MAPPA METEO RECAPITI UTILI MERCATINO FOTO CODICE FISCALE PAGINE RADIO GALATRO IERI E OGGI FIRME
Archivi Generali  
< 2008 Cultura 2009 gen-giu 10 >

17.1.09 - De Andrè, voce di chi canta nel deserto dei nostri tempi
di Antonio Sibio

20.1.09 - Interessante performance poetico-musicale
Biagio Cirillo e Angelo Papasidero

24.1.09 - I fimmani a la hjumara
Biagio Cirillo

27.1.09 - Ancora una realizzazione poetica e canora
Biagio Cirillo e Angelo Papasidero

29.1.09 - Reitano, testimone di una Calabria
Massimo Distilo

4.2.09 - Le ragioni della fede
Domenico Distilo

9.2.09 - Il Gruppo: una voce della nostra comunità
Michele Scozzarra

18.2.09 - "Grazi Signuri e Madonna"
Carmelo Di Matteo

23.2.09 - Nicola Sergio su TeleRadioStereo

26.2.09 - Una canzone sulla Shoah
Angelo Papasidero

27.2.09 - Una mia nuova poesia
Biagio Cirillo

7.3.09 - Versi per un amico
Biagio Cirillo

12.3.09 - Romualdo Lucà vince il concorso "Il volo di Pégaso"

21.3.09 - Una poesia sul pianto
Biagio Cirillo

30.3.09 - L'orgoglio per il proprio passato come valore e come risorsa

2.4.09 - Tre giovani talenti matematici

13.4.09 - E' di Sandro Distilo la miglior colonna sonora

7.6.09 - Come io vedo Galatro...
Bartolo Furfaro

9.6.09 - Nel pianoforte jazz di Nicola Sergio risuonano le arie di Cilea
Massimo Distilo

17.6.09 - Nato Randazzo, giovane pittore paesaggista che dipinge Galatro
Carmela Carè

27.6.09 - 'U carvunaru
Biagio Cirillo

5.7.09 - Mi chiamavanu tizzunedhu e su' figghiu i carvunaru
Guerino De Masi

7.7.09 - Una visita di monaci greco-bizantini a Galatro dieci anni fa
Umberto Di Stilo

15.7.09 - Cu 'a zzappa e' mani
Biagio Cirillo

28.7.09 - Paisi bellu
Biagio Cirillo

19.8.09 - Le antiche confraternite religiose di Galatro

28.8.09 - Gita al Convento con poesia
Biagio Cirillo

29.8.09 - "Cilea mon amour" su Radio King

2.9.09 - Una vecchia Galatro si ribella alla Lega

11.10.09 - 'A nostalgia
Biagio Cirillo

17.10.09 - Due reportage da Buenos Aires
Pina Lamanna

23.10.09 - Bruno Pablo Zito recita con Veronica Castro

26.10.09 - L'italiano nel mondo: un bagaglio di cultura
Pina Lamanna

28.10.09 - La Settimana di Calabria 2009 a Buenos Aires
Pina Lamanna

8.11.09 - Incontro con Roberto Vecchioni al Liceo Scientifico di Cittanova
Carmelita Agostino

25.11.09 - Nu paisi, na famigghia
Biagio Cirillo

5.12.09 - La Principessa Evelina Colonna di Galatro

8.12.09 - Risorgimento: la protesta dell'abate Martino
Michele Scozzarra

11.12.09 - Complimenti per Radio Galatro in onda e poesia per Natale
Biagio Cirillo

16.12.09 - Ricordando Ettore Alvaro: poeta e figlio di Galatro
Michele Scozzarra

17.12.09 - Nicola Sergio firma per la Challenge Records International

22.12.09 - "Vorrei" un buon Natale
Biagio Cirillo





Fabrizio De André (17.1.09) DE ANDRE', VOCE DI CHI CANTA NEL DESERTO DEI NOSTRI TEMPI (di Antonio Sibio) - Dieci anni fa ci lasciava uno dei più grandi poeti della musica italiana.
Colui che, insieme a pochi altri, è riuscito ad elevare la canzone a poesia, la musica ad arte.
Nei giorni passati si sono sprecati gli avvenimenti per ricordare il grande Fabrizio De Andrè, come sempre accade in Italia in occasione di qualche anniversario. Eppure negli anni novanta si è scoperto che De Andrè e la sua compagna furono spiati ed intercettati per quasi dieci anni(dal ’69 al ’79) dai servizi segreti di questa Italia bigotta che allora come oggi si spaventa ogni qual volta si trova di fronte ad una voce fuori dal coro. Soprattutto se è una voce forte, che parla di valori che colpiscono la gente comune quali la pace, l’uguaglianza, la libertà, il rispetto dell’altro.
Una voce indipendente, o ancor meglio anarchica, termine che De Andrè sentiva suo.
Una voce che parlava dei poveri, degli sconfitti, degli ultimi.
Di quella parte di società che la società stessa faceva fatica a vedere e tanto più ad accettare.
E ne parlava proprio a loro, a coloro ai quali più si sentiva vicino e con i quali non perdeva occasione di stare insieme, seduto in qualche bettola ad ubriacarsi o disteso in un letto dentro qualche casa di via del campo. Lui, figlio di un imprenditore, cresciuto in una famiglia borghese della Genova bene, ha ben presto capito che non era quello l’ambiente adatto ad un animo inquieto qual era il suo. Aveva bisogno di sentirsi vivo, di trovare la vera vita, quella che appartiene a chi con la vita fa i conti tutti i giorni. De Andrè era dichiaratamente ateo, ma questo non vuol dire che non cercasse la Verità che esiste oltre la vita. Si ispirava spesso ai vangeli apocrifi per poter integrare (non sostituire), alla storia che i vangeli canonici ci hanno tramandato, quel qualcosa in più affinché la Verità potesse essere più accessibile e comprensibile anche all’uomo comune.
Uno dei tanti esempi potrebbe essere “Tre madri” (inserito nell’album “La buona novella”, del 1970), dove De Andrè racconta il dramma della crocifissione attraverso il dolore che vivono le madri dei tre condannati, ovvero Gesù ed i due ladroni Tito e Dimaco.
Oggi l’Italia tutta piange la perdita di questo grande poeta, ma presto si tornerà a dire che “era si bravo, ma un po’ troppo pesante”, oppure “le canzoni son belle, ma dopo averne ascoltate un paio bisogna smettere perché o ci si addormenta o ci si taglia le vene…”. Questo è il pensiero su De Andrè che ho riscontrato in molte persone, che adesso ovviamente tacciono perché certe cose non si possono dire mentre tutta la nazione lo commemora. Ma questa “pesantezza” delle sue canzoni non è altro che la pesantezza della realtà in cui viviamo, che oggi tutti noi cerchiamo di evitare ma che ci si presenta davanti in ogni occasione. Oggi non si può dire “non sapevo”, perché le nuove tecnologie ci informano in tempo reale di tutto ciò che accade nel mondo. Sta a noi avere il coraggio di non cambiare canale e di prendere coscienza di ciò che accade intorno a noi. Ma purtroppo a guardarsi in giro ci si accorge che c’è più interesse a seguire la moda, andando in giro a mostrare la marca delle proprie mutande piuttosto che capire perché a Gaza c’è una guerra (o forse sarebbe più corretto dire un eccidio) che in poco tempo ha portato a raggiungere le 1000 vittime, più o meno la gente che realmente c’è a Galatro durante l’anno, tanto per farsi un’idea. Aspettiamo con ansia l’uscita sul mercato dell’ultimo modello di cellulare e corriamo a comprare i-pod ed i-phone ma poi non pensiamo a chi nel mondo non ha nemmeno di che vivere ogni giorno, non pensiamo ai bambini soldato in africa o a quelli sfruttati e venduti in Asia. Siamo circondati da un sistema che ha la pretesa di farci intendere che la vita è solo una corsa sulla strada del consumismo.
Mica possiamo fermarci a pensare alla crudeltà della guerra o allo sterminio di popoli e culture.
I poveri non ci riguardano, siano essi nel terzo mondo o fuori dal portone di casa nostra.
Come non ci riguardano sentimenti puri e forti come l’amore per il prossimo, il bene per gli amici, il perdono per i nemici o comunque la comprensione e l’accettazione di chi è diverso da noi, fosse una diversità sociale, razziale o religiosa.
D’altronde questi sono concetti vecchi di 2000 anni.
Ci ha provato tanto tempo fa Gesù ad insegnarceli, a guardar oggi con scarsi risultati.
Ci ha provato De Andrè a cantarceli ma quello, dopo tre canzoni, diventa pesante...

Nella foto in alto: il cantautore Fabrizio De André.


Torna ai titoli


(20.1.09) INTERESSANTE PERFORMANCE POETICO-MUSICALE (Biagio Cirillo e Angelo Papasidero) - Vi proponiamo una interessante performance poetica e musicale realizzata da Biagio Cirillo ed Angelo Papasidero: una poesia del primo (da noi pubblicata tempo fa e di cui riportiamo il testo qui sotto) è stata dal secondo trasformata in canzone con accompagnamento di chitarra. Il risultato ci sembra proprio niente male. Giudicate voi stessi.

Ascolta il file audio (WAV) 2,66 MB
'A mamma e a criatura

Vaci a la missa la mamma mia,
vaci a la missa e prega pe mmia,
nci cerca o’ Signuri com’avi a fari
pe sta criatura chi avi ammazzari.

Chi futuru nci dugnu, Madonna mia,
non aju mangiari mancu pe mmia,
non aju nenti e mancu dinari,
dimmillu tu com’aju a fari.

Ch'eni egoista sta mamma mia,
penza a tuttu tranni c’a mmìa,
non voli mancu pemmu ci penza
ca io mu nesciu sugnu cuntenta.

Mi tocca m’aspettu, sugnu angosciata,
cu Bombinellu nci mandu 'a mbasciata:
pensaci mamma, si tu mi teni
pe tutta a vita ti vogghiu beni.

Voi per incantu o pe' telepatia,
sentu cuntenta la mamma mia
chi dici: "grazzi Signuri e Madonna,
mi sentu gia mamma, e puru donna".

Sentu nta panza na criatura
donu cchiù grandi 'i chista natura,
falla mu nesci cu saluti e amori,
sarà la gioia di nui genitori.

Biagio Cirillo
Bolzano 20 Maggio ’08


Torna ai titoli


(24.1.09) I FIMMANI A LA HJUMARA (Biagio Cirillo)

I fìmmani galatrisi d’atri tempi
épparu 'u stringinu forti i denti,
pe' lavari cazi, mutanti e lenzola
e mandari i figghi a' scola.

Porta a bagnera supa la testa
china di panni puru di festa,
supa na petra stricavanu forti
finna a esseri stanchi morti.

Aspetta lu postu, e s'eni occupatu,
intantu pigghia nu pocu di hjatu,
e mentri i panni a petra sbatti
si cuntanu i stori e puru li fatti.

C'e cu' cunta li cosi storti
e cu' si cunta la mala sorti,
c’è cu' parla d'i figghi a scola
e c’è cu canta a squarciagola.

Nui dicimu, parlamu e scherzamu
ma 'e mammi nostri ndi ricordamo,
chi a vita l’épparu tantu dura
e l’affrontaru cu tanta sudura.

Mo i fimmani nd’hannu a lavatrici,
eppuru su tristi e infelici,
hannu puru a lavasciuga
e così u ghiornu di menu si suda.

Biagio Cirillo
Bolzano 12/09/08


Torna ai titoli


(27.1.09) ANCORA UNA REALIZZAZIONE POETICA E CANORA (Biagio Cirillo e Angelo Papasidero) - Nuova realizzazione musicale dell'accoppiata galatrese Cirillo-Papasidero (parole il primo, voce e chitarra il secondo) che, nel suo piccolo, sembra ricalcarne una famosa del passato: Mogol-Battisti. Stavolta è il brano "Paese nel cuore", da noi pubblicato un paio d'anni fa, ad essere oggetto d'attenzione. Anche stavolta, come nella precedente, il risultato ci sembra valido. Ascoltate voi stessi e fatevi un'idea. Riportiamo sempre il testo qui sotto per facilitare l'ascolto.

Ascolta il file audio (WAV) 2,97 MB
Paese nel cuore

Quant’era bellu 'u me' paisi,
cu tutti quanti i galatrisi.
'A sira assettàti avanti a' porta,
cu' 'a dicìa dritta, cu' 'a dicìa storta.
Tanti figghioli, pecuri e crapi
li vidìvi ntra tutti li strati.
Si ghiocava sira e matina,
a pizzicacùlu e a cavadhina.
Nu pezzu di pani e nu pumadoru,
mangiava 'a mamma e puru 'u figghiolu.
Tutti ntra facci avemu 'u sorrisu,
parìa ca eramu o' paradisu.
Gridava forti 'u bandituri:
"vindi 'u vinu cumpari Turi".
Passavano 'i lapi cu pipi e banani,
cu pumadora e melangiani.
Ndindi futtemu girandu pe' strati
cu cazi sciancati e dinocchia scorciati.
Mo stu paisi è assulicatu
comu nu cani vastunighiatu.
E pe' fortuna i galatrisi emigranti
l’hannu ntro cori tutti quanti.
E cu' restau, cu tanta pacenza,
a cu' arriva nci duna accoglienza.
Ghio vi dicu: oh Galatrisi
no vi ndi ghiti 'i stu paisi!
Armenu vui non aviti a penzari:
"u prossimu annu pozzu tornari?"

Biagio Cirillo


Torna ai titoli


(29.1.09) REITANO, TESTIMONE DI UNA CALABRIA (Massimo Distilo) - Era un ragazzo venuto dal nulla, dalle aride terre di Fiumara di Muro, che da piccolino andava a piedi fino a Campo Calabro per imparare a leggere e scrivere da mia madre, allora giovane insegnante. Non aveva avuto particolari appoggi, eppure era riuscito, sul finire degli anni '60, ad arrivare ai vertici della musica leggera italiana, raggiungendo una popolarità incredibile sull'onda delle partecipazioni a Sanremo e Canzonissima.
Aveva studiato musica seriamente ed aveva un istinto melodico ed una vena compositiva fuori dal comune. Il suo successo non era dovuto agli arzigogoli cui ricorrono tanti sedicenti artisti che, specialmente di questi tempi, curano quasi esclusivamente l'immagine e poi magari non sanno fare altro. Reitano era riuscito ad imporsi non perchè avesse mezzi canori eccezionali, come per esempio Al Bano, ma perchè quando cantava riusciva a comunicare e a trasmettere qualcosa di significativo al pubblico. E questo lo si può fare solo se si ha qualcosa dentro, se si ha qualcosa nella propria anima da dire, e Mino di questo materiale prezioso ne aveva a iosa. E' un materiale indispensabile, senza il quale, in campo artistico qualunque capacità tecnica è del tutto inutile.
Mino Reitano era un uomo dalla semplicità e dalla generosità incomparabili, doti che, in tempi nei quali in molti campi vanno di moda la finzione e l'imbroglio, non vengono prese troppo sul serio. Da un bel po' di anni infatti non riusciva più ad imporre come in passato la propria produzione musicale all'attenzione del grande pubblico, in un mercato discografico completamente cambiato rispetto ai tempi di "Avevo un cuore", "Una chitarra, cento illusioni", "Era il tempo delle more", "Meglio una sera piangere da solo".
Ma, come ha detto qualcuno, la gente ha un debole per le cose vere che neanche i più grandi sforzi riescono a nascondere per molto tempo. Basta guardare quanta gente si è mossa per dare l'ultimo saluto a questo testimone della Calabria, di una certa Calabria fatta di gente onesta, capace e generosa, anni luce lontana da coloro che l'hanno ridotta, proprio in questi giorni, ad un ammasso di fango e detriti.
Ciao Mino!

Ascolta il brano
Avevo un cuore (FLV) 2,25 MB

Nella foto: la copertina di un famoso 45 giri di Mino Reitano.

Torna ai titoli


(4.2.09) LE RAGIONI DELLA FEDE (Domenico Distilo) - Vittorio Messori, il più noto scrittore cattolico italiano vivente, ha tracciato in un recente libro-intervista con il vaticanista de il Giornale Andrea Tornielli - Perché credo, Ed. Piemme, 2008, pp. 429, € 20 - il bilancio di quarantaquattro anni (tanti ne sono trascorsi dalla “fatale” estate del 1964 in cui, studente di Scienze politiche e miscredente in una Torino patria di un certo pensiero laico e laicista, ebbe la “folgorazione”) nei quali ha dedicato tutto se stesso all’apologetica, allo sforzo cioè di dimostrare le ragioni della fede traducendo in linguaggio giornalistico, divulgativo per definizione, le più ardue questioni di critica scritturale, filosofia e teologia.
Vittorio Messori Rompere col pensiero laico per Messori non ha significato abiura della ragione, anzi, la critica razionale dei fatti, senza concessioni al fideismo che connota la prospettiva protestante imperniata, com’è noto, sul luterano sola fide, è stata la bussola che ne ha guidato la ricerca fin dai tempi in cui lavorava al libro che lo avrebbe rese famoso, Ipotesi su Gesù, uscito nel 1976. L’alfa e l’omega, il punto di partenza e d’arrivo della vicenda esistenziale ed intellettuale di Messori è la convinzione che la fede sia razionalizzabile, si corrobori cioè con quelli che si possono definire gli esiti di un percorso razionale, per cui non c’è in lui assolutamente nulla del tertullianesco credo quia absurdum - credo per il fatto che credere è assurdo - e lo stesso Mistero, una componente fondamentale ed essenziale del Credo, viene integrato nella prospettiva di una fede razionalizzata, conservato ma in qualche modo privato di fascino e pregnanza esistenziali, ridotto ad elemento di un insieme al cui centro c’è la Chiesa intesa, conformemente all’ortodossia, come unità dei credenti in Cristo e mezzo indispensabile per ottenere la salvezza.
La dimensione sociale, prima che comunitaria, del cattolicesimo risalta, peraltro, in confronto all’individualismo tipico delle varie confessioni protestanti, tutte originate da una critica astratta, da uno studio dei testi sacri che nascendo da una rottura con la tradizione – compendiata nel sola scriptura, l’altro caposaldo della Riforma - dà inevitabilmente luogo ad ottiche unilaterali, a formule di esclusione – la più celebre delle quali è l’aut-aut del protestante Kierkegaard, l’esatto contrario dell’et-et che riassume, nei secoli, il modo d’essere inclusivo del cattolicesimo e della Chiesa di Roma.
L’autore di riferimento di Messori è Pascal, col quale egli sente di avere molto in comune. Il “molto” in comune con Pascal è la perfetta complementarità tra cuore e ragione, il fatto che sia il cuore a dare il là mentre la ragione subentra a rendere, appunto, ragione, a illuminare con la puntuale analisi dei fatti e dei testi (che nella critica biblica, come in ogni ermeneutica, coincidono: i fatti sono i testi e i testi sono i fatti) un orizzonte che è già dischiuso ma che è destinato a restare sempre in “chiaroscuro”, a esigere la scelta esistenziale del credere a mo’ di compensazione di un percorso razionale destinato a restare incompiuto – cioè in-finito, essendo del resto in-finito il suo oggetto e perciò non suscettibile di essere rinchiuso negli angusti limiti della ragione umana: “Dunque, ha ragione Pascal: l’ultimo passo della ragione è riconoscere che vi è un’infinità di cose che la superano”.
Forse è questo il motivo per cui la fede si corrobora col dubbio e si potrebbe dire, anzi, che sia generata dal dubbio, al punto che tra le tre virtù cosiddette teologali troviamo la speranza, il contrappunto dialettico della fede, che, se fosse sola fides, non aderirebbe alla irrimediabile finitezza della natura umana. Seguendo Messori, diciamo allora che la prospettiva cattolica, essendo appunto cattolica, cioè universale, non può non includere i contrari: la fede e le sue visioni beatificanti da un lato; dall’altro la speranza che, non potendo essere certezza, sostiene la finitezza nell’attesa e nella tensione verso l’in-finito.
C’è però un aspetto che nel libro non risalta, forse lasciato volutamente in ombra. Il carattere inclusivo della fede cattolica esige la democrazia quale terreno di confronto delle diverse visioni della polis, la laicità dell’impegno politico dei cattolici quale antidoto ad ogni possibile tentazione integrista, col corollario dell’impossibilità di tradurre immediatamente in scelte politiche e legislative dati la cui universalità non sia riconosciuta dalla coscienza comune. Impossibilità a cui coniugare però la speranza che solo “il tempo che verrà” potrà davvero universalizzare quei dati, rendendoli patrimonio comune e riconosciuto.
Per concludere: un libro da leggere, non foss’altro che per avere contezza dell’universo logico e psicologico di un personaggio esemplare, direi paradigmatico, del cattolicesimo del nostro tempo.

