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6.1.10 - Una memorabile serata musicale

24.1.10 - 'A malavita

Biagio Cirillo

10.2.10 - "Eugenio Scalfari e il suo tempo": il nuovo libro di Angelo Cannatà

Domenico Distilo

3.3.10 - Tra lingua e dialetto

Domenico Distilo

5.3.10 - Chi era veramente l'abate Conia? Un documento sconosciuto

Michele Scozzarra

12.3.10 - Francesco Mellea: "Un uomo. Una storia"

Michele Scozzarra

15.3.10 - Scalfari tra politica e filosofia nel libro di Angelo Cannatà

Domenico Distilo

17.3.10 - Una preghiera personale al Padre Eterno... se frequenta il sito

Biagio Cirillo

2.4.10 - San Francesco di Paola

Michele Scozzarra

12.4.10 - Presentazione a Roma per il libro su Scalfari di Angelo Cannatà


18.4.10 - Dante presentato il lingua spagnola

Pina Lamanna

19.4.10 - Il video della presentazione del libro su Scalfari

30.4.10 - Presentazione a Parigi per Symbols, il cd di Nicola Sergio

14.5.10 - Una lontana ma splendida serata coi Nomadi

Salvatore Sorrentino

18.5.10 - Interessanti testimonianze dall'Argentina

Raffaela Cuppari / Pina Lamanna

20.5.10 - Il vocabolario del dialetto di Galatro


25.5.10 - Le contrade di Galatro

29.5.10 - Presentato il Vocabolario del dialetto di Galatro

1.6.10 - Un libro sui terroni che cita l'abate Martino

14.6.10 - Nicola Sergio: video live al Sunside Jazzclub di Parigi

21.6.10 - Giornata dell'immigrato italiano in Argentina: un filmato

Pina Lamanna





(6.1.10) UNA MEMORABILE SERATA MUSICALE - Il 2010 si è aperto a Galatro con il Concerto per il Nuovo Anno, memorabile sia per la varietà che per la qualità delle proposte musicali. Si è spaziato fra autori dal Cinquecento ai nostri giorni ed in generi dal classico al sacro, al popolare, fino al jazz.
Ha fatto da tessuto connettivo, nella varietà di proposte, l'impeccabile "british style" del presentatore Nicola Pettinato che ha illustrato con la consueta puntualità autori ed interpreti.
Si è iniziato con una serie di brani per pianoforte eseguiti da Massimo Distilo, pianista formatosi alla scuola di Aldo Ciccolini che, oltre ad un Preludio in Do minore e ad un Quodlibet di Bach, ha proposto una riduzione per pianoforte della prima parte della Quinta Sinfonia di Beethoven. Gli applausi convinti del foltissimo pubblico che gremiva come non mai la Chiesa di San Nicola (dall'acustica impareggiabile), hanno inframezzato i vari brani eseguiti con una cura speciale per la qualità del suono e dei colori. Il pianista ha proposto poi tre canzoni di Guglielmo Cottrau, compositore di origine francese vissuto a Napoli nella prima metà dell'Ottocento, alla base del primo affermarsi della canzone napoletana: Lu milu muzzecato, Fenesta vascia e Te voglio bene assaje. Una proposta musicale in argomento con le ricerche che Massimo Distilo conduce per la propria tesi di dottorato e con il volume a propria cura, con prefazione di Massimo Privitera, di imminente pubblicazione, che raccoglie in traduzione italiana le lettere di Cottrau, altri scritti su di esso ed un profilo biografico ragionato del compositore. Il pianista ha chiuso con un omaggio a Mino Reitano, scomparso nel 2009: una personale trascrizione per pianoforte di Era il tempo delle more. La scelta di omaggiare il cantante calabrese, a lungo protagonista della musica leggera italiana, è stata particolarmente apprezzata dal pubblico.
E' stata la volta poi di due fisarmonicisti emergenti: Rocco Cannizzaro e Salvatore Cirillo, studenti entrambi al 7° anno al conservatorio di Messina sotto la guida di Salvatore Crisafulli. I due giovani hanno proposto brani di non facile approccio come la Toccata di Pasquini (Cannizzaro) e la Pavana di Byrd (Cirillo), oltre ad uno scatenato Libertango di Piazzolla (per due fisarmoniche) che ha riscosso gli scroscianti consensi del pubblico.
E' giunto quindi l'atteso momento del jazz. Il Nicola Sergio e Michael Rosen duo ha deliziato l'attento uditorio con tre brani per pianoforte e sax che hanno riscosso vere e proprie ovazioni. I due musicisti collaborano da diversi anni ed hanno raggiunto un affiatamento ammirevole. Il pianista Nicola Sergio, che vive da due anni a Parigi, è un astro nascente del jazz internazionale, ha firmato di recente per la Challenge Records International ed il suo cd Symbols uscirà nel prossimo febbraio in sette nazioni. Il pianista è coinvolto anche nel progetto Cilea mon amour, rivisitazione in chiave jazz delle arie del compositore palmese.
Il sax di Michael Rosen è invece ben noto negli ambienti della musica internazionale. Oltre alla sterminata discografia e alle collaborazioni con i nomi più prestigiosi del jazz, da Enrico Rava a Stefano Bollani, Danilo Rea, Jim Hall, Jane Morris, troviamo gli assoli di Rosen anche nei dischi di Mina, Celentano, Renato Zero. Apprezzato pure negli ambienti del classico, ha in programma una serie di esibizioni con la Filarmonica della Scala. I due musicisti hanno dimostrato, oltre che una pronunciata originalità improvvisativa, anche la capacità di far immedesimare il pubblico nelle sequenze di accordi delle loro intense atmosfere jazz.
E' venuto quindi il momento dell'ormai imponente Coro Parrocchiale di Galatro, ben 60 elementi voci bianche comprese, diretto con la consueta maestria da Biagio Cirillo e che si è avvalso in questa occasione di una voce solista d'eccezione, la soprano Elena Bagalà perfezionatasi alla scuola di Elio Battaglia e scelta fra le voci nuove della lirica nel Premio Omaggio a Francesco Cilea. Elena Bagalà, sempre in perfetta sintonia col complesso corale galatrese, ha connotato le parti solistiche con la sua sapiente e naturale agogica, conferendo loro un'espressività molto intensa.
Dopo Panis angelicus di Cesar Franck e Adeste fideles di Marco Frisina è arrivato il Va' pensiero di Verdi. La formazione corale galatrese ha dimostrato che i meccanismi contrappuntistici fra le varie voci sono consolidati e il livello raggiunto dalle esecuzioni è sempre più elevato. Il coro si è avvalso in questa occasione, oltre che della collaborazione all'organo di Salvatore Cirillo, anche del prezioso apporto di Nico Amato che, nell'accompagnare all'organo e al pianoforte diversi brani di non facile approccio, ha dato un saggio di abilità e competenza, cui ha contribuito di certo anche l'esperienza come direttore del Coro Polifonico Maria SS. del Rosario di Cittanova.
Negli ultimi due brani - Natale nella mia città e Le tue meraviglie - c'è stato l'intervento del Coro dei Bambini accompagnato dagli strumentisti Florence Lamanna (chitarra) e Raffaele Lorenzini (jambè). E' stato un vero trionfo con la richiesta anche di un bis.
Un gioioso scambio di auguri di buon anno fra il pubblico mescolatosi ai musicisti ha concluso la splendida serata che è stata realizzata grazie al patrocinio di numerosi sponsor di cui riportiamo in basso l'elenco.

