uso una carrozzina, che per la conformazione di Galatro, non è proprio un mezzo di trasporto comodo.
Vi scrivo perché oramai da qualche anno mi sto occupando di sensibilizzare sempre più persone sulle conseguenze che derivano da una lesione al midollo spinale come la mia. Purtroppo è veramente fin troppo semplice ritrovarsi paralizzato/a e il non camminare è solo la conseguenza più visibile ma non la più crudele purtroppo. Ogni anno solo nel nostro paese, diventano paraplegiche (subiscono cioè una paralisi organica o funzionale degli arti inferiori) e/o tetraplegiche (paralisi organica o funzionale degli arti superiori e inferiori) circa 1.500-2.000 persone (almeno quattro/cinque al giorno). In Italia si stima quindi siano circa 80 mila le persone con una lesione al midollo spinale, 2 su 3 hanno una età compresa tra i 15 e i 40 anni.
Nonostante il tempo sia passato ed io conviva oramai da 11 lunghi anni con la “condizione di paralizzata” a seguito di una lesione spinale, la voglia di tornare alla mia “vera vita indipendente” non è scomparsa anzi, cresce ogni giorno, e con la mia quella di tanti altri mielolesi che credono nella ricerca medica. “SRUOTIAMOCI” nasce proprio da questa voglia; quella di far si che LA LESIONE SPINALE CRONICA DIVENTI PRESTO CURABILE.
Ci sono un sacco di luoghi comuni da sfatare, una mielolesione, non è qualcosa che capita “solo ai ragazzi che tornano ubriachi dalla discoteca il sabato sera”. Una para-teraplegia, te la puoi procurare con una banale caduta, un incidente d’auto/moto/bicicletta, un tuffo, un tumore, una malattia etc. Per questo è davvero importante che tutti capiscano per quale motivo sia necessario supportare la ricerca di una cura per la paralisi causata da mielolesione.
La nostra è una battaglia che coinvolge l’Italia intera da nord a sud, ma anche l’estero, tanto che, grazie al popolo di internet, le nostre iniziative sono spesso supportate anche a livello internazionale. Ad esempio, tutti voi sicuramente conoscerete
il fotografo Roberto Raschellà; lui mi ha scattato alcune foto atte proprio a questo scopo, che sono state riprese da milioni di utenti della rete e da moltissimi organi di stampa (anche dal corriere della sera per intenderci). Roberto ha inoltre inserito uno di questi scatti nella sua mostra itinerante “Celebrity”.
Il nostro obiettivo è quello di far sì che la Lesione Spinale Cronica diventi presto una patologia curabile, quindi se volete saperne di più, vi aspetterò con uno stand durante il prossimo mercatino che si terrà nel quartiere Montebello organizzato dall'associazione ADOS.
A presto amici Galatresi e… SRUOTIAMOCI!
Un abbraccio.
Loredana Longo

Come Contattarci:
SRUOTIAMOCI:"LA LESIONE SPINALE CRONICA DEVE DIVENTARE CURABILE!"
"CHRONIC SPINAL CORD INJURY MUST BECOME CURABLE!"
“¡¡¡ LA LESIÓN CRÓNICA DE LA MÉDULA ESPINAL DEBE SER CURABLE !!!”
sruotiamoci@gmail.com

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(28.7.12) STATO-MAFIA: IL DOVERE E LE IMPRUDENZE (Angelo Cannatà) - La manifestazione in ricordo di Borsellino e della strage di via D’Amelio arriva - dopo vent’anni senza verità - in un momento particolare della vita del Paese, nei giorni in cui il Quirinale spedisce i magistrati di Palermo davanti alla Consulta. Non è uno spettacolo edificante.
Di più: i giornali, tranne poche eccezioni, si allineano contro la Procura: Corriere della sera, Repubblica, Sole 24 Ore, Stampa, è un’unica voce. C’è qualcosa che non va. Provo a spiegarlo ragionando su un editoriale di Repubblica - lo prendo come esempio -, giornale da cui dispiace dover dissentire, ma il confronto delle idee è quanto mai indispensabile nei momenti di crisi e di tensione.
“Sotto il pretesto dell’interesse alla verità, la seppelliscono in una notte in cui tutte le vacche sono nere”. Si chiude così l’editoriale del 17 luglio: con un perfetto autogol. L’articolo è di Carlo Galli ed è titolato “La verità e le regole”, ma trascura - paradossalmente - regole fondamentali per la ricerca, incondizionata, della verità.
Leggiamo: “Nessuno può pensare che la verità” (sulla trattativa Stato-mafia) “stia nelle risposte di Napolitano a Mancino, che gli telefonava. (…) le parole di Napolitano non possono dire nulla di rilevante su quella vicenda.” “Non possono dire”: strana affermazione.

1. L’espressione suonerebbe anomala anche se Galli conoscesse i contenuti delle telefonate (sarebbe, comunque, troppo legata alla sua soggettività).

2. E’ decisamente errata, sul piano logico: nell’ignoranza dei contenuti, presuppone come aprioristicamente vero quanto deve essere dimostrato. Un’auctoritas: “La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale” (Cartesio, “Discorso sul metodo”).

L’editoriale è un continuo arrampicarsi sugli specchi. Si discute a un certo punto della “sostanza politica della vicenda”. Quale sarà? La trattativa Stato-mafia? No. La sostanza starebbe “nei sospetti che si vogliono avanzare sul Presidente, per indebolirne l’immagine e il ruolo politico”. Non è così. Osserviamo che, da mesi, le critiche sono accompagnate dall’idea - forte - che l’immagine del Presidente va rafforzata, pubblicando le telefonate e liberandolo da sospetti e strumentalizzazioni.
Ci avviciniamo, quindi, all’altra tesi - molto strana, per un autore come Galli: “élite ciniche, riluttanti e giustizialiste” sarebbero all’opera “per travolgere, con allarmismo qualunquistico, quel che resta della legittimità repubblicana”. Quest’èlite dimentica “il dovere del momento: che è di salvare l’Italia”, la sua dignità.
Qui la nostra attenzione cade su “il dovere del momento”. Pensavamo che esistesse il “dovere”. “Il dovere in sé e per sé” (Kant). E che questo comportasse delle conseguenze necessarie. Dire la verità, per esempio. Apprendiamo, invece, che esiste “il dovere del momento”, il che presuppone che ce ne siano tanti e in conflitto tra loro: il dovere di difendere i magistrati, quando attaccano B.; e il dovere di scaricarli, di “arrestare la Procura di Palermo” quando le indagini prendono una direzione sbagliata. Non va bene.
Se diverse morali - corporative/di gruppo/d’interesse politico contingente - configgono tra loro, è perché non c’è più la Morale (con la maiuscola) e s’è eclissato l’interesse generale che – nel nostro caso – è la ricerca della verità indipendentemente dal soggetto coinvolto (sulla differenza tra etica corporativa e Morale: Eugenio Scalfari, “Alla ricerca della morale perduta”, Rizzoli, pp. 60-65).
Inoltre: viene spiegata - nell’editoriale di Galli - la distinzione tra illecito e inopportuno. Pensavamo che chiedere al Quirinale protezione, interventi, difese al di fuori del processo, per un imputato di falsa testimonianza, fosse illegale. Invece, no. E’ inopportuno. Così adesso i giudici dei tribunali d’Italia sapranno come comportarsi quando, per vie esterne al processo, si tenterà di manipolare le carte: comportamento inopportuno. E via con l’assoluzione, di tutte quelle azioni che (ancora) ci attardavamo a definire illegali.
Infine: il consigliere del Presidente. Suggeriva a Mancino di concordare la versione dei fatti con Martelli. Come giudicarlo? “Un imprudente”, naturalmente. E’ una tesi irricevibile. Dalle stanze del Quirinale si suggerisce di aggirare la legge, pensavamo fosse gravissimo, invece - incredibile! - nessuno ha commesso un illecito in questa storia: solo imprudenze.
Questo va sottolineato: NESSUNO-HA-COMMESSO-UN-ILLECITO. Si nega l’evidenza, e la logica. E’ imbarazzante leggere un simile esercizio di contorsionismo dialettico. Sugli ultimi sviluppi della trattativa “Stato-mafia” Repubblica non sta scrivendo le pagine più belle. Ha vissuto stagioni migliori. Siamo alla difesa degli intoccabili (a proposito: sul caso Passera durerà molto il silenzio?).
Si vuole seppellire la verità “in una notte in cui tutte le vacche sono nere”, dice Galli. Ha ragione. Hegel osserverebbe che il suo editoriale ne è l’esempio perfetto.
La luce della verità - per fortuna - la ritroviamo in Rita Borsellino: “La notizia della mossa del Colle contro le toghe è uno schiaffo a me e agli italiani”.
angelocannata.liceo@libero.it

* Articolo apparso su “Il Quotidiano della Calabria” del 20.07.2012


Nella foto in alto: Angelo Cannatà.

