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< 2000 Cultura 2001 2002 >

4.3.01 - Calabria: il sogno del Mediterraneo a Roma

8.3.01 - Senza Fine
di Giuseppe Macrì

31.5.01 - Michelino Ferrari, patriota galatrese

28.9.01 - Poesie di Martino edite da Mondadori

28.10.01 - L'Asilo di mendicità "Alfonso Defelice Protopapa"

20.11.01 - Il libero arbitrio tra fisica quantistica ed esperito individuale

di Francesco Zoccali

8.12.01 - San Nicola: il miracolo del 1861 a Galatro





(4.3.01) CALABRIA: IL SOGNO DEL MEDITERRANEO A ROMA - In questi giorni la capitale è stata teatro di un progetto che ha visto come protagonista,nella prestigiosa cornice del complesso museale del Vittoriano e dei Fori Imperiali, la Calabria nei suoi molteplici aspetti culturali e tradizionali. Con il saluto del Presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti il 23 febbraio è stata inaugurata la manifestazione "Calabria. Il sogno del Mediterraneo", che ha visto per diversi giorni il susseguirsi di eventi culturali, spettacoli, dibattiti, è culminato nella giornata conclusiva di domenica 4 marzo, con una grande festa in Via dei Fori Imperiali con musiche e danze folkloristiche, stand gastronomici e punti informativi per soddisfare le curiosità dei visitatori. La mostra archeologica "Immagini della Magna Grecia: I Pinakes di Locri Epizefiri", con la presenza dello straordinario Elmo di Tiriolo (III sec. a.C.) e la raccolta di pitture di Cefaly con scene storiche e di cultura locale allestite all'interno del Vittoriano, hanno registrato una affluenza straordinaria dei cittadini romani che hanno salutato calorosamente l'iniziativa.

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(8.3.01) SENZA FINE

Ove i cavalli corrono
c'è il deserto della solitudine.
Si spegne l'ora del meriggio
e tutto tace.
In ogni oasi del cuore
c'è l'Eterno Santo Creatore dei cieli
che illumina ogni creatura
incamminandosi verso nuove dimensioni.
C'è il vento delle solitudini
che sussurra al tramonto
ad ogni cuore afflitto e bisognoso.
Risplendi o immagine del cuore,
fatti rivedere nel tuo ornamento di luce,
prendi il tuo scudo e la tua spada sacra
e vai a combattere dove c'è odio e guerra.
E nell'oasi perduta c'è un sole
che brilla in ogni cuore,
in ogni fine c'è l'amato padre
che riguarda ogni creatura
alla fine di ogni via
che rivede l'anima di ogni essere brillare
in un sole senza tramonto e senza fine.