Nelle foto: a sinistra la copertina del libro "Perché credo"; a destra l'autore Vittorio Messori.


Torna ai titoli


(9.2.09) IL GRUPPO: UNA VOCE DELLA NOSTRA COMUNITA' (Michele Scozzarra) - Era il 4 gennaio del 1975, il caro don Agostino Giovinazzo era arrivato a Galatro da pochi mesi, quando venne pubblicato, a cura della Parrocchia San Nicola, il primo numero de “Il Gruppo”: un importante strumento di comunicazione che ha dato voce alla nostra comunità per oltre 5 anni.
Nella presentazione del primo numero si leggeva: “il giornale è frutto di un lavoro collettivo di giovani che frequentano il Centro Giovanile ed è un mezzo per far maturare i giovani a prendere un ruolo di primaria importanza nella comunità parrocchiale, vista nel suo insieme religioso e sociale. Il fine che ci proponiamo non è fare della sterile cultura o sfoggio di nozioni acquisite in modo vario; esso vuole essere uno stimolo a che tutti i giovani si sentano responsabili del ruolo che occupano nella società”.
Il giornale veniva redatto, periodicamente, in occasione del Natale, in prossimità della Pasqua e delle feste patronali e veniva stampato nello studio della casa di don Agostino dove, per l’occasione la stanza veniva trasformata in una piccola tipografia, anzi un piccolo laboratorio, dove ognuno era intento a fare qualcosa: chi a scrivere le matrici, chi a far funzionare il ciclostile, chi ad impostare gli articoli, chi a disegnare la copertina… a pensarci bene, la realizzazione di ogni numero, al di la di tutto, era veramente un grande momento di festa…!
La vera novità di tutto questo lavoro è stata quella di far parlare la Chiesa locale, anche attraverso la penna dei “piccoli” redattori locali che hanno dato tutti il loro contributo alla nascita e continuità del giornale, al punto da poter affermare che ogni uscita era attesa con impazienza dai lettori…
Il Gruppo” è andato avanti per 19 numeri in 5 anni: dal gennaio del 1975 alla Pasqua del 1981 e… su tante cose vale la pena soffermarsi per ricordare…
Mi piace ricordare, per adesso, le copertine… perché ogni copertina era un’opera d’arte, realizzata dal nostro artista Aldo Cordiano, allora giovane studente con la passione per il disegno.
Che dire… appare evidente che le copertine si commentano da sole, anche se mi fa piacere riportare un articolo del prof. Raffaele Sergio, pubblicato ne “Il Gruppo” del dicembre 1979, dove commentava il talento del giovane artista galatrese come di “un caso da non sottovalutare”.
E la pubblicazione del vecchio articolo, a distanza di quasi trent’anni riproposto all’attenzione dei lettori di Galatro Terme News, oltre che un caro ricordo di don Agostino e del prof. Sergio, vuole essere un contributo ed una testimonianza di una creatività ed una tradizione culturale, di cui, senza falsa modestia, possiamo ben dire di poter andare orgogliosi.


UN CASO DA NON SOTTOVALUTARE
di Raffaele Sergio

Provo un vivo senso di soddisfazione rispondere, tramite questo “ottimo” bollettino, alle domande di un giovane che ha tutti i requisiti per meritare la fama di studioso. Cosa vuole sapere?
“Se è vero, come altri dicono, che le composizioni figurative di apparenza poco consolatoria, fin’ora apparse sulle copertine dei vari numeri de “Il Gruppo”, trovano spazio nella cultura artistica ricorrente”.
Devo prima di tutto precisare che il mezzo di informazione, “incolore”, di cui Aldo Cordiano ha condotto le sopracitate copertine, anche se scandito con estrema sobrietà su una qualsiasi opera grafica, non riesce mai a procurare all’osservatore un vero e proprio godimento visivo, specie quando si tratta di mettere in evidenza ansie, tumulti, spasimi o cose del genere. Aggiungo, senza però allontanare il pensiero che l’“incolore” messo in pratica rappresenta il simbolo della mancanza di energia e dell’indecisione, che le stesse copertine si presenterebbero più piacevoli e attraenti se fossero armonizzate, con i dovuti accorgimenti, da tonalità cromatiche.
Comunque non è difficile intuire che gli anonimi “altri”, inconsapevoli di certi fenomeni che si verificano nella vasta sfera delle arti figurative, vedano nelle opere del Cordiano un variare di elementi informi che troverebbe giustificazione solo nel turbamento dei sogni o in quello della paura.
Personalmente sono dell’avviso che Aldo Cordiano, artista galatrese pieno di entusiasmo giovanile e di gran voglia di fare dell’arte, è da qualche tempo alla ricerca di nuove forme e di nuovi contenuti in un’epoca, come la nostra, che va sempre più alla deriva causa il procedere a grandi tappe della pseudo civiltà delle macchine.
Un pannello di Aldo Cordiano in occasione di una festa Ne consegue quindi che gli esseri umani gravati dal destino avverso, fissati sulla carta dal nostro artista con procedimento chiaroscurale di equilibrati contrasti, sono le testimonianze di un discorso, legato a manifestazioni psicologiche caratteristiche della gente del Sud, che denota arte e cultura.
Mi sento di ammettere che mi trovo di fronte ad un caso da non sottovalutare.
Quanto sopra, credo sia sufficiente a convincere il giovane studioso e ad accontentare, almeno per adesso, l’egregio lettore che, a titolo informativo, mi aveva chiesto una più approfondita disamina delle “genuine (parole sue) e significative copertine”.
Credo ora opportuno far cenno a qualche altro interessante particolare valevole per una successiva ricostruzione della personalità del nostro artista.
Tempo fa mi sono incontrato con il Cordiano per un accademico scambio di opinioni intorno alle varie correnti d’arte oggi di moda.
L’argomento relativo all’effettiva validità della scenotecnica, trattato per ultimo in quello scambio, ha determinato il desiderio di chiedermi prima notizie sulla grafica pubblicitaria, poi uno spassionato giudizio, che ho dato in senso buono, su un suo vistoso cartellone esposto in occasione della festa del Carmine, raffigurante, alla maniera decisamente schematica, scorci del paesaggio galatrese.
Lo stesso pannello di Aldo Cordiano in un'altra festa Dinanzi alla mia presenza, un pò invecchiata nei confronti della sua, il nostro artista assumeva un atteggiamento molto garbato e altrettanto leale, mostrandomi così un aspetto positivo del suo carattere. Si notava principalmente dal modo di esprimersi una chiara predisposizione, facilitata dalla prontezza di spirito e di intuito, alla cosiddetta lettura di un’opera d’arte.
Questa, s’intende, non è una trovata a scopo allusivo, ma una realtà constatata che l’amico Cordiano non dovrebbe disconoscere in nessun momento della difficile strada intrapresa.
Ho poi avuto il piacere di ammirare alcuni suoi tentativi di pittura e di scultura, esposti in una stanzetta adibita a studio provvisorio, che hanno richiamato la mia attenzione.
Mentre cercavo di stabilire i punti su cui basare un modesto parere, il nostro artista così prontamente giustificava: “queste opere ne risentono di scolastica, cioè delle prime esperienze acquisite al liceo artistico di Reggio Calabria dove, anni or sono, ho conseguito la maturità”.
Ben diversa, per me, è la dizione.
Quei tentativi, insieme agli schizzi di idee e di immagini conservate in una cartella, guardate con occhio che va al di là di quello dell’autore, rivelano una spontaneità creativa congiunta a un metodo operativo che rifugge da ogni influenza.
Perché, direi a questo punto, il giovane collega, per fare onore al nostro paese, per guadagnare la stima del pubblico e la fiducia della stampa, non decide di allestire una personale?

Aldo Cordiano: copertina per 'Il Gruppo'

Nelle immagini: nella prima in alto e nell'ultima in basso due copertine di Aldo Cordiano per il giornale "Il Gruppo"; nelle due al centro un pannello dello stesso artista utilizzato in due occasioni festive.

Visualizza le altre copertine di Aldo Cordiano per "Il Gruppo":

12345678
9101112131415 


Torna ai titoli


(18.2.09) "GRAZI SIGNURI E MADONNA" (Carmelo Di Matteo) - Colgo l’occasione dei saluti inoltratimi tramite Web da Biagio Cirillo, per riprendere la “penna e scrivere”. E’ un’operazione che farei e che faccio con piacere, solo che il tempo è tiranno e quasi sempre, mi porta a privilegiare non l’hobby, ma il lavoro. Oggi, comunque, non posso dirimermi di ringraziare Biagio.
I rapporti con Lui e la sua famiglia mi rimandano agli anni della mia gioventù, quando aiutavo mio padre nel negozio di generi alimentari,
allora chiamato “maghazzeni”. Era l’unico negozio definito così, pur essendocene in paese un numero consistente. Era indicativo di un locale dove vi era tutto del settore “generi alimentari e diversi”. In rapporto agli anni ed ai tempi potremmo dire un bel supermercato.
Tanti, ricordano ancora il taglio amalfitano di mio padre ed il vociare “Cammelì” di chiamata ad ogni mia fuga in piazza Matteotti a giocare al pallone.
E’ in questo contesto che Biagio mi fa approdare, o meglio e per essere ancora più precisi è la mamma di Biagio che incontrandola a Messa la Domenica, solo al vederla, mi fa rincorrere quel pezzo di storia e mi riporta ai miei genitori dietro quel “bancone” (lo chiamavamo così) del negozio. Mio padre con i clienti aveva un rapporto particolare e stupendo. Io potrei scrivere di tutto e di più. Ma io non sono Biagio e probabilmente finirei per annoiarvi.
Biagio, per l’appunto, è Lui il centro del mio discorrere, lui e il suo cuore, perché è da lì che tutto si fa trasparente e diventa poesia. Mi permetto di fare qualche riflessione.
Sera del tombolone, come Biagio ricorda, volevo che la gente lo ascoltasse, perché il suo rimare riporta all’oggi quella parte di storia che è anche la mia storia e la storia di questo paese: “paese nel cuore”, “l’emigrante in ferie”, “avemu a stu paisi”, “arredu i tant’anni”, “i ngiuri”, “u carvunaru”, “i fimmani a la hjumara”, ecc. e non ultima “u menzagustu ammenzu a li faghi”, per una emozione personale a memoria dei miei familiari e parenti. Rileggerei queste poesie insieme a chi come me è rimasto in questo paese, per una attenzione a chi ritorna perché “a cu arriva nci duna accoglienza” dice Biagio. E’ un monito a noi, per non dimenticare, ma è un monito a tutti per non abbandonarsi al lassismo, alla indifferenza, alla incuria, al nulla!
Il realismo di Biagio, travalica l’oggettività e scopre delle verità che porta dentro, verità, purtroppo, che noi “umani” fatichiamo tanto a capire e che lui in modo semplice e profondo esprime:

Voi per incantu o pe’ telepatia,
sentu cuntenta la mamma mia
chi dici: "Grazi Signuri e Madonna,
mi sentu gia mamma, e puru donna”.

“Sentu nta panza na criatura
donu cchiù grandi ‘i chista natura,
falla mu nesci cu saluti e amori
sarà la gioia di nui genitori”.


Sono i due ultimi versetti del suo inno alla vita “A mamma e a criatura” (ultimamente pubblicato su questo sito in versione cantata ed a cui io rimando per la completa lettura). Biagio nel suo scorrere poetico lascia ai lettori la goduria di un Eterno senza del quale è impossibile per l’uomo amare, “senza il Tuo potere creatore, niente è nell’uomo, niente c’è che non ci ferisca, che non ci faccia del male, tutto ci fa del male” (Veni Sancte Spiritus). Rileggere, una, due, tre volte questo capolavoro di Biagio ti fa toccare, sì, proprio toccare – come fatto materiale - il senso della vita, cioè “l’istante, il livello, in cui l’uomo si accorge di non esistere da sé”. (Don Luigi Giussani)

"Grazi Signuri e Madonna,
mi sentu gia mamma, e puru donna”.


Che profondità spirituale in lui, che consona espressione, che accostamento!: mamma e donna, la radice mamma dà senso alla vocazione originaria dell’essere donna, “mi sentu già mamma e puru donna”, lo spirito, quindi, come radice della materia, come consistenza della materia.
Biagio, questo suo “senso”, non solo non lo perde, ma addirittura lo rafforza allorquando mette al centro i suoi cari, i suoi affetti e li affida al “Supervisore” perché li aiuti e li segua nel loro divenire. Dalla lettura delle poesie dedicate alla sua famiglia originaria e attuale, si legge di come la fede vissuta, in particolare di sua madre e l’amore condiviso hanno costituito l’asse centrale e portante del sì alla vita, con tutta la fatica del lavoro e dei momenti difficili:

Poi torna a casa cu tanti penzeri
si caccia i scarpuna e si lava li pedi,
s’assetta a ‘na seggia, non poti cchiù
l’aiutu arriva sulu i Gesù.
(da: i suduri i papà miu).


Mi va di concludere con “Lu Santu Natali”. In questa, Biagio legge le contraddizioni di una società opulenta che si scontra con la povertà disperante di uomini che non sanno più cosa significa vivere (poveri materialmente e spiritualmente). E qui, Biagio, sempre con la semplicità che lo contraddistingue, dà la risposta vera, positiva al superamento di questa ingiustizia:

tra pocu nesci u Bombinellu
e ntra sta valli di guai e suduri
speriamu ca porta nu pocu d’amuri


U bambinedu è Cristo e oggi è nelle persone che lo incontrano, che amano. E, mi permetto, l’Amore, di cui parla Biagio è quello vero: “Ama chi dice all’altro: tu non puoi morire”. (Gabriel Marcel)

Nella foto: l'autore dell'articolo, Carmelo Di Matteo.

Torna ai titoli


(23.2.09) NICOLA SERGIO SU TELERADIOSTEREO - La trasmissione "Jazz a Nota libera", dell'emittente laziale TeleRadioStereo, condotta da Massimo Nunzi (trombettista, compositore, arrangiatore), sera di Mercoledì 25 Febbraio, a partire dalle ore 21:00, si occuperà dell'ormai noto pianista galatrese Nicola Sergio.
Sarà trasmesso infatti un brano, da lui composto, dal titolo "Scilla" ed un'intervista da Parigi allo stesso musicista.
L'intervista a Nicola andrà in onda subito dopo quella da New York a Miles Evans, figlio dell'arrangiatore Gil Evans, dunque l'orario esatto dovrebbe essere intorno alle 21:15/21:30. TeleRadioStereo è raggiungibile nel Lazio sulla frequenza di 92,7 MHz in FM, ma da tutto il mondo può essere ascoltata in diretta Streaming collegandosi al sito
www.teleradiostereo.it.
Esiste anche la possibilità di inviare dei commenti in diretta durante l'ascolto della trasmissione che è una vera e propria "maratona jazz", dura infatti 3 ore, dalle 21 alle 24 ogni mercoledì: basta inviare un'email all'indirizzo nunzimassimo@gmail.com.
Naturalmente i migliori complimenti a Nicola Sergio in attesa di ascoltare la sua performance radiofonica.



Visita il sito di Nicola Sergio

Nelle due foto: il pianista Nicola Sergio.

Torna ai titoli


(26.2.09) UNA CANZONE SULLA SHOAH (Angelo Papasidero) - Ecco il link dove potete trovare una mia canzone - sempre voce/chitarra - sulla shoah vista con gli occhi di un bambino. La canzone si chiama Baracca 31. Spero vi piaccia.

www.youtube.com/watch?v=YqXzoPAZd6M

Torna ai titoli


(27.2.09) UNA MIA NUOVA POESIA (Biagio Cirillo) - Complimenti per il nuovo sito, sapevo dell’innovazione ma sono rimasto sbalordito, colori nuovi e di speranza “verde”. Ne approfitto per mandare una mia nuova poesia.

‘O paisi miu

‘O paisi miu spunta lu suli
e poi ntra lu mari si vaci a curcàri;
'o paisi miu lu hjumi passa,
no paga bigliettu e mancu la tassa.

‘O paisi miu nci sugnu alivàri
e ntra lu chianu tanti arangàri,
nci su i mandarini e puru i limuni
chi ndi profumanu stu bellu cafuni.

‘O paisi miu n’ce genti onesta,
si cumporta beni e usa la testa,
n’ceni lu riccu e puru lu povaru
manca sulu pe' vecchi u ricovaru.