Ristorante Le Pleiadi Feroleto della Chiesa

Farmacia Traclò Zappalà Galatro

Cirillo Edilizia Galatro

Steal di Stefania Distilo Galatro

Longo Gioielli Galatro

Bar Primerano Galatro

Macelleria Aloi Galatro

Cirillo Lucà infissi in alluminio Galatro

Officina Meccanica Gullì Feroleto della Chiesa

Scuola Materna Raggio di Sole Feroleto d. Chiesa

Gruppo Metal 5 infissi in alluminio Galatro

Agenzia Viaggi Floramar Cinquefrondi


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(24.1.10) 'A MALAVITA (Biagio Cirillo) - Continuo ingenuamente a sperare in un futuro senza gruppi malavitosi, dove la gente possa vivere senza la paura, dove i sogni dei giovani si possano avverare nella propria terra, dove i genitori non debbano privarsi dei propri figli che già in tenera età devono emigrare per raggiungere i propri obbiettivi. Se a sperare insieme a noi ci fossero anche loro il gioco sarebbe fatto.
Scrivo queste frasi non per offendere chi sta dalla parte del male e nemmeno per minaccia verso le persone che tengono in pugno una terra fantastica e ne fanno luogo di degrado ambientale e fanno si che la povera gente, per lavoro o per paura, debba lasciare la propria terra, i propri cari e gli affetti, per andare a proporsi altrove, dove viene stimata, pagato e può costruire il futuro senza dover rendere conto al primo pinco pallino che gli punta una pistola alla testa per chiedere una parte del guadagno.
Lo so, tanti di voi diranno che ho scoperto l’acqua calda, io invece vi dico che questo è il mio sogno, il sogno di chi da tanti anni va su e giù per l’Italia rischiando la vita sulle strade pur di rivedere la terra nativa, i propri cari e gli amici, respirare il profumo della terra, del mare e di quanto ci appartiene.
Potevo scrivere una poesia bella, felice, che parlasse d’amore e invece eccomi qua a parlare della cosa che più mi disgusta e che per tanti anni mi sono sentito dire di tutto e di più, e a volte mi sono ricoperto di vergogna pur non essendo io uno di loro.
Non so ancora se è il coraggio o è l’amore per questa terra che mi fa scrivere questa poesia.

'A malavita

Mafia, ndrangheta e camurrìa
rovina di lu Sud e di sta terra mia,
rovina 'i tanti mammi e di tantì figghioli
e tutti stannu ccittu p'a paura ca si mori.

Rovina di sta terra e di stu bellu suli,
chi mu si vaci avanti ci voli u protettùri,
rovina d'i studenti chi vannu ancora a' scola,
si vonnu 'u lavuru hannu a bbattìri 'a sola.

Hannu a trovari 'u pani luntanu di sta terra,
jornu pe jornu sta maleditta guerra,
hannu a provari tanta amara umiliazioni
quando si parla 'i mafia ntra tuttu u Settentrioni.

Nui povari emigranti, genti troppu boni,
nd’avimu a virgognàri e passamu pe cazzòni,
pe no fari nenti pe sta terra nostra
e non sapiri dari mai 'na risposta.

Cu sti quattru righi rivolti a sti mafiùsi,
ca arredu a na pistola fannu i coraggiùsi,
vi dicu ca i sordi non valinu propriu nenti,
è megghiu 'a libertà pe l’amici e pe' parenti.

Quantu è bruttu campàri tra sbarri e processi,
vui intra senza sordi, e fora vi fannu fessi;
è megghiu respirari vuccàti d’aria pura,
ca stari tutta a vita ntra 'na cella scura.

Nu jornu puru Diu vi duna 'a sentenza:
carvuna nta lu focu mentìti pe penitenza.
Ancora fati ntempu pemmu vi sarvati,
si dassàti 'a mafia e a Diu vi cunvertìti.

Mammi e figghicedhj vi dannu lu perdonu
e puru i vostri cari acquistanu n’omu bonu.
Dassàti pèrderi 'a droga e i maleditti armi,
goditivi beati li vostri compleanni.

Cambiàmu u Meridioni, ca nui simu capàci,
criàmu u lavuru e vivimu finalmenti mpaci.
Mangiàmundi lu pani, finalmenti duci,
e pe tuttu 'u restu nu bellu signu 'i cruci.

Speru cu tuttu u cori ca chista poesia
n’a scrivivi sulu pe chidhj comu a mmia,
m’a léghinu i mafiusi, m’a léghinu l’azionisti,
li genti di politica e puru i camurristi.

Chiudu sperandu ca stu sonnu s’avvera,
diventa realtà, diventa storia vera,
diventa lu futuru d'u novu Meridioni,
sparisci l’omertà e sti quattru mascalzoni.

Biagio Cirillo
Bolzano 17.01.2010


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(10.2.10) "EUGENIO SCALFARI E IL SUO TEMPO": IL NUOVO LIBRO DI ANGELO CANNATA' (Domenico Distilo) - Pubblichiamo in anteprima assoluta – si tratta di un omaggio dell’autore a Galatro, suo paese natale - la copertina del prossimo libro di Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, che sarà in libreria il 28 febbraio con i tipi dell’editore Mimesis di Milano. Riportiamo, inoltre, il testo di una conversazione di Domenico Distilo con l’autore.


Allora, Angelo, questo tuo libro su Scalfari è finalmente giunto in porto?
Sì, dopo tre anni di lavoro il testo sta per approdare in libreria. Uscirà il 28 febbraio su tutto il territorio nazionale, pubblicato da
Mimesis.

La Mimesis pubblica soprattutto testi di filosofia. Ho visto nel catalogo Emanuele Severino, Umberto Curi, Sergio Moravia - per fare alcuni nomi importanti - e un’infinità di docenti universitari. La scelta di questa casa editrice ha qualcosa a che fare con il taglio del tuo libro?
In un certo senso è così. Discuto innanzitutto l’etica e la filosofia politica di Scalfari e il suo rapporto con la metafisica. Tratto anche altri temi, certo, ma questi sono dominanti.

Vuoi dirci qualcosa del tuo lavoro. Mi sembra di capire che parli poco di Scalfari fondatore di “Repubblica”.
Non tratto per niente questo argomento: fa parte del progetto di un secondo volume, un percorso che va dagli anni del “Mondo” (la mitica rivista di Pannunzio), fino alla fondazione dell’ “Espresso” e, a partire dal 1976, di “Repubblica”. Nel primo volume mi soffermo soprattutto su questioni politiche e filosofiche.

Quali?
Discuto e commento - attraverso un’analisi dei testi - la visione scalfariana dello Stato, la difesa della Costituzione repubblicana; le riflessioni sull’arte e la religione; le sue teorie sul fondamento della morale. C’è naturalmente anche uno spazio dedicato ai giudizi della critica. Sui libri del fondatore di “Repubblica” si sono pronunciati autori importanti come Claudio Magris, Gianni Vattimo, Umberto Galimberti, Pietro Citati, eccetera.

Partiamo dal capitolo sullo Stato. Come articoli il tuo discorso? Quali sono i temi affrontati?
E’ difficile parlarne in poche battute. Comunque: muovo dalla partitocrazia (tema molto discusso da Scalfari negli anni Ottanta), mi soffermo poi sull’attacco leghista allo Stato repubblicano e sul Parlamento dimezzato nell’era del berlusconismo. Al centro del capitolo c’è un flashback sulle svolte autoritarie in Italia e l’assalto al cuore dello Stato: il colpo di Stato di De Lorenzo; gli anni di piombo; la loggia P2. Ma, ti ripeto, qui posso solo indicare i temi e aggiungere che nelle analisi di questi momenti fondamentali della storia d’Italia, Scalfari ha sempre dimostrato un grande rispetto della legge e una difesa assoluta della Costituzione e dello Stato di diritto.

Come quando difese, dalla postazione di “Repubblica”, la linea della fermezza e della “ragion di Stato” durante il rapimento Moro?
Proprio così, ricordi bene. A questo argomento dedico un paragrafo del mio lavoro. Si tratta di pagine fondamentali per una ricostruzione dell’idea scalfariana di “Stato di diritto” e, nello stesso tempo, per comprendere – a distanza di molti anni – un momento decisivo della storia d’Italia. Sono stati anni bui, gli anni di piombo, Scalfari attraverso il suo giornale ha saputo formare un’opinione pubblica vigile e attenta, pronta a scendere in piazza – su posizioni laiche e liberali – in difesa della legalità e dei diritti civili conquistati con importanti battaglie sociali.

Nel capitolo sulla religione discuti - è inevitabile - il delicato tema del rapporto tra Stato e Chiesa. Voglio dire: il punto di vista di Scalfari su questo argomento.
E’ un aspetto senz’altro presente. Ma c’è dell’altro, importante dal punto di vista teorico. In questo capitolo ragiono del libro di Scalfari Incontro con Io: della duplice volontà di Cristo; dell’inconciliabilità di “fides et ratio” (nonostante Woityla e Tommaso); della questione cattolica (nel “giardino del Papa” – in Italia – dice Scalfari, spesso l’ingerenza della Chiesa nella politica supera i limiti stabiliti dai Patti lateranensi); ma ci sono molte pagine dedicate al rapporto ricerca scientifica/fede e al confronto di Scalfari con Habermas su religioni e laicismi. Come molti sanno il fondatore di “Repubblica” è un grande laico e un illuminista: leggere i suoi testi e - a volte - discuterli con lui è stato come immergersi in un luogo teorico dove tutto è sottoposto al dubbio e al vaglio della ragione critica. Una grande esperienza.