Giuseppe Macrì


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Ritratto di Michelino Ferrari (31.5.01) MICHELINO FERRARI, PATRIOTA GALATRESE - Il nobile capitano della Guardia Nazionale Michelino Ferrari era un valoroso uomo, galatrese purosangue, che non risparmiò sacrifici immensi pur di dare all'Italia e, particolarmente alla sua e nostra Calabria, al suo e al nostro paese, quella serenità politica e sociale che giustamente meritavano, quella pace, insidiata a quei tempi, da certe attività malavitose che dominavano in tutto il territorio. Prima, però, di addentrarci in certi particolari che distinsero l'uomo di cui vogliamo occuparci, è bene soffermare la nostra attenzione sull'origine famigliare di questo valoroso, veramente figlio benemerito di questa Calabria.
E' indiscussa la sua nascita galatrese. Figlio del nobile Gian Francesco, detto Giafra, e della nobildonna Giulia Sorbilli. Il padre, Giafra, come il nonno, D. Giuseppe Antonio, ricchi possidenti galatresi, si distinsero entrambi in molti moti rivoluzionari, tendenti all'indipendenza d'Italia, capeggiando circa 200 uomini, insieme a D. Giuseppe Albanese di Fabrizia, tanto che dovettero subire non solo il carcere, ma anche il sequestro dei loro beni che un certo Fazzari, consegnatario di questi beni, rubò, delapidò molti animali vaccini e pecorini, mobili di casa, legnami, mattoni, ecc. Ciò si desume da una lettera che D. Giuseppe Ferrari, nonno del Nostro, scrisse a un certo Ferrante, all'uscita dal carcere dove era stato rinchiuso esclusivamente per la sua attività politica.
Da un nonno, quindi, e da un padre di tal fatta, per forza di cose, doveva venir fuori un uomo che su quella scia doveva continuare il suo cammino, un uomo di nobili sentimenti, un uomo che molto diede della sua vita e dei suoi beni per una santa causa a favore della Patria.
Michelino Ferrari, quindi, è galatrese. Nacque, infatti, a Galatro l'11 maggio 1819. Fin da ragazzo si distinse nello studio e nell'amor patrio. Conseguita la laurea in giurisprudenza col massimo dei voti, non volle darsi alla professione, ma alla carriera politico-militare. Lo vediamo, infatti, ancor giovanissimo, partecipare valorosamente alla guerra d'indipendenza prendendo attiva parte alle due battaglie di Magenta e Montebello svoltesi, rispettivamente, il 20 maggio e il 4 giugno 1859 tanto che, mercè il suo suggerimento, i due rioni galatresi, le due sezioni, che prima venivano denominati "Destro" e "Mancino" oppure "Destro" e "Mancuso", con delibera dell'amministrazione comunale del tempo, vennero chiamate, le due sezioni, "Magenta" e "Montebello".
La sua attività di valoroso combattente, però, non si ferma qui. Egli contribuì alla santa causa dell'indipendenza italiana con tante altre operazioni di alto valore patrio e non disdegnò, anche se perseguitato dalla polizia, anche se la sua casa fu minacciata d'incendio dall'allora ufficiale borbonico Statella, anche se fu sottoposto a crimine giudizio e condannato a gravi pene che, in parte, dovette scontare.
La sua prodigalità, poi, faceva parte del suo animo nobile curando e mantenendo altri compagni liberali che nella sua casa trovavano fraterno asilo. In seguito allo sbarco di Garibaldi a Marsala, fu sollecitato a formare un comitato e recarsi in Aspromonte per mettersi d'accordo con i liberali di Reggio Calabria e ritirarsi le armi, in quel tempo azione molto difficile. E' stato il primo, in tutto il nostro Mandamento, appena Garibaldi pose piede nel continente, a far inalberare il vessillo tricolore con lo Stemma di Casa Savoia, del quale si era già provveduto. Formò un contingente di trenta volontari, mantenuti a proprie spese, e con essi rese l'importantissimo servizio impossessandosi dello stabilimento di Mongiana. Si rese zelante nel ridare l'ordine e la calma a molti paesi della provincia che erano travagliati dalle continue reazioni e dal flagello del brigantaggio, tanto da far uscire dai petti dei beneficati contadini, un grido che lo appellava "Benemerito della Patria e terrore dei briganti". Si distinse nell'aver sedato la reazione in Maropati, Serrata, con la sola sua compagnia di Guardia Nazionale, per il concorso principale dato a Cinquefrondi, San Giorgio Morgeto, Cittanova, Laureana di Borrello e per la uccisione del celebre Mittica, distruggendone anche la compagnia sempre col solo aiuto della Guardia Nazionale posta sotto il suo comando.
Per le sue brillanti azioni patriottiche, per l'amore che profuse per la rinascita dell'Italia, per il suo filantropismo, dal Gran Comando Militare del tempo, è stato decorato con medaglia d'argento al valor militare. A quest'uomo va il nostro ricordo, a questo galatrese che onorò la Calabria, il suo paese e l'Italia intera.


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Antonio Martino (28.9.01) POESIE DI MARTINO EDITE DA MONDADORI - Ultimamente le Edizioni Mondadori di Milano hanno inserito in una loro elegante pubblicazione in tre volumi della collana "I Meridiani", dal titolo "La poesia in dialetto", curata da Franco Brevini, alcune poesie del noto prete liberale galatrese Antonio Martino, vissuto nel XIX secolo. I testi del Martino a cui i curatori si rifanno sono quelli risalenti alla pubblicazione curata nel 1975 da Rocco Distilo e Silvia Carrera, edita dalle Officine Meridionali di Roma, intitolata "Poesie Politiche" e a suo tempo recensita dal settimanale "L'Espresso". Per saperne di più sul prete liberale, che morì liberale deluso nel 1884, cliccare sul link Galatro ieri e oggi.