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(29.7.12) QUANDO LE LUCCIOLE ILLUMINAVANO LA VITA (Michele Scozzarra) - In queste serate afose quando mi capita di non riuscire a dormire, cerco di fare passare il tempo leggendo qualche buon libro. L'altra sera mi è capitato tra le mani un libro di Sciascia, per la precisione "l'affaire Moro". Ho letto, e riletto, le prime pagine, dove scrive di Pasolini e delle lucciole; già… delle lucciole! Pasolini voleva processare il “Palazzo” in nome delle lucciole. Per le lucciole scomparse, o fatte scomparire e che, comunque, non ci sono più nei nostri paesi da moltissimi anni.
Non ho perso occasione, nei miei articoli di rivolgere lo sguardo ed evidenziare la bellezza delle “lucciole”: quelle piccole lucine che affascinano e danno coraggio ad andare avanti... anche se ormai sono più uniche che rare e per tanti non esistono neanche nel “ricordo”.
Qualche anno addietro ne ho viste alcune, lungo il fiume Metramo, ricordo che fino a che non le ho viste scomparire, non sono ritornato a casa: ho provato una sensazione stupenda, che non era solo il ricordo di qualcosa di bello scoperto nella prima infanzia, ma come la sensazione di una piacevole ri-scoperta che anche nel buio più totale, all’improvviso e inaspettata, può arrivare una piccola “lucina” che attira la tua attenzione e ti porta a non vedere più la notte come “buio”… ma anche come occasione per scoprire la bellezza di una speranza nascosta ed inaspettata.
Ma, anche se scrivere delle lucciole può essere piacevole e riempie il cuore di una sottile e segreta gioia, di contro, proprio perché sono partito citando Pasolini non posso non soffermarmi, anche solo per un attimo, a “riflettere” su cosa succede dentro il “Palazzo”, soprattutto in un momento, come questo, in cui le "mazzate" che il governo sta mollando "fanno notizia", a differenza di tempo addietro, quando gran parte della gente ne restava indifferente, convinta che dopo un governo, così come dopo un papa, se ne fa un altro, anche perché era chiaro a tutti che si diceva di cambiare tutto per non cambiare niente.
Ora, bisogna realisticamente riconoscere che nessuno può immaginare cosa potrà succedere nei prossimi mesi, anche se una cosa si rende sempre più chiara agli occhi di tutti: che stavolta non c'è scappatoia: o subito, o a breve termine, il gioco degli equivoci deve finire. Purtroppo, come scriveva Montanelli poco tempo prima di morire, "l'equivoco è il clima naturale di un Paese, abituato da secoli a ignorare esso stesso da che parte sta, e come ci sta. Se davvero esiste, come vogliono i retori, un 'genio della stirpe', è qui che dobbiamo ricercarlo: nell'arte, veramente consumata, di restare sempre a mezz'aria, né carne né pesce, disponibili a tutto ed al contrario di tutto. Non per nulla, nella nostra lingua l'avverbio di più largo consumo è 'eventualmente'. Tutto ciò che facciamo, lo facciamo con la tacita riserva che, eventualmente, ne potremmo fare un'altra. Anche i nostri rapporti con Dio sono eventuali. Non ci crediamo. Ma sul letto di morte potremo, eventualmente, chiamare il confessore".
Ma alla fin fine, anche le eleganti sottigliezze di Montanelli, puntano, partono e si riferiscono sempre al “Palazzo”, alle sue vicende ed ai suoi inquilini.
Non voglio andare oltre su questo argomento, anche se sembra che tutto concorre a farci, in tempi non molto lunghi, perfino rimpiangere “il peggio” di quello che in tanti, in maniera troppo semplicistica e banale, hanno definito “prima repubblica”!
Voglio invece tornare a parlare delle “lucciole”, anche perché ne ho “intravista” una, qualche tempo addietro, su un giornale e, a dire il vero, era talmente bella che dapprima ho creduto che si trattasse di un abbaglio: Pasolini diceva che erano scomparse, io invece ne avevo davanti una talmente luminosa che mi sono dovuto ricredere, ed ho capito perché Pasolini scriveva che, lui, per una lucciola avrebbe dato l'intera Montedison. Effettivamente, la lucciola che ho avuto modo di vedere io è molto preziosa ed importante e la voglio mostrare a a chi mi legge in tutta la sua fosforescenza smeraldina. E' una lucciola che 'illumina' due genitori di Pesaro... e la loro bambina. Ed è anche la lucciola che ci conferma come le forze che sono capaci di muovere e cambiare la Storia, il più delle volte sono "esterne" al Palazzo, perché sono quelle che riescono, nella loro povertà, a rendere felice il cuore dell'uomo. Vediamola, così come si è presentata sul giornale:
"Giuseppe Manara è un pizzaiolo di 32 anni. Vive con una ragazza più giovane, Liana, e ne ha una bambina. Il nome della piccina non si deve dire, perché è la figlia di una coppia che per suo amore ha compiuto sette dilettantesche rapine. Il padre se la stringeva al petto, con le sue mani infarinate, e lei strillava sempre con un rantolo strano. I medici hanno detto: ha un rene guasto. Cure ci sono, ma sono costosissime. Da noi, la mutua passa le sciocchezze, ma, quando la malattia è rara, farsi aiutare è quasi impossibile. il lavoro va male, anzi ci sono i debiti.. Amici che prestino denaro non ne spuntano. Le banche, quando si chiedono soldi per salvare la vita di un neonato, che cosa ipotecano per garanzia? Il biberon? Giuseppe e Liana prendono una pistola rotta, e vanno in giro per banche a volto scoperto. Prendono a prestito denaro, forzando un pò la mano ai signori direttori di filiale. Dicono: o la borsa o la vita. Perdonateci". La vita non è quella dei bancari e dei loro spettabili clienti, ma della figlia. I carabinieri li beccano subito, questi due scalcagnati rapinatori e meravigliosi genitori. E loro spiattellano tutto: sette rapine, dieci milioni in tutto il malloppo, neanche il tempo di spenderlo in medicine. Non hanno mai fatto paura a nessuno: l'amore per i bambini sa portare a gesti disperati, ma all'odio è impossibile. Per non rischiare di fare del male, impugnavano una rivoltella scassata. Pensavano che se qualcuno li avesse uccisi, poi il mondo si sarebbe accorto della piccola, e l'avrebbe salvata. Al processo il pubblico ministero ha pianto dalla pietà per tanto sfortunato amore. Ha chiesto il minimo della pena. Ha implorato ogni attenuante. Hanno dato 20 mesi a Giuseppe e 14 mesi a Liana, con la sospensione della pena. Qualcuno ora si è mosso a trovare ai due un lavoro a Torino. Qualche soldo per la piccola dal rene malato salterà fuori. Quando da grande saprà che i genitori si fecero rapinatori per lei, come li giudicherà? Non sempre andar contro la legge è contro la legge dell'amore, forse c'è una legge più grande di quella dei codici. Il miracolo è che i magistrati qualche volta se ne accorgono. Ma perché noi prima di quelle rapine, non ci siamo accorti di tanto disperato bisogno? Forse la bambina chiederà, quando, guarita, avrà le trecce e saprà: "Ma gli altri non vi potevano aiutare?". Risponderanno i genitori: Ci abbiamo provato. Ma come fai a fermare la gente che fila sui marciapiedi, ognuno a rincorrere i suoi guai?". Magari, la prossima volta, è meglio se li fermate senza usare la pistola...".
Che cosa si può dire, a conclusione e commento di storie come questa. Scriveva Leone Tolstoj in una lettera a P. D. Boboryk: “Lo scopo dell’arte non è quello di risolvere i problemi, ma di costringere la gente ad amare la vita. Se mi dicessero che posso scrivere un libro in cui mi sarà dato di dimostrare il mio punto di vista su tutti i problemi sociali, non perderei un’ora per un’opera del genere. Ma se mi dicessero che quello che scrivo sarà letto fra vent’anni da quelli che ora sono bambini, e che essi rideranno, piangeranno e s’innamoreranno della vita sulle mie pagine, allora dedicherei a quest’opera tutte le mie forze”. Penso che, oggi come tra qualche anno, se qualcuno si troverà tra le mani, il mio articolo che racconta di questa bellissima “lucciola”, e preso dalla commozione e dall’affetto, vibrerà e piangerà, sulle tristi vicende a cui la vita talvolta ci mette alla prova… questo sarà sufficiente a ritenere che è valsa la pena dedicare il mio tempo, in questo asfissiante pomeriggio estivo, a fare conoscere questa bellissima storia.
In tempi di crisi (soprattutto di significato!) come i nostri, storie come quella di Giuseppe e Liana ci dicono che nella vita non si può solo vedere la Tv, scrivere libri, fare cinema, lavorare, divertirsi… C’è qualcosa di più importante che non si può mettere a tacere… come l’amore dei genitori per i figli.
Ci sono degli affetti per i quali vale la pena di rischiare tutto, ma proprio tutto… a costo di naufragare!

Nelle foto: in alto Michele Scozzarra; in basso lucciola.