Scalfari è ateo, il suo rapporto con la religione - potrebbe pensare qualche lettore - è molto conflittuale. E’ così?
Non sempre e non necessariamente. Ha conversato amabilmente e a lungo con grandi personalità del mondo cattolico, cito per tutti Giovanni Reale e il cardinale Carlo Maria Martini (con quest’ultimo è nata una sincera amicizia), cercando sempre i punti d’incontro, al di là delle inevitabili differenze. In un dibattito, proprio col cardinale Martini, prima della malattia di quest’ultimo, gli ha detto: “Eminenza, la stimo moltissimo, ma sul piano teologico-dogmatico è impossibile intenderci: io non ho il dono della fede. L’incontro può avvenire (ed è interessante) sul terreno dell’etica. L’altruismo, la solidarietà, l’integrazione degli extracomunitari, la difesa degli ultimi, avvicinano la Chiesa alla sinistra liberale più che alle politiche del centro destra.”

Mi viene da pensare ai fatti di Rosarno. E’ nella difesa degli ultimi che il solidarismo cattolico e la cultura dell’inclusione e della solidarietà della sinistra si incontrano.
E’ proprio così. Scalfari e il cardinale Martini hanno anticipato di alcuni decenni un dibattito che oggi è di scottante attualità.

Le differenze però - tra laici e cattolici - ci sono, e restano molto forti.
Certo, e anche Scalfari ci tiene a sottolinearle. E’ un aspetto che evidenzio nel mio libro: la Chiesa predica valori assoluti e pretende d’imporre le sue Verità alla politica (Repubblica denuncia - lo dicevamo - le ingerenze del Vaticano); ma che cos’è la verità? si chiede Scalfari con Nietzsche. Il risultato è l’approdo a una visione relativistica dell’esistenza, che trova gli argomenti logici per contrastare il più logico dei teologi: Vito Mancuso. Ecco, per esempio, uno dei percorsi scalfariani verso la filosofia.

Resta da dire qualcosa dei capitoli sull’arte e, appunto, la filosofia. Il grande pubblico conosce poco gli scritti letterari e filosofici di Scalfari.
Qui veramente è difficile sintetizzare. Posso solo indicare il titolo di qualche libro: penso, per la letteratura, a Il labirinto e La ruga sulla fronte (in quest’ultimo romanzo, attraverso il personaggio di Andrea Grammonte - ovvero: attraverso le avventure e le crisi esistenziali di un grande capitano d’industria - Scalfari racconta un secolo di storia d’Italia). Per la filosofia indico i volumi Alla ricerca della morale perduta e L’uomo che non credeva in Dio. Si tratta di testi dove le idee di Scalfari sull’arte e la filosofia sono sviluppate con una chiarezza di linguaggio e una conoscenza delle problematiche interne alle discipline che sorprende, perché lo immaginiamo completamente immerso nella cabina di comando di un grande giornale. Invece, come Montanelli coltivava con grande competenza la passione per la Storia, Scalfari coltiva ancora oggi un grande interesse per la letteratura e la filosofia. Mi ha raccontato, di recente, che sta concludendo un nuovo testo con un chiaro impianto filosofico.

Il risultato delle sue ricerche è una filosofia, mi par di capire, che guarda a Nietzsche come autore centrale della modernità.
Sì, ma con alcune varianti interessanti. Materialismo, biologismo etico, ateismo: sono le chiavi d’ingresso nella filosofia scalfariana. Ti invierò il libro fra qualche settimana, caro Domenico, e potrai entrare dentro queste tematiche con la calma e l’attenzione necessarie a un’attenta analisi. Dire di più in un’intervista è davvero impossibile. Posso solo aggiungere che Repubblica è stata una postazione particolare, dalla quale Scalfari ha osservato il mondo. Ma anche un luogo di potere. Fondare e dirigere “questo” giornale gli ha dato un prestigio che alcuni ministri nemmeno sospettano. Ed ecco la necessità di riflettere filosoficamente sul potere. In Incontro con Io ci sono pagine interessanti sul tema. E ancora: le riflessioni su etica e politica in L’uomo che non credeva in Dio; e quelle sul progetto, l’azione, la memoria. Eccetera. Il passaggio è, sempre, da uno sguardo giornalistico sul mondo a una più profonda, necessaria (per Scalfari, ineludibile) riflessione filosofica. Ma qui dobbiamo chiudere. Spero soltanto di essere riuscito ad incuriosire qualche lettore.

Credo di sì. A me è venuta voglia di leggerlo questo libro.
E’ quel che volevo. Grazie Domenico, per questa piacevole conversazione.


Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis, Milano, pp. 332, € 20,00

Visualizza la copertina completa del libro (PDF) 965 KB

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(3.3.10) TRA LINGUA E DIALETTO (Domenico Distilo) - Qualche tempo fa si è laureata in Scienze della Formazione, presso l’Università di Messina, Caterina Lauro discutendo una tesi dal titolo Due generazioni a confronto tra lingua e dialetto: un’indagine a Galatro, un tema non certo usuale sul quale, almeno per quanto riguarda il nostro paese, non esistono precedenti, una letteratura a cui attingere e con cui potersi confrontare. La giovane neodottoressa si è così cimentata con un lavoro pionieristico, una ricognizione dello stato d’uso del nostro dialetto da cui trarre spunti interessanti per una riflessione che, interpretandone i risultati, si incentri sul rapporto tra lingua e cultura locale azzardando, se possibile, previsioni sulle probabilità di sopravvivenza di entrambe.
La motivazione dell’indagine è da individuare, su questo non pensiamo possano esserci dubbi anche se l’autrice non lo dice espressamente, nel carattere sempre più pervasivo rispetto alle parlate locali assunto dall’italiano a partire da quella che, sulla scorta del celebre linguista Tullio De Mauro, si può definire “la rivoluzione di Mike Bongiorno”, la diffusione per mezzo della televisione dell’italiano che, nel’ultimo mezzo secolo, è venuto sempre più erodendo gli spazi del dialetto imponendo una forma linguistica ibrida, un codice misto che, stando al lavoro di Caterina, appartiene ormai alla stragrande maggioranza dei galatresi che continuano a parlare il dialetto, anziani o giovani che siano.
Il dialetto - così Caterina Lauro sintetizza il suo lavoro nelle Conclusioni - è molto vitale presso i giovani che ne dimostrano una buona conoscenza, pur manifestando forti spinte verso processi di ammodernamento e di italianizzazione […]. La nuova dialettalità dei giovani è il risultato di un processo avviato dai genitori già in fase di socializzazione primaria attraverso la trasmissione di un dialetto più moderno, epurato dai tratti marcatamente arcaici, di una più prolungata scolarizzazione e della continua esposizione alla lingua dei media. Ma va osservato come tale processo d’italianizzazione sia attivo anche presso le persone anziane, per quanto il loro dialetto continui a mantenere molti tratti conservativi”.
Le persone anziane, quelle che oggi hanno 65 anni, ne avevano nove nell’anno, il 1954, in cui la Rai iniziava le trasmissioni televisive con una programmazione regolare e hanno perciò avuto tutto il tempo, con un’esposizione più o meno prolungata al medium televisivo (sicuramente di gran lunga prevalente rispetto agli altri media), di recepirne il lessico e le forme linguistiche, per giunta in un’epoca nella quale il linguaggio di giornalisti e conduttori televisivi era molto più ligio ai canoni dell’ortodossia grammaticale e sintattica di quanto lo sia oggi. Questo spiega, a nostro avviso, sia perché nella lingua sono praticamente scomparse le forme arcaiche sia perché non solo i giovani ma anche gli anziani parlino senza difficoltà in italiano: gli anziani di oggi non sono quelli di trenta o quarant’anni fa e oltre a recepire le forme linguistiche dell’italiano hanno avuto modo di elaborarne il valore nei luoghi - scolastici, lavorativi, ecc. - frequentati. E’ significativo, a questo proposito, che quasi tutti gli intervistati dichiarino di parlare in italiano quando si rivolgono ai bambini, come se volessero favorirne la promozione culturale e sociale per mezzo di una lingua percepita come più raffinata e formale.
La tesi di Caterina fotografa egregiamente la situazione del dialetto negli anni Zero del XXI secolo offrendocene uno spaccato sincronico sulle categorie di utenti, sulle modalità d’uso e sui rapporti interlinguistici con l’italiano. Ci sarebbe però ora da soffermarsi sulla dimensione diacronica, magari approfondendo vieppiù l’ambito lessicale: qual è, ad esempio, la frequenza d’uso di certi termini nel 2010? E qual era trent’anni fa?
La difficoltà è dove attingere le informazioni relative ad un’epoca nella quale la ricerca non era stata programmata. Non si tratta però di un ostacolo insormontabile: basterebbe scavare nella memoria di anziani e meno anziani sollecitandoli a ricordare quando – con più o meno approssimazione - un certo termine è uscito dal loro vocabolario attivo.
Una considerazione è possibile fare, del resto confortata da quanto emerge dalla ricerca: il dialetto galatrese tra gli anni Cinquanta e Sessanta ha iniziato il suo processo di fuoruscita dall’arcaismo, processo che si può dire, dopo mezzo secolo, completato. Ma per quanto il dialetto di oggi sia molto più vicino all’italiano, non lo si può dire in alcun modo scomparso. Non è avvenuta nessuna sostituzione, al massimo si può parlare di un doppio codice. E se non è avvenuta, o perlomeno non è avvenuta in toto, l’omologazione linguistica, la conclusione da trarsi è che non è avvenuta quella culturale, essendo la lingua parte integrante, sicuramente la più cospicua, di una cultura. Infatti “con sorprendente simmetria rispetto agli anziani, al 75% dei giovani capita di usare parole italiane parlando in calabrese, mentre al 25% non succede” (p.29). Come dire che giovani e anziani parlano nella stessa misura il dialetto e nella stessa misura intercalano parole o frasi in italiano.
Ora, il 75% significa tre quarti degli intervistati che - a prescindere dalle risposte secondo noi poco attendibili sulle cause delle commutazioni di codice - parla e conosce benissimo i termini dialettali e, soprattutto, continua a “pensare” in dialetto, continua cioè a percepire il mondo attraverso gli schemi della lingua-cultura dialettale.
Si potrebbe pensare che questo sia un male, una circostanza che alimenta i revisionismi storici e la ripresa delle ideologie neoborboniche – l’equivalente sudista del leghismo.
Non è così. Fin dai tempi del dantesco De vulgari eloquentia il rapporto tra una lingua più genuina, materna, e una più culta è visto come un’opportunità di reciproco arricchimento. Poi sta alla società e alla politica far sì che il reciproco arricchimento, gli scambi e le commutazioni di codice non si traducano in discorsi politicamente beceri e culturalmente infondati quali sono quelli di leghisti e neoborbonici. Ma questo è un altro paio di maniche, per cui non ci resta che fare voti che qualcuno, magari lei stessa, continui il meritorio lavoro di Caterina Lauro.