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(28.10.01) L'ASILO DI MENDICITA' "ALFONSO DEFELICE PROTOPAPA" - Alfonso Defelice Protopapa, galatrese vissuto nel XIX secolo, è stato il fondatore dell'Asilo di Mendicità, a lui stesso intitolato ed in piena attività fin quasi al 1933. L'Asilo è stato istituito e fondato nel 1887 per volere appunto del Defelice in seguito ad un suo testamento del 1° marzo 1871, poco prima che morisse, rogato dal notaio Nicolantonio Albanese.
Tale asilo sorgeva nella sezione Montebello di Galatro e, precisamente, sulla via Diaz in un caseggiato di proprietà dello stesso Defelice, composto di cinque comodi ambienti più servizi, atto ad accogliere dai 15 ai 20 disabili del paese.
Il testamento, nel suggerire gli scopi, dettava i mezzi di sostentamento dell'istituzione, consistenti nella rendita annua di lire 2.000 che doveva essere pagata dall'erede, sorella del fondatore, suor Maria Carmela Defelice e, dopo la morte di questa, dai suoi successori Francesco Barone e Francesco Paolo Condemi. E ciò fino a quando questi due eredi non avrebbero estinto la somma di lire 19.225 che ciascuno di essi doveva al Defelice. A questa somma bisognava aggiungere lire 500 annue che il Barone doveva versare a parte per il debito di due appezzamenti di terreno che deteneva in fitto.
Da tutto questo si deduce, quindi, che per molti anni erano assicurati i mezzi di sostentamento dell'istituzione senza aver bisogno di ricorrere a contributi dei vari enti o di privati cittadini.
Iniziò a funzionare nel 1887, retto da una scrupolosa amministrazione composta dai signori: dott. Nicola Garigliani, presidente, sig. Francesco Antonio Cannatelli, segretario, dall'arciprete Raffaele Buda e Carmelo Lamanna, consiglieri. L'istituzione accoglieva 20 poveri inabili del paese che venivano assistiti amorevolmente con cibi, vestiari e assistenza medica. Tale istituto chiuse i battenti verso la fine dell'anno 1933 e, precisamente, dopo la morte del sig. Rosario Cordiani, il quale finché visse, coadiuvato dal podestà del tempo, cav. Enrico Ferrari, non tralasciò di portarla avanti, con quell'amore che lo distingueva, tenendo conto di quanto il fondatore Defelice aveva lasciato scritto nel testamento.
Dopo la chiusura, sia l'edificio che gli appezzamenti dei terreni passarono di proprietà dell'Amministrazione Comunale di Galatro. L'edificio, da molti anni, è adibito ad aule scolastiche, mentre le terre sono state coltivate, per un certo periodo, dal Comune e, successivamente, vendute a privati cittadini.


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(20.11.01) IL LIBERO ARBITRIO TRA FISICA QUANTISTICA ED ESPERITO INDIVIDUALE (di Francesco Zoccali) - Siamo veramente artefici del nostro destino? Siamo veramente liberi di autodeterminarci? Della questione, che ai più appare banale, si sono occupati la teologia e la filosofia prima, poi la psicologia e da ultime le neuroscienze e l'informatica con coinvolgimento anche della fisica quantistica che rappresenta l'ultima frontiera fisica della conoscenza della materia. Alla luce di tutte le conoscenze apportate da queste scienze, esclusa la teologia, risulta a tutt'ora indeterminabile se in realtà siamo veramente liberi o siamo invece condizionati da fattori genetici, ambientali, caratteriali, ecc. In una recente intervista sulla rivista scientifica 'Newton' la dottoressa Rita Levi Montalcini fa trasparire come l'uomo sia in realtà condizionato soprattutto dagli eventi che riguardano la sua primissima infanzia e come il libero arbitrio sia illusorio. Il problema si riduce alla diatriba tra determinismo ed indeterminismo: i fautori del primo sostengono che tutto, e quindi anche il libero arbitrio, è determinato da leggi fisiche e nemmeno l'uomo può intervenire sui fatti perché è esso stesso soggetto al determinismo; i fautori del secondo sostengono che non esiste un determinismo assoluto e che, ad esempio, anche il caso può avere la sua parte nell'evoluzione dei fenomeni, da qui la possibilità che l'uomo possa modificare delle condizioni a contorno dei fenomeni e dunque influenzarne l'evoluzione con il proprio libero arbitrio. Anche tra le persone comuni, che vengono fatte riflettere sulla questione, vi sono coloro i quali credono fermamente di essere gli autori del proprio destino e coloro i quali invece credono più passivamente in un destino predeterminato. Alla luce degli studi di tipo filosofico, psicologico, biologico, informatico, anche in ottemperanza agli ultimi sviluppi della fisica quantistica, come dicevo, non è ancora possibile avere alcuna certezza al riguardo e la questione resta aperta in tutte le discipline con tutto il fascino che suscita nelle persone più sensibili al riguardo. Nel testo integrale vengono approfonditi quegli indizi che ognuno di noi può sperimentare e che ci potrebbero far pensare alla possibilità che il libero arbitrio non esista: Vi è un approfondimento che riguarda la possibilità che la mente poggi su fenomeni quantistici per i quali, ancora, sarebbe ipotizzabile l'illusorietà del libero arbitrio.
*Chi è interessato ad approfondire l'argomento può continuare a leggere sotto il "Testo di approfondimento".