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(4.8.12) A CHE COSA SERVE LA PENA SE NON SI CONOSCE LA PIETA'? (Michele Scozzarra) - La notizia che un detenuto si è visto negare, dal Magistrato di Sorveglianza, il permesso per andare a discutere la tesi di laurea alla facoltà di Lettere dell’Università di Roma, è stata commentata su tanti giornali come “Uno schiaffo all’impegno di tante persone che investono sul recupero sociale”.
Protagonista della vicenda un detenuto di 40 anni del carcere di Regina Coeli, recluso da oltre cinque anni, che negli ultimi tre anni aveva sostenuto venti esami e aveva preparato con cura la propria tesi di laurea: un’analisi dei disegni e degli scritti realizzati, all’interno dei campi di sterminio nazisti, dalle vittime della Shoah.
“Per una settimana, ha riferito il Garante dei detenuti del Lazio, la Magistratura di sorveglianza ha tenuto tutti in attesa: la famiglia, il detenuto, il nostro ufficio, la direzione del carcere, l’Università. Poi, a poche ore dalla discussione ha deciso di respingere la richiesta per motivi di legittimità”. Secondo il Garante “questa vicenda è uno schiaffo a chi sul recupero dei detenuti sta investendo molto ed a chi lavora quotidianamente per la risocializzazione e il riscatto culturale dei detenuti. Ora, il detenuto ci ha comunicato di non volersi più laureare in carcere. Aspetterà di farlo tra un anno, quando sarà un uomo libero”.
Questa notizia mi ha fatto ricordare, con orrore, un articolo pubblicato qualche anno addietro, su un noto quotidiano, e sottolineo la parola orrore, perché ritengo che non ci voglia una laurea in diritto per arrivare a capire che, pur affermando il sacrosanto diritto della società a difendersi dai criminali, bisogna anche sostenere che la giustizia non può rivelare un volto "mostruoso": "Il governo britannico si accinge a fare marcia indietro sulla direttiva che impone alle detenute di partorire in catene. Le nuove regole prevedono che le manette siano tolte al primo accenno di doglia e che la scorta rimanga fuori dal reparto maternità. A far piovere sul governo una valanga di critiche sono state le immagini riprese con una telecamera nascosta in un ospedale di Londra, dove una detenuta del carcere femminile di Holloway è rimasta per tutte le dodici ore di doglie, con un guardiano legato al polso. La donna è stata liberata solo quando è entrata in sala parto... Comunque le manette restano in vigore per le detenute ricoverate in ospedale per altri motivi. Una di queste, una tossicodipendente malata di Aids, dalla settimana scorsa si trova in un letto di ospedale con un guardiano legato al polso tramite una lunga catena. Un giudice le ha rifiutato la libertà provvisoria".
Ricordo che mentre leggevo questa “perla”, senza scomodare il Beccaria, pensavo come, per fortuna, nel nostro Paese, nonostante tutto, non sono ammesse simili atrocità e come le pene non possono (o non dovrebbero!!!!) consistere in trattamenti contrari al senso di umanità...
Ma, in quegli stessi giorni, ricordo che ha avuto risonanza sui media una notizia che mi ha fatto ritornare i brividi… stavolta “brividi nostrani”: "Una storia italiana... la storia di due povere vite, di un uomo e di una donna, marito e moglie... Lui è detenuto nel carcere di Frosinone. Sua moglie a Roma. I due hanno tre figli ancora giovanissimi. Qualche giorno fa uno zio li ha accompagnati a Frosinone a far visita al padre carcerato... Tornando a casa, l'auto su cui viaggiavano i ragazzi, è stata coinvolta in un incidente e i due maggiori (Donato e Valentina, di anni 19 e 12) sono morti. E' sopravvissuta solo Giordana, che ha sei anni, ma che secondo i medici è in condizioni disperate e lotta con la morte. Che altro può capitare ad un uomo e una donna? Quanto strazio può sopportare il cuore di due esseri umani? Non è stata già atroce la vita? Evidentemente non bastava perché alla madre sono state concesse solo quattro ore di permesso. Cronometrate. Saranno state appena sufficienti per arrivare ad Aprilia, dove si svolgevano i funerali, e tornare in gabbia... Ma non è solo questione di ingiustizia... Che cosa ce ne facciamo di uno Stato che non conosce neanche la pietà? Uno stato efficiente potrà essere un sogno irrealizzabile, ma è proprio così folle desiderare almeno una giustizia umana, uno Stato mite? 'Le catene dell'umanità sofferente - scriveva Kafka - sono fatte di carta da ufficio'. Sembra proprio questa la nostra sorte".
L’unica domanda che allora mi sono posto, ricordo che è stata quella che mi ha turbato di più… è stato proprio il domandarmi, se deve essere proprio così assurdo pensare che lo Stato possa aver un “cuore”... un cuore capace di opporsi a certe crudeltà che disonorano il nostro Paese, e non fanno certo onore alla nostra nobile tradizione giuridica.
Nei giorni scorsi, in una bellissima intervista, l’ex Giudice Gherardo Colombo, divenuto famoso per l’indagine milanese, poi soprannominata “Mani Pulite”, ha dichiarato: “A cosa vale la pena? Uno dei principali problemi è far coincidere la pena con il carcere. Sono stati i 33 anni passati in magistratura a portarmi a questa profonda convinzione: il carcere non è la risposta adeguata. Quando ho iniziato la mia carriera, pensavo che servisse, che fosse uno strumento idoneo. Poi ho cominciato a nutrire dubbi. Comunque, è un’evidenza che la detenzione è inadeguata rispetto allo scopo che si prefigge… Qui si pone il problema della pena: una persona che ha commesso un reato deve essere retribuita con il male o essere aiutata a non farlo più? La seconda strada può essere anche ben più pesante della punizione in sé, perché “muove” le intimità più profonde, rende consapevoli del male fatto e della sofferenza della vittima. Sono consapevole che la detenzione è da evitare nei modi in cui si realizza oggi, perché chi ha sbagliato non si smarrisca ancora di più. Per cui il tema alla radice è culturale: domina una giustizia retributiva, basata sull’esclusione, non sul recupero”.
Dostoevskij, che il peso di una “giustizia ingiusta” l’aveva provato direttamente sulla sua pelle, in più occasioni ha sempre scritto: “Non conoscono la pietà, conoscono solo la giustizia… per questo sono ingiusti!”
Mi rendo conto che a scrivere di queste cose ci piange il cuore, ma non ci è permesso assolutamente tacere... qualcosa nel nostro intimo ci muove per una reale affermazione della vita in ogni suo aspetto e dove difendere la vita significa, soprattutto, lottare per il suo valore, senza alcuno spirito di vendetta, neanche verso chi ha sbagliato.
E questo compito la nostra civiltà ce lo impone...

Nell'immagine in alto: carceri.


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(6.8.12) CON "LIBERA" E LA PROCURA DELLA REPUBBLICA CONTRO TUTTE LE MAFIE (Angelo Cannatà) - “Siamo tutti malandrini” è il bel titolo dell’incontro-dibattito, organizzato dalla Pro loco, che si terrà a Galatro Lunedì 6 Agosto. Interverranno: Nicola Gratteri, Don Pino Demasi, Rocco Cosentino, Carmelo Panetta, Maria Grazia Simari. Moderatore: Umberto Distilo. Molti i temi, strettamente locali, che si potrebbero affrontare:

1) Qual è la causa - vera - del conflitto “Terme-Amministrazione comunale”?
2) Perché il parroco, amatissimo dai fedeli, ha subito un attentato?
3) Perché, prima delle elezioni amministrative, un consigliere di minoranza è stato intimidito?...

Domande destinate a restare senza risposta. E un’ipotesi: “Siamo tutti malandrini” rischia di essere qualcosa di più, a volte, di una metafora.
Ma il convegno non toccherà questi temi: il discorso, giustamente, si allargherà alla Calabria. Non potendo partecipare al dibattito, invio - come stimolo alla discussione - un mio recente intervento.