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(5.3.10) CHI ERA VERAMENTE L'ABATE CONIA? UN DOCUMENTO SCONOSCIUTO (Michele Scozzarra) - “...'U dissi puru ‘abbati Conia, ca cu’ sett'oru non si cugghiunija...”: è stata questa frase, sentita per caso una sera di molti anni addietro nella sede di Proposte a Nicotera, che mi ha spinto ad interessarmi e rivedere la produzione letteraria e la figura dell’abate Giovanni Conia.
Giovanni Conia nacque a Galatro nel 1752, primogenito di una famiglia di agiati contadini, e morì ad Oppido nel 1839, alla venerabile età di 87 anni, dove fu sotterrato nella Chiesa del Purgatorio, senza neanche il ricordo di una lapide. In seguito furono disperse pure le ossa.
Molte sono le questioni sollevate dalle incerte notizie che si hanno intorno alla sua vita, ma proviamo a domandarci lo stesso: chi era l'abate Conia? Da molti viene descritto come organista prestigioso, poeta, maestro del bel canto, cerimoniere ecclesiastico, oratore sottile e teologo; infatti, grazie ai suoi meriti di teologo, di oratore, di umanista, fu chiamato a far parte dell'Accademia Florimontana di Monteleone, ed il principe Filangelo Vibonese, al secolo don Raffaele Potenza, che ne era il fondatore, lo accolse con il nome di Florisbo Elidonio.
Giovanni Conia, ordinato sacerdote nel dicembre del 1777 dal Vescovo di Nicotera, al quale era stato presentato dal Vicario Generale di Mileto Francesco Lupo, da giovane aveva fatto parte del clero romano dove, segnalato per la sua dottrina e per la sua condotta, venne nominato predicatore apostolico e poté parlare anche alla presenza del Papa nella Cappella Sistina. Don Rocco Zerbi nel necrologio di Giovanni Conia afferma che questi era “d’intemerati costumi e menò vita illibata. Religioso senza ostentazione, virtuoso senza fasto, attivo senza consumo di forza, amico senza doppiezza”.
Ma, quando ormai si trattava di cogliere il frutto dei suoi meriti, Giovanni Conia abbandonò Roma. Tornato dalla Capitale si stabilì in luoghi come Limbadi, Orsigliadi, Caridà, Zungri, definiti dal Canonico Giuseppe Pignataro: “Paesi microscopici e remoti nei quali le cose e gli uomini diventano natura. Ma tra queste cose e questi uomini gli asceti e gli artisti avvertono potente la voce di Dio”.
Fu anche arciprete della Chiesa di Santa Maria degli Angeli e di San Giorgio a Laureana di Borrello e nel mese di maggio del 1826 entrò a far parte del Capitolo di Oppido.
Oratore di eccelse virtù, salì i migliori pulpiti, percorse in lungo ed in largo la Calabria reggina e parte del catanzarese per tenere panegirici, prediche quaresimali, orazioni funebri: il favore popolare lo assisteva, si racconta che ascoltare un suo panegirico era uno scialo di idee, di affetti e di entusiasmo.
In una delle sue poesie più famose, la Canzone faceta, proprio per questo suo peregrinare, dice:

Pistatimi sta testa:
cu tantu chi campai,
ancora no mparai
la Santa Cruci.

‘Ncignai di li primi anni
pemmu ricivu ‘mbiti;
e mai ‘nci furu liti
pe la juta.

Ma poi pe’ la tornata
ognunu rifriddava,
ed eu spessu ‘ncappava
a billi balli.

Eu currijai lu mundu,
pruppiti non dassai:
festa non c'era mai
senza di mia.[…]