Testo di approfondimento.

Se ci dicessero che il nostro libero arbitrio è una nostra illusione, probabilmente saremmo portati a sorridere di tale assurda affermazione. Siamo talmente convinti della nostra libera capacità di decidere il nostro destino e di decidere il nostro comportamento nelle varie situazioni, da considerare in genere semplicemente ridicola la precedente affermazione. In realtà il problema è ben più grande di quanto la nostra esperienza quotidiana ci fa apparire. La questione del libero arbitrio è da tempo appannaggio della filosofia, della teologia e ultimamente anche delle neuroscienze, dell'informatica e, da ultima, coinvolge persino la fisica quantistica che è quella branca della fisica che si occupa del comportamento delle più piccole componenti della materia che compongono i nuclei e gli elettroni degli atomi, e sono talmente piccole da poter essere studiate quasi solo a livello teorico e matematico, senza quasi poter avere un riscontro fisico, materiale, di esse.
Partiamo un po' più da lontano ed analizziamo i nostri vissuti quotidiani: anche se siamo convinti della nostra piena libertà di agire, sempre nell'ambito del rispetto delle regole morali del tempo, non possiamo negare che quando siamo in preda alla rabbia o magari all'odio o al pervasivo sentimento dell'innamoramento o all'ansia, siamo talmente presi da questi sentimenti che avvertiamo come essi vengono dal profondo del nostro intimo piuttosto che da una nostra libera decisione razionale e cosciente. Quindi siamo costretti ad ammettere, nostro malgrado magari, che almeno in alcune circostanze non siamo del tutto liberi, bensì condizionati da un qualcosa di profondo, che emerge in questi casi, scevro da ogni condizionamento della volontà.
Volendo estendere il discorso ad altre situazioni quotidiane io credo che analizzando un po' in profondità le nostre decisioni più disparate non possiamo negare che, per quanto vi siano delle elaborazioni coscienti che facciamo nel decidere, c'è sempre un 'non so che', una specie di impulso, un guizzo che, per un attimo, magari a volte anche a scapito dei nostri ragionamenti, ci fa all'improvviso prendere una decisione piuttosto che un'altra. Ciò fa riflettere quantomeno sul fatto che dietro le nostre decisioni c'è qualcosa di più che non solo la libertà di azione, c'è cioè il mondo delle emozioni, che non dipendono dalla nostra volontà. Per dirla con Freud c'è tutto il mondo dell'inconscio, cioè di quella marea di processi cerebrali che sfuggono alla nostra attività cosciente.
Nel momento in cui prendiamo una decisione nella nostra coscienza, in realtà c'è tutto un mondo che sottostà a tale decisione. La nostra coscienza, cioè la nostra capacità, a quanto sembra peculiarità del solo uomo, di percepire la nostra individualità come ente che percepisce la realtà esterna e vi opera, è solo una parte dell'attività del nostro cervello che in realtà coi suoi circuiti neuronali, composti da miliardi di cellule nervose che comunicano tra loro trasmettendo l'informazione per via elettrica e chimica, opera una miriade di elaborazioni di cui non abbiamo traccia. Basti pensare a tutti i processi mentali che decodificano gli stimoli esterni per renderli alla nostra coscienza, che sono a noi sconosciuti ed inaccessibili. Allo stesso modo si può pensare a tutti i processi mentali che sottostanno all'emergere dei nostri sentimenti. Noi percepiamo solo il sentimento ma non sappiamo perché e da dove proviene.
Dato allora che una miriade di processi mentali hanno corso al di fuori della nostra coscienza e addirittura determinano oggettivamente la nostra stessa coscienza, perché non pensare che tali processi influenzino anche il nostro libero arbitrio che si materializza appunto nella coscienza?
L'idea di fondo sarebbe quella che filosoficamente si può indicare come determinismo e che si oppone all'idea di indeterminismo. In pratica il determinismo porta a considerare il cervello come una macchina che obbedisce a rigide regole fisiche e chimiche ben determinate. Nulla si può allora contro tali leggi. Esse determinano appunto l'evolversi della macchina pensante istante per istante e con essa determinano dunque anche la coscienza e contemporaneamente anche il libero arbitrio. E' ovvio che in una tale ipotesi non ha alcun senso parlare di effettivo libero arbitrio.