L’ALTRO INEDITO CHE POTETE IMMAGINARE *

Pier Paolo Pasolini amava le provocazioni. Se c’è una cosa che gli intellettuali dovrebbero imparare da lui è la capacità di provocare, suscitare indignazione.
Dopo la pubblicazione della lettera inedita sul “Quotidiano della Calabria” in molti si son chiesti cosa direbbe oggi, cosa scriverebbe di noi, della nostra regione.
In realtà c’è un testo (inedito, apocrifo, profetico, pre-veggente… non saprei dire), che scioglie questo nodo: sul manoscritto c’è una data poco chiara, potrebbe essere il 14 novembre 1974, o 2014… non si sa bene. Parlava da un altro tempo, Pasolini. Ed è fuori dal tempo. E’ un testo indirizzato alla Calabria: il grido di dolore di un uomo vivo ad una società morta, uccisa dalla rassegnazione.
“Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “caso Fallara” (in realtà, una serie di casi funzionali alla protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili (politici) dell’omicidio Fortugno. E del giudice Scopelliti e di tante - troppe - persone uccise dalla ‘ndrangheta.
Io so i nomi del vertice della cupola politico-mafiosa che ha ideato e manovrato, che ha ordinato, agito e coperto, che – nel silenzio generale – regna in Calabria, svuotandola del diritto e della dignità.
Io so i nomi che gestiscono i differenti clan. Conosco le rivalità, le guerre e le pacificazioni, i politici di riferimento, le connivenze, le zone grigie.
Io so i nomi che hanno gestito, su mandato romano, il territorio. I nomi di padrini che guardano ora a destra, ora al centro, ora a sinistra, che si muovono trasversalmente: veri “politici” di una terra priva di politica.
Io so dei rapporti Calabria-Sicilia-Roma: di Miccichè, Piromalli, Dell’Utri: “Fagli capire a Marcello che c’è una torma di Calabresi pronti a votarlo”.
Io so i nomi di coloro che tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione, dal Palazzo, ai vecchi capi della ‘ndrangheta, ai giovani adepti e, infine, alla manovalanza omicida: “irresponsabile” - di sicuro: la meno responsabile - nella colpevole ignoranza del crimine.
Io so i nomi delle persone “serie” e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici e crudeli, o, a dei personaggi oscuri puramente organizzativi.
Io so quanto, come, e fino a che punto la Calabria stia nel Sud, il Sud in Italia e l’Italia nelle mani della Sicilia: “La trattativa Stato-mafia è andata in porto. Il boss Giuseppe Graviano racconta: ‘ci siamo messi il Paese nelle mani grazie a queste persone’.” E’ il 1994. Dopo le elezioni politiche non ci saranno più stragi.
Io so i nomi delle persone “serie” e importanti - Sindaci, segretari di partito, Presidenti - che stanno dietro a tragici ragazzi con i loro orrendi crimini, e a malfattori, calabresi o no, che si sono messi a disposizione, come Killer e sicari.
Io so tutti i nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, che cerca di seguire ciò che succede, e ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammenti di un intero quadro, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia…”
Io so, scrive Pasolini in questo “inedito, apocrifo, profetico, pre-vegente” testo sulla Calabria. Emerge - in fondo - l’identico invito della lettera a Nicolini (del 1959): “calabresi, non fate come gli struzzi, non c’è bisogno di prove: sapete già tutto. Indignatevi.” E leggete, aggiungo: “Il caso Fallara”, di Baldessarro e Ursini, è un ottimo testo - per esempio - per capire Reggio, paradigma del malaffare: dove “lo Stato è un luogo di saccheggio, un vuoto pneumatico della nostra vita, un ente astratto, lontano, magari ostile, dal quale trafugare ogni possibile utilità. (…) il municipio è presenza stabile (…) Crocevia di incontri e relazioni, connivenze e omissioni. Il suicidio col quale si compie l'atto estremo, il sacrificio ultimo della protagonista, non chiude il sipario ma lo apre” (A. Caporale).
Parole formidabili. Sarebbero piaciute a Pier Paolo Pasolini. Il messaggio del “nuovo inedito”, in fondo, è questo: leggete e indignatevi. Non attendete prove. Nei libri e nella nuda realtà - guardatevi intorno - c’è tutto. Se qualcuno, poi, volesse vedere in “Io so” una parafrasi de “Il romanzo delle stragi”. Lo faccia pure. E’ un’ipotesi talmente vera che potrebbe – paradossalmente – essere falsa.

* Articolo apparso su “Il Quotidiano della Calabria” del 26-07-2012

Nelle foto: in alto il magistrato Nicola Gratteri; più in basso Angelo Cannatà.

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(6.8.12) L'AVVENTO IN ITALIA DEL SISTEMA SEMI-PRESIDENZIALE (Maria Francesca Cordiani) - Una svolta epocale si preannuncia per il nostro Paese.
Come è noto, infatti, in questi giorni riecheggia in Parlamento un’ipotesi in parte già avanzata da alcuni illustri studiosi fin dal secondo dopoguerra, ovvero la trasformazione dell’Italia in Repubblica semi-presidenziale, con un sistema elettorale basato sul doppio turno.
La proposta di riforma dell’attuale forma di governo e dell’attuale sistema elettorale sorge in un periodo in cui il panorama politico italiano offre un terreno più che mai fertile per lo sviluppo di tale cambiamento.
Secondo i suoi sostenitori, infatti, essa dovrebbe contribuire ad eliminare i forti contrasti tra le forze politiche causate dall’eterogeneità delle coalizioni.
L’attribuzione di maggiori poteri al Presidente della Repubblica ed al Governo, a cui si affiancherebbe il conferimento di differenti competenze alle due ali del Parlamento permetterebbe una maggiore governabilità.
Il paese acquisterebbe in tal modo una maggiore stabilità.
In realtà, la riforma provocherebbe una profonda modifica del nostro impianto costituzionale.
Il rafforzamento dei poteri del Capo dello Stato e del Governo rispetto al Parlamento metterebbe in crisi i principi fondamentali, su cui si basa il nostro Stato democratico.
Il potere di controllo del Parlamento sull’operato del Governo verrebbe mitigato.
L’intero sistema di pesi e contrappesi su cui si fonda il nostro governo parlamentare verrebbe stravolto.
Non solo, ma la riforma potrebbe determinare lo sviluppo nel nostro Paese di un modello autoritario.
In sostanza si verificherebbe un ritorno al passato.
Ciò ovviamente dipenderà dalle garanzie costituzionali che saranno conferite a tale nuova forma di governo, ove venisse approvata.

Nella foto: le bandiere sul palazzo del Quirinale.


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(9.8.12) QUEL MALANDRINO DI MIO PADRE (Pasquale Cannatà) - Lunedì 6 Agosto sono stato presente all’incontro/dibattito organizzato dalla Pro Loco di Galatro: don Pino Demasi, il magistrato Nicola Gratteri e gli altri relatori ci hanno spiegato perchè “siamo tutti malandrini”.
Tutti gli interventi sono stati molto interessanti, commovente quello di don Pino, ma più di tutti mi è piaciuto quello di Gratteri, che ha esordito raccontandoci come e perché è nata la ‘ndrangheta nello stesso momento in cui nasceva l’Italia unita.
L’episodio che ha raccontato riguardo al ‘massaro’ che d’accordo con i suoi picciotti nascondeva quattro mucche facendo finta che fossero state rubate, per poi restituirne tre al latifondista che gli aveva dato l’incarico di ritrovarle, ricevendone anche i ringraziamenti, mi ha fatto pensare al cosiddetto “cavallo di ritorno”, che come molti sapranno è una pratica illegale che prevede il pagamento di un riscatto da parte di chi ha subito un furto per riottenere la refurtiva.
Ricordo che avevo vent’anni quando abbiamo subito il furto della nostra Fiat 500, e nonostante da molti anni non fossi più un bambino, avevo sentito poco parlare di mafia, e credevo che omicidi e duelli a coltellate riguardassero solo famiglie in lotta tra loro e non toccassero gli altri cittadini che potevano vivere la loro vita senza essere toccati da queste atrocità: qualcuno mi riterrà uno stupido, altri più benevolmente un ingenuo, ma era così.
Dicevo che ci avevano rubato la 500, e mio padre aveva fatto denuncia ai carabinieri senza purtroppo alcun risultato riguardo al ritrovamento dell’automobile. Ad un certo punto si presenta in negozio una persona che propone la riconsegna dell’auto dietro pagamento di una “piccola somma” (50.000 lire contro il valore di 500.000 lire dell’auto nuova, il 10%): sa com’è, si sono pentiti dello sgarbo, ma hanno avuto delle spese e almeno non vorrebbero rimetterci.
A me sembrava quasi giusto accettare, come ho già detto non ne sapevo niente di cose di malavita e come il latifondista di Gratteri ero disposto a ringraziare il mediatore per l’interessamento nei nostri riguardi, ma mio padre conosceva la situazione e rifiutò il “cavallo”: non abbiamo più visto la 500 e siamo rimasti un po’ di tempo senza macchina prima di poterci permettere una 126.
Nel suo piccolo, mio padre aveva compiuto un passo nella giusta direzione che tutti dovremmo seguire perché venga estirpata la cattiva pianta della malavita anche se, come ognuno di noi, aveva i suoi difetti che in altre cose lo rendevano inevitabilmente un “malandrino” nell’accezione più benevola che si può dare a questa parola.

Nella foto: Marlon Brando nel film "Il Padrino".