Disseminava per ogni dove poesie in dialetto calabro ed in volgare, sollecitategli a destra ed a manca, al suo passaggio o durante il suo soggiorno, stante la conoscenza che si aveva del suo poetare. Non a caso le poesie del Conia si presentano come modello di lingua popolare viva, poiché in esse troviamo ritratte e trasfuse mirabilmente, le locuzioni speciali, la potenza espressiva del nostro vernacolo, la semplicità, il brio spassoso, l'arguzia fine, l'ironia mordace, i sottintesi tanto significativi; infatti le vicende di una gatta che rubava i pesci e li portava al suo padrone, di un asino o di un cognetto di alici, non potevano che esprimersi che nel dialetto parlato ogni giorno.
I conoscitori dei nostri dialetti, riconoscono che il Conia considerava il nostro dialetto una vera e propria lingua, e per la bellezza dei suoi versi lo considerano “un antesignano del rinnovamento letterario”. C’è stato anche chi ha sostenuto che “quello che Dante ha rappresentato per la lingua italiana, Giovanni Conia lo ha rappresentato per la lingua calabra”.
Cesare Lombroso per mostrare l’eccellenza del dialetto calabrese e l’arte dei suoi poeti, trascrisse alcune versi del Conia, nei quali ha riconosciuto una “stupenda e vera poesia, tanto più che riassume la storia ed i pregi del calabrese vernacolo”.
Nonostante tutto questo, ancora oggi, molte notizie sulla vita di Giovanni Conia rimangono incerte, anche se ci sono in giro delle ottime pubblicazioni.
La prima è dello stesso Conia e porta come titolo: “Saggio dell'energia, semplicità, ed espressione della lingua calabra nelle poesie di Giovanni Conia” è dedicata al Signor D. Nicola Santangelo, Segretario di Stato e Ministro degli affari interni nel Regno delle Due Sicilie ed è stata pubblicata dai Tipografi Vescovili di Napoli nel 1834.
Un’altra edizione dal titolo: “Giovanni Conia – Poesie complete” a cura di Pasquale Creazzo è stata pubblicata a Reggio Calabria presso la Società editrice reggina nel 1929.
Altra pregevole pubblicazione del 1980, edizioni Parallelo 38, “L’abate Giovanni Conia, Poeta dialettale calabrese – Testimonianze e poesie” del prof. Raffaele Sergio, il quale è anche l’autore del busto in bronzo di Giovanni Conia che si trova nel piazzale antistante il Municipio di Galatro.
Sempre nel 1980, sotto il titolo “Poesie calabre del Canonico Conia” mons. Giuseppe Pignataro ha curato e presentato la ristampa dell’edizione originale del 1834.
Sul mensile Proposte, nel numero di novembre del 1989, avevo chiuso il mio articolo sull’abate Conia scrivendo che, la ricerca poteva continuare…
Ma, a dire il vero, non pensavo mai che venisse fuori uno scritto totalmente sconosciuto anche ai più approfonditi studiosi del nostro poeta; infatti, fino ad oggi, di Conìa sono state pubblicate solo le poesie. Per questo, mi considero fortunato di aver avuto la fortuna di far conoscere, grazie alla gentilezza della Signora Tina Mumoli-Martorana di Limbadi, l’elogio funebre che l’abate Conia, il 28 giugno 1817, quando era arciprete di Zungri, compose per l’anniversario della morte dell’Arciprete di Limbadi Don Andrea Mumoli.
E’ questo un documento di grande importanza, perché contribuisce a far conoscere la vera dimensione culturale, oltre che oratoria, di Giovanni Conia.
Da parte mia, la curiosità che ha suscitato la figura dell’abate Conia, anche attraverso i miei scritti, è stata una soddisfazione abbondantemente ripagata, dall’aver contribuito a far conoscere più approfonditamente questo grande Poeta galatrese, perché a dispetto di quanto affermava il Creazzo, che “il Conia ha avuto la sfortuna di nascere in quel di Galatro perché li poco o nulla si apprezza”, penso che è stato anche merito dei galatresi aver fatto si che Giovanni Conia non fosse dimenticato, ma venisse conosciuto e apprezzato, non soltanto da pochi esperti.
E vi assicuro che questa, per un galatrese, è una soddisfazione non da poco….

Visualizza l'elogio di Don Andrea Mumoli composto dall'abate Giovanni Conia (PDF) 16 MB

Nelle foto, dall'alto in basso: la copertina del libro di Raffaele Sergio su Giovanni Conia, col busto opera dello stesso autore; la copertina del Saggio sulla lingua calabra di Conia; la copertina dell'elogio di Don Andrea Mumoli di Conia.

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(12.3.10) FRANCESCO MELLEA: "UN UOMO. UNA STORIA" (Michele Scozzarra) - Sabato 6 marzo nel salone della Scuola Elementare di Plaesano, è stato presentato il libro di Marcella Mellea e Michele Petullà Un uomo. Una Storia (Adhoc edizioni), per iniziativa dell’Associazione Culturale Donne “Giovanna D’agostino”.
All’incontro, presente un numeroso pubblico, con gli autori sono intervenuti il Sindaco, il prof. Nicola Rombolà ed il prof. Giuseppe Cinquegrana che ha curato la prefazione del libro.
Il libro è la storia di Francesco Mellea, arruolato negli Alpini appena diciottenne e mandato a combattere in Russia. Una delle pagine più terribili della nostra storia, perché finita la guerra sono stati più di 80.000 i militari italiani che risultarono dispersi: nessuno sa quanti soldati italiani, per quasi mezzo secolo indicati come “dispersi”, sono sepolti in Russia, dove sotto un cippo di pietra nera, in italiano e cirillico, è stato inciso: “Qui riposano caduti italiani”. Una memoria che brucia ancora e che si divide tra vecchie verità e vecchi misteri.
Migliaia di famiglie italiane per anni, invano, gridarono la loro disperazione davanti a tutte le Autorità. Ma non accadde mai nulla, silenzio assoluto. Anche sul modo come sono stati trattati i prigionieri, gli armadi sono rimasti sigillati e pieni di misteri.
Da questo punto di vista, grande importanza riveste la vicenda di Francesco Mellea, proprio perché come scrive Michele Petullà, nella prefazione del libro: “Questa storia riporta alla luce della conoscenza, del ricordo e della memoria una tremenda vicenda umana che, purtroppo, è stata vissuta anche da molti figli della nostra terra e che non va dimenticata e consegnata all’oblìo…”.
Ricordo che, in uno dei suoi più bei racconti che ho letto, “Tre fili di frumento”, tratto dal libro “Il Compagno don Camillo”, Giovannino Guareschi immaginava il suo eroe, travestito da attivista comunista, alla ricerca dei resti mortali di uno dei nostri tanti caduti in terra sovietica. Uno dei comunisti italiani, il compagno Tavan, ricerca la salma del fratello minore disperso in Russia: “Avevo un fratello di cinque anni minore, la guerra se l’è portato via. Mio padre si è rassegnato, ma mia madre no. Quando ha saputo che sarei venuto qui, non mi ha dato pace… mi ha costretto a giurarle che avrei fatto tutto il possibile per trovare la sua tomba e per mettere questo lumino davanti alla sua croce”. Ma, Tavan non trova nessuna tomba e nessuna croce, riesce a trovare il tronco della quercia dove è sepolto il fratello, con una data “27.XII.1941” ed una sola parola “Italia”.
Sono questi i pensieri che mi assalgono, mentre me ne sto seduto in silenzio nel pubblico, ad ascoltare gli oratori, mentre cerco di immaginare il protagonista del libro, Francesco Mellea, nell’inferno della prigionia in Russia, nell’inverno del 1942-43: due anni tremendi con il pensiero angoscioso dei propri cari lontani e l’incertezza della loro situazione che rendeva ancora più duri i giorni e le notti… ma si doveva resistere e rimanere attaccati alla vita, a qualunque costo... Con tutte le energie che rimanevano e con la speranza del ritorno e la fiducia, senza riserve, nella Divina Provvidenza, per non morire, ma non solo per non morire di fame o di tifo o congelato nel terribile gelo della Russia… soprattutto per non morire dentro! Con la consapevolezza, così come traspare tra le pagine del libro, che i giorni della sofferenza non sono giorni persi, perché nessun istante del tempo che Dio ci concede è perso… e alla fine ogni cosa avrà la sua giusta sistemazione.
Mentre gli oratori parlano, immagino i reticolati e le guardie che vigilavano perché nessuno uscisse dai recinti… oppure mentre andavano a rovistare nei sacchi e nei pagliericci, dove non potevano trovare niente!
Ma, se è vero che dai reticolati non si poteva uscire, nessuno poté impedire che, per Francesco Mellea e per i suoi compagni, entrassero invece i ricordi, gli affetti più cari, la patria, mille immagini del passato, la protezione del Santo protettore, non esclusi i progetti per l’avvenire, per quando, finalmente, si poteva tornare a casa.
Nel silenzio della chiesa… è arrivato il triste momento degli addii!... In pochi minuti ho rivissuto situazioni dolorose… Insieme a te ho provato la fame, la sete, il freddo, la paura, il dolore, la commiserazione, la solitudine, la miseria… Ho camminato al tuo fianco per chilometri e chilometri, nel sole cocente, nella polvere, nel fango, nel freddo… Ho sentito il raggelante fischio del vento della steppa e il sibilo delle armi da fuoco. Ho camminato e ho pianto insieme a te”. In queste parole di Marcella Mellea c’è tutto il peso, e la bellezza, di una paternità cui nessun dibattito storico, sociale o politico potrà mai dare una risposta. Il copione che la figlia mette in scena risulta quello avviato, vissuto e portato innanzi dal padre: è la vita, tutta la vita, felice o sofferta, che a Francesco e Marcella è stata assegnata da una Sapienza a noi superiore.
Ho provato a domandarmi cosa può significare per una figlia narrare la storia personale del proprio padre? Penso che, soprattutto, abbia significato di avere avuto il coraggio, e la capacità, di scendere dentro le radici della sua stessa vita, là dove essa è cominciata, dove essa ha tremato nel farsi testimone, in luogo e nel nome del padre, del senso di quell’onore e di quella verità che permettono di poter guardare ad una vita degna di essere vissuta. Considerando un grande onore il poter affermare: “Io sono la figlia”.
Penso che è proprio attaccandosi a quelle radici, a quelle dure pietre di luce, levigate nella sofferenza e nel dolore che, nella particolare storia del padre, Marcella Mellea è riuscita, nel rendere testimonianza al padre, a rendere vivi e palpabili quei principi della storia del nostro Paese, che oggi pronunciamo con una sorta d’esitazione e di paura che sono la dignità, la religione, la famiglia, il paese dove viviamo, la scuola, il lavoro…
Con questo libro è la figlia che restituisce al padre il copione della sua stessa vita, all’interno di un rapporto di paternità, dentro il quale si è stati in grado di testimoniare, ed insegnare, che la coscienza della propria dignità nel dolore, anche di fronte alle più grandi ingiustizie che la vita ci ha messo davanti, sono una testimonianza che, oggi più che mai, ci permette ancora di poter continuare a sperare…

Nelle foto, dall'alto in basso: Michele Scozzarra; la copertina del libro Un uomo. Una storia di Marcella Mellea e Michele Petullà; un manifesto che ricorda i soldati italiani mandati al macello in Russia dal regime fascista.