‘O paisi miu n’ci su tanti studenti,
n’ce puru cu a scola non ghiu pe nenti,
n’ci su avvocati e puru dottori,
n’ci su zzappi arruggiati e pocu trattori.

O paisi miu nc'è corchi proposta,
peccatu ca manca na vera risposta,
n'ci su li termi cu l’acqua bona
chi a lu malatu l’ossa nci sana

Mi passanu l’anni e puru li misi
e continu a parlari i chistu paisi,
a voti mi sembra ca sugnu buffu
ma su sicuru ca mai mi stuffu.


Torna ai titoli


(7.3.09) VERSI PER UN AMICO (Biagio Cirillo) - Ho pensato tanto prima di inviare questa poesia, poesia che tocca da vicino i miei sentimenti verso un mio caro amico, un amico vero che in questo momento della sua vita non è felice, ed io ne risento di tutta questa sua infelicità perché per me è l’amico più grande, l’amico che quando gli telefono si commuove come un bambino. Reagisci amico mio perché sei il migliore in assoluto, sei il più buono e il più divertente degli amici, fallo per me, torna a sorridere.
Questa poesia è dedicata a te.
Per discrezione non voglio fare il nome del mio amico ma spero che gli arrivi il messaggio e lui capirà anche se non ha dubbi, che è il miglior amico mio.
Un grande saluto a tutti, anche agli amici su facebook e alla Redazione.

L’amicu

Si vidi n’amicu suffriri
danci n’aiutu pe' reagiri,
si non sapi chi avi a fari
aiutalu i cchiù, n'abbandunari.

Si per casu eni depressu
datti da fari chiamalu spessu,
mo chiù di prima avi bisognu
pe nesciri 'i stu bruttu sognu.

Si cu ttia poi si cunfida
fanci capiri c’avi u si fida,
si voli mu parla, mu ciangi, mu grida,
pemmu ndi nesci fallu u si sbriga.

Pe nenti 'o mundu l’hai a perdiri
pecchì l’amicu ti fa gioiri
e nta stu mundu di peccatori
ti duna tuttu, puru lu cori.

E si l’amicu ti chiama pe' nenti
tu nci rispundi e no ti lamenti,
pecchì lu sai, e sini fieru,
ca eni n’amicu, “n’amicu veru”.

Biagio Cirillo


Torna ai titoli


(12.3.09) ROMUALDO LUCA' VINCE IL CONCORSO "IL VOLO DI PEGASO" - Romualdo Lucà, il nostro concittadino di Giussano, si è affermato di recente in un Concorso artistico-letterario dal titolo "Il volo di Pègaso", indetto dall'Istituto Superiore di Sanità sul tema delle malattie rare, con una scultura venuta fuori da un'idea davvero originale. La scultura si intitola "Radica frassinea", ha le dimensioni di cm. 46x29x39 e la potete ammirare nella foto a sinistra.
Come ha spiegato lo stesso Romualdo, il materiale per la scultura è stato preso da un esemplare ciocco di legno, unico in tutto il mondo per la sua forma rara, trovato all’interno di una grande radica di frassino, albero delle oleacee proveniente dalla Francia, alla fine della lavorazione della trancia. Tale pianta ha un'età di circa 90/100 anni. Gli esperti dicono che questa malformazione è una malattia della pianta di cui sono ignote le cause. Evidente il collegamento con le malattie rare dove nell’uomo succede qualcosa nel sistema immunitario che non controlla questi “squilibri”.
La base invece dell'opera è una tavola di zebrano o zingana, proveniente dall’Africa, regione dello Zambia, un albero alto maestoso, sano, tanto che volutamente Romualdo ne ha usata una fetta della parte centrale detta “anima”. L’età di questa pianta è tra 70/80 anni e la sua circonferenza è di un metro e 76 cm.
Il significato importante dell’opera è che anche una “malformazione” si va ad unire ad una base solida.
Romualdo si è affermato nella sezione "Scultura" del concorso e la sua opera è stata esposta in una mostra e inserita in una pubblicazione presentata lo scorso 28 Febbraio, in occasione della "Giornata Europea delle malattie rare".
A Romualdo vanno tutte le nostre congratulazioni e i complimenti sia per il risultato ottenuto con la sua apprezzata opera scultorea, sia per l'attività che svolge costantemente nell'ambito dell'Associazione Malattie Reumatiche Infantili (
AMRI).

Visualizza la presentazione della scultura da parte di Romualdo Lucà (DOC) 28,5 KB

Visualizza il manifesto del Concorso "Il volo di Pègaso" (PDF) 400 KB



Il momento della premiazione


Romualdo Lucà a fianco alla propria opera


Torna ai titoli


(21.3.09) UNA POESIA SUL PIANTO (Biagio Cirillo) - Non voglio annoiarvi, ma nelle tante poesie che ho scritto c’è anche questa lagna. Non parla né del nostro paese e nemmeno dei nostri paesani ma parla solo del pianto.
Non è certo una vergogna piangere, chi di noi almeno una volta nella vita non ha avuto la fortuna o la sfortuna di piangere? A volte si piange per niente, a volte per vizio e a volte per paura o per cose serie, ma qualche volta anche per la gioia di un bell’evento o per amore.
A volte è divertente vedere piangere una persona, a volte ti fa tenerezza, a volte ti taglia il cuore e a volte ti dà fastidio perché è una lagna amara.
Si piange per finta, si piange in silenzio, si piange a squarciagola, si piange con le lacrime, si piange con il cuore.
Vi lascio salutandovi e abbracciandovi tutti e soprattutto sperando di non annoiarvi.

U chiantu

A chistu mundu nc’è cu ciangi pe' doluri
fisicu, distorsioni o ruttùri,
s’u ngissanu nci poti poi passari,
o' massimu i dottori 'u ponnu operari.

Nc’è cu ciangi pe' amuri,
e non su certu casi rari,
na lagna amara e na penitenza
pecchì perdìu stima e speranza.

Nc’è cu ciangi pe' l’emozioni
guardandu nu film a televisioni,
s’u guardi ntra facci si menti a ridìri,
ti gira i spadhi e continua a ciangiri.

Nc’è cu ciangi tantu penzandu ‘o passatu,
dicendu quant’era forti e fortunatu,
non avìa nenti, avìa a sgobbàri,
ma armenu avìa fami pe' mangiari.

Nc’è poi cu ciangi pe' cosi seri
avendu nta testa assai penzeri,
nò sapi comu cavulu avi a fari,
nò reagisci e si menti a pregari.

Cianginu i criaturi puru pe' nenti,
li zii, li nonni, l’amici e i parenti,
l’innamorati e li barbòni
e puru i genti chi stannu boni.

Comu aviti modu 'i leghìri,
non è certu nu lussu 'u ciangìri,
ndi manca sulu ca ‘u guvernu nd'u tassa
e a voglia i ciangìri i sicuru ndi passa.

Biagio Cirillo


Torna ai titoli


(30.3.09) L'ORGOGLIO PER IL PROPRIO PASSATO COME VALORE E COME RISORSA - S’è svolto nella sala convegni del Comune, in piazza Matteotti, l’incontro dell’UDC con Umberto Di Stilo, giornalista che coltiva da decenni la passione della storia locale, sulle origini e la storia del nostro paese.
Dopo una breve introduzione del segretario di sezione Rocco Marazzita, che ha inquadrato l’iniziativa nel contesto delle finalità perseguite con gli incontri, svoltisi nello scorso autunno, di cui sono stati protagonisti il
sindaco, il dirigente scolastico, il parroco e l’on.Tassone, ha preso la parola Umberto Di Stilo, che ha tracciato un excursus della storia di Galatro, dai primi insediamenti nella valle del Metramo, attestati intorno al V-IV Secolo a. C., fino alla tarda modernità, col punto di svolta costituito dal terremoto del 1783, in seguito al quale è stato autorizzato il cambiamento di sito del centro abitato.
La storia di Galatro è fondamentalmente, ha sintetizzato Di Stilo, la storia degli ordini monastici, cappuccini e basiliani, che hanno disseminato il territorio di chiese e conventi facendone un polo d’attrazione per i primi nuclei di abitanti, perlopiù costituiti da conciatori di pelli, che nell’abbondanza di acque trovavano importanti opportunità di vita e lavoro. Le origini del paese sono però sicuramente greche, come attesta la stessa etimologia del nome Galatro – da "karadros", fenditura nella roccia, dunque spaccatura nella montagna - e quasi tutta la toponomastica. Ma come attesta anche un episodio, del quale il Di Stilo è stato protagonista all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, quando alcuni reperti, rinvenuti durante le operazioni di sistemazione della strada delle Terme, sono “misteriosamente” scomparsi per ricomparire qualche anno dopo, esibiti in un articolo scritto per una rivista specializzata da un archeologo destinato a diventare famoso, il professor Salvatore Settis.
La profusione di chiese e conventi spiega la cospicua presenza a Galatro di beni culturali (a cui Di Stilo ha dedicato un libro alcuni anni fa), una parte dei quali è andata distrutta nel corso dei secoli per vicende non proprio fortunate, mentre la parte riuscita a passare indenne attraverso terremoti ed alluvioni non ce l’ha fatta ad avere ragione dell’incuria della classe dirigente locale, a cui per decenni - salvo due sole eccezioni: il sindaco Francesco Lamari e il parroco Bruno Antonio Marazzita, entrambi vissuti tra l’Ottocento e il Novecento - ha fatto difetto la sensibilità verso le testimonianze del proprio passato.
Qui Di Stilo ha toccato il punctum dolens della mancanza di memoria ed orgoglio per il proprio passato, per le proprie radici, ignoranza che si traduce in incapacità di farli diventare un valore ed una risorsa.
Le domande stimolanti degli intervistatori dell’UDC, Carmelo Di Matteo e Michele Scozzarra, nonché quelle scritte da parte del pubblico su dei foglietti predisposti, hanno indotto Umberto Di Stilo a prodursi in interessanti considerazioni e notazioni sull’altare del Gagini e sulle statue che lo compongono, nonché sul San Nicola di marmo alabastrino che si trova a destra della navata della chiesa di San Nicola, passando in rapida rassegna le complesse e mai risolte problematiche relative all’attribuzione.
Umberto Di Stilo si è poi soffermato su due miracoli di due santi famosi, San Francesco di Paola e San Cono, avvenuti nel territorio di Galatro. A proposito del miracolo di San Cono ha rispolverato la proposta, fatta senza successo alle amministrazioni comunali che si sono succedute, di un gemellaggio con Naso, un comune in provincia di Messina dove è radicata la devozione verso San Cono e nella cui chiesa parrocchiale è raffigurato proprio il miracolo del Santo a Galatro.
Si è poi registrato, in deroga alla modalità delle domande scritte da parte del pubblico, un intervento del professor Francesco Galluzzo, ex sindaco, che ha proposto la costituzione di un comitato per promuovere lo studio della storia di Galatro nella sua interezza, visto che, ha detto Galluzzo, c’è da recuperare non solo la storia di chiese e santi ma anche la storia sociale e politica del nostro paese.
Le risposte di Di Stilo alle domande degli intervistatori e del pubblico hanno consentito anche delle incursioni nella storia relativamente recente e nelle varie tradizioni di Galatro, tra cui fa spicco quella musicale, che ha espresso una banda in grado di gareggiare, tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, con i rinomati complessi pugliesi e abruzzesi. La vena artistica di Galatro ha trovato modo di esprimersi anche nella poesia, non solo dei poeti la cui grandezza è conclamata (i vari Conia, Martino, Distilo, Alvaro) ma anche di altri che meriterebbero di essere studiati e illustrati –Umberto Di Stilo ha citato Francesco Lamanna e Francesco Ozimo: il primo ha composto sonetti definiti “petrarcheschi”, il secondo ha invece versato il proprio talento in componimenti, talvolta anonimi, con cui partecipava alle diatribe paesane (un florilegio si può trovare nel libro che lo stesso Umberto Di Stilo ha pubblicato circa vent’anni fa, "Un prete nel mirino" su una vicenda dei primi anni del secolo scorso).
A conclusione dell’incontro, dopo il ringraziamento di Carmelo Di Matteo, a nome degli organizzatori, a quanti danno risonanza alla vita e alla cultura di Galatro nell’informazione, in primis il nostro sito, è intervenuto il sindaco Carmelo Panetta, che ha assicurato l’impegno dell’amministrazione per la pubblicazione di altre opere di Umberto Di Stilo, tra cui il dizionario del dialetto galatrese.
L’impegno da tutti condiviso è stato di dare continuità, con altre iniziative, all’incontro UDC-Umberto Di Stilo.

Nella foto: da sinistra Carmelo Di Matteo, Rocco Marazzita, Umberto Di Stilo, Michele Scozzarra.

Torna ai titoli


(2.4.09) TRE GIOVANI TALENTI MATEMATICI - E’ diventato un luogo comune che gli studenti italiani, soprattutto nel Sud, non abbiano quel che si dice il bernoccolo della matematica.
A giudicare dalla nutrita partecipazione alla fase regionale delle Olimpiadi della matematica (organizzati dal Ministero dell’Istruzione in collaborazione con l’Università Bocconi) non si direbbe proprio.
Due studenti della IV A del Liceo Classico “Vincenzo Gerace” di Cittanova – corso sperimentale “Brocca” - Francesco Manfrida e Stefano Mileto, hanno sbaragliato la concorrenza nella categoria L1 (studenti di seconda, terza e quarta superiore), mentre Francesco Muratori della V A Brocca ha fatto altrettanto nella categoria L2 (ultimo anno delle superiori e biennio universitario) nelle semifinali regionali svoltesi lo scorso 21 marzo a Reggio Calabria, conquistando il diritto a rappresentare la Calabria nelle finali che si terranno presso la sede di Milano dell’Università Bocconi il prossimo 23 maggio.
I tre allievi del “Gerace”, sotto l’esperta guida delle insegnanti Benilde Luvarà e Antonella La Dolcetta, si sono cimentati con ardui problemi di logica matematica, riuscendo non solo a venirne a capo a tempo di record, ma individuando la soluzione più semplice ed elegante.
Nei corsi sperimentali del Liceo Classico lo studio della matematica non è, dunque, considerato accessorio se vengono messi in pista studenti così brillanti.
A Francesco Manfrida, Stefano Mileto e Francesco Muratori non ci resta che fare i complimenti, accompagnandoli con un “in bocca al lupo” per la prova meneghina di maggio.

Nella foto: i tre giovani talenti matematici.


Torna ai titoli


(13.4.09) E' DI SANDRO DISTILO LA MIGLIOR COLONNA SONORA - La tradizione musicale di Galatro ha trovato modo di esprimersi, riscuotendo un importante riconoscimento, nel giovane talento di Sandro Distilo.
Sandro (figlio di Alfredo, tecnico del Comune da pochi giorni in pensione a cui cogliamo l’occasione per fare gli auguri) è risultato vincitore, su ben 108 partecipanti, al Festival del cortometraggio "Filoteo Alberini" di Orte, in provincia di Viterbo, quale autore della migliore colonna sonora.
Le musiche di Sandro hanno accompagnato l'opera NEG, del regista Nicola Nocella.
Il festival di Orte è una manifestazione che si è ormai imposta quale palestra per la scoperta dei nuovi talenti nel campo della cinematografia e costituisce un possibile trampolino di lancio per future ulteriori affermazioni.
Del giovane compositore galatrese abbiamo avuto modo di ascoltare dal vivo qualche mese fa, in occasione del
Concerto di Natale, alcune composizioni pianistiche. Inoltre alcuni suoi brani sono stati utilizzati per accompagnare musicalmente i pre ed i postpartita negli stadi agli ultimi campionati europei di calcio svoltisi in Austria e Svizzera.
A questo giovane talento musicale galatrese vanno dunque i nostri migliori complimenti.

Torna ai titoli


(7.6.09) COME IO VEDO GALATRO... (Bartolo Furfaro) - WINTERTHUR - Mando queste foto, scattate nel periodo di Pasqua e poco dopo l'alba, affinché possano essere utilizzate per fare qualcosa di carino per i galatresi che, abitando fuori, non vedono Galatro da tanto tempo. Forse le foto sono un po' troppe, ma belle. Non so, questo nostro paese è un gingillo. Spero possiate trarre qualcosa di bello per noi che sognamo un giorno di ritornare a casa nostra.
Bartolo Furfaro

Scarica la presentazione in power point delle 96 foto:
Come io vedo Galatro... di Bartolo Furfaro (PPS) 34,5 MB

N.B. - A causa della pesantezza del file, è necessaria la connessione veloce (adsl). Salvare prima il file sul computer, poi lanciarlo: le foto scorreranno da sole con la musica in sottofondo.