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(11.8.12) COL DIGITALE TERRESTRE RIEMERGONO I VECCHI FANTASMI (Michele Scozzarra) - Ho letto con interesse l’articolo pubblicato su Galatro Terme News nei giorni scorsi, condividendo la preoccupazione che “Col digitale terrestre Rai proprio non ci siamo! Il segnale latita per gran parte del tempo, o va e viene a gatto selvaggio lasciando i poveri utenti (che pagano il canone) nello sconcerto e nella rabbia”. Rabbia accentuata ancor di più, quando si legge di non riuscire mai a parlare con un operatore per segnalare il problema e, “quanto alla sede di Cosenza, ripetutamente interpellata, la sola cosa che ci si è sentiti cortesemente rispondere è che il problema non è di nostra competenza, provvederemo tuttavia a fare la segnalazione a chi di dovere”. Non penso che si possa giungere ad ottenere qualcosa in più con “il più volte minacciato e mai attuato sciopero del canone”...
Al momento in cui scrivo per tanti canali “non c’è nessun segnale” e mi riesce troppo complicato addentrarmi su qualsiasi “argomentazione” a riguardo; ma tanti ricordi, ormai dimenticati da anni, “emergono” dalla lettura dell’articolo, come dei “vecchi fantasmi” che a distanza di decenni, riemergono dall’oblio in cui il tempo li aveva nascosti.
Ricordo gli anni della mia infanzia: di tanti programmi televisivi, ero tenuto informato dai miei compagni di Liceo: il “Rischiatutto” di Mike Bongiorno (con le “minigonne” della Ciuffini che facevano notizia), per noi galatresi è un qualcosa di cui “abbiamo solo sentito parlare da altre persone”.
Per le partite di calcio più importanti della nostra Nazionale, si organizzavano delle vere e proprie 'trasferte' nei paesi vicini (perché, guarda caso, erano sempre trasmesse sulla seconda rete Rai che a Galatro non si riceveva).
Per farla breve, per i galatresi, fino agli inizi degli anni ’80, la visione completa dei canali tv era un lusso che non si potevano permettere… nonostante minacce di scioperi e di non pagare il canone, ma a nessuno gliene è mai fregato più di tanto.
Ricordo che grazie a Mico Simari, e ad un comitato da lui creato, è stato installato un ripetitore (che ancora c’è a lato del Calvario di Montebello), che permetteva di vedere “a sprazzi” il primo canale… e questo sia per la cattiva ricezione del segnale, sia per i tagli della luce da parte dell’Enel, quando non si era in grado di pagare la bolletta dell’energia consumata dal ripetitore (la luce che si consumava veniva pagata con una colletta che si faceva per le vie paese).
Per molti, soprattutto giovani e giovanissimi, sembra di sentire un racconto dell’alta preistoria… ma, è successo a Galatro, non più di qualche decennio addietro.
La possibilità della visione del primo canale Rai, per i galatresi, è stata una “conquista” ottenuta negli anni '70 dopo che, l’allora Sindaco Bruno Marazzita con il Brigadiere dei Carabinieri (entrambi appassionati di elettronica), ha messo sul tetto della caserma un telaio di bicicletta, al quale avevano applicato un circuito elettrico che riusciva a captare in maniera confusa un segnale che permetteva di vedere, alla meglio, il primo canale Rai.
Questo episodio, alquanto insolito, ha fatto sì che sui giornali di allora venisse pubblicata una vignetta, da molti ritenuta oltraggiosa, che raffigurava il Sindaco con la fascia tricolore e il brigadiere in grande uniforme che, seduti comodamente in casa, vedevano la televisione con la bicicletta sul tetto che aveva la funzione di antenna.
Questo episodio ha suscitato un tale vespaio (pare che sia intervenuto direttamente il Comando Generale del Carabinieri) che la Rai ha ritenuto di venirci incontro e, agli inizi degli anni ’70, ha predisposto un ripetitore solo per Galatro (che è quello che ancora si trova all’inizio di Galatro, nel Comune di Feroleto della Chiesa, vicino al ristorante “Le Pleiadi).
Nonostante il ripetitore, per tanti anni abbiamo ricevuto solo il segnale del primo canale Rai, mentre la possibilità della visione del secondo canale è stata attivata nel 1978... e quella per il terzo canale nel 1983-84.
Questo è successo nell’arco di una ventina di anni, con tante proteste e manifestazioni contro la Rai e minacce di non pagare il canone… rimaste tutte senza alcun riscontro!
Per i canali “privati”, non appena hanno iniziato ad espandersi sul territorio nazionale, verso la metà degli anni ’80, i diretti interessati hanno provveduto con un ripetitore che ancora esiste in contrada “Gatta”.
Ora... la storia si ripete, la situazione è abbastanza eloquente senza bisogno di alcun commento. Non ci fosse il pericolo della concorrenza che ha spaventato la Rai, forse per Galatro tante cose sarebbero rimaste ancora un sogno, anche se oggi, da più parti si sostiene che proprio per non disturbare la concorrente Sky, i canali Rai vengono oscurati!
Sarà un caso ma in concomitanza con gli avvenimenti sportivi trasmessi a pagamento da altre emittenti… la Rai si “oscura”.
Che dire… ormai è chiaro che, anche nel campo dell’informazione, l’obiettivo dei vari operatori del settore non è il creare una maggiore democrazia attraverso una sempre più estesa copertura di ogni fascia di utenza… ma aumentare il business per i loro interessi, che cercano di mascherare come “interventi per il bene comune”… e noi, il più delle volte, senza neanche goderne i benefici, paghiamo!

Nelle foto: in alto Michele Scozzarra; in basso Mike Bongiorno, Sabina Ciuffini e il campione Massimo Inardi nella trasmissione "Rischiatutto" di RaiDue.

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(17.8.12) PICCOLA GUIDA PER VIVERE A GALATRO MEGLIO CHE ALTROVE - Ecco una piccola guida per vivere a Galatro nel 2012 meglio che altrove, in altre decantate località cui il nostro paese non ha proprio nulla da invidiare. Un buon numero di persone ritiene pregiudizialmente che la vita nei paesi, più o meno piccoli, posizionati più o meno a sud, sia più scadente, quasi una "finzione" di vita rispetto alla "vera" vita che si svolgerebbe invece nei centri più grandi, più o meno posizionati verso nord, o anche all'estero.
Certo, anche nella vita a Galatro ci sono punti di forza e di debolezza, ma vediamo di cosa dispone oggi un abitante di Galatro nei vari settori.

Istruzione: nel proprio comune ci sono scuole che vanno dalla materna alla media di primo grado, con scuole private in comuni vicini. Tutte le scuole superiori sono raggiungibili in paesi che hanno una distanza massima di mezzora di autobus e sono regolarmente servite dalle autolinee. Ci sono quattro università a meno di due ore di distanza (Università della Calabria, Mediterranea di Reggio Calabria, Magna Grecia di Catanzaro, Università di Messina) nelle quali sono presenti in pratica tutte le facoltà, o quasi. Per l'insegnamento musicale, oltre al liceo musicale di Cinquefrondi, ci sono vari conservatori statali che dispongono anche di sedi staccate (Vibo Valentia, Reggio Calabria, Cosenza, Catanzaro, Messina).

Giustizia, sanità, religione, banche: sono presenti quattro tribunali alla distanza massima di un'ora di automobile (Palmi, Locri, Reggio Calabria, Vibo Valentia). Il Giudice di Pace si trova a 10 minuti di distanza (Cinquefrondi) e ci si augura non venga soppresso con la riforma Monti. Oltre alla guardia medica, ci sono un buon numero di ospedali raggiungibili nel tempo massimo di un'ora e mezza (Polistena, Gioia Tauro, Locri, Reggio Calabria, Vibo Valentia, Catanzaro, Lamezia Terme). Per i praticanti, le chiese sono in buon numero già a Galatro, ma anche nei centri vicini e meno vicini, e non solo cattoliche. Quanto a banche, esiste a Galatro la Credem (sia pur priva di bancomat), ma numerosi altri sportelli sono presenti quasi in ognuno dei paesi limitrofi, per non dire delle possibilità infinite che offrono oggi le banche on line.

Comunicazioni: abbiamo due aeroporti a solo un'ora di distanza (Reggio Calabria, Lamezia Terme); due stazioni ferroviarie a meno di una ventina di minuti (Rosarno e Gioia Tauro); i due più importanti scali ferroviari della Calabria sempre ad una sola ora di distanza (Lamezia Terme, Reggio Calabria). I pullman di lunga percorrenza che servono le città del centro-nord fanno scalo a Gioia Tauro. Galatro è anche servito direttamente dalle linee di autobus verso vari centri della provincia. Per raggiungere le principali arterie stradali che attraversano la Calabria (A3 Salerno-Reggio Calabria, Statale 18) bastano 10 minuti. In 5 minuti si arriva a Feroleto della Chiesa-Plaesano, in 7 minuti a Maropati, in 8 ad Anoia, in 10 a Cinquefrondi, Laureana e Melicucco, in 12 a Polistena e Rosarno, in 18 minuti a Cittanova e Taurianova, in 20-25 a Gioia Tauro, Palmi, Mileto, in 30 minuti si schizza sulla costa jonica per raggiungere Gioiosa, Siderno, Locri, etc., in 40 minuti si arriva a Vibo Valentia. Siamo posizionati ai bordi della Piana e dunque spesso le strade per raggiungere questi luoghi sono dritte e pianeggianti. Inoltre in un’ora si arriva a Reggio o a Lamezia, in un’ora e mezzo o poco più a Catanzaro o Cosenza.