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(15.3.10) SCALFARI TRA POLITICA E FILOSOFIA NEL LIBRO DI ANGELO CANNATA' (Domenico Distilo) - Su Eugenio Scalfari, guru del giornalismo italiano, il solo rimasto, con Giorgio Bocca, dopo la scomparsa di Brera, Montanelli, Biagi, Man e, qualche giorno fa, Ronchey (ma altri se ne potrebbero aggiungere: si tratta di una generazione eccezionale, difficilmente eguagliabile), si è esercitato, anzi, si sta esercitando dal momento che si tratta di una ricerca programmata in tre volumi di cui qualche settimana fa è uscito il primo (Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis edizioni, Milano-Udine, pp.331 € 18), Angelo Cannatà, che dopo essersi trasferito, ormai da 10 anni, a Genzano, nella zona dei castelli romani, sembra essersi votato alla scrittura di libri (nel 2007 è uscito Nietzsche e Leopardi), peraltro di ottima ispirazione ed eccellente fattura, su temi filosofico-letterari e/o storico-politici.

Scrivere su Eugenio Scalfari non è impresa dappoco. Se si trattasse soltanto di un giornalista, per quanto grande, il campo d’indagine sarebbe bene o male circoscritto. Si sa che il giornalista insegue la storia attraverso la cronaca, per cui basterebbe trarre dagli editoriali, dalle interviste, dai reportage l’essenza di quello che Hegel chiamava “il proprio tempo appreso col pensiero”, ciò che prima come cronaca e poi come storia ha una rilevanza e uno spessore metastorici, una dimensione universale riassunta nel singolo evento, nel singolo fatto da cui l’interprete deve coglierla e svolgerla per poterla adeguatamente comprendere e farla comprendere.
Si dà il caso, però, che Scalfari sia non solo giornalista ma anche filosofo, romanziere, imprenditore, economista, politico, insomma un personaggio poliedrico, dai molteplici interessi e dal multiforme ingegno di fronte al quale rischia di saltare ogni schema, di fallire ogni tentativo di reductio ad unum, di individuazione di un baricentro, di un ubi consistam a partire dal quale proporne una ricostruzione e rappresentazione unitarie.
Questo rischio Angelo Cannatà è riuscito a scongiurarlo trascegliendo dalla mole imponente degli scritti del suo autore quelli che meglio evidenziano il filo che lo lega al proprio tempo - da cui, sempre per citare Hegel, “nessuno può saltar via più di quanto possa saltar via dalla terra”.
Il primo capitolo – Stato e antiStato - è, allora, un'esposizione della dottrina dello Stato di Scalfari nel suo processo genetico, mentre prende forma e sostanza nel crogiuolo delle vicende italiane degli ultimi cinquant’anni -dai fatti di Genova del 1960 alla stagione del terrorismo e delle stragi all’occupazione dello Stato ad opera dei partiti della prima repubblica fino a Tangentopoli e alla successiva devastazione, intellettuale e morale prima che politica, compiuta dal berlusconismo- alimentandosi del sogno giovanile di “giustizia e libertà”. E’ infatti il "sogno" giovanile ad orientare il giudizio che di volta in volta il giornalista pronuncia sugli eventi, giudizio che, nascendo informato a un’idea etica, metapolitica, non scade mai nel pragmatismo deteriore, in quello che, parafrasando Craxi, si potrebbe definire “machiavellismo un tanto al chilo” dei suoi non pochi detrattori.
La sintesi scalfariana di giustizia e libertà viene da Cannatà, pensiamo opportunamente, accostata a Una teoria della giustizia dell’americano John Rawls, autentica bibbia dell’ideologia liberal, di quel liberalismo di sinistra che in Italia ha espresso personalità di grandissima levatura intellettuale – basti pensare a Norberto Bobbio - ma non è mai riuscito a diventare maggioritario, a tradursi, eccezion fatta per poche felici stagioni – Giolitti, il primo centrosinistra di Fanfani e, in minore misura, di Moro - in forza di governo.
Sulle ragioni di questa incapacità/impossibilità il fondatore di Repubblica s’interroga di continuo, in ogni articolo in cui si sforza di spiegare l’infinita transizione in cui il sistema politico è entrato a partire dalla crisi dei primi anni Novanta con le tare storiche, culturali, antropologiche che da secoli aduggiano il Belpaese –strutturale debolezza della borghesia e inadeguatezza delle elite, presenza della Chiesa cattolica e quant’altro.
Le risposte Scalfari le attinge, ovviamente rimodulandole nel proprio personale registro, alla tradizione di pensiero laica e laicista che, partendo da Gobetti, passa per Bobbio e approda a lui stesso. Tradizione che a nostro giudizio ha un limite: è troppo imperniata su ciò che avrebbe dovuto essere e non è stato, con la conseguenza, per usare le celebri parole di Benedetto Croce, di farsi spesso “giustiziera” senza mai essere “giustificatrice”.

Si tratta di un limite (lo si capisce dalla lettura del terzo e quarto capitolo del libro, rispettivamente sulla religione e sulla filosofia di Scalfari, mentre il secondo è dedicato alle riflessioni sull’arte) strutturale, che affonda le radici nell’illuminismo radicale, nel votarsi alla Ragione quale unica guida, sola dimensione nella quale declinare l’esistenza individuale e collettiva, senza lasciare nessun margine a quelle che non riesce a vedere se non come illusioni, che “la ragione non può impedirsi di pensare che sono ‘vere’ solo perché la nostra mente le pensa come tali” (p.189).
Il percorso filosofico di Scalfari, in buona sostanza, sembrerebbe partire da Voltaire per trovare in Nietzsche e nel nichilismo il mentore più congeniale.
Ad avviso di chi scrive appunto soltanto sembrerebbe, perchè non è così. Poiché se così fosse la “religione civile” di Scalfari, che apprezziamo soprattutto leggendo gli editoriali domenicali, sarebbe letteralmente in-fondata, oltre che sul piano teoretico, su quello storico-biografico. In realtà invece un fondamento potrebbe averlo e, anche per motivi generazionali, non potrebbe che essere il vecchio Croce, benché forse non riconosciuto o del tutto misconosciuto.
Sotto sotto, per intenderci, Scalfari per continuare a combattere le sue battaglie all’insegna di “giustizia e libertà” non può non credere, crocianamente, nella storia foriera di una misura sempre maggiore di libertà, operando in tal modo una declinazione crociana del divenire di Nietzsche, come se sospettasse, o sperasse, che Dio non sia morto, o perlomeno non lo sia ancora.
Gli spunti offerti dal libro di Angelo Cannatà sarebbero, comunque, ancora tanti per essere contenuti in un breve articolo. Non ci resta che aspettare l’opportunità di riprendere la discussione.

Nell'immagine: la copertina del libro di Angelo Cannatà su Scalfari.

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(17.3.10) UNA PREGHIERA PERSONALE AL PADRE ETERNO... SE FREQUENTA IL SITO (Biagio Cirillo) - Da un po' di tempo, quando mi viene la fantasia di scrivere una poesia perché mi passa qualcosa per la testa, cerco di evitare, cancello tutto e penso ad altro. Stasera, essendo solo in casa e pensando a tutto quello che ultimamente ci capita in casa Cirillo, mi sono seduto e ho scritto queste strofe dedicate al Padre Eterno. Ho voluto fare una preghiera personale e, non sapendo come spedirgliela, la pubblico sperando che il Padre Eterno sia un frequentatore del sito.
Chiedendo scusa per la mia fantasia esagerata vi saluto e vi lascio in compagnia di questa umile poesia.