L'idea dell'indeterminismo contrariamente afferma invece che la nostra coscienza ha oggettivamente la capacità di modificare i circuiti neuronali rendendo possibile il libero arbitrio. In questo caso, ad ogni modo, c'è da tenere presente che il nostro arbitrio sarebbe comunque soggetto a delle componenti, come il nostro carattere, le nostre esperienze, l'emotività, che sfuggono da esso; in questo caso insomma la nostra libertà di decidere è pur sempre condizionata da eventi che noi non possiamo decidere, quindi si tratterebbe di uno pseudo libero arbitrio. A questo punto potremmo parlare di quello che io chiamerei un super libero arbitrio, questo non è il nostro semplice libero arbitrio cosciente ma è tale da comprendere in sé sia quest'ultimo e sia una capacità libera generica della nostra mente. In sostanza, la libertà del libero arbitrio cosciente assieme alla libertà generale della mente di produrre il carattere, le emozioni ecc. determina appunto un super libero arbitrio che trascende quello cosciente ma conserva la caratteristica di essere libero. Esso però quindi non è determinato a livello di coscienza ma a livello generico di mente. In sostanza la libertà che si riscontra non è quella della coscienza ma quella più generica della nostra mente nel suo complesso. In questo caso sono sempre 'io' a decidere liberamente ma non l''io' che sperimento coscientemente bensì l''io' esteso dell'insieme della mia parte cosciente e di quella inconscia.
La questione del libero arbitrio è ben più profonda dunque di quanto si possa comunemente pensare ed è ancora una volta valido il concetto per cui "l'apparenza" (la libertà decisionale nella fattispecie) "inganna". Vi sono state e vi sono a tal proposito due correnti su menzionate che difendono le loro posizioni ad oltranza. In un recente articolo sulla rivista scientifica 'Newton' la dottoressa Rita Levi Montalcini, esimia eminenza nel campo della biologia, alla domanda posta dalla redazione del giornale: 'L'uomo è veramente libero di fare ciò che vuole, o il suo comportamento è condizionato dalla struttura genetica e neurologica del cervello?', ha risposto col messaggio: 'La nostra specie ha avuto origine dall'Eva africana. Alla stessa Eva è affidato il futuro del genere umano'. Ciò sintetizza bene il suo pensiero per quanto riguarda il libero arbitrio. In dettaglio la Montalcini dice: 'Rifiutato un rigido determinismo tipico delle forme viventi inferiori, è ugualmente messo in dubbio il possesso del libero arbitrio, che risulta illusorio. L'adulto, infatti, è condizionato nel suo comportamento dai messaggi recepiti durante l'intero arco del suo ciclo vitale e, in particolare, in quello così formativo della prima infanzia'.
Al di là del parere di questo esperto risulta che anche tra persone comuni, che per qualche ragione si sono interessate un po' più a fondo del problema, vi sono le medesime differenze riscontrate tra gli esperti: vi sono coloro che hanno un certo successo e ottimismo e che, per un riflesso psicologico, pensano di essere i soli artefici del proprio destino; e vi sono anche coloro i quali, a causa di altre influenze di tipo psicologico, affermano invece che esiste solo il destino e l'uomo non lo può modificare.
Il libero arbitrio all'interno della teologia assume una valenza molto importante attorno alla quale si impernia la vita terrena del credente. Nella concezione divina dell'uomo esso è necessariamente del tutto libero nelle proprie decisioni e scelte morali. Ciò grava di una grossa responsabilità l'uomo durante la sua breve vita terrena. Egli può decidere di adempiere o meno i precetti divini essendone o meno interiormente convinto e aprendosi o meno la strada verso la beatitudine eterna.
Dal punto di vista delle neuroscienze mi viene in mente un articolo, che fa davvero riflettere, apparso su una rivista scientifica qualche anno or sono. Si tratta della descrizione di un esperimento effettuato su dei volontari: essi sono sottoposti ad un apparecchio di screening della attività cerebrale tipo la risonanza magnetica nucleare che fa vedere istante per istante quali parti del cervello si attivano in conseguenza ad esempio di un particolare stato emotivo del volontario. Ebbene, è stato chiesto ai volontari di decidere un'azione, ad esempio quella di afferrare un oggetto, e si è sperimentato che già alcuni millisecondi prima che si attivassero le aree neuronali relative al prendere la decisione vi erano già delle altre aree neuronali che stavano già attivando i circuiti motori che nella fattispecie facevano allungare il braccio al volontario. In sostanza dunque da tale esperimento se ne dedurrebbe che prima ancora del nostro atto di prendere una decisione, viene già programmata l'azione da fare. Ciò significherebbe dunque che, sia l'azione volontaria di prendere una decisione, sia l'azione effettiva da fare, sono preprogrammate da strati profondi del cervello e non sono affatto la seconda conseguenza della prima.