Torna ai titoli


(9.6.09) NEL PIANOFORTE JAZZ DI NICOLA SERGIO RISUONANO LE ARIE DI CILEA (Massimo Distilo) - Sono passati circa ottant'anni da quando quell'ometto piuttosto basso, calvo, con gli occhiali a pince-nez ed elegantemente vestito, si soleva fermare nell'atrio d'ingresso del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli per veder entrare gli studenti. L'ometto era un calabrese di Palmi le cui opere liriche avevano trionfato in tutti i teatri del mondo, si chiamava Francesco Cilea e del conservatorio di Napoli era il direttore. E' un grande pianista di origine italiana, Aldo Ciccolini, che oggi vive a Parigi e che all'epoca, essendo troppo piccolo, proprio grazie ad una dispensa di Cilea frequentava il conservatorio, a ricordare questa singolare abitudine del maestro calabrese.
Ma i pianisti di origine meridionale che oggi vivono a Parigi sono almeno due: oltre a Ciccolini, napoletano, classe 1925, monumento mondiale del pianismo classico, c'è il giovane Nicola Sergio, galatrese, mago della tastiera jazz. I due musicisti sono in qualche modo accomunati in questo periodo dalla figura di Cilea, che con la cultura francese aveva un forte legame (le sue principali opere, Adriana Lecouvreur ed Arlesiana, sono ambientate in Francia). Si chiama infatti "Cilea mon amour" il progetto ideato dal produttore Gianni Barone, che vanta ascendenze palmesi. L'idea è quella di proporre una rivisitazione in chiave jazzistica dell’opera del grande maestro originario di Palmi. Insomma l'obiettivo è concepire uno spettacolo intorno a due figure calabresi che con Parigi hanno qualcosa in comune: da un lato Francesco Cilea appartenente alla grande tradizione lirica italiana e dall'altro Nicola Sergio giovane jazzista in carriera, attivo sulla scena della capitale europea del jazz e della cultura.
Nicola Sergio ha estratto i temi più significativi di tre delle principale opere di Cilea (Gloria, Arlesiana e Adriana Lecouvreur) e le ha sottoposte ad una elaborazione molto accurata, con l'uso di griglie armoniche atte all'innesco dell'improvvisazione tipica del genere afroamericano. Ma in una cosa Nicola nei suoi arrangiamenti è stato molto bravo: ha trovato il giusto equilibrio per fare in modo che le antiche melodie di Cilea non annegassero mai del tutto all'interno delle molteplici sequenze di accordi tipici delle atmosfere jazz, anzi esse risplendono di luce nuova, di nuovi colori che le raffinate mutazioni sonore del genere riescono a mettere ancora più in luce, quasi come nel restauro di un vecchio dipinto.
Solo Nicola Sergio era in grado di conciliare la ritmica della batteria dello svedese Joe Quitzke, o la voce raffinata e suadente del sax del newyorkese Michael Rosen, con la morbidezza lirica insita nelle arie del compositore palmese; o riuscire ad integrare il contrabbasso del francese Stèphane Kerecki ed il flauto della giapponese Yuriko Kimura-Thirion con le delicate sequenze melodiche su cui si sono esercitate le maggiori voci della lirica (da Domingo a Caruso, dalla Tebaldi alla Callas).
Il progetto prevede, oltre allo spettacolo dal vivo, anche la realizzazione di un documentario ambientato fra Parigi, Palmi e Varazze in Liguria (quest'ultima in quanto città d'adozione di Cilea). Nel documentario interverranno tra gli altri sia il compositore Nicola Sergio, sia il professor Domenico Ferraro autore di un’importante biografia su Cilèa pubblicata dalla casa editrice Sonzogno. La regia è curata da Mario Idone mentre la post produzione è affidata a MedMedia. Il documentario verrà presentato in festival, rassegne cinematografiche tematiche e singole proiezioni con la finalità di diffondere la conoscenza dell’opera di Cilèa e del progetto “Cilèa mon amour”.
Inoltre per luglio è in programma l’uscita di un CD con otto brani, sette dei quali sono rielaborazioni di arie tratte dalle opere di Cilea, mentre l'ottava, che si intitola Leònida, è un tema originale composto per l’occasione da Nicola Sergio ed è un chiaro omaggio ad un altro grande esponente della cultura calabrese: Leonida Repaci che tenne nel 1952 il discorso in occasione della traslazione della salma del Maestro da Varazze a Palmi nel mausoleo a lui dedicato.
Il produttore Gianni Barone afferma: "Cilea mon amour è un progetto che nasce internazionale; i musicisti coinvolti hanno cinque nazionalità diverse e rappresentano tre continenti, tutto ciò credo possa rappresentare il giusto omaggio a Francesco Cilea. E' un atto d'amore nei confronti di un grande compositore italiano che non dimenticò mai le sue origini. Un uomo straordinario che già a 36 anni aveva composto quello che oggi è il suo repertorio lirico. Ed è anche un omaggio a Palmi, cittadina che ha dato i natali a uomini di cultura straordinari".
Se dunque in passato la Calabria ha espresso personalità di cui andare fieri, quelle che sta esprimendo in questi ultimi anni crediamo non abbiano nulla da invidiare ai predecessori e, cosa molto importante, anche Galatro dà il suo contributo.

Nelle due foto in alto: Francesco Cilea; Nicola Sergio intervistato dal regista Mario Idone per il documentario "Cilea mon amour".
Nelle quattro foto in basso: vari momenti delle due sessioni di registrazione.


Visualizza gli
articoli su "Cilea mon amour" apparsi sui quotidiani calabresi (PDF) 756 KB

Il sito dell'iniziativa è www.cileamonamour.com

Comunichiamo inoltre due date del "Nicola Sergio Trio":
26 Agosto - Roma, Villa Celimontana Jazz Festival
27 Agosto - Viterbo



Da destra: Michael Rosen, Nicola Sergio, Joe Quitzke, Stephane Kerecki, Paola Recagni della produzione e Yuriko Kimura.
In primo piano da sinistra l'ingegnere del suono Julien Parent e l'assistente Gregoire Medina.



La flautista giapponese Yuriko Kimura
 
Il contrabbassista francese Stephane Kerecki


Il regista Mario Idone in un momento della lavorazione del documentario


Torna ai titoli


(17.6.09) NATO RANDAZZO, GIOVANE PITTORE PAESAGGISTA CHE DIPINGE GALATRO... (Carmela Carè) - Ho appena finito di guardare le fotografie che Bartolo Furfaro ci ha inviato, sono belle davvero, mi hanno emozionato.
Vorrei farvi vedere come un rinomato pittore che conosco personalmente ha dipinto alcuni scorci del nostro rione Montebello. Si chiama Nato Randazzo ed è un noto paesaggista reggino che vive da qualche anno a Rosarno e che è rimasto attratto dal nostro paese. Viaggia molto per lavoro, va spesso in America dove si trova attualmente ma, al suo ritorno, verrà a realizzare altri quadri del nostro quartiere.
Probabilmente insieme alla nostra associazione organizzeremo una mostra di pittura, ma è tutto ancora da definire.
Per altre informazioni sull'artista si può visitare il suo sito:
www.natorandazzo.com






Nelle immagini: il alto il pittore Nato Randazzo mentre dipinge; in basso due scorci di Galatro.

Torna ai titoli


(27.6.09) 'U CARVUNARU (Biagio Cirillo) - Sperando sia di vostro gradimento, vi invio una poesia su un vecchio mestiere che via via sta andando, o è andato già, in estinzione. Ma ai tempi della mia infanzia andava alla grande, anzi era al primo posto come riscaldamento domestico.
Ricordo tutti quei bracieri davanti alle porte e le donne a sventolare fino a far diventare brace il carbone e di fianco c’era quasi sempre la pignata di terracotta con i fagioli: dopodichè si portava all’interno delle abitazioni.
A Galatro c’erano diversi carbonai e tanti commercianti di carboni che lo portavano in tutti i paesi della piana e anche oltre.
Bella o brutta che sia, questa è la poesia (data e luogo di preparazione: Bolzano 14/09/08).

'U carvunaru

Ntra li cafùni, senza riparu,
tagghia li ligna lu carvunàru,
tagghia c’a hàccia e c’a motoserra,
ammussa ’a buttiglia e mangia pe nterra.

I tagghia tutti di 'na misura,
poi li sistema cu tanta bravura:
chidhj cchiù fini li menti di supa,
li zzucchi grossi di sutta li ntrupa.

Prepara la fossa, ma senza disegnu,
na muntagnola fatta di lignu,
'a ccuppa cu terra, 'a batti c’a pala,
poi appiccia lu focu, “chi vita amara”.

A delicatezza di li so mani
è comu paletti di ficandiani,
sempri lordu e puru sciancatu
non vidi festi l’amarighiatu.

Quandu lu lignu diventa carvuni,
oh chi profumu ntra chidhj cafuni!
U menti nte sacchi lu carvunaru
e tanti genti così si scarfaru.

Chista è la vita di carvunari
omani forti chi mò su' rari.
Mo no si scàrfanu maritu e muggheri
bell'assettàti vicinu o' brasceri.

Nella foto in alto: Biagio Cirillo.


Torna ai titoli


(5.7.09) MI CHIAMAVANU TIZZUNEDHU E SU' FIGGHIU I CARVUNARU (Guerino De Masi) - Ho riletto stamattina la poesia di Biagio Cirillo sul "Carvunaru" e mi son messo a pensare in galatrisi! Vi propongo questi due versi che ho appena scritto.
Approfitto per congratularmi per il decimo anno di Galatroterme.it e per i bellissimi versi in vernacolo. Con stima, vi saluto caramente. Dio vi benedica.

Mi chiamavunu “tizzunedhu”
pecchì eru picciridhu e scuru,
e sugnu figghiu i Peppi i Masi u carvunaru.

Nd’avia forsi cinc’anni, chi meravigghia,
quando mi portaru a' Longa
e p'a prima vota vitti na fossa:
era pàtrima chi facìa 'u carvunaru.

Attornu a' fossa era tuttu tagghiatu,
fraschi e ligna ‘nterra chi parìa brusciata,
e chidhu oduri 'i carvuni ntra l’aria
puru mò 'u sentu ntro nasu,
pecchì su' figghiu i carvunaru.

Passaru tant’anni ca mi pari nu sognu,
ma eccu ca Biasi mi rivìgghia i penzeri:
no cridìa ca nc’eranu cchiù, tantu ca mbecchiài,
ma sugnu sempri figghiu i carvunaru.


Torna ai titoli


(7.7.09) UNA VISITA DI MONACI GRECO-BIZANTINI A GALATRO DIECI ANNI FA (Umberto Di Stilo) - Dopo la pubblicazione dell’articolo di Michele Scozzarra, a commento delle fotografie pubblicate da Salvatore Sorrentino sullo stato in cui versa il Convento del Sant’Elia, più di un lettore ci ha chiesto come mai non abbiamo pubblicato per intero l’articolo del prof. Umberto Di Stilo sulla visita dei Monaci Basiliani avvenuta nel mese di dicembre del 1999.
L’articolo è stato pubblicato sul n. 1 del gennaio 2000 sulla rivista Proposte, che si pubblica a Nicotera e pensiamo di fare cosa gradita a tanti nostri lettori nel ripubblicarlo.


* * * * *

In pellegrinaggio con alcuni monaci greco-bizantini al Convento basiliano di “Cubasina” ove fu seppellito Sant’Elia e studiò Barlaam, vescovo di Gerace e maestro di greco del Petrarca e del Boccaccio.

MONACI GRECO-BIZANTINI A GALATRO

Dopo oltre cinque secoli, nell’austero silenzio del convento S. Elia di contrada Cubasina (o “Copassino”, come si legge in diversi manoscritti medioevali), è tornata a riecheggiare la melodia di un canto greco.
E, come per incanto, anche la natura circostante, in quei pochi minuti, è parsa raccolta ad ascoltare quell’antico motivo che sapeva di angelico e che invitava alla preghiera.
Perché il canto, in realtà, era la preghiera di ringraziamento che padre Nilo e padre Cosmas, quasi rapiti dall’estasi, istintivamente innalzavano al Divino Creatore nel momento in cui si sono trovati all’interno di quella che fu la chiesa del convento. Nello stesso ambiente, quindi, in cui nel corso dei secoli erano soliti raccogliersi in preghiera prima i monaci basiliani (greco-bizantini) e, successivamente, i cappuccini.In una tiepida e soleggiata mattinata di quest’ultimo scorcio di dicembre (1999), Padre Nilo e padre Cosmas hanno voluto che li accompagnassimo fin sull’altipiano di Cubasina dove si ergono maestosi i resti del vecchio convento basiliano.
E insieme a loro è stato quanto mai emozionante (oltre che gratificante) compiere quell’affascinante viaggio a ritroso nel tempo che, improvvisamente ci offriva l’opportunità di percorrere i sentieri del passato di quel monastero che è gran parte della storia sociale e civile di Galatro e dell’intera zona.
I due coltissimi padri sono gli artefici della rinascita del San Giovanni Theresti di Bivongi e gli instancabili animatori della riscoperta del mondo spirituale greco-bizantino-ortodosso nel quale una larga fetta di calabresi affonda le proprie radici cristiane. Compresi i galatresi verso i quali a cominciare da un millennio addietro i monaci basiliani sono stati prodighi di consigli ed instancabili dispensatori di cultura e di civiltà.Il convento di Galatro, come comprovato dai documenti dell’epoca e dalla storia del basilianesimo di quest’angolo di Calabria, è uno dei primi (e sicuramente uno dei più importanti) tra quelli fondati dai monaci greci.
Nelle sue mura dimorò Sant’Elia il giovane (o l’ennese) e, a dar fede alle cronache (non comprovate, però, da alcun riscontro archeologico) al suo interno è stato seppellito il corpo acefalo del santo, giacché la testa, dagli stessi suoi seguaci del convento, è stata portata nel convento di Seminara, ove ancora oggi - in apposita teca di argento - è custodita nel “tesoro” del Santuario della Madonna dei Poveri.
Ad avvalorare la notizia del seppellimento di Sant’Elia all’interno del convento galatrese si sa che nel 1200, di ritorno da un pellegrinaggio in terra santa, davanti alla tomba del basiliano ennese, venne a raccogliersi in preghiera San Cono, originario di Naso (Messina).Nei giorni scorsi, dunque, di ritorno dal convegno di studi su Barlaam, vescovo di Gerace e maestro di greco prima di Petrarca e poi di Boccaccio (che nel monastero galatrese studiò per diversi anni e vi rimase fino all’ordinazione sacerdotale) quasi ad imitare San Cono, un “pellegrinaggio” spirituale hanno voluto compiere padre Nilo e padre Cosmas, non più per genuflettersi davanti alla tomba di Sant’Elia (della quale si ignora l’esatta ubicazione) ma per “raccogliersi in preghiera davanti a quei ruderi che rappresentano una delle più importanti testimonianze del mondo greco-bizantino” perché, come sottolineava padre Nilo, “ogni minuscola pietra di questo convento, per chi, come noi, affonda le radici in quel mondo e in quella cultura, è come un altare”. Siamo saliti sull’altipiano insieme ai due padri greci e, appena giunti sulla collina, insieme a loro abbiamo avvertito un istintivo impeto di ribellione nel constatare che, contrariamente a quanto accade in altre zone, quell’antica testimonianza di civiltà e di spiritualità versa nel più completo abbandono tanto che in questo ultimissimo periodo, tra la totale indifferenza di amministratori locali e Soprintendenza, sia le celle del piano terra che il chiostro sono stati arbitrariamente trasformati in una immensa stalla ed il letame ha invaso quegli stessi ambienti in cui fino ai primi anni dell’ottocento diversi eruditi frati hanno vissuto la loro vita monastica.
Il cortile interno del Convento S. Elia di Galatro prima del restauro Nessuno ha mai cercato di tutelare questo vecchio monastero che nel corso degli anni è stato oggetto di continue devastazioni.
Pietre e marmi istoriati sono andati a finire in musei privati; diverse pietre bugnate del portale principale sono utilizzate come contrappeso nei palmenti dell’altipiano mentre in queste ultimissime settimane quelle poche che da anni erano accantonate per terra sono scomparse: pare con destinazione verso uno dei paesi vicini e più precisamente verso l’abitazione di un privato cittadino.E nessuno frena questa continua devastazione, come nessuno mai, in passato, si è preoccupato di bloccare chi, per costruire la sua casetta colonica, ha pensato bene di usare le pietre e (là dove era possibile) ogni altro materiale edilizio recuperabile dalle pareti diroccate del convento.
Una situazione di incuria, insomma, che offende l’intelligenza, calpesta la cultura, ignora la storia e che si sta perpetrando negli anni grazie al totale disinteresse degli amministratori galatresi che hanno sempre sottovalutato la necessità di conservare nel tempo una così importante e concreta testimonianza storica probabilmente perché “distratti” dai diversi problemi di vita amministrativa. Gli stessi che, secondo la teoria di un amministratore del recente passato “toccano da vicino la vita della comunità e dei quali (ad ogni scadenza elettorale) bisogna dar conto all’intera comunità”.
La cultura e la salvaguardia delle proprie radici, invece, interessa solo pochissime persone.
Nasce solo da qui il disinteresse e l’indifferenza che gli amministratori galatresi hanno sempre dimostrato verso la salvaguardia della propria storia e, nello specifico, verso la concreta testimonianza di quel monachesimo che portò cultura e civiltà in tutte le zone interne della Calabria e che, dopo aver resistito per secoli all’incuria del tempo, rischia di soccombere di fronte alla insensibilità degli uomini? Non abbiamo elementi per rispondere con assoluta certezza. Quale che sia, comunque, la genesi di questa atavica insensibilità essa cozza con il “religioso” interesse di quei due frati che hanno percorso alcune centinaia di chilometri sotto la spinta propulsiva della voglia di conoscere quanto realizzato da chi in questa zona interna della Piana li ha preceduti oltre dieci secoli addietro.
Tra le mura di Barlaam (foto 'Gente in Aspromonte') Conoscere per valorizzare e tramandare. E, molto probabilmente, conoscere per fare conoscere ad altri.
Non bisogna dimenticare che Padre Nilo e Padre Cosmas, in questi ultimissimi anni, hanno “rigenerato” il San Giovanni Theresti e tante altre chiese e luoghi di culto bizantino esistenti in Calabria. Perché, dunque, non pensare ad un possibile utilizzo per fini culturali, umanitari o religiosi anche del nostro Sant’Elia? D’altra parte qualche anno addietro è sembrato che il totale recupero del vecchio convento fosse ormai imminente e che quella grande ed antica struttura potesse tornare ad essere - come lo fu per secoli - un centro vitale di attività religiose e culturali.
La Regione Calabria, infatti, - grazie alla sensibilità dell’assessore Antonella Freno - ha finanziato un progetto di recupero e consolidamento presentato dalla Comunità montana di Cinquefrondi per un importo di 300 milioni. Ma, inspiegabilmente, i tempi si stanno allungando e, purtroppo, andando avanti di questo passo, si rischia di arrivare in ritardo là dove, invece, si doveva essere molto solleciti.
Infatti le acque piovane oltre a provocare in più punti il crollo delle volte che coprono i corridoi del chiostro, stanno seriamente danneggiando alcune pareti interne ed esterne del monastero.
E’ necessario, dunque, superare tutti gli ostacoli burocratici ed accelerare l’appalto per i lavori di consolidamento e recupero dell’intero fabbricato. Ma si badi: lavori di consolidamento e recupero che non devono essere di demolizione e ricostruzione “ex novo”. Anche per questo è necessaria la “supervisione” tecnica della Soprintendenza ai beni culturali. Non fosse altro che per non alterare l’originaria struttura muraria e per non rischiare di ”snaturare” architettonicamente tutto il fabbricato (come è successo nei lavori di recupero di un’importante “fabbrica” di un paese vicino).
E’ oltremodo necessario, infine, provvedere alla realizzazione della strada di accesso giacché non avrebbe senso consolidare e recuperare la struttura del convento se, contemporaneamente, non si pensasse a garantire il facile accesso a quanti, studiosi, semplici curiosi o, più semplicemente, “turisti della domenica”, vogliono arrivare fin sull’altipiano di Cubasina per tuffarsi in secoli di storia e di intensa spiritualità monastica e per godere di quella quiete e, soprattutto, di quegli incantevoli panorami che con la loro luminosa bellezza costituiscono un inno alla potenza divina.