Cala Dìu

Cala Diu, vénimi a trovàri,
ca tanti cosicedhj t’àju a cuntàri,
sulu pocu cosi vogghiu u ti domandu,
senza prepotenza e mancu pe' cumandu.

Dimmi, caru Diu, quali li peccati
nd’afflìgginu la casa comu cundannati?
'Na guerra a mmia mi pari c’avimu a cumbattiri,
vorria pemmu sacciu com’àju a reagiri.

'Nu ghiornu nc’è 'nu guaiu e poi n'àutru ancora,
mi pari ca i stu passu non ndi venimu fora.
Vorrìa pemmu sacciu aundi si finisci,
si tu non voi u m’aiuti oppuru u mi capisci.

Ancora non capisciu quandu simu a' fini,
mi sembra ca tu ccà mmia non voi mu veni,
no resciu mu ndovinu qual eni lu motivu,
eppuru, ti lu giuru, c’attìa io nci crìju.

Non vogghiu pemmu pensu ca voi mu nd’abbandùni,
puru si ntra sta vita io fici cosi boni.
Signuri mio bellu vorrìa pemmu nd’aiuti,
ca ntra sta casa nostra è scarza la saluti.

D'i voti io nci penzu qual è la differenza:
aundi non c’è nenti e aundi l’abbundanza.
Si tutti a chistu mundu simu figghi toi,
cala di chissu celu e statti ammenzu a nui.

Ti pregu caru Diu, e sugnu cca chi aspettu,
qualunqui cosa fai io certu la rispettu.
Non si pò ghiri contru la tua volontà,
vor diri ca si nò, speràmu a l’aldilà.

Biagio Cirillo - Bolzano


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(2.4.10) SAN FRANCESCO DI PAOLA (Michele Scozzarra) - Il 2 aprile del 1507, nel giorno del venerdì santo proprio come quest’anno, San Francesco di Paola si spegneva a Plessis-les-Tours in Francia e, in questo giorno in cui la Chiesa ricorda la figura di questo straordinario Santo calabrese “il più calabrese dei Santi o il Santo più calabrese”, voglio provare a scrivere qualche notizia intorno alla sua vita, visto che la devozione per questo grande Santo è molto radicata, anche se non viene ricordata con le processioni e le feste che, di solito, sono riservate alle figure dei Santi più legate nella storia del paese.
Francesco nacque il 27 marzo del 1416 da una coppia di genitori già avanti con gli anni, che gli imposero il nome di “Francesco” per riconoscenza verso l’altro Francesco, il “Poverello di Assisi”, che avevano pregato tanto chiedendo la grazia di poter avere un figlio.
Francesco di Paola era un rude campestre, innamorato fedelissimo ed ubbidientissimo della Chiesa: operò miracoli straordinari ed umilissimi e diede vita ad una regola più rigida di quella francescana. Fu tenace oppositore di tutte le angherie subite dal popolo calabrese e proprio per questo, ancora oggi, il Santuario di Paola e la sua casa natale sono sedi di pellegrinaggi da parte della gente più umile e povera.
“Francesco di Paola non fu certo un dotto, e tuttavia egli conobbe a perfezione la scienza dei santi e seppe penetrare nei cuori più e meglio di quei dotti teologi, che non di rado ricorrevano a lui per avere risposte chiarificatrici nei loro dubbi e nelle loro perplessità. Lui “piccolo”, anzi “minimo” come amò qualificare sé e i suoi figli, meritò di essere maestro dei “grandi” della terra, e ciò grazie alla luce che Dio riversava nella sua anima, assetata di Lui… Mentre esprimo la mia gioia di trovarmi nella terra di questo grande Santo, mi è caro richiamare le importanti lezioni del suo insegnamento morale, ancor vivo tra di voi, come in ogni calabrese. San Francesco è stato additato al mondo come un eremita che praticava estenuanti penitenze… ma Egli era anche un uomo semplice, schietto, che avvicinava i poveri e dava lavoro nel suo convento agli altri. Voi lo sentite giustamente come uno di voi, con le caratteristiche proprie di questa Regione: la tenacia, la laboriosità, la semplicità, l’attaccamento alla fede avita. Ovunque Egli è stato, nelle grandi corti del tempo (a Napoli, a Roma, a Tours in Francia), ha portato le virtù di questo popolo ed è stato l’immagine di ciascuno di voi. Oggi sono qui per dirvi: sappiate incarnare in voi le virtù che hanno reso grande san Francesco in modo che, con forza, possiate debellare il male sociale, che agli occhi di molti ha oscurato l’immagine di questa laboriosa Regione”.
Non ritengo che bisogna ulteriormente commentare queste splendide parole pronunciate da papa Giovanni Paolo II, la sera del 6 ottobre 1984, all’interno del Santuario di Paola: possiamo ben dire che in queste poche e semplici parole di Karol Wojtyla vi è racchiusa la vera, e grande, fisionomia umana e religiosa di Francesco di Paola.
Francesco operava miracoli, risanava gli infermi, aiutava i bisognosi e, spesso, alzava la voce contro i potenti in favore degli oppressi: le sue prediche erano violente, per cui fu ritenuto pericoloso e sovversivo dal re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, che mandò i suoi soldati per farlo zittire, ma essi non poterono fare niente perché il Santo si rendeva invisibile ai loro occhi.
Francesco si riparò prima in una capanna di frasche e, poi, in una grotta che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa: questa grotta è ancora oggi conservata all’interno del Santuario di Paola.
La fama del giovane eremita si sparse ovunque e tanti lo raggiungevano per chiedergli consigli e miracoli: all’età di 70 anni Francesco andò in Francia perché il Papa lo mandò dal Re di Francia che stava male e voleva il miracolo della guarigione; ma arrivato davanti al Re non esitò a dirgli che facesse meno chiacchiere, che lui era arrivato fino in Francia per convertirlo non per altro. Il Re provò ad offrirgli delle monete d’oro, ma lui le rifiutò… anzi, ne spezzò una con le mani e da quella moneta uscì sangue e, rivolgendosi al Re disse che quello era il sangue della povera gente che lui stava martoriando.
Il Re si convertì e non lasciò più Francesco libero di tornare in Italia; infatti, morì in Francia dove, al tempo della rivoluzione, i giacobini disseppellirono il corpo dalla Chiesa dove era stato sepolto e bruciarono le ossa in pubblico, tra la ribellione della popolazione esasperata che, prese le poche ossa bruciacchiate che erano rimaste, avventurosamente, le ha fatte giungere fino a Paola, dove ancora si trovano.
E’ interessante chiederci come è giunto il culto di San Francesco di Paola a Galatro, dove, anche se il Santo non è mai stato festeggiato: io non ricordo alcuna processione se non quella di qualche anno addietro, quando per esigenze di restauro della Chiesa del Carmine la statua di San Francesco insieme a quella della Madonna del Carmine è stata portata in processione nella Chiesa di San Nicola.
Il culto vero e proprio verso San Francesco di Paola si è diffuso a Galatro, e nei paesi del circondario, quando si è sparsa la voce del Miracolo del Pane, avvenuto in territorio del Comune di Galatro e mirabilmente raccontato dal prof. Umberto Di Stilo nel suo libro “Racconti”: san Francesco in viaggio verso la Sicilia, con un nutrito gruppo di persone che lo seguiva, stanco per il viaggio e per il digiuno, si fermò sulla collina soprastante Galatro, nei pressi di Celano, dove chiese a dei contadini del luogo un pezzo di pane. I contadini risposero di non avere di che mangiare. Allora Francesco gli disse di guardare dentro la bisaccia perché era certo che dentro ci fosse del pane. Così dicendo l’aprì e ne trasse fuori un pane bianchissimo e ancora caldo come se fosse sfornato allora. Ancora oggi, sulle alture di Galatro, nel posto dove avvenne il miracolo del pane, vi è una piccola casa dove, su una parete vi è un piccolo dipinto che ricorda il miracolo.
La Statua di San Francesco che c’è a Galatro, apparteneva a Mastro Ciccio Distilo il quale, devotissimo verso il Santo, l’ha fatta realizzare e per tanti anni l’ha tenuta nella sua casa, fino alla fine degli anni ’60 quando è stata collocata nella chiesetta del Carmine.
Per concludere, il mio pensiero va alla Basilica di Paola, ove in vari momenti, contemplando le reliquie del Santo esposte, mi è sembrato quasi di toccare con la mano lo spessore del tempo… e della santità!
Anche se bisogna, certamente, riconoscere, che è davvero lontano il mondo di Francesco, per noi che viviamo nel ventesimo secolo ma, nonostante la durezza implacabile del tempo che passa, come non restare stupiti di fronte alla marea di gente che, incessantemente, si sposta per venerare un uomo morto da centinaia di anni…
Proviamo ad immaginare quanta gente, oggi più che mai, si alza nel cuore della notte per andare incontro ai “Santi”, soprattutto a quelli più cari al popolo cristiano: Francesco di Paola, Francesco di Assisi, Rita da Cascia, Antonio da Padova, Pio da Pietrelcina…
Deve pur esserci un segreto: qualcosa che la fisica e tutte le scienze non spiegano, né possono in alcun modo misurare. E’ una faccenda che deve avere a che fare con Dio. Quel Dio, nel nome del quale, Francesco di Paola ha testimoniato e valorizzato anche i nostri valori e la nostra identità di calabresi… e per questo la memoria della sua santità sfida i secoli e ce lo presenta come se fosse ancora vivo e in mezzo a noi… ancora oggi!