Vi chiederete forse che nesso abbia la fisica quantistica con il libero arbitrio. Ebbene il nesso c'è ed ha pure una forte valenza. Ci troviamo qui alle ultime frontiere della conoscenza fisica della materia, quella fisica cioè che studia le particelle più piccole degli elettroni e dei protoni che compongono l'atomo e sulle quali spesso non è possibile effettuare delle misure come quelle delle loro masse o velocità, ma si fanno solo ipotesi matematiche sul loro comportamento. In base a queste ipotesi si cerca di prevedere il comportamento di queste particelle in particolari fenomeni fisici e di confrontare i risultati teorici con l'esperimento. In sostanza dunque si tratta di congetture matematiche come è necessario che sia, visto che questi enti non sono certo palpabili con mano, non sono cioè entità direttamente osservabili con i nostri sensi o con le apparecchiature disponibili.
La fisica quantistica, nel suo rendere conto dell'infinitamente piccolo, mette pure in risalto alcune 'stranezze' della materia (o delle entità che vi sottostanno). Emblematico è l'esempio del 'gatto di Schrödinger': ragionando con la fisica quantistica accade che, supponendo di mettere in una scatola chiusa un gatto ed una fialetta di arsenico e facendo ipoteticamente in modo che la fialetta si rompa a seconda se una particella subatomica emette o meno una radiazione elettromagnetica, ebbene dovrebbe accadere che all'interno della scatola il gatto sia contemporaneamente vivo e morto. Certo si arriva qui ad ipotesi che esulano dal nostro ragionare comune, ma lo scopo della fisica, delle scienze e della filosofia è quello di dare conto della realtà anche se ciò comporta il dover travalicare il nostro senso comune, alla ricerca spassionata della coerenza del tutto piuttosto che della coerenza relativa del nostro relativo raziocinio (si pensi a titolo d'esempio alle grandi difficoltà causate alla nostra logica comune da parte della relatività dello spazio e del tempo teorizzata da Einstein). Oserei dire che, in particolare la filosofia, nel suo parossistico tentativo raziocinante di inquadrare la realtà secondo angolazioni panoramiche diverse dall'ottica comune, più generali e più assolute, realizza di fatto la sua essenza nell'andare oltre i limiti della nostra mente sconfinando anche in territori che nell'oggi ci appaiono assurdi o incomprensibili. Tornando al 'gatto', in pratica il paradosso è conseguenza del fatto che grazie al 'principio di indeterminazione di Heisenberg' si sa per certo che non è possibile misurare con assoluta certezza contemporaneamente la velocità e la massa di una particella elementare. Ora, questa indeterminazione non è solo dovuta ad una mancanza di mezzi precisi da parte dei fisici per misurare queste grandezze fisiche ma, cosa sorprendente, questa indeterminazione è considerata effettivamente oggettiva ed intrinseca alla materia da parte dei fisici ufficiali (vi sono altre correnti minoritarie di fisici che criticano questi concetti). In sostanza questo significa che la materia non è deterministica in questi aspetti ultramicroscopici, che è come dire che la materia infine non obbedisce a leggi deterministiche e precise ma ha un certo grado di indeterminatezza, ed è proprio questa indeterminazione della materia che in sostanza porta il 'gatto' ad essere contemporaneamente vivo e morto. In sostanza la particella nella scatola non ha uno stato quantico definito ma ha vari stati diversi contemporaneamente e quindi emette e contemporaneamente non emette la radiazione e così il gatto, la cui vita dipende dall'emissione del raggio, è vivo e morto contemporaneamente. Non finisce qui! Nel momento in cui un osservatore apre la scatola, semplicemente 'osservando' il gatto, ecco che per incanto la materia, data l'osservazione oggettiva, diventa deterministica e quindi la particella elementare sarà 'costretta' ad assumere uno stato preciso, cioè emette oppure no una radiazione ed in conseguenza di ciò il gatto noi effettivamente lo vedremo o vivo o morto a seconda dello stato che ha assunto la particella nell'istante in cui la abbiamo osservata. Si è arrivati ad ipotizzare persino i