Nelle foto: in alto, padre Nilo e Padre Cosmas davanti all'ingresso principale del Convento S. Elia nel 1999; al centro, una parte del convento come si presentava qualche decennio fa; in basso, un angolo del porticato interno come si presentava lo scorso anno.

Torna ai titoli


(15.7.09) CU 'A ZZAPPA E' MANI (Biagio Cirillo) - Lo so che a Galatro ci sono o ci sarebbero cose più importante da fare o da discutere ma, credetemi, sto passando un periodo un po' critico.
E quando sono giù di morale, la sola cosa che riesco a fare è pensare al mio passato. Così facendo mi siedo davanti al mio computer e mi metto a scrivere quello che mi passa per la testa.
Mi è venuta una poesia che parla del lavoro che svolgevo a Galatro prima di emigrare, anzi uno dei lavori, quello principale: il contadino. Perché sono andato anche a raccogliere arance e una stagione anche al frantoio dell’olio, quello dove ora c’è il bar Sofrà: io facevo il 1° turno dalle 6.00 alle 18.00 e mio fratello il 2° turno dalle 18.00 alle 6.00, per cui con lui per tutta la stagione ci vedevamo solo al cambio di turno.
La poesia l’ho intitolata "Cu 'a zzappa e' mani" e la dedico a tutti quelli che, poco o tanto, hanno lavorato la terra con la zappa.
Un saluto a tutti e soprattutto alla Redazione. Un saluto particolare va al piccolo Francesco Distilo e alla sua famiglia.

Cu 'a zzappa e' mani

Partèmu 'a matina cu 'a zzappa e’ mani,
nu sarvettu ngruppatu e nu pezzu di pani,
d'a matina a' sira jemu a zzappari
terra margia, vigna e alivari.

Si cchiovìa o nc’era 'a nghelata,
partemu a matina u facìmu 'a jornata,
si sperava sempri ca u tempu non chiovìa,
u suli pe nùi era na cumpagnìa.

Nzemi all’òmani grandi, ma nui ancora cotràri,
cu tantu garbu ndi davàmu da fari,
puru si cu nui era sempri vicinu,
misu a lu friscu, nu buttigliuni i vinu.

Senza na machinedha e mancu na bricichetta,
a ppedi i chilometri ndi facèmu in fretta.
V'u giuru cari amici, ndi fìcimu fatichi,
èramu povaredhi, però tantu felici.

A paga era pocu, tanta era 'a fatica,
senza contributi e tanta purvaràta,
a sira si tornava versu a casicedha,
cu' si jettava nta vasca e cu' nta 'na bagnèra.

Oghi chi si porrìa èsseri fortunati
nci sugnu i trattori, ma i terri abbandonati.
Si risuscitarrènu i nostri antenati
'i sicuru diciarrènu: “ma non vi vergognàti?”

Biagio Cirillo, Bolzanu 11/07/09


Torna ai titoli


(28.7.09) PAISI BELLU (Biagio Cirillo) - Quando si avvicinano le ferie sale la tensione,la nostalgia si moltiplica, la voglia di vedere le persone lontane ma vicine nel cuore aumenta sempre di più e allora, come al solito, penso e scrivo, scrivo e penso, e alla fine il risultato è sempre quello: “una poesia”.

Paisi bellu

Paisi bellu e duci terra mia,
di tia pe nenti o mundu mi separarrìa,
di giuvanedhu io di tia m’alluntanai,
ma ntra lu cori miu non t’abbandunai.

Io su' ligatu a ttia e a tutti i to' figghi
chi ndi sentimu spessu e ndi damu cunsigghi,
su ligatu cu corduni ombelicali,
scindu 'e festi 'i Pasca e puru a Natali.

Scindu ad agustu pemmu vaghiu ‘o mari
e a menu di to' termi non ndi pozzu fari,
puru ntro Fermànu nu bagnu m’aghiu a fari,
nzemi a tanti amici nd’avimu a ricriari.

Tu hai li bellizzi e puru lu cumbentu,
peccatu ca la genti non ndi teni cuntu,
bastarìa sulu nu pocu d’educazioni
pemmu mantenimu tutti 'i cosi boni.

Ti dicu 'a verità, mi manca 'u ponti 'i ferru,
ma 'u novu pe mmia è assai cchiù bellu,
avimu li hjumàri chi su' na cosa fina,
mi piaci lu rumuri d'a sira a' matina.

Mi piacinu i timpi supa a tanta rina,
si guardi attentamenti sugnu na cartolina,
quandu poi nci penzu 'a cunfusioni mi veni,
cu tutti i paisani vorrìa 'u sugnu nzemi.

Bolzano 26/07/09

Nel frattempo vi mando i miei saluti. Spero che ad agosto vedo piu gente possibile a Galatro. Saluti alla Redazione che è il mio angolo di sfogo… grazie infinite.


Torna ai titoli


(19.8.09) LE ANTICHE CONFRATERNITE RELIGIOSE DI GALATRO - Le confraternite sono associazioni cristiane che hanno lo scopo di favorire l'aggregazione tra i fedeli, di svolgere opere di carità e incrementare il culto. Sono costituite canonicamente in una chiesa con formale decreto dell'Autorità ecclesiastica ed hanno uno statuto, un titolo, un nome ed una foggia particolare di abiti. I loro componenti conservano lo stato laico; essi non hanno quindi l'obbligo di prestare i voti, né di fare vita in comune, né di fornire il proprio patrimonio e la propria attività per la confraternita.
I motivi per i quali sorsero le confraternite furono molteplici. L'assoluta mancanza, durante il Medio Evo, di ogni forma di assistenza pubblica e delle più elementari garanzie, specialmente per la parte più disagiata della popolazione, in gran parte perdurata fino a tempi abbastanza recenti, ed allo stesso tempo la necessità di operare bene nell'amore di Dio, furono le principali motivazioni che spinsero i cristiani ad associarsi per darsi reciproco aiuto.
Le confraternite religiose a Galatro hanno una storia molto antica che risale addirittura al 1500. D'altronde nella chiesa di San Nicola sono conservati reperti risalenti a periodi addirittura anteriori, a cominciare dalla statua in marmo di San Nicola, la quale risale al 1400. Ma vediamo un po' quali sono ed in che ordine nascono le varie confraternite galatresi di cui siamo in grado di dare notizia.
La più antica sembra essere quella di Santa Maria della Valle della cui presenza si hanno notizie a partire già dal 1586. Tale confraternita aveva sede nella chiesa omonima, che all’epoca risultava ricostruita dall’università (il termine "università" indicava quello che oggi è il Comune). La confraternita di Santa Maria della Valle possedeva due stendardi: uno di damasco bianco, l’altro di damasco carmosino.
La chiesa di Santa Maria della Valle era stata fondata il 3 maggio 1517 e consacrata da monsignor Del Tufo il 2 maggio 1586. Il nome di tale chiesa deriva dal suo fondatore, Andrea della Valle, patrizio romano, nipote del cardinale che portava il suo stesso nome e che fu vescovo di Mileto dal 1508 al 1523. La chiesa di Galatro di Santa Maria della Valle risulta presente nei documenti vaticani già nel 1605 e potrebbe aver avuto in precedenza la denominazione di Santa Maria de la Nova, che era l'attributo di una rettoria già in attività nel 1526-27.
La confraternita di Santa Maria della Valle era aggregata, a partire dal 1626, ad un'altra confraternita galatrese, quella di Santa Maria sopra Minerva. Il regio assenso per l'attività della confraternita arrivava il 21 gennaio del 1778, mentre fra il 1796 ed il 1801 la confraternita si sarebbe unificata con un'altra di Galatro, quella del Santissimo Sacramento. La confraternita di Santa Maria della Valle ha una storia lunghissima, poichè di fatto rimane in funzione nell'attuale chiesa di San Nicola, dove in pratica sono contenuti vari reperti provenienti dalla chiesa di Santa Maria della Valle (compreso l'altare del Gagini), fino al 1954. Nel 1943 la confraternita contava 60 confratelli e 21 consorelle.
Un'altra confraternita galatrese di antica istituzione è quella della Beata Vergine Maria dell’Immacolata che risulta presente sin dal 1686, anno in cui otteneva l’indulgenza plenaria da usufruirsi «ad libitum Confratrum» in occasione della festa principale ed ordinaria.
Una confraternita presente anticamente era quella di Santa Maria del Mercato che, come si dedurrebbe dal nome, doveva avere sede in una chiesa situata nei pressi del mercato. Nel 1768 il sovrano elargiva il regio assenso per questa confraternita.
C'era poi la confraternita del Rosario la quale, come si rivela da documenti custoditi nell’archivio generale dei predicatori a Roma, fu fondata nella chiesa parrocchiale di S. Nicola nel 1774.
Di più recente formazione, e dalla vita dunque più effimera, sarebbero invece le due confraternite di Maria SS. del Carmine e Maria SS. della Montagna. La prima risulterebbe in un primo decreto del 1846 ed in un altro a sanatoria del 1858. La seconda avrebbe ottenuto l'assenso regio nel 1808 ed un altro per nuova congrega nel 1858. Non è chiaro se quest'ultimo atto unifica le due confraternite. Il sacco, di cui gli aderenti a tale congrega dovevano munirsi, doveva essere confezionato nella «massima semplicità» e risultare «un camice di tela, legandosi da un cingolo di filo, il mozzetto di seta color celeste, guarnito con fittuccia di color paglino, ed il cappuccio bianco anco di tela, poggiato dal collo sulle spalle. Alla sinistra della mozzetta ... affibiata una figura, ch’esprima il santo tutelare».
Di tutte queste confraternite non rimane di fatto più alcuna traccia nella vita religiosa di Galatro dove ormai da moltissimi anni in nessun evento religioso, come le processioni, si vedono più confratelli vestiti con la tenuta che dovrebbe distinguere gli affiliati alla congregazione.

Nelle foto: in alto, l'altare di scuola gaginesca della chiesa di San Nicola proveniente da quella di S. Maria della Valle; al centro, confratelli in processione; in basso, confratello.

Fonti bibliografiche:
M. Mariotti-V. Teti-A. Tripodi (a cura di), Le confraternite religiose in Calabria e nel Mezzogiorno, Mapograf, 1992
R. Sergio, Un po’ di storia della chiesa matrice di Galatro, «Calabria Letteraria», 1984, nn. 7-9


Torna ai titoli


(28.8.09) GITA AL CONVENTO CON POESIA (Biagio Cirillo) - Ringrazio gli amici Michele Sorrenti e Toto Gambino per avermi invitato ad andare a visitare il convento di S. Elia, un rudere come tanti dicono, ma con alle spalle una storia. Io da tempo dicevo di volerlo visitare ma, non so se per pigrizia o perché quando scendo a Galatro impegno le giornate tra terme, mare e i miei genitori, non ero ancora riuscito ad andare. Questa volta, grazie a loro, sono ritornato prima dal mare e con un bel paio di scarponi ai piedi ci siamo incamminati alla svelta verso il convento.
Per loro non era una novità perché sono andati parecchie volte, ma per me è stata la prima volta e vi devo confessare che sono stato veramente felice di essere andato. Insieme abbiamo fatto diverse foto, tanti commenti, tanti progetti immaginari dei lavori da fare per renderlo meta di possibili visitatori.
Tornato a casa ho deciso di fare questa poesia e dedicarla interamente ai miei amici. Più in basso potete vedere le foto di noi tre impegnati nella lunga salita.

U Cumbentu 'i Galatru

M’arriva spontàniu nu bellu mbitu
di Totu Gambinu e Michelinu i Vitu;
cuntentu decidu pemmu accettu
mu facimu sta nchianata i pettu.

Partimu cu 'e pedi i scarpuni,
na goccia d’acqua e ddù limuni,
a passu longu e cori cuntentu
e a voglia 'u s’arriva ‘o cumbentu.

Cumincia a nchianàta troppu dura,
Micheli cumincia pemmu suda,
Totu, avanti i nui chi camina,
e ghìo arrèdu ntùttu c’a rihjatìna.

Finisci a n’chianàta o’ bacinu,
i gambi chi mi fannu tridicìnu,
na sosta e na vuccàta d’aria pura,
s’asciùca finarmenti 'a sudùra.

Amùra così bona di sipàli
ndi misimu chianu chianu a mangiàri,
u passu all’improvvìsu si faci lentu
quando vidìmu i mura du cumbèntu.

Pe mmìa è a prima vota, v'u cumpèssu,
chi viju di presenza stu cumplèssu,
e nzemi cu Micheli e puru a Totu
cuminciu pemmu fazzu corchi fotu.

I mura purtròppu diroccàti
ntra corchi stanza pagghia pe' crapi,
stu ruderi, da pochi apprezzàtu,
peccatu mu si vidi abbandunàtu.

Cumincia a malincòri lu ritornu
penzandu a certi genti senza scornu,
scifulàndu ndi facìmu a calàta,
ca sembra tuttu, tranni ca na strata.

Ndi permettìmu, e nd’approfittàmu,
i fìca e i ficandiàni u ndi mangiàmu,
e poi, a' fini, ndi lu promettìmu
ca prestu nzèmi nui nci risalimu.

Chista fudi a gita o cumbentu
chi la volìa fari i tantu tempu,
e mò sugnu puru cchiù felici
c'a' fici nz’emi a ddù bell’amici.

Biagio Cirillo, 19.08.2009


Michele Sorrenti e Toto Gambino impegnati nella salita verso il Convento S. Elia


Toto Gambino e Biagio Cirillo


Michele Sorrenti e Biagio Cirillo


Michele raccoglie le more


Anche Toto si mangia le more


Siamo ormai nei paraggi del Convento S. Elia


Eccoci finalmente all'antico monastero di S. Elia!


Torna ai titoli


(29.8.09) "CILEA MON AMOUR" SU RADIO KING - Il progetto "Cilea mon amour", che prevede la rilettura in chiave jazzistica di un notevole numero di arie del grande compositore palmese Francesco Cilea, nel quale è coinvolto il pianista galatrese Nicola Sergio, il quale ha effettuato una sapiente rielaborazione delle antiche melodie, sarà presentato in una trasmissione della durata di circa un'ora su Radio King International.
Durante la trasmissione si potranno ascoltare le dichiarazioni e le opinioni di vari addetti ai lavori e saranno anche diffusi alcuni dei brani inseriti nel progetto. E' prevista un'intervista a Nicola Sergio e la partecipazione del sassofonista Michael Rosen. Conduce la trasmissione Antonio Ruoppolo.
La trasmissione è programmata per Lunedì 31 Agosto, con inizio alle ore 17,00. La frequenza dove è possibile ricevere Radio King International sono i 90,00 Mhz della modulazione di frequenza. L'emittente può essere ascoltata anche on line dal sito
www.radioking.it.
Ecco i siti dove si possono acquisire ulterioni informazioni sul progetto "Cilea mon amour":

www.cileamonamour.com

www.myspace.com/cileamonamour

Facebook: Cilea mon amour

All'interno del nostro sito, nell'articolo:
Nel pianoforte jazz di Nicola Sergio risuonano le arie di Cilea