Turismo e patrimonio culturale: abbiamo a casa nostra uno dei più importanti stabilimenti termali della Calabria. Chi poi vuole andare al mare deve solo sbizzarrirsi a scegliere fra località che distano da 20 minuti a poco più di un'ora al massimo: Nicotera, Tonnara di Palmi, San Ferdinando, Scilla, Tropea, Capo Vaticano, Pizzo etc. sul Tirreno; Siderno, Gioiosa, Locri, Roccella, Caulonia, Riace, etc. sullo Jonio. La Sicilia con Taormina, Giardini Naxos, l'Etna, etc. è a un tiro di schioppo. Chi preferisce la montagna ha a sua disposizione: Prateria nello stesso nostro comune, la Limina e Zomaro a una mezzora, Mongiana col suo parco forestale e Fabrizia alla stessa distanza, se allunga un po' si trova nella patria di San Bruno a Serra, ma se si gira dall'altro lato in poco più di un’ora si trova a Gambarie, in pieno Aspromonte, dove d'inverno può anche sciare, e da dove, se ama un po' l'avventura può spingersi verso Polsi. Se proprio vuol vedere i lupi, in un paio d'ore può raggiungere la Sila (Camigliatello, Lorica, per fare qualche nome, dove ci sono impianti sciistici di primo piano). Ma ci sono anche stupende località di mare a distanze che non superano le due ore, o poco più: facciamo solo i nomi di Amantea, Paola, Soverato, Copanello, Le Castella. Il patrimonio culturale è senza fine: dal nostro convento S. Elia di Galatro, dove visse Barlaam, agli scavi di Locri, dal museo di Reggio con i bronzi di Riace al museo della Certosa a Serra San Bruno, dall'antica Pentedattilo alla Casa della Cultura di Palmi patria di Cilea e Repaci, dalla biblioteca di Polistena che è quasi un museo per quanti oggetti d'arte contiene, alla Cattolica di Stilo, patria di Tommaso Campanella, fino al Museo delle Arti di Catanzaro (M.ar.ca.). E ci fermiamo qui altrimenti non si finisce più.

Spettacoli: il numero di eventi di spettacolo che si svolgono a breve distanza da Galatro è notevole: dai cinema di Polistena, Siderno, Gioia Tauro, Vibo Valentia alle stagioni concertistiche e teatrali dei teatri "Cilea" di Reggio e "Rendano" di Cosenza, fino al "Politeama" di Catanzaro, o i teatri "Umberto" e "Grandinetti" di Lamezia, “Palapentimele” di Reggio, “Vittorio Emanuele” di Messina, agli eventi che si svolgono alla Casa della Cultura di Palmi, o all'auditorium di Polistena, o al Cinema Moderno di Vibo. Per non parlare dei numerosi concerti di musica leggera, classica, etnica, jazz, pop, rock che si susseguono durante l'anno con picchi elevati nel periodo estivo. Non esiste in pratica cantante o gruppo musicale che non abbia calcato le scene di qualche località dei dintorni o della stessa Galatro.

Centri commerciali: abbiamo tre grossi centri commerciali a una mezzora di distanza ("Auchan" nei pressi di Gioia Tauro, "La Gru" all'ingresso di Siderno, "Vibo Center" tra Mileto e Vibo). Si possono aggiungere il “Peguy” di Cinquefrondi, "Le Palme" di Palmi, "La Cometa" di Taurianova, "I Portici" sempre a Siderno, o addirittura il colossale “I due mari” nei pressi di Lamezia. E poi ci sono "Annunziata" a Gioia Tauro e a Vibo, Decathlon a Gioia Tauro, per non dire di negozi e attività commerciali di ogni genere presenti a Polistena, Siderno, Palmi, Gioia Tauro, Taurianova e via dicendo. Ma non dimentichiamo che attività commerciali importanti sono presenti anche a Galatro. In pratica non esiste nulla che non possa essere reperito (volendo, anche pezzi d'elicottero e d'aereo) nel giro di un'ora, che è un tempo inferiore a quello delle grandi città intasate dal traffico e prive di parcheggi.

Spazi, sport, alloggio e vitto: di fatto noi ci muoviamo con le automobili su strade che saranno magari a volte col fondo stradale un po' sconnesso, ma è impagabile l'agio dello scorrimento del traffico, del parcheggio la maggior parte delle volte immediato, dei grandi spazi, dell'aria che ci avvolge in estate quando ci muoviamo coi finestrini aperti, dell'erba della campagna con cui siamo quasi a contatto quando viaggiamo fra un paese e l'altro. Nello stesso tempo che molta gente impiega per spostarsi, in mezzo ai gas di scarico, semplicemente da un punto all'altro di una grande città noi arriviamo tranquillamente p. es. a Reggio o Cosenza. Per non parlare delle vaste possibilità che si aprono per chi vuole praticare la corsa o la marcia a piedi, o andare in bici da corsa e mountain bike. Ci sono a Galatro il campo di calcio, di calcetto, di tennis, di basket. Per seguire eventi sportivi di una certa portata, a parte la Società Sportiva Galatro arrivata quest'anno in Prima Categoria, ci sono a breve distanza la Reggina o il Catanzaro (rimasti a lungo in serie A), ma c’è anche la Tonno Callipo di Pallavolo e numerosi altri eventi sportivi dei quali basta solo informarsi per andarci. Siamo ben forniti di alberghi, a cominciare da quello delle terme a Galatro, passando per altri paesi vicini che ne hanno a loro volta: da Polistena a Cittanova, da Rosarno a Gioia Tauro e Palmi, a quelli innumerevoli sulle coste dove sono presenti anche i villaggi turistici. Aggiungendo anche il fatto che a Galatro, e in altri paesi vicini, ci sono un gran numero di case vuote che potrebbero essere usate a guisa di albergo. Chi ha un debole per la forchetta dispone di tanti ristoranti, pizzerie, trattorie e locali affini a iniziare da Galatro e territori limitrofi (p. es. “Le Pleiadi”): oltre alle terme, tre locali in grado di ospitare anche cerimonie nuziali si trovano già nei dintorni di Prateria. Per non parlare dei numerosi alberghi e ristoranti, pizzerie, pub e locali vari presenti un po’ dappertutto.

Stampa, editoria, biblioteche: si stampano in Calabria tre quotidiani di notevole importanza: “Il Quotidiano della Calabria”, “Calabria Ora”, “Il domani della Calabria”; la “Gazzetta del Sud” ha sede nella vicina Messina. Disponiamo di case editrici di rilievo nazionale come Rubettino a Soveria Mannelli, ma nulla hanno da invidiarle Laruffa e Gangemi a Reggio, Pellegrini a Cosenza, ed altre che diffondono libri dappertutto come “La Città del Sole”, Barbaro, etc. Abbiamo anche un buon numero di testate on line locali e a più ampio respiro, da “Galatro Terme News” a “Strill” solo per fare qualche nome. La biblioteca di Polistena è un modello di riferimento per le biblioteche comunali della Calabria, c’è poi il Sistema Bibliotecario Vibonese che è molto attrezzato. E che dire delle biblioteche universitarie e civiche di Cosenza, Reggio, Catanzaro e così via? Inoltre fornite librerie sono presenti in vari centri vicini.

Telecomunicazioni: a Galatro c’è stato da poco lo switch off del digitale terrestre, il segnale per quanto un po’ a singhiozzo è cominciato ad arrivare e di certo sarà perfezionato col tempo, grazie alle puntuali segnalazioni effettuate anche dal nostro giornale. Ma ovviamente gli innumerevoli canali satellitari (gratuiti o a pagamento) sono da sempre perfettamente ricevuti a Galatro. Anche la maggior parte dei telefonini funziona egregiamente. Abbiamo anche da diversi anni la linea adsl per internet.

Insomma abbiamo di tutto, né più né meno che in altre parti d’Italia e d’Europa, anzi per certi versi stiamo anche meglio. Non c’è per esempio il carovita di altri luoghi; la frutta, il pane e tanti altri generi ci vengono serviti a buon prezzo fin davanti alla porta di casa, basta uscire un attimo per comprarseli.
Si dirà: ma la criminalità? Purtroppo quella è presente dappertutto oggi, non è nostro patrimonio esclusivo. Esistono mafie un po' ovunque, e non solo di origine italiana, da quella cinese a quella russa. Oltre al rischio delle mafie c'è anche altro: per fare solo un esempio, in Usa chiunque, se ha un po' di soldi, può entrare in un'armeria, senza porto d'armi, comprare un fucile e iniziare a sparare al primo che passa (e purtroppo non di rado lo fa veramente). Dunque rischiamo né più né meno che altrove.
Si dirà: ma il lavoro? A parte quello statale o parastatale, non c’è il lavoro. In una realtà come la nostra è forse l’unico punto che appare effettivamente debole. Eppure ci sono da noi ottimi professionisti che lavorano e imprese virtuose che funzionano bene. Pensiamo p. es. ai prodotti di Callipo, al caffè di Mauro, ai libri di Rubettino, ai liquori di Caffo, alle cucine di Papandrea, alle tante industrie di prodotti alimentari in scatola presenti in Calabria. Anche Galatro e i comuni vicini dispongono di alcune aziende che funzionano. Il lavoro non è tantissimo, d’accordo, ma ognuno può cercare di inventarsi un’attività. La fantasia non manca, crediamo basti solo un po’ di convinzione in più e la volontà di uscire da certi pregiudizi generalizzati ed erronei secondo i quali tutto ciò che si crea e si inventa dalle nostre parti non ha valore se non riceve una benedizione da una qualche località posizionata altrove lungo lo stivale che, per il solo fatto di non essere a sud, è considerata importante, anche se magari gestita in modo stupido da gente stupida.
Gli ultimi dati dell’Unione delle Camere di Commercio mostrano che tra le nuove aziende la più alta percentuale è meridionale, il 31%. Non solo: le nuove aziende create da giovani con meno di 35 anni sono in grandissima parte meridionali. Se si fa una classifica delle province in cui nasce il maggior numero di aziende a opera di giovani, i primi posti vedono province meridionali. Al primo posto c’è Enna. Per aziende che nascono a opera di donne la classifica vede ai primi posti solo città meridionali.
Concludendo, a Galatro si può vivere sostanzialmente bene, a volte meglio che in altre parti d’Italia e d’Europa, o del resto del mondo, basta convincersene e agire di conseguenza.