luoghi all'interno del neurone dove ha effetto il fenomeno quantistico: si tratta dei microtubuli. Essi sono delle molecole che costituiscono l'impalcatura della cellula, e quindi anche del neurone, dell'ampiezza di circa un nanometro, un miliardesimo di metro. Questi microtubuli possono avere lo stato di 'eccitato' o 'inibito' e comunicano tra loro all'interno di un singolo neurone. Quindi al di sotto della comunicazione tra neuroni vi sarebbe una più complicata comunicazione dei microtubuli dove si verificherebbero fenomeni quantistici. L'importanza dei microtubuli, e la possibilità che all'interno di essi si verifichino le 'stranezze' della fisica quantistica, è dovuta alla scoperta di Stuart Hameroff che ha notato come durante l'anestesia, e quindi in assenza di coscienza, gli elettroni all'interno dei microtubuli sono inibiti. Va da sé quindi che i microtubuli con i loro elettroni sono determinanti per la coscienza e dunque anche per il libero arbitrio e, dato che vi sono coinvolti gli elettroni, necessariamente vi sono coinvolti fenomeni quantistici. Come si può notare, tutto ciò infligge un colpo fatale al determinismo di cui abbiamo parlato e di conseguenza ciò sembrerebbe confermare che la mente è pure essa indeterministica e non una macchina che obbedisce a leggi precise predeterminate, e che sia possibile dunque il libero arbitrio. Ma in realtà non è così poiché sorge il problema seguente: supponendo che il cervello si basa esso stesso su effetti quantistici, come tutta la materia, quando la coscienza prende una decisione va a 'sondare' per così dire certi stati quantici delle strutture più intime del cervello (i microtubuli); questi stati quantici finchè non vengono 'sondati' sono indeterminati, ma nel momento in cui la coscienza li andrebbe ad 'esplorare', allora essi assumerebbero in conseguenza uno stato ben preciso, e questo stato determinato sarebbe assunto allora, come nel caso del 'gatto', a causa dell'intervento esploratore, ma sarebbe indipendente dalla 'sonda', cioè la particella elementare assumerebbe un ben preciso stato a causa della 'sonda' ma il valore preciso che assumerebbe non dipenderebbe dall'intervento della 'sonda'. In teoria dunque la volontà potrebbe innescare quantisticamente l'atto di decidere qualcosa, ma il particolare stato assunto dalle particelle elementari, che determinano poi il funzionamento della mente e le decisioni che prendiamo, non dipenderebbero dalla coscienza e dunque dalla volontà.
Naturalmente il tutto si presta sicuramente a varie interpretazioni, soprattutto di tipo filosofico visto che la scienza ha molti lati oscuri riguardo il funzionamento della mente. Ad ogni modo la fisica quantistica ci dà un ulteriore indizio 'materiale' che la filosofia non poteva contemplare.
Sta di fatto, ad ogni modo, che la questione del libero arbitrio e della capacità di audoterminarsi è del tutto aperta e, tra l'interesse di alcuni e l'indifferenza di altri al problema, coinvolge teologia, filosofia, psicologia, fisica, chimica, biologia e neuroscienze ed anche l'informatica poiché nel campo dell'intelligenza artificiale vi sono anche gli informatici che, nel cercare di costruire computer capaci di apprendere come l'uomo, non possono non occuparsi tra l'altro della coscienza e del libero arbitrio. In particolare gli informatici sono mossi da un grande ottimismo nel riuscire a simulare il pensiero umano con annessi e connessi, poiché affermano che mente e cervello corrispondono ad hardware e software del computer e di conseguenza, in base al principio di Touring, secondo cui ogni computer può essere simulato da un altro con un particolare software, anche il 'computer mente' può essere simulato da un qualsiasi computer, a patto che si individui il software adeguato. Indubbiamente gli informatici forse sono un po' troppo ottimisti nell'impresa ma così deve essere, altrimenti essi non sprecherebbero anni di studio in un'impresa ritenuta a priori disperata.
Alla luce di tutto ciò, credo che sia piuttosto doloroso per l'uomo dover ammettere che, nonostante i raggiunti traguardi supertecnologici, non ha modo di sapere scientificamente se è effettivamente libero in ogni sua manifestazione e anelito, o è invece condizionato da variabili ineluttabili ed immodificabili. Ad ogni modo, in attesa che le scienze ci diano una qualche risposta, bisognerebbe quantomeno andarci cauti nel pronunciare ad alcuno la classica frase 'con la volontà si può ottenere tutto'.
Francesco Zoccali