Torna ai titoli


(2.9.09) UNA VECCHIA GALATRO SI RIBELLA ALLA LEGA - Acquaformosa, un ridente paese in provincia di Cosenza, nel caldo mese di agosto si ribella alla Lega. Il sindaco, Giovanni Manoccio dice: «Volete cambiare il Tricolore. Volete le gabbie salariali, e poi presidi, magistrati, poliziotti e carabinieri, impiegati dell’Inps e del catasto, tutti con il passaporto della Padania in tasca e il dialetto bergamasco sulla lingua. Insomma: volete sfasciare l’Italia. E noi ci deleghistizziamo». Il sindaco ha già sollevato un vespaio di polemiche perché il suo Comune è il primo d’Italia ad essersi deleghistizzato.
C’è una regolare delibera, approvata il 4 agosto scorso all’unanimità, che prevede finanche l’installazione di «pannelli all’interno della cittadina con l’indicazione di Paese deleghistizzato». Ma c’è anche di più, l’approvazione di un decalogo sui «comportamenti da tenere nei confronti di tutti i popoli, compresi quelli celtico-padani». Sono dieci punti che rappresentano il trionfo dell’ironia nei confronti di certi ridicoli atteggiamenti leghisti. Ci sono le citazioni dei vari uomini di pensiero leghisti (da Gentilini a Salvini) modificate fino a renderle politicamente corrette. Ecco i punti approvati dal comune di Acquaformosa:
«Nel nostro paese non togliamo le panchine per gli immigrati, anzi le dotiamo di cuscini» (Citazione di Gentilini, il sindaco sceriffo).
«Nel nostro paese non disinfettiamo i luoghi dove vivono gli immigrati: i nostri luoghi sono puliti naturalmente» (Tanto per sistemare il Borghezio che spruzzava spray sui vagoni frequentati dalle ghanesi).
«Da noi è vietato scrivere “Forza Etna” o “Forza Vesuvio”: ma si può scrivere: “Fate l’amore non la guerra”». (E così quelli del pratone di Pontida sono contenti).
«Nel nostro paese è vietato fare gli esami di dialetto per l’insegnamento nelle scuole: basta l’esame di abilitazione nazionale». (Tanto per avvertire la ministra Gelmini).
«Nel nostro paese non sono ammesse le ronde: è consentito il libero passaggio e lo “struscio”». (Maroni ascolti).
«Sono abolite le magliette con scritte offensive verso l’Islam: meglio essere nudi che cretini». (Calderoli, invece, si veste).
«Nel nostro paese non si può gridare “Roma ladrona”: si può cantare “Roma capoccia”».
«Nel nostro paese non si possono cantare le canzoni che inneggiano alla "monnezza" di Napoli: si può cantare “O' sole mio”».
«Nel nostro paese non occorre affermare di avercelo duro: perché tutti lo sanno».
«Alberto Da Giussano da noi è ritenuto un dilettante al cospetto del nostro Giorgio Castriota Skanderbergh».
«Questa è Italia, è Sud, è Calabria», aggiunge il sindaco Giovanni Manoccio. «Non ce l’abbiamo con la Lega. I leghisti, per certi aspetti e per la loro folkloricità mi sono pure un po’ simpatici, ce l’ho con quella cultura che appartiene a certe “menti illuminate” del nord che guardano la Calabria con disprezzo. La mia è una provocazione, nessuno la può leggere come un episodio di razzismo al contrario. Noi siamo un popolo accogliente, tollerante, siamo una minoranza linguistica (arberesh) che quotidianamente si spacca la schiena per tirare avanti e per conservare le nostre migliori tradizioni, un patrimonio civile e culturale dell’Italia intera. Ma che ne sanno a Milano? Ci ho vissuto per quattro anni da meridionale emigrante. Lassù sanno poco dei nostri problemi, alleviamo i nostri figli con cura, li facciamo studiare e poi se ne vanno al nord ad arricchire l’economia di quelle regioni».
Ed ecco un breve cenno sulla località di Acquaformosa, nel cuore del Pollino. Paese di tradizioni antichissime, una delle rare isole linguistiche italiane, qui dal 1500 si parla arberesh, la lingua degli albanesi che trovarono rifugio in queste plaghe dopo la sconfitta di Giorgio Castriota Skanderbergh. Lingua, usi, costumi e tradizioni culinarie sono state conservate gelosamente. «Mire se na erdhet Firmoza» (benvenuti a Firmoza, Acquaformosa), c’è scritto all’ingresso del paese. «Timba piasur» (Pietra spaccata) è il luogo dove si trova la chiesa più bella del paese, quella di Santa Maria al Monte, nei secoli IX e X rifugio dei monaci che volevano salvarsi dalle persecuzioni islamiche. Se poi volete respirare atmosfere romaniche e tradizioni greco-bizantine e occidentali che si sono fuse nel corso dei secoli, dovete calpestare il sagrato della chiesa di San Giovanni Battista, nel cuore di Acquaformosa dove si pratica ancora il rito religioso greco-ortodosso.
Ma, direte voi, che c'entra tutto questo con Galatro? Leggendo un po' la storia di Acquaformosa si può notare che qualcosa in comune, almeno in antico, col nostro paese c'è. L'origine di questo paese è dovuta ad Ogerio, conte di Bragallo, che nel 1145 fondava il monastero cisterciense di S. Maria di S. Leuceo (Ughelli, tomo 9). Il paese si chiamava Galatro. Se ne trova menzione nel 1278 (ex registro regis Caroli primi signato in anno 1278, n. 79, litt. H, fol. 228, in cui si dice che il monastero possedea il casale di Galatro). E di nuovo se ne trova menzione nell'anno 1302 (ex registro regis Caroli secundi signato in anno 1302, litt. F, fol. 563, in cui si parla degli abitanti di Galatro, che, dispersi dalle guerre, tornano, finita la guerra, ad abitare il disabitato Galatro, e chieggono l'esenzione dell'imposta per 5 anni). In appresso il paese si chiamò S. Maria di Acquaformosa. Al 1501 vi entrarono gli Albanesi, condotti da Pellegrino Capo, Giorgio Cortese e Martino Capparelli, e vi formarono i loro pagliai nel luogo detto "L'Arioso". Ed ecco le condizioni: "Pagheremo per ogni pagliaio 45 grana all'anno, o 4 carlini e una giornata" (vale a dire che allora una giornata si pagava 5 grana!). "Pagheremo un grano a testa per ogni animale minuto, se son pochi, e la decima se sono molti, e grana 10 per ogni vitello; una giornata per ogni paricchio di buoi, 7 grana e 1/2 per ogni tomolata di vigna, e una gallina ogni anno per fuoco; il decimo per terratico; 3 grana a testa per ogni danno recato dal grosso bestiame ed un grano se da minuto".
Acquaformosa è accomunata con Galatro anche dalla presenza dell'antico rito religioso greco-bizantino. Non dimentichiamo che Barlaam si formò a Galatro nel nostro Convento S. Elia, che allora era di rito bizantino e lui stesso fu per un certo periodo
uno dei principali difensori della chiesa ortodossa contro la supremazia di quella romana.
Certo, adesso a Galatro del rito greco non rimane più traccia, ma qualcosa in comune, oltre all'antico nome del paese, ancora l'abbiamo di sicuro con coloro che si ribellano alla Lega, la quale intende dare il colpo di grazia definitivo al Meridione e sfasciare completamente l'Italia.

Nelle foto, dall'alto in basso: la chiesa di rito greco-ortodosso di S. Giovanni Battista ad Acquaformosa; un momento di una celebrazione all'interno della stessa chiesa; una fase di una processione guidata da un autorevole esponente del clero ortodosso attorniato dalle autorità; alcuni "Papàs" (corrispondenti ai preti cattolici) parlano coi fedeli nei paraggi della chiesa di San Giovanni Battista.

Torna ai titoli


(11.10.09) 'A NOSTALGIA (Biagio Cirillo) - Come potete notare, ogni tanto mi prende lo schiribizzo della nostalgia. Adesso più che mai avrei voluto essere a Galatro per stare vicino ai miei familiari, ma purtroppo, tra il lavoro e la famiglia, non è possibile muoversi continuamente.
Pensando e scavando nel mio passato mi accorgo che gli anni passano e la nostalgia rimane addosso peggio di un tatuaggio, non te ne liberi facilmente.
Senza aggiungere altro e sperando sia di vostro gradimento, vi mando questa poesia:

‘A nostalgia

Io sugnu a Bolzanu i tantu tempu,
dicimu ca mi piaci puru tantu,
ma quando penzu a Galatru mia,
mi veni all’istanti 'a nostalgia

Partivi ch'era ancora adolescenti,
mu vaiu pemmu fazzu 'u dipendenti,
penzandu ch'era tuttu rosi e hjuri
mu ti ndi vai o Nord mu lavuri.

Bellu lu primu jornu e lu secundu,
penzandu ca ti trovi a nn’atru mundu,
u terzu già vorrissi u ti ndi torni,
resisti, ma nci penzi tutti i jorni.

Poi penzi i soru toi e i fraticedhj,
chi li dassasti 'a casa picciridhj,
penzandu puru tantu 'e genitori,
ti senti quasi quasi “traditori”.

Pàssanu lenti i misi e puru l’anni,
t’accorgi c’arrivasti a cinquant’anni,
progressi di sicuru ndi facisti
di quandu du paisi ti ndi jisti.

Cuntentu cali sempri pe li férij
mu giri avanti arredu sti carredhj,
vorrissi pemmu stai tutta la vita
e, comu ti nd'accorgi, è già finita.

Arriva prestu 'u jornu d'a partenza,
c'u cori chi t’arriva sutt’a panza,
e ti ndi vai e saluti a tutti quanti,
comu nu cani "c'a cuda ammenz’all'anchi".

Biagio Cirillo
Bolzano 19.09.09


Non mi resta altro che salutarvi, ringraziarvi per darmi l’opportunità che mi date di potermi esprimere nel mio dialetto attraverso queste poesie, e sperare che anche questa sia di Vostro gradimento. vi auguro una buona Domenica.


Torna ai titoli


(17.10.09) DUE REPORTAGE DA BUENOS AIRES (Pina Lamanna) - Il 3 Giugno 2009, noi studenti della "Dante Alighieri" di Lomas di Zamora (Argentina) abbiamo organizzato con dedizione e con tantissimo affetto il "Giorno dell´Immigrato Italiano". Sono giá tre anni che facciamo questo piccolo omaggio occupandoci anche di fare conoscere le nostre tradizioni, non soltanto la ricchezza culturale che abbiamo imparato dai nostri cari antenati.
In quest´occasione l´omaggio é stato alla donna italiana immigrata, che ha lavorato tanto per fare la patria che oggi abbiamo. C´é stata una mostra di documenti, di vestiti tipici e pezzi di artigiannato fatti dalle loro nonne o bisnonne. Con le vecchie fotografie di famiglia e le importanti donne evocate, abbiamo fatto un bellissimo power point appezzato dal pubblico presente.
Un piccolo gruppo formato da una studentessa, un´insegnante, il vicepresidente della "Dante" e due tecnici hanno perfino intervistato la dott.ssa Eugenia Sacerdote in Lustig, bravissima scienziata di 96 anni che risiede in Argentina da molto tempo. Lei é cugina di Rita Levi Montalcini, la straordinaria donna senatrice a vita italiana arrivata da poco tempo al seccolo di vita.
Un racconto che ha colpito tanto noi tutti é quello che riguarda una mamma calabrese, Angelamaria Aieta, "Desaparecida", catturata e uccisa ci voli della morte nel periodo militare, brutta storia ma é la nostra storia Argentina.
Abbiamo condiviso cosí una giornata piena di emozioni e grande riconoscenza nella quale non é mancato il buonumore e l´allegria provocata da una divertente scenetta fatta da noi studenti.
Per concludere io ho presentato una intervista particolare e personale a una donna, mia cugina, che chiamo con tanto affetto "Zia": é la dott.ssa Raffaela Cuppari, presidente delle donne italo-argentine, venuta in Argentina come i miei genitori Nazzareno Lamanna e Dora Ambesi, i miei nonni, zii, cugini, e tanti italiani che sono venuti proprio da Galatro, un piccolo paese nel sud dell´Italia. Essi hanno contribuito a fare l´Argentina che abbiamo e che noi, nuove generazioni, continuiamo a mantenere con le nostre tradizioni.


I PERSONAGGI

Angelamaria Aieta in Gullo (Desaparecida calabrese) - Aveva 56 anni, era nata a Fuscaldo, Cosenza, casalinga, sposata con quattro figli. Il 5 agosto 1976 fu sequestrata dalla sua casa in via Cachimayo nel quartiere di Constitución e mandata clandestinamente alla E.S.M.A. per essere stata madre, finisce torturata e assassinata nei voli della morte.
Il “Giorno della Memoria”, 24 marzo, è stato scelto dai calabresi per la cerimonia in onore della signora Angelamaria, al cui nome è stata intitolata la Scuola elementare di Fuscaldo Marina. La scuola porta il nome di Angelamaria Aieta, l’eroica mamma immigrata desaparecida in Argentina, vittima della dittatura militare per aver voluto difendere il figlio, detenuto illegalmente dal regime ed essersi battuta per la democrazia e la libertà.
Il 20 aprile 2009, a Buenos Aires, nel quartiere di Constitución, la signora é stata ricordata con una cerimonia pubblica promossa dalla delegazione del Consiglio Regionale Calabrese in Argentina, dai tre figli e da esponenti di associazioni impegnate nella difesa dei diritti civili. La cerimonia si é svolta nella piazza “Angela Aieta” in via Cochimayo.
La Regione Calabria e la Provincia di Cosenza si sono costituite parte civile nello storico processo aperto in Italia per fare giustizia, dopo trent´anni, a tre desaparecidos italiani. Il processo si è concluso con la condanna della giunta militare, emessa dalla corte d’Assise di Roma il 24 aprile 2008 e confermata dalla prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione.

Olga e Leticia Cossettini - Le sorelle Olga e Leticia Cossettini sono nate a San Jorge, provincia de Santa Fe, Argentina, in seno a una famiglia di genitori docenti italiani che hanno fondato scuole a Gálvez, San Carlos.
Olga è nata nel 1898 e morta nel 1987, Leticia è nata nel 1904 e morta nel 2004. Tutte e due insieme lavorarono nel movimento educativo chiamato la “Scuola nuova” o “Scuola attiva”.
Hanno trasformato il sistema educativo e hanno precorso le scuole creative, nelle libere espressioni nei diversi linguaggi, nel lavoro in laboratorio, in biblioteca, nelle gite scolastiche. Si lavorava in organizzazioni di studenti e si pubblicava una rivista: “La voce della Scuola”.
Nel 1950 Olga é stata esonerata dal suo posto per problemi politici ed ideologici con il governo. Questo ha provocato manifestazioni studentesche. Dopo la sua morte è stato realizzato un documentario: “La scuola della signorina Olga”.
Oggi a Buenos Aires, a Puerto Madero, una strada le rende omaggio con il suo nome. Il municipio di Rosario nel 1985 ha nomina to Leticia “Cittadina Ilustre”.
Nel 2004 il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, su proposta del Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini, ha conferito le Onorificenze dell´Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, in occasione della Festa Nazionale della Repubblica, a Leticia Cossettini come Commendatore Impegnata nella diffusine della lingua italiana a Rosario.


RAFFAELA CUPPARI
una donna italiana in Argentina

La dottoressa Raffaela Cuppari, nata a Galatro, Reggio Calabria, laureata in Economia e Commercio all`Università di Buenos Aires. Post-laurea in O.I.T (Organizzazione Internazionale del Lavoro) a Torino, specializzazione: “Formazione, gestione, sviluppo delle piccole e medie imprese”. Docente alla Facoltá di Economia dell`Università di Buenos Aires. Fondatrice e attuale presidente del “Coordinamento Donne Italo-Argentine” a Buenos Aires.
Raffaela Cuppari è arrivata in Argentina il 23/11/1954 con la nave “Santa Fe”, con parte della sua famiglia; giacchè il padre e uno dei suoi fratelli avevano viaggiato prima. Il suo arrivo è stato pieno di emozioni diverse perchè cercava “il viso di suo padre” che aveva quasi dimenticato dopo il tempo trascorso.
Un piccolo racconto fatto da lei ricorda tanto la sua infanzia trascorsa in Italia nel suo caro paese, come i primi giorni in Argentina. Una e l`altra sono state traumatiche, per aver lasciato la sua “terra” e affermandosi nella nuova vita.
I primi anni di studi sono stati difficili; questo non è stato un impedimento, ma una sfida come per tutti i figli di immigrati.
La creazione del “Coordinamento Donne Italo-Argentine” si deve a lei e ad altre donne ed ha il fine di sviluppare i rapporti fra le due nazioni, con speciale accento alla lotta per le pari opportunita, per l`ugualianza dei diritti delle donne nel mondo delle associazioni, la cultura, il lavoro e la politica.
Nell'anno 1997 incomincia legalmente a farsi sentire la voce di queste donne attraverso diversi seminari, eventi e congressi internazionali, anche in rapporti con i comites Italo-Argentini.

* * *

Per concludere vorrei ringraziare la giornalista Nuccia Orlando che mi ha aiutato a scrivere la storia della desaparecida Angelamaria Aieta. Questa giornalista verrá in Argentina in occasione della "Settimana Calabrese" dall'8 al 15 Novembre e vuole incontrarmi per ringraziarmi, invitandomi anche alla festa dei calabresi in Argentina che si svolgerá nel Colosseo di Buenos Aires.

Visualizza lo slide della
Giornata dell'Immigrato Italiano in Argentina

Visualizza lo slide della Festa della Madonna della Montagna a La Tablada

Nella foto in alto: Pina Lamanna, autrice dei reportage.

Torna ai titoli


(23.10.09) BRUNO PABLO ZITO RECITA CON VERONICA CASTRO - L'attore italo argentino di origini galatresi Bruno Pablo Zito ha debuttato, assieme alla nota attrice messicana Veronica Castro, nella attesa fiction dal titolo "Los Exitosos Peréz". Si tratta di una telenovela che è un po' considerata l'evento dell'anno nel suo genere. Le riprese vengono effettuate a Buenos Aires ed è prodotta da José Alberto Castro per Televisa.
Il cast è composto da vere e proprie stelle del video: oltre a Veronica Castro è presente Rogelio Guerra che, assieme alla Castro, è stato protagonista nella famosa ed indimenticata serie "Anche i ricchi piangono".
La trama dai toni da graffiante commedia, ruota attorno a Martín e Sol Pérez, la coppia perfetta che conduce il telegiornale di Global News, il canale dell’imprenditore senza scrupoli Franco Arana. Sua eterna rivale e concorrente Roberta Santos (Veronica Castro), proprietaria di RS News.
In precedenza Bruno Pablo Zito aveva lavorato nella fiction di RaiUno
"Scusate il disturbo", con Lino Banfi. Vi proponiamo qui uno spezzone video in cui l'attore è impegnato, con Veronica Castro, in "Los Exitosos Peréz". Per visualizzarlo cliccare sulla finestra in basso.


Per visualizzare altri video in cui è presente Bruno Pablo Zito cliccare sui link sotto.

"Scusate il disturbo" su RaiUno

Spot Banco BHD

Spot dell'Aspirina
(Voce di Bruno Pablo Zito)

Super ocho volante

Nella foto in alto: Bruno Pablo Zito in un momento della fiction.

Torna ai titoli


(26.10.09) L'ITALIANO NEL MONDO: UN BAGAGLIO DI CULTURA (Pina Lamanna) - BUENOS AIRES. Quando diciamo italiano ci viene in mente tutto ció che appartiene all`arte, perché l`Italia é soprattutto arte in tutte le sue manifestazioni. La lingua di Dante è dolcissima, piena di emozione, di nostalgia e gioia, qualche volta una canzone ti fa arrivare il cuore in gola.
L`italiano è pure l`amore verso la terra, il mare, le tradizioni che si trasmettono di generazione in generazione senza che importi il luogo dove sei nato.
Oltreoceano la sensazione è la stessa, basta soltanto avere nel tuo sangue un po' d`italiano, gìà ti senti in familiarità con qualcuno che trovi per strada attraverso il mondo, perché l`italiano e cosi: è famiglia, è amicizia, è una buona tavola dove si condivide la gioia e anche il pane amaro.
La cultura italiana non ha bisogno di presentazione, è la più ricca al mondo, perché sono passati diversi popoli per il suo suolo: romani, greci, normanni, turchi e tanti altri che l´hanno trasformata. Oggi si può godere di un patrimonio artistico insuperabile a cielo aperto, per tutti coloro che possono sentire l`arte nella loro anima. Soltanto cosí si può sentire l`Italia, se hai un po' di sensibilità artistica.
Il Colosseo, l`Arena di Verona, l'Anfiteatro di Taormina, oggi sono testionianze di un tempo lontano, che possono essere godute sotto un cielo pieno di stelle nelle belle serate d`estate italiane, ascoltando gli artisti attuali, i “musicisti”, le “opere teatrali” che si svolgono per dire ancora che nel ventunesimo secolo noi siamo adesso, in questo punto, per rendere omaggio a quegli antenati che hanno fatto la storia e testioniare che si continua.
Nel nostro tempo alla Scala si ricordano e si ascoltano i suoni e le voci di Verdi, Puccini, Rossini, “la Callas”, personaggi che hanno oltrepassato la frontiera del secolo.
Guardare un pezzo di marmo di Carrara e vederci dentro un'opera ancora nascosta, che manca solo scoprirla, questo è il "Mosé", la più bella opera in marmo, mai superata.
L`italiano, tra le sue manifestazione artistiche, ha anche la moda. Oggi è l`avanguardia in questo mestiere e se diciamo Dolce & Gabbana, Gucci, Versace, Armani, nessuno può dire che non sa di cosa si parla.
La passione per il “calcio” è una delle cose che differenziano dagli altri paesi, la rivalità tra le squadre del Nord e quelle del Sud.
Dire "Ferrari" é dire passione per la “Testa Rossa” sportiva, ti fa venire i brividi nel cuore il suo rumore sulla pista, ancora di più se la guida un grande campione.
Le feste religiose sono sentimenti che si trasmettono nel tempo. In quei piccoli borghi sperduti sulla mappa si continuano ancora oggi a portare il “Patrono” o la “Protettrice”, perchè non c`é festa senza il pellegrinaggio e i canti per le vie del paese. La Madonna viene portata da tanti uomini che la sentono nel cuore. In queste feste si preparano i piatti tipici, “le melanzane ripiene”, gli spaghetti e tante varietà di dolci, perchè la buona tavola non manca ed è un modo per rendere omaggio.
Questo ricco bagaglio culturale è e sarà tanto caro agli italiani come a tutti coloro che hanno conosciuto l'Italia attraverso le sue manifestazioni.