Nelle foto: scorci di Galatro.


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(19.8.12) A PROPOSITO DI DIGITALE TERRESTRE: LA TELEVISIONE DI OGGI E DI IERI (Domenico Distilo) - Ha indubbiamente ragione Michele Scozzarra: il digitale terrestre ci offre il destro per lanciarci in un’operazione amarcord, alla ricerca dei Sessanta e Settanta perduti, quando si vedeva – non solo a Galatro per i noti problemi geomorfologici - poca televisione ma, forse proprio perché poca, più capace di incidere nell’immaginario e nello strutturarsi della “visione del mondo” di quanti all’epoca eravamo bambini o adolescenti.
Se quella attuale è la digital generation, la nostra è stata la generazione televisiva, pur non trascorrendo, noi bambini e ragazzi di allora, tutto il tempo davanti alla scatola magica e facendo anche altre cose, ad esempio frequentare la strada molto più di quelli di oggi, iperprotetti da genitori iperapprensivi.
Quei pochi programmi che vedevamo – dal Giornalino di Giamburrasca a Chissà chi lo sa? a Furia cavallo del West fino a I ragazzi di Padre Tobia (ambientato in una parrocchia di Napoli con attori ragazzi che interpretavano se stessi, un modo incomparabilmente meno tormentato, esistenzialmente e socialmente, di precorrere Gomorra), tutti a cadenza rigorosamente settimanale, erano le cose di cui si parlava (da qui nasceva il disappunto rievocato da Michele per non poter interloquire con i compagni di scuola sulla minigonna di Sabina Ciuffini), l’argomento preponderante nelle discussioni del giorno dopo, un formidabile ancorché misconosciuto fattore di socializzazione oltreché di acculturazione, mentre dei programmi di oggi, a cadenza pressoché giornaliera, non parla più nessuno e, anche se molti li guardano e magari li registrano, non fanno – tranne poche, rarissime eccezioni - più discutere, declassati a oggetto di svago e piacere privati, declassamento che è conseguenza inevitabile dell’essere pensati e realizzati sulla base degli identikit degli spettatori dedotti dai sondaggi, che sono stati l’arma con cui la nuova televisione ha distrutto l’io collettivo creato dalla vecchia.
E’ questo, a ben rifletterci, l’effetto devastante dell’aumento dell’offerta televisiva, implicito nella caduta di livello e di qualità dei programmi determinata dall’inseguimento ossessivo dell’audience: la distruzione di un modo d’essere e sentire comuni, di un linguaggio che pur essendo il frutto anche, se non soprattutto, degli intendimenti pedagogici della ingiustamente bistrattata tv bernabeiana, non creava omologazione, fornendo anzi, con l’induzione di un lessico tanto ricco quanto vigilato, gli strumenti per addestrare un pensiero critico, divergente, di cui nei giovani di oggi si sono perse le tracce.
Nondimeno qualcuno potrà dire: la televisione è ormai sulla via del tramonto e presto il suo posto sarà preso dai social network, il nuovo luogo deputato di elaborazione ed espressione dell’io collettivo. Si tratta di un’osservazione sicuramente basata sui fatti e difficilmente confutabile. Essa però trascura l’altrettanto inconfutabile circostanza che la dimensione orizzontale dei social network, prescindendo da modelli e sollecitazioni verticali, pedagogici, si esercita quasi sempre nella riproduzione di frasi fatte e luoghi comuni, per di più indulgendo in un linguaggio sincopato nelle frasi e nel lessico, spesso triviale, mutuato da quello degli sms e strutturalmente incapace di produrre pensiero, di alimentare quella presa di distanze dall’esistente in cui consiste, in fin dei conti, la cultura.
I social network, per intenderci, sono il corollario e il surrogato della televisione, l’esito della parabola di questa dal modello pedagogico all’adattamento prima e all’appiattimento poi sui gusti del pubblico, adattamento-appiattimento in cui è implicita la rinuncia a creare vero gusto e a suscitare vero inter-esse, che sono autenticamente tali se non si esauriscono nella ricerca di conferme nei “post” e nella compiaciuta esibizione del proprio sé negli “stati” di facebook o nei “twitter”, ma indirizzano verso ciò che magari sconferma e spiazza, inducendo una attitudine, una propensione al ri-pensamento di sé e del mondo senza cui, c’è poco da girarci intorno, non può darsi crescita né individuale né collettiva.
Per concludere queste brevi note: siamo all’impasse, alla stretta da cui si potrà uscire solo se la tecnologia ci aiuterà a ripensare sia la televisione sia i social network, rendendone possibile l’estrinsecazione delle notevoli qualità e potenzialità positive e magari riportandoci indietro dalla connessione totale in cui siamo immersi, dalla dipendenza per molti patologica dai newmedia - in primis il telefonino - a qualcosa di simile al rapporto sobrio e discreto che avevamo con la vecchia televisione della TV dei ragazzi e di Carosello.

Nella foto: donna con computer e cellulare.

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(25.8.12) DIGITALE TERRESTRE E SOCIAL NETWORK (Michele Scozzarra) - Dall’articolo di Domenico Distilo sul digitale terrestre a Galatro, emergono delle problematiche, a mia parere “ad effetto devastante”, che vanno al di là dei giudizi dati sulla televisione e sui suoi programmi. Mi riferisco, in particolare, al riferimento specifico, dove Domenico scrive: “Nondimeno qualcuno potrà dire: la televisione è ormai sulla via del tramonto e presto il suo posto sarà preso dai social network, il nuovo luogo deputato di elaborazione ed espressione dell’io collettivo. Si tratta di un’osservazione sicuramente basata sui fatti e difficilmente confutabile. Essa però trascura l’altrettanto inconfutabile circostanza che la dimensione orizzontale dei social network, prescindendo da modelli e sollecitazioni verticali, pedagogici, si esercita quasi sempre nella riproduzione di frasi fatte e luoghi comuni, per di più indulgendo in un linguaggio sincopato nelle frasi e nel lessico, spesso triviale, mutuato da quello degli sms e strutturalmente incapace di produrre pensiero, di alimentare quella presa di distanze dall’esistente in cui consiste, in fin dei conti, la cultura”.
Certamente, tanto per andare al nocciolo della questione, non si può non constatare come sulle bacheche di Facebook succede di tutto e di più: c’è chi lancia temi di discussione e chi va a ruota libera. C’è chi ama polemizzare e chi butta acqua sul fuoco, c’è chi discute solo di politica e chi propone spezzoni di film, canzoni o proprie immagini. Chi scrive poesie, chi invita a feste, presentazioni di libri, degustazioni, sfilate di moda. Chi scrive articoli per i giornali e li rilancia sul suo profilo, chi si mobilita per qualche causa, chi denuncia, chi informa, chi chiama a raccolta per scendere in piazza, chi fa propaganda elettorale (magari occulta con slogan e bandiere), chi da lezioni di cucina, chi sistema cani randagi, chi commenta in diretta le trasmissioni televisive, chi sfoga i tradimenti del coniuge e chi cerca nuovi innamorati…
E adesso la domanda delle domande, dove ci portano, inevitabilmente, le considerazioni di Domenico: è davvero una rivoluzione il modo di stare insieme su Facebook o solo un’illusione collettiva di amicizie inesistenti e compagnie fittizie? Sposta qualcosa nel modo di informarsi e costruirsi idee autonome su ciò ci circonda o non sarà la pericolosa anticamera di uno spropositato narcisismo alla portata di tutti, un’immaginaria fabbrica di scatenati egocentrismi, un contagiarsi inutile per blaterare rivendicazioni al vento? Che ricadute avrà tutto questo sulla vita “vera” della gente? E, soprattutto, quale è, a questo punto, la vita vera e quella falsa? Che senso ha mobilitarsi, in rete, su temi “specifici” ma senza alcuna capacità di organizzare una militanza attiva in grado di incidere sul reale, con l’elaborazione di proposte concrete capaci veramente di incidere nella vita delle persone?
L’articolo di Domenico mi permette di fare una considerazione maturata da mesi, cioè l’evidenza di come con l’aumento del sistema di relazioni instaurate su Facebook, sono venuti meno su Galatro Terme News le lettere dei lettori, con i loro contenuti di saluti ad amici e parenti, fotografie di bambini, auguri per Natale, ecc. Tutto questo è stato trasferito sulle “bacheche” di Facebook, con la differenza che mentre su Galatro Terme News, ancora oggi, scorrendo gli archivi tutto è facilmente reperibile perchè rimasto nella “memoria”, sta di fatto che di tutto quello che passa sulle bacheche di Facebook, nel giro di qualche giorno si è persa ogni traccia… sono bacheche “senza memoria”!
Tante modalità di comunicazione, durate per anni o per secoli stanno scomparendo: i loro discendenti frivoli e veloci, da Facebook a Twitter, ormai occupano il tempo e la testa degli utenti. Sul telefonino venti righe da leggere sono troppe, e il template dà problemi. Certo, rimane chi vuole gli approfondimenti, chi non si accontenta della notizia veloce.
Ma questa “leggerezza” che impone la “nuova cultura telematica” ha anche un duro prezzo da pagare… se è vero che scrivere lettere non è mai stato più facile di adesso, dobbiamo anche tenere presente che a scrivere una frase ci si mette un'ora sulla pietra, cinque minuti sull'argilla, un minuto sulla carta, dieci secondi sulla tastiera che li pubblica su Facebook. Ma, dobbiamo pur domandarci, quanto permarranno le nostre parole scritte, o condivise senza neanche scriverle!, sul web? Sicuramente un tempo minore di quello che ci abbiamo messo a scriverle (o a condividerle!)… parole il cui eco resterà, forse, per qualche ora, o per qualche giorno, ma che svaniranno presto senza traccia: parole scritte su sabbia silicea.
Ecco perché ritengo che un articolo, una foto, un semplice messaggio di auguri, ha un effetto più grande se pubblicato su qualcosa di “duraturo” e non su qualcosa che, già per la sua stessa natura, è sicuro che nel volgere di poco tempo non c’è più. I miei post su facebook sono già andati nel “dimenticatoio” dopo qualche ora dalla pubblicazione… quanto pubblicato, nel corso degli anni, in tante bacheche è sparito (o prima o poi sparirà) con un clic… mentre, tanto per restare solo a ciò che “mi riguarda” i miei articoli pubblicati su Galatro Terme News, sono rintracciabilissimi negli archivi del sito, così come quelli pubblicati su Proposte e altre riviste, sono rilegati per anno e conservati negli archivi dei giornali e di diverse biblioteche.
Non è una cosa irrilevante che da quando l'uomo è uomo, ha sempre cercato di conservare le sue memorie: le imprese degli antichi ci sono giunte perché scritte su pietra. La carta è deperibile, la carta brucia, la carta si disfa. Cosa daremmo per mettere mano sugli appunti, sui bloc-notes di Cesare, Platone, Gesù Cristo. Ciò che ci è giunto dall'età antica lo ha fatto perché è stato copiato infinite volte, conservato là dove il tempo batte meno, perché deve durare nei secoli e millenni…
La conclusione di questi miei “disordinati” pensieri, non può essere diversa da quella di Domenico, laddove amaramente, aggiungo io, evidenzia come: “I social network, per intenderci, sono il corollario e il surrogato della televisione, l’esito della parabola di questa dal modello pedagogico all’adattamento prima e all’appiattimento poi sui gusti del pubblico, adattamento-appiattimento in cui è implicita la rinuncia a creare vero gusto e a suscitare vero interesse, che sono autenticamente tali se non si esauriscono nella ricerca di conferme nei “post” e nella compiaciuta esibizione del proprio sé negli “stati” di facebook o nei “twitter”, ma indirizzano verso ciò che magari sconferma e spiazza, inducendo una attitudine, una propensione al ri-pensamento di sé e del mondo senza cui, c’è poco da girarci intorno, non può darsi crescita né individuale né collettiva”.