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San Nicola di Bari (8.12.01) SAN NICOLA: IL MIRACOLO DEL 1861 A GALATRO - Si tramanda che sulla vecchia strada che conduce all'antico Stabilimento Balneare, negli anni intorno al 1850-51 esisteva una macchina olearia all'altezza della casa appartenente ai signori Penna, oggi proprietà del Signor Biagio Lamanna. Non si conoscono i proprietari del frantoio del tempo di cui si parla, ma si sa che in quella macchina olearea venivano molite, sempre col vecchio sistema ad acqua, la maggior parte delle olive che si producevano nel territorio di Galatro.
Nell'anno 1861, all'approssimarsi della festa di San Nicola, alcuni operai addetti volevano che il giorno di San Nicola, 6 Dicembre, non si lavorasse in onore al Santo patrono di Galatro. Altri operai, però, si opponevano dicendo che il frantoio era situato non nel territorio della parrocchia di San Nicola, ma in quello della Montagna. Nell'apposita riunione degli operai, per decidere se bisognava lavorare o meno il giorno 6, si stabilì che bisognava lavorare, per cui il 6 dicembre, come tutti gli altri giorni, alle ore 4 del mattino, tutti gli operai erano presenti sul posto di lavoro per dare inizio alla consueta giornata lavorativa.
Messi in azione i macchinari, questi funzionarono per circa un'ora e mezza. Verso le 5 e mezza, improvvisamente, la ruota porziana, la ruota maggiore della macchina idraulica, si fermò anche se "u cannedaru", la doccia della cateratta del mulino donde l'acqua si sprigiona nelle pale per far azionare le molitrici, continuava a scorrere regolarmente. Nonostante i vari interventi degli stessi operai e di alcuni specialisti in materia, fu impossibile avviare i macchinari.
Prevedendo qualche cosa di straordinario, i frantoiani decisero di chiamare l'arciprete della parrocchia della Montagna, perchè benedicesse i macchinari. L'arciprete D. Nicola Defelice, al tempo parroco della parrocchia di Maria SS. della Montagna, vestito di cotta e stola, accompagnato dal sagrestano, si recò presso quel frantonio e benedisse i macchinari. Grande fu la sorpresa quando, dopo la benedizione, quei macchinari incominciarono a funzionare come se nulla fosse successo.
Allora tutti capirono che San Nicola, per la sua festa onomastica, voleva che non si lavorasse, per cui il frantoio fu chiuso rimandando il lavoro al giorno seguente. Tutti gridarono al miracolo, compreso lo stesso arciprete Defelice, il quale volle, quel giorno, tenere l'orazione panegirica nella chiesa di San Nicola per tessere l'elogio del Santo e per dare testimonianza del miracolo operato.


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