Nella foto: Pina Lamanna, nostra collaboratrice da Buenos Aires.


Torna ai titoli


(28.10.09) LA SETTIMANA DI CALABRIA 2009 A BUENOS AIRES (Pina Lamanna) - Dall'8 al 15 Novembre prossimi è previsto a Buenos Aires lo svolgimento della 54.ma Settimana di Calabria organizzata dalla Asociaciòn Calabresa Mutual y Cultural. In programma una serie di interessanti manifestazioni che prevedono, oltre a vari eventi religiosi, un ricco panorama di eventi culturali e di costume che va dalle mostre, al cinema, alla musica, alla degustazione di piatti e prodotti tipici, presentazione di libri, conferenze e tanto altro.
Per visualizzare il programma dettagliato ed il sito dell'Asociaciòn Calabresa cliccare sui link in basso:

Programma 54.ma Settimana di Calabria 2009 (DOC) 375 KB

Asociaciòn Calabresa Mutual y Cultural

Torna ai titoli


(8.11.09) INCONTRO CON ROBERTO VECCHIONI AL LICEO SCIENTIFICO DI CITTANOVA (Carmelita Agostino) - Organizzato dal Liceo Scientifico di Cittanova, è stato il giornalista della Rai Pino Nano che recentemente, nella Chiesa di San Rocco, ha diretto il dibattito che ha visto come ospite principale Roberto Vecchioni, cantautore e scrittore italiano.
Roberto Vecchioni si è laureato nel 1968 presso l’Università Cattolica di Milano in lettere antiche. Successivamente ha iniziato ad insegnare nei licei classici, come docente di greco e latino. Autore di molti libri e di molti album tra i quali mi piace ricordare “Luci a San Siro” (pubblicato nel 1980), nell’incontro organizzato dal Liceo Scientifico di Cittanova ha presentato il suo ultimo libro dal titolo “Scacco a Dio”, dove narra episodi della vita e delle opere di grandi uomini come Oscar Wilde, Shakespeare, Catullo che hanno sfidato Dio per costruirsi un destino diverso da quello che Dio aveva stabilito per loro.
L’incontro ha visto la partecipazione del Preside del Liceo, prof. Vincenzo Nasso, il quale ha introdotto il tema del dibattito e sottolineato l’importanza della presenza del cantautore-scrittore. Successivamente l’Assessore alla cultura del Comune di Cittanova, dott. Anastasi, dopo un breve saluto ha invitato i ragazzi ad essere orgogliosi del proprio territorio e del liceo scientifico che oggi ospita un personaggio importante come il prof. Roberto Vecchioni.
Don Giuseppe Borelli, parroco di Cittanova, alla domanda fatta dal giornalista, riguardo il libro pubblicato “Scacco a Dio”, ha risposto che nel prof. Vecchioni ha notato una ricerca del trascendente e, citando Sant’Agostino, ha continuato dicendo che il libro, a suo parere, è un’affermazione di un Dio innamoratissimo degli uomini che rispecchia la libertà e permette nella vita di dare Scacco. “Alla fine è sempre l’amore a vincere e quest’amore altri non è se non Dio stesso”.
Nel suo lungo intervento Roberto Vecchioni ha invitato i ragazzi presenti ad essere orgogliosi prima di tutto di essere studenti, nonchè calabresi, e soprattutto educati. Il nucleo fondamentale del discorso fantastico ed esaustivo fatto dal prof. Vecchioni, può essere riassunto in questo modo: “Voi avete tutte le sfighe del mondo, ma avete la testa dura; non ascoltate gli altri, trovate il senso voi stessi a quello che si dice” e nella citazione del discorso di Barak Obama, presidente degli Stati Uniti, che ha detto ai propri ragazzi che devono studiare non per diventare musicisti, veline, ecc., ma per fare delle cose nuove. La storia deve progredire! Bisogna studiare per fare un passo avanti nella storia. Bisogna impegnarsi a fare qualcosa che nella storia nessuno ha fatto prima di noi. Cos’è che ci fa andare avanti? La cultura, “capacità logica di legare nella propria mente due concetti”, avere elasticità mentale. “Se non si ha cultura non si riesce a capire l’azione che fa l’altro. Se non hai qualcosa che ti spinge dentro non arriverai mai alla cultura! La cultura ti rende assolutamente libero.” E ha aggiunto: “Non si arriva all’amore se non si ha la capacità di custodirlo dentro”; e qui ha citato una frase della Bibbia, che si trova nel Vecchio Testamento, quando Cristo dice: “Ama il tuo nemico”.
Al termine del suo lunghissimo intervento è stato altrettanto lungo l’applauso dei giovani del liceo, felici e non sicuramente annoiati! Subito dopo Vecchioni ha intrattenuto i ragazzi con alcune sue canzoni che hanno coinvolto tutti in maniera affascinante.
L’incontro si è concluso con delle domande rivolte dagli stessi alunni del liceo al prof. Vecchioni e con la consegna di una targa-ricordo.
Sicuramente un ringraziamento particolare spetta a coloro che hanno fatto sì che questo incontro potesse avere luogo e che una persona così importante come il prof. Roberto Vecchioni potesse arrivare al Liceo Scientifico di Cittanova.

Nella foto: Roberto Vecchioni con i ragazzi del Liceo Scientifico di Cittanova.


Torna ai titoli


(25.11.09) NU PAISI, NA FAMIGGHIA (Biagio Cirillo) - Un ringraziamento a tutti i miei paesani che sono stati vicini alla nostra famiglia in un momento triste. Le parole giuste per farlo mi vengono solo attraverso la poesia. Eccola:

Nu paisi, na famigghia

Cari amici mei, cari paisani,
vui a chistu mundu "personi umani”,
'i stu paisi na vera realtà,
penzu c’o dinnu puru i l’aldilà.

Vui c’u cori a portata di mani
dati o’ bisognusu nu pezzu di pani,
'u fati cu amuri, non voliti nenti,
e mancu 'u vi fannu ringraziamenti.

A nn’àngulu 'i strata, o spigulu 'i muru,
non c'è povaredhu dassàtu sulu,
mali non fati, mancu 'e spini di strati,
siti presenti cu sani e malati.

E mentri tanta genti si merita u mpernu,
ognunu i vui du paradisu è degnu.
Siti tutti uniti, comu na famigghia,
cu poti tantu duna, ndu nzigna puru a bibbia.

S’è veru, com'è veru, ca esisti 'u Signuri,
aiutu 'u vi duna a grandi e criaturi,
a vui chi stu paisi da sempri abitati
forza 'u vi duna pemmu lavurati.

A tutti quanti vi vogghiu ringraziari:
amici, parenti, grandi e cotrari,
personi umili e personi boni,
chiudu così e tanti bacioni.

Biagio Cirillo

Concludo ancora con un grazie.


Torna ai titoli


(5.12.09) LA PRINCIPESSA EVELINA COLONNA DI GALATRO - Vi proponiamo un filmato che riprende una celebre e splendida scultura realizzata nel 1903 da Francesco Jerace, maestro dallo stile neoclassico, di origine polistenese e famoso in tutto il mondo. Si tratta della Principessa Evelina Colonna di Galatro. L'opera, che si trova nella Pinacoteca e Gipsoteca Provinciale di Catanzaro, è un calco in gesso di una versione in marmo conservata presso gli eredi Colonna a Parigi.


La principessa Evelina Colonna di Galatro
scultura di Francesco Jerace (1903)


Torna ai titoli


(8.12.09) RISORGIMENTO: LA PROTESTA DELL'ABATE MARTINO (Michele Scozzarra) - Le frequenti, ed irritanti, sortite di Bossi sul problema del Mezzogiorno, fanno tornare alla ribalta, scatenando anche polemiche su presunti ritorni di sanfedismo, il Risorgimento: è ormai indubbio che l’unità d’Italia sia stata fatta male, e questo è un giudizio storico che non proviene soltanto dai presunti “nostalgici” papalini. Sono tanti gli storici che, senza troppi giri di parole, sostengono che l’unità d’Italia sia stata, sostanzialmente, un fallimento. Si è tentato di sovrapporre, a una cultura di popolo fortemente radicata e che aveva avuto nella storia varie modalità per influire nella società, un’ideologia laicista, anticattolica, che la gente ha sempre sentito estranea: per questo gli italiani hanno assistito solo dai margini ad un cambiamento da più parti definito “epocale”.
Io non arrivo certo a sostenere che l’unità d’Italia non si dovesse fare: c’erano ragioni economiche, politiche e sociali che rendevano plausibile tale sbocco… ma fu scelta una strada troppo veloce e soprattutto, per il popolo del Meridione d’Italia, troppo violenta, per realizzarla.
Abbiamo avuto nelle popolazioni meridionali fenomeni quasi da genocidio… Per questo, ritengo che una rivisitazione critica del Risorgimento abbia senso in quanto gli eventi di allora hanno avuto ripercussioni che durano tuttora … basti citare le attuali farneticazioni della Lega di Bossi a riguardo del Meridione d’Italia.
Possiamo dire che tutto è cominciato il 18 febbraio 1861, quando nel primo Parlamento italiano, Vittorio Emanuele II veniva proclamato re d'Italia… ma, proviamo a domandarci che tipo di parlamento era. Erano da eleggere 443 deputati per una popolazione di 22 milioni di abitanti. Ma, di questi, solo 419.938 avevano diritto al voto (le donne erano escluse da questo diritto!), attribuito unicamente a chi, per censo e istruzione, appartenesse al ceto dei “natabili”. Poco più della metà, però, del già estremamente esiguo numero di elettori, si recò alle urne: non furono che 242.367. Ma i voti validi alla fine si ridussero a 170.567, di cui oltre 70.000 erano di impiegati statali cui il governo stesso autorevolmente “consigliava” per chi votare.
Si capisce perché un Massimo d’Azeglio, che pure di quel Risorgimento fu uno dei più convinti e autorevoli protagonisti, si fosse lasciato scappare: “Queste Camere rappresentano l’Italia così come io rappresento il Gran Sultano turco!”.
Quindi, se le cose stanno così è abbastanza chiaro cosa significò per i meridionali l'unità d'Italia? L'Italia non poteva certo definirsi uno stato 'nuovo', in quanto era divenuta l'estensione politica ed amministrativa del Piemonte, che estese le sue leggi a tutta l'Italia 'occupata'.
Anche se si voleva una confederazione, un’unione che rispettasse la complessa e diversa storia e insieme la pari dignità delle varie regioni italiane, di fatto, invece, soprattutto le regioni meridionali si sentirono spesso come colonie africane invase dai “bianchi” giunti da un Piemonte il cui Re quasi non sapeva parlare l’italiano (il dialetto quando gli era possibile, altrimenti il francese) e il cui primo ministro considerava anch’egli la lingua di Dante come una lingua straniera: quel Cavour che conosceva bene Francia e Inghilterra ma, quanto all’Italia, non volle scendere mai a sud di Firenze.
Da qui un grosso malcontento: i meridionali non capiscono, e non vogliono capire, le nuove imposte, il servizio militare che sotto i Borboni non dovevano fare; i meridionali non capiscono l'Italia, che per loro è incarnata solo nell'esattore delle tasse.
E da qui la protesta… come quella espressa del nostro
Antonio Martino, un prete meridionale, un prete liberale deluso.
Antonio Martino (1818-1884) è nato a Galatro e della sua vita si sa poco, quasi niente. Fu sacerdote e liberale, perseguitato perché assertore di libertà, più volte imprigionato e amnistiato dai Borboni.
L'Abate Martino esercitò la sua funzione sacerdotale senza venir meno al suo impegno politico: a Galatro, presso la casa paterna, aveva un camino girevole, dove era solito nascondersi durante le frequenti irruzioni della polizia borbonica.
Ma nel 1866, dopo aver gioito per gli eventi che hanno portato all'unità d'Italia, sdegnato per i pesanti tributi imposti dai Piemontesi, scrive il 'Paternoster dei liberali calabresi', dove evidenzia come i mali della Calabria si perpetuano ancora in maniera più pesante con il Regno d'Italia, infatti, amaramente, afferma “…ca di la furca passammu a lu palu…”.
Così si dispera il Martino… troppo si era illuso, troppa fiducia aveva dato, ora si sente tradito e, nella “Preghiera del calabrese al Padreterno contro i Piemontesi” del 1874, scrive:
“Lu pani cu li lagrimi ammogghiamu / e tra sigghiuzzu e chiantu l'agghiuttimu... / e di li fundi nostri cilonari / nui diventammu ed idhi proprietari…”
L'opera del Martino è molto vasta, interpreta una diffusa opinione popolare secondo la quale i Piemontesi erano la causa dei mali presenti in Calabria. Il Martino raccoglie i motivi della grande delusione, gli inganni della classe dirigente: la sua passione politica è un grido di rabbia unita a sarcasmo. Nei suoi versi c'è la protesta secolare della Calabria umiliata e tradita. La grandissima maggioranza della popolazione meridionale si sente del tutto estranea alle nuove istituzioni: si vede soggetta allo Stato e costretta a servirlo con il sangue e con il denaro, ma non sente di costituirne una parte viva e organica. Un dato inquietante, e purtroppo innegabile, è che l’unità d’Italia non è stata fatta sulla lotta allo straniero, non è stata fatta sulla guerra agli austriaci, ma sul sangue del popolo italiano. Stando alla relazione del generale Cialdini, che comandava la terribile repressione, solo nel napoletano le incredibili cifre erano queste: 8968 fucilati, 10604 feriti, 7112 prigionieri, 918 case bruciate, 6 paesi interamente arsi, 2905 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 13629 imprigionati, 1428 comuni posti in stato d’assedio. E da questa tragedia ne nasce un’altra, sino ad allora sconosciuta: l’emigrazione all’estero. Tra il 1876 e il 1914 se ne andarono ben 14 milioni d’italiani: e, questo, nell’assoluta indifferenza dello Stato liberale che, anzi, contava sull’effetto “benefico” delle rimesse degli emigrati ai vecchi rimasti a casa.
Questa presentazione è sufficiente per introdurre due tra le poesie più conosciute del Martino: Il Paternoster dei liberali calabresi e La preghiera del calabrese al Padre eterno contro i piemontesi. Esse, da sole, riescono ad offrire la fisionomia culturale delle popolazioni calabresi ed esprimono una coscienza che, pur nei suoi limiti, sa esprimere proposte di autonomie locali e concrete aspirazioni di giustizia... e, certamente, non si perde nelle 'anacronistiche' polemiche sul Risorgimento esplose nei nostri giorni...
Cosa dire... la rabbia (soprattutto quando sentiamo ignoranti parlare di “Terronia” e di voler “incivilire il Mezzogiorno) ci porta un pò fuori dal seminato, per questo voglio "lasciar dire" allo “spirito libero” dell'abate Martino, che per delle situazioni piuttosto analoghe, ne "La Calabria a sua Madre Italia", nel 1860 ebbe a scrivere: "... di li cannuna cchiù no ndi spagnamu, / di li sordati vostri non temimu; ... / L'Italia nostra nui rivendicamu, / nenti di rrobba vostra pretendimu; / se vui non la cediti a stu riclamu, / latri f..., nui ndi la vidimu. / Pulitica e dirittu vi mparamu: / comu si fa la guerra mò sapimu, / lu culu se parlati vi spaccamu, / ca orfani e pupilli cchiù no simu. ... La Storia dopo secoli si ripete, gli stessi problemi ritornano sotto altre vesti... e la rabbia di Martino mi fa gonfiare il petto di orgoglio...
L’unità d’Italia ci ha relegati ai margini dello sviluppo economico, questo sì... ma di sicuro siamo al centro del pensiero e della cultura!

Nelle tre foto: in alto Giuseppe Garibaldi, al centro una vignetta sul Risorgimento, in basso l'abate Antonio Martino.

Torna ai titoli


(11.12.09) COMPLIMENTI PER RADIO GALATRO IN ONDA E POESIA PER NATALE (Biagio Cirillo) - Intanto vorrei farvi i migliori complimenti per Radio Galatro in onda e speriamo che abbia la stessa riuscita del sito di Galatro Terme News. Già il fatto che il sito e anche la radio portino il nome del paese è una cosa positiva.
L'altra sera sono arrivato giusto in tempo per ascoltare l’intervento in diretta di Michele Scozzarra e devo dire che è stato incantevole ascoltarlo, poi ho ascoltato l’intervento registrato di Domenico Distilo, bravissimo anche lui e, anche se a me la politica non piace, l’ho ascoltato e riascoltato volentieri. Speriamo ci siano più persone che dedicano un po’ del loro tempo per fare interventi.
Io, anticipando il Natale, vi propongo una poesia di cui in passato Carmelino Di Matteo, avendola letta in anteprima, ha citato alcuni versi e anche il titolo nel suo articolo su Galatro Terme News del 18.02.09.
Ecco la mia poesia:

Lu Santu Natali

S’avvicina lu Santu Natali,
na bella spisa pe' tutti i regali;
cu' spendi tantu, cu' spendi pocu
e cu' si scarfa i mani ‘o focu.

Nc’è cu' spendi tanti dinari
e cu' non avi nenti 'i mangiari;
nc’è cu' s’accatta a rrobba firmata
e cu' mbeci è ammenz’a na strata.

Nc’è cui 'u mangiari 'u ghiornu lu ghetta,
e a li figghi nci duna a paghetta;
nc’è cu' si mangia u pani duru
ed eni misu cu i spadhj o' muru.

Si spendi troppu e non si penza
ca si porrìa fari cchiù beneficenza;
su' tanti i figghioli chi mòrinu i fami
e no ndannu mancu nu pezzu di pani.

E mbeci u sprecàmu cu tanta abbondanza
mentimundi a mani supa a cuscienza,
aiutàmu u prossimu, ca no sbagliamu,
e u paradisu ndi meritamu.