Nelle immagini: in alto Michele Scozzarra, in basso vignetta su facebook.

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(17.9.12) FENOMENOLOGIA DEL RENZISMO (Domenico Distilo) - Monta un altro fenomeno mediatico, col rischio molto serio di trasformarsi in fenomeno politico-elettorale e di tradursi quindi in (non)governo del Paese.
Il sindaco di Firenze Matteo Renzi suscita simpatie in molti ambienti, esercitando un’attrazione trasversale: si dicono colpiti dal suo fascino ex (nonché potenziali) elettori di destra e di sinistra, centristi spaesati, dipietristi pentiti, grillini sconcertati, berlusconiani allo sbando, cattolici del consenso e del dissenso, vendoliani in crisi esistenziale. Una compagnia sempre più affollata e variopinta tenuta insieme da una parola fortemente evocativa: rottamazione.
Il piatto forte del programma di Renzi è infatti la liquidazione della vecchia politica e dei vecchi politici definiti corrotti, inetti e pure sfigati (D’Alema, manco a dirlo emblema del vecchio, porterebbe iella), liquidazione a cui tiene dietro l’autoinvestitura quale incarnazione del Nuovo, del Giovane e, va da sé, dell’Onesto, dell’Incorrotto, dell’Efficiente e del Produttivo.
Il successo della recita è inequivocabilmente attestato dal fatto che nessuno dei suoi sempre più numerosi fan si pone il problema di cosa ci sia sotto gli slogan. Come i topi de Il pifferaio magico - la vecchia fiaba tedesca riscritta nell’Ottocento dai fratelli Grimm-, ammaliati dal suono, erano lontani dal supporre che meta del loro cammino era il fiume nel quale sarebbero affogati, così essi lo seguono senza chiedersi dove davvero li voglia condurre, convinti che non ci possa essere nulla di meglio (o di meno peggio) del “giovane sindaco”. Non si può non pensare che siano affetti da una grave forma di coazione a ripetere: recenti, disastrose esperienze avrebbero dovuto renderli smaliziati facendogli apparire ciò a cui assistono come un film già visto, un remake del berlusconismo oltreché un’alternativa al grillismo della sua stessa natura e sul suo stesso terreno della demagogia e del populismo.
Nonostante sia imparagonabile al Banana per l’enorme sproporzione dei mezzi finanziari e mediatici a disposizione, Renzi tuttavia gli assomiglia per la pretesa di essere il simbolo del nuovo, il castigatore del vecchio sistema e dei vecchi politici, il portatore di capacità eccezionali e il profeta di idee originali destinate a spazzar via tutto. Non ci vorrebbe perciò molto a riconoscervi l’ennesima versione del fenomeno tutto italiano dell’one man show, della vecchia sbruffoneria da bar travestita e resa congeniale all’antipolitica trionfante nell’epoca dei social network.
Prova ne è che tutta la retorica e la prosopopea del nuovo non si traducono in una sola idea concreta, in una posizione chiaramente definita o definibile su un qualche tema di rilievo. Se provate a cercare nelle dichiarazioni di Renzi cosa pensi della moneta unica, dell’integrazione europea, del dominio mondiale della finanza, delle prospettive dell’economia italiana, di cosa fare per fronteggiare la perdita di potere d’acquisto dei salari e per ridurre la disoccupazione, è assolutamente escluso che troviate qualcosa d’interessante e inedito. Il vuoto pneumatico domina il campo, riempito da trite banalità da cui si evince che ciò che il sindaco di Firenze intende per nuova politica non è che l’adattamento del modo di pensare e di vivere alla realtà così come la fabbricano i mercati e il capitale e la rappresentano i media, essendo fuori discussione che il reale debba essere razionale e sia sinonimo di vecchiezza e bruttezza l’incapacità o la non volontà di adattarvisi. Non avremmo mai immaginato di trovarci di fronte, in pieno XXI secolo, a una forma probabilmente inconsapevole di hegelismo, a una sostanza così torvamente conservatrice dietro la maschera seducente (per molti) di un linguaggio pseudorivoluzionario.
Certo, si dirà, l’essenza del renzismo è l’attacco alla politica corrotta e alla casta che vive di politica – peraltro come se lui venisse dalla luna. Bene, questo non è solo l’essenza, ma è tutt’intero il renzismo, che come tutti i populismi tende ad essere monotematico, a sussumere cioè sotto un’unica questione capace di produrre mobilitazione e consenso popolari la complessità del reale.
Per intenderci: nessun populista vi dirà mai che il problema non è la casta, ma la società che la produce e la genera e che se anche tutti i politici venissero tolti di mezzo e/o azzerati tutti gli stipendi il problema si riproporrebbe il giorno dopo, nella stessa forma o nell’altra delle risorse necessarie alla politica se vuole restare democratica e non diventare oligarchica e plutocratica –come del resto per moltissimi versi già è. Allo stesso modo nessun populista – tantomeno Renzi - vi dirà mai che quello generazionale è un falso problema, che non si tratta di scegliere giovani o vecchi ma persone capaci ed oneste, non essendoci alcun rapporto tra l’anagrafe e le qualità personali, basti pensare a cosa sarebbe successo all’Inghilterra e al mondo se allo scoppio della Seconda guerra mondiale Churchill non fosse stato preso in considerazione perché ormai avanti negli anni o cosa sarebbe stata l’Italia se nel 1945 De Gasperi fosse stato mandato a casa perché già sessantaquattrenne.
I fenomeni di fascinazione populistico-mediatica non sono però, lo sappiamo bene, arginabili con argomentazioni razionali. Non possiamo che fare voti alla Provvidenza perché ci risparmi una nuova versione dell’italica iattura. Sarebbe la terza in un secolo: davvero troppo!

Nella foto: Matteo Renzi, sindaco di Firenze.


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