Fra panettoni e vinu novellu
tra pocu nesci u Bombinellu
e ntra sta valli di guai e suduri
speramu ca porta nu pocu d’amuri.

Biagio Cirillo

Saluti a tutti e a presto per gli auguri di Buon Natale.

Torna ai titoli


(16.12.09) RICORDANDO ETTORE ALVARO: POETA E FIGLIO DI GALATRO (Michele Scozzarra) - Da tanto tempo, da parte di alcuni amici che hanno la pazienza di leggere i miei scritti su Galatro Terme News, mi si continua a chiedere, insistentemente, come mai ancora non ho scritto niente di Ettore Alvaro, poeta galatrese d’adozione, rimasto sempre affettivamente legato al nostro paese.
Ettore Alvaro era nato a Catanzaro nel 1906 ma si è sempre “sentito” galatrese… il Comune di Galatro gli ha conferito la cittadinanza onoraria e lui, con tanto orgoglio, sulla sua carta intestata, sotto il suo nome aveva messo “Cittadino Onorario di Galatro”.
Alvaro è morto a Roma nell’aprile del 1996, all’età di 90 anni, mentre stava ultimando il Dizionario dialettale della provincia di Reggio Calabria.
Nel dicembre del 1990, sul giornale “Proposte” di Nicotera, ho pubblicato un articolo: “Dal Paese di Conia e Martino: Omaggio ad Ettore Alvaro”, con la pubblicazione di una delle sue poesie, a mio avviso, più belle: 'U prisepiedhu meu'.
Dopo aver letto l’articolo Ettore Alvaro mi ha scritto una lettera, che mi piace pubblicare, in segno di gratitudine ed affetto.

Dal paese di Conia e Martino
OMAGGIO AD ETTORE ALVARO *

Dopo avere scritto nei mesi passati, su queste colonne, dei miei illustri compaesani Giovanni Conia e Antonio Martino (onore e vanto della cultura galatrese), come posso ancora tacere di Ettore Alvaro e delle sue opere? Sulla scia tracciata da questi due grandi compaesani, l'Alvaro è senz'altro riuscito, in tutta la sua produzione letteraria, a non essere da meno.
Mi è accaduto spesso di stupirmi leggendo le poesie di Ettore Alvaro: nel leggerle e rileggerle, soprattutto in luoghi lontani dal paese natìo, si prova un'emozione profonda, una familiare intimità che nasce dal riconoscimento dell'espressione più autentica del proprio ambiente.
Si avverte con chiarezza nelle poesie di Alvaro, come l'arte espressa nella propria lingua madre, può compiere il miracolo di dare respiro di universalità, non astratta ma concreta e vissuta, alle nostre piccole realtà paesane, consacrate ad una profondità tale che non svanirà rapidamente, ma si unirà e continuerà quella che è la tradizione culturale più autentica dei nostri paesi.
Ettore Alvaro è oggi uno dei maggiori poeti calabresi viventi, che nella sua immensa produzione letteraria ha sempre cantato di Galatro e delle sue tradizioni più intime e genuine. Anche se nato a Catanzaro nel 1906, si è sempre considerato, e si considera, galatrese: infatti è a Galatro, paese dei suoi genitori, che trascorre la sua giovinezza ed al quale rimane sempre legato spiritualmente.
Spesso mi chiedo come sarebbe stata la poesia di Ettore Alvaro senza la presenza costante della “sua” Galatro, con i suoi fiumi, le sue strade, i suoi ponti, le sue Chiese ed anche i suoi morti: non si può pensare la produzione letteraria di Ettore Alvaro senza questa “presenza”, di cui il desiderio e la nostalgia rappresentano il segno di una testimonianza che lo sorprende e lo stupisce così come, e forse anche di più, restiamo affascinati e stupiti noi che leggiamo le sue opere.
Come potrebbe Ettore Alvaro destare stupore in noi nel raccontarci, da Roma, dei luoghi dove noi viviamo abitualmente, se prima questo stupore e questa meraviglia non li ha provati lui stesso? E' uno stupore ed una meraviglia che rimanda direttamente ai luoghi ed alle situazioni che hanno fatto nascere la sua poesia.
In questo senso, mirabilmente, il prof. Umberto Di Stilo, in uno dei suoi tanti articoli su Alvaro, ebbe a scrivere: “... l'infanzia trascorsa nel piccolo paese di Calabria ha lasciato un segno indelebile nella coscienza del Poeta, sicché volti e personaggi, episodi e sensazioni si risvegliano poi nel fondo della memoria nei giorni lunghi e diversi dell'età matura”.
A queste mie soggettive considerazioni c'è da aggiungere un dato di fatto, forse singolare: le poesie di Ettore Alvaro si sono diffuse con una rapidità ed un'ampiezza che hanno del sorprendente, tenuto anche conto che non sono mai stati impiegati quei mezzi che, normalmente, vengono usati per lanciare un autore e le sue opere. Infatti l'Alvaro è diventato popolare spontaneamente, senza artifici e senza programmi.
Ettore Alvaro ha dato alle stampe la sua prima opera “Scifidhi” nel 1933: da allora ha pubblicato una lunga serie di volumi e conquistato i più prestigiosi premi, sia a livello regionale che nazionale.
Dopo “Schifidhi”, senza nulla togliere al resto della sua produzione, mi piace ricordare i volumi: E mò lejiti strati, Hiuricedhi, Quatrifogghiu, 'A gonìa e 'a 'nchianata 'o Carvariu, Galatru mia, Festa paisana d'atri tempi, Via Crucis, Angiala, Patannostru e Avi Maria, Imprecazioni dialettali calabresi, Il Carnevale in Calabria, ecc..
Ma, per me, la poesia più bella di Ettore Alvaro è quella che lui, forse, non sa neanche di avere scritto. Quando mi sono sposato, sono stati tanti gli amici che mi hanno scritto cose belle, ed io li ho tutti cari. Ma c'è stato Ettore Alvaro che, da Roma, prende un endecasillabo nella mia lingua madre, lo dispone in un telegramma e lo spedisce perché sente di augurare a me ed a mia moglie
CU AMURI MU GODITI LONGA VITA.
Ed io commosso, sollevo lo sguardo dal telegramma, aggiusto gli occhiali e mi guardo intorno: una corresponsione così da lontano, un messaggio in bottiglia così bello mi commuove, porta una ventata nuova di ossigeno.
Più di una volta ho preso in mano il telegramma, ed ogni volta la riscoperta di avere un amico lontano, che non ho ancora ringraziato per i suoi versi, ma che mi accompagna, con le sue poesie, in lunghi pomeriggi “oziosi”: tante volte prendo un libro, mi piace addentrarmi nella meraviglia e nello stupore delle poesie di Ettore Alvaro.
E spesso si fa sera insieme....

* Proposte, dicembre 1990


Roma 6 gennaio 1991

Gent.mo Amico, Dott. Michele Scozzarra,
Avantieri, 4 gennaio, a mezzogiorno, ho ricevuto il graditissimo Suo plico contenente due numeri di Proposte: ottobre e dicembre 90 e il volumetto: C'era una volta..., che quasi ho finito di leggere, e La ringrazio della Sua squisita cortesia e del ricordo, sincero e amicale, che nutre verso me e della mia poesia.
I Suoi due articoli: quello su Martino e l'altro ... li ho trovati molto interessanti. E per la verità m'è venuto subito il seguente pensiero: d'inviarLe un plauso per il ricordo che spesso fa dei nostri Galatresi che sono vanto ed onore del nostro paese. Questo non perché ha voluto segnalarmi “terzo tra codesto senno”, ma perché penso sia giusto e doveroso, parlarne e ricordarli ai galatresi stessi e agli altri. Perché a loro dobbiamo essere grati per la gloria che danno alla nostra Galatro. Anzi La esorto a continuare su questa scia e tirarne fuori tanti altri che hanno, e danno lustro al nostro paese!
Che dire del Suo articolo che mi riguarda? Molto bello e La ringrazio delle belle espressioni e pensieri che ha scritto. E se, come scrive, s'è commosso per quel mio endecasillabo augurale (nel nostro dialetto) che mi è venuto spontaneo, e nel quale ho pensato di racchiudere amichevolmente ogni più caro, gioioso e cordiale augurio nel giorno delle Sue Nozze, ugualmente mi sono commosso io, nel leggere e rileggere, quanto ha pensato di scrivere sulla mia poesia, specialmente quello che dice negli ultimi quattro periodi del Suo articolo.
Le confesso che non credevo che un endecasillabo, così semplice e spontaneo, Le avesse procurato, e Le procura ancora, sentimenti così belli coi quali Lei chiude l'articolo.
Ottima quella presentazione sulla mia poesia. E la ringrazio. Mi pare di leggere tanti altri lati che io stesso non mi conoscevo e mai sognavo di poter suscitare in chi, come Lei, s'addentra nei miei versi.
La domanda che Lei s'è posta: “Spesso mi chiedo come sarebbe stata, ecc.”, oggi, dopo aver letto il Suo articolo me la son fatta anch'io. E' vero! Galatro mi ricorda tutto della mia infanzia. E se anche per poco tempo ci sono stato da bambino, l'ho nel cuore, ormai invecchiato (compirò, piacendo al Signore, il mio 85° compleanno il 2 marzo prossimo). E mi sento ancora vivo con tutti i sentimenti, grazie a Dio: scrivo, leggo, penso! Non so se è al corrente che ho pronto per la stampa un Vocabolario che dovrebbe racchiudere tutti i vocaboli di quasi tutti i vocabolari finora stampati. Ho raccolto, finora, quasi 36.000 vocaboli della sola provincia di Reggio Calabria! Le Case Editrici vogliono decine di milioni che io, purtroppo, da pensionato, non possiedo! Sto cercando aiuto a destra e sinistra, ma finora, le mie richieste sono state vane. Mi auguro che mi aiuti qualche Santo!
Un grazie sentito per aver fatto conoscere ancora una volta la mia poesiola: 'U prisepiedhu meu!
E, ripeto, non so come esprimerLe il “mio grazie”, cordiale ed amichevole. Ricordo, con piacere, i Suoi articoli sul periodico parrocchiale di Galatro di anni fa, che custodisco con gioia e cura. ...
RinnovandoLe, assieme a mia moglie, per Lei e la Sua gentile Signora, gli Auguri per il Nuovo Anno 1991, La saluto cordialmente, e mi creda, Suo Ettore Alvaro.

‘U Prisepiedhu meu

Finn’a mmò jeu avìa guardatu
Cu ntaressi e cu attenzioni,
‘u prisepiu preparatu
Cu grand’arti e divozioni.
Nc’era chidhu assai sfarzusu
Dintr’e chièsii e ‘ì cattedrali,
panoramicu, grandiusu,
cu cungegni e cu fundali.
Vidìa chidhu paisanu
Cu ‘i pasturi menzi i crita
E ‘i custumi fatti a mmanu,
raccamati oppure ‘i sita.
San Giuseppi, ‘u Bombinedhu,
ntra na casa sdarrupata,
o na grutta, a n’anguledhu,
e ‘a Madonna ndinocchiata,
e nu voi, nu ciucciaredhu,
supr’’a pagghia arrocculati,
chi lu Santu Bombinedhu
coddijàvanu cu ‘i hiati.
Scurria l’acqua ‘i na funtana,
‘a fiumara luccicava;
a na gurna na pacchiana,
saji e panni sci ammarava.
Cuntrastandu l’adhumari
d’’i lucigni a zampuridhi,
chianu chianu caminari
si vidìanu ‘a luna e ‘i stidhi
e na murra di pasturi
sparpagghiati e a tanti posi,
chi portavanu cu amuri
o Bambinu tanti cosi:
cu nd’avia, stritta ntr’e mani,
di ricotta na fascedha,
cu na cista china ‘i pani,
cu tenìa na palumbedha…
Ma a dhi tempi nenti nc’era
Di sti jochi ‘i fantasia:
pari, mancu na lumera
pemmu adhuci lu Misia.
Perciò, aguannu, pe Natali,
preparando ‘u prisepiedhu,
cu ‘i pasturi cchiù essenziali,
jeu mi fazzu pasturedhu,
mu rivivu dha nottata
quando Ddeu ‘n terra calàu
e d’’a Vergini Mbiata
dintr’ o sinu si ‘ncarnau.
Nenti muschiu, luci, nivi,
paisaggi, nenti strati,
chi su scusi o su motivi
mu si resta dhà ncantati.
Mbeci appicciu na lumera
Sulitaria pemmu adhuma,
signu ‘i fidi e di preghiera,
sinn’a quando si cunzuma.

Nelle foto, dall'alto in basso: Michele Scozzarra, il poeta Ettore Alvaro, la copertina del libro "Galatru Mia" di Alvaro, Natività (dal presepe di M. Scozzarra 2008).


Torna ai titoli


(17.12.09) NICOLA SERGIO FIRMA PER LA CHALLENGE RECORDS INTERNATIONAL - La più importante casa discografica di musica jazz in Europa, la Challenge Records International, con sede in Olanda, ha ingaggiato Nicola Sergio. Il product manager, che ha ascoltato le musiche di Nicola e del suo trio fra una miriade di proposte di altri musicisti, è rimasto subito colpito dalle composizioni e dallo speciale sound che il pianista galatrese esprime nel suo jazz. "Questo non ce lo lasciamo scappare" ha detto senza mezzi termini Maurits de Weert ed ha subito contattato Nicola mettendolo sotto contratto come artista e legandolo alla casa discografica, in previsione di un rapporto pluriennale che prevede un percorso di espansione a livello internazionale. Oltre al primo disco, dal titolo Symbols, la cui uscita è prevista nel prossimo febbraio in sette nazioni, è stata riservata infatti un’opzione su 2 altri futuri dischi a nome di Nicola e con sue composizioni.
La Challenge Records International, creata da Anne de Jong e che ha sotto contratto molti artisti americani ed europei, possiede circa 12 sottoetichette nel centro dell'Europa ed ha una capacità distributiva estesa a tutto il mondo. Solo altri due musicisti italiani, oltre a Nicola, sono nel catalogo della grande casa musicale olandese e si tratta di nomi del calibro di Enrico Rava ed Enrico Pieranunzi!
La Challenge si è assicurata l'utilizzazione del nome Nicola Sergio riguardo a future nuove registrazioni audio e video, emissioni televisive e radiofoniche, diritti di immagine (nome, logo, foto, materiale biografico). Il piano di marketing prevede inserzioni in riviste specializzate e magazines europei.
Il CD Symbols, la cui uscita è in scheda per il febbraio 2010, sarà distribuito in una prima fase in Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Olanda, Lussemburgo. La formazione è composta dal trio parigino di Nicola Sergio (pianoforte) che vede la presenza di Matteo Bortone al contrabbasso, Guilhem Flouzat alla batteria + Melanie Badal (Violoncello) + due special guests ai sassofoni: Michael Rosen e Javier Girotto.
I brani sono stati tutti composti da Nicola. Ecco i titoli: 1) Il labirinto delle fate; 2) Violino gitano; 3) Seven/Six; 4) Mr. Hyde; 5) Scilla; 6) Song for Beatrice; 7) Un Quadro, 8) Orbite.
Vi consigliamo di visitare il nuovo sito di Nicola Sergio, completamente rinnovato, al seguente indirizzo:
www.myspace.com/nicolasergio.
Si possono inoltre leggere sul sito della Challenge Records International le informazioni sul Nicola Sergio Trio.

Nicola Sergio sarà impegnato a Galatro e dintorni nel periodo natalizio assieme al grande sassofonista americano Michael Rosen. Vi diamo in anteprima le date previste. Pubblicheremo informazioni più dettagliate a breve.

Martedì 22 Dicembre, Nicola Sergio e Michael Rosen duo, Le Pleiadi Ristorante, Feroleto della Chiesa (Riservazioni: 347.4802512 - 339.8146779)
Domenica 3 Gennaio, Serata musicale con la partecipazione di Nicola Sergio e Michael Rosen duo, Chiesa di San Nicola, Galatro
Lunedì 4 Gennaio, Nicola Sergio e Michael Rosen duo, Le Pleiadi Ristorante, Feroleto della Chiesa (Riservazioni: 347.4802512 - 339.8146779)

In alto: Nicola Sergio ripreso per la Challenge Records (foto by Marcel van den Broek).


Nicola Sergio e Maurits de Weert


Torna ai titoli


(22.12.09) "VORREI" UN BUON NATALE (Biagio Cirillo) - Di solito scrivo le mie poesie in dialetto galatrese perché nella mia testa penso in calabrese. A volte però anche a me può capitare di pensare in italiano, sembra buffo ma è così. E non è tutto, stavolta non parlo del mio paese, né dei miei ricordi, bensì delle mie fantasie per un mondo migliore.
Lo so che non sono il solo a voler tutto questo, so anche che difficilmente si può avverare tutto ciò, però voglio sognare tutto questo e illudermi che possa accadere.
Nel mio volere ci sono tante cose, con semplici parole provo a elencarle in questa poesia.

Vorrei

Vorrei poter cambiare
la terra, il cielo, il mare,
vorrei cambiar la testa della gente
ladra, assassina e prepotente.

Vorrei far capire che con l’amore
si può cambiare il mondo e renderlo migliore,
vedere che Dio fosse presente
nel terzo mondo tra la povera gente,

per dare a loro un pezzo di pane
e non fargli soffrire la sete e la fame,
che in ogni angolo di questa terra
non ci fosse l’odio, non ci fosse la guerra.

Vorrei che non ci fosse più la sofferenza,
la cattiveria, l’egoismo e la violenza,
che in tutte le case regnasse l’amore,
finisse il male e anche il dolore.

Vorrei tutto e non posso far niente,
per questo mi sento nullo e impotente,
a volte vorrei persino morire
per non vedere gli altri soffrire.

Biagio Cirillo

Con questa poesia voglio anche augurare un buon Natale e felice anno nuovo a tutti, Redazione, amici, parenti, conoscenti, emigranti e a tutti quelli che come me seguono questo sito ricco di notizie.
Ringrazio nuovamente la Redazione e mi complimento ancora con tutti per il lavoro che giornalmente svolgete per noi con il sito, e da qualche tempo con Radio Galatro in onda per parlare dal vivo di vari argomenti: politica, il nostro paese, cultura, inquinamento, fede e chissà quant’altro ancora in futuro.
Grazie ancora di aver dato spazio alle mie poesie.


Torna ai titoli

INDIETRO

Copyright @ Associazione Culturale del Metramo 1999 -