Nelle foto: la statua di S. Francesco di Paola conservato nella chiesa del Carmine a Galatro e vari momenti della processione svoltasi alcuni anni fa.


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(12.4.10) PRESENTAZIONE A ROMA PER IL LIBRO SU SCALFARI DI ANGELO CANNATA' - Il libro di Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, uscito di recente per i tipi dell'Editrice Mimesis, sarà presentato a Roma, Martedì 13 Aprile alle ore 18.00, presso la libreria Bibli, in via dei Fienaroli 28, Trastevere.
Sono previsti gli interventi di Giancarlo Bosetti, direttore di Reset, Antonio Gnoli, responsabile delle pagine culturali di Repubblica, Concita De Gregorio, direttore de L'Unità. Sarà presente lo stesso Eugenio Scalfari.
Il dibattito sarà trasmesso su Radio Libera Tutti, che può essere ascoltata on line sul sito www.radioliberatutti.it.


Nella foto: la copertina del volume di Cannatà, "Eugenio Scalfari e il suo tempo".

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(18.4.10) DANTE PRESENTATO IN LINGUA SPAGNOLA (Pina Lamanna) BUENOS AIRES - Cari amici, vi propongo una presentazione del poeta Dante Alighieri realizzata in power point. Anche se é in lingua spagnola, come dice Michele Scozzarra, dà un senso più "universale" alla lingua di Dante.
Io ho la Divina Commedia in spagnolo. Chiedo scusa per questo, però prometto di leggerla anche in Italiano qualche volta. La prossima volta che sarò in Italia la porterò con me. L'ultima volta ho portato la Bibbia, che adesso ha mia mamma.
Un salutone a tutti.

Visualizza la presentazione su
Dante Alighieri (PPS) 3,56 MB - Per una corretta fruizione si consiglia di scaricare prima il file sul computer e lanciarlo successivamente. Per andare avanti con le diapositive fare clic col mouse.

Nella foto: Pina Lamanna.

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(19.4.10) IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO SU SCALFARI - Ecco il video della recente presentazione a Roma del libro di Angelo Cannatà dal titolo Eugenio Scalfari e il suo tempo. Sono intervenuti alla manifestazione, oltre all'autore, Antonio Gnoli, Giancarlo Bosetti e Concita De Gregorio. Presente lo stesso Scalfari.



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(30.4.10) PRESENTAZIONE A PARIGI PER SYMBOLS, IL CD DI NICOLA SERGIO - PARIGI Fitta serie di appuntamenti francesi per il pianista jazz galatrese Nicola Sergio. Il suo cd dal titolo Symbols, uscito di recente, sta incontrando il favore, oltre che del pubblico, anche della critica e i lusinghieri commenti da parte dei grandi nomi del panorama jazzistico internazionale.
Inoltre un brano del cd, Il labirinto delle fate, nei prossimi mesi di luglio e agosto farà parte della programmazione musicale sugli aerei di Air France.
Il calendario di Nicola non conosce momenti di sosta. Ecco la raffica di appuntamenti che comprendono anche la presentazione ufficiale in Francia del suo CD:

  • 3 Maggio, ore 18.30: Intervista di un'ora a Nicola Sergio su Radio Aligre FM 93.1
    L'intervista sarà condotta da Pascal Pareti e Nathalie Trannois. Ospite il cantante ed autore Adrien Néel.
    C'è anche la possibilità di andare in radio e ascoltare il programma fra il pubblico. In tal caso si dovrebbe avvisare connettendosi al sito
    www.aligrefm.org, dal quale si può ascoltare la radio direttamente on line.

  • 5 Maggio, ore 21.00: Presentazione ufficiale del cd SYMBOLS (Challenge Records) al Sunside Jazz Club di Parigi. Concerto:
    NICOLA SERGIO TRIO + MICHAEL ROSEN
    Nicola Sergio (piano/compositions)
    Matteo Bortone (double basse)
    Fabrice Moreau (drums)
    Ospiti: Melanie Badal (cello), Michael rosen (sax)

  • 6 Maggio, ore 19.30: Mezzora di piano solo di Nicola Sergio nel ridotto del Theatre du Chatelet a Parigi, con vetrina integrale della Challenge Records.

    Biglietti per il concerto:
    10€/persona in prevendita sul sito (offerta 20€/2 tickets): www.billetreduc.com
    13€/persona in prevendita sul sito: www.moxity.com
    20€/persona sul sito di Sunside. Usufruite di un'offerta eccezionale "Concerto+CD": Posto per il concerto + il CD col 20% di riduzione (offerta valida solo acquistando il vostro biglietto sul sito internet www.sunset-sunside.com)

    Ascolta lo spot audio sul CD Symbols

    VIsualizza un'intervista a Nicola Sergio (PDF) 150 KB

    Visita il sito www.myspace.com/nicolasergio

    Ecco alcuni giudizi critici in lingua francese su Nicola Sergio:

    "Installé à Paris depuis 2008, le jeune pianiste nous délivre ici un jazz aux accents chantants, souvent teinté d'une pointe de mélancolie, distillant un charme typiquement transalpin. Si ce deuxième album séduit, c'est aussi par l'équilibre de sa structure, reposant sur des compositions variées et abouties dont l'enchaînement semble avoir été soigneusement étudié... Depuis son piano, le leader dirige ce petit monde sans jamaîs tirer la couverture à lui, toujours au service de la musique. Une belle preuve de maturité."
    Pascal Rozat (Jazz Magazine Jazzman) - Aprile 2010

    "Je pense que, pour embrasser une carrière de leader, il faut trois qualités essentielles: le talent bien sûr, l’intelligence, et la ténacité. Voilà ce que j’ai immédiatement vu chez Nicola Sergio le jour où il m’a rendu visite, il y a quelques années, avide d’opinions et de conseils. C’est avec une grande fierté que j’écris aujourd’hui ces “liner notes” pour parler du magnifique travail que vous tenez entre vos mains,où un pianiste sensible et résolu joue avec talent de la musique intelligemment écrite, dirige avec intelligence une rythmique tenace et une front-line talentueuse, marie avec talent des musiciens de tous âges et tous horizons autour d’un projet ambitieux, aux couleurs variées, tantôt empreint de la tradition du jazz, tantôt d’autres traditions..."
    Giovanni Mirabassi www.mirabassi.com

    "Ce pianiste de jazz apporte avec son premier album beaucoup d'élégance, d'audace et de surprise dans sa façon de jouer.Une découverte Aligre FM, à ne pas louper!"
    Pascal Pareti e Nathalie Trannois (Radio Aligre FM 93.1)

    Il disco oltre che nella maggior parte dei negozi di musica è acquistabile on line su molti siti. Eccone alcuni:

    ITALIA
    ibs.it
    fnac.it
    bol.it
    egeamusic.com
      FRANCIA
    integralmusic.fr
    amazon.fr
    fnac.com
      RESTO D’EUROPA
    allegro-music.com
    cduniverse.com
    imusic.dk
    musicline.de
    cdmarket.eu
    exlibris.ch
    shockhound.com
    napster.com
    wikio.fr
    7digital.com
    emusicc.com
    tradebit.com
    xrise.ch
    music-story.com
    challenge.nl
      GIAPPONE
    diskunion.net
    shop-pro.jp
    rakuten.co.jp
    tower.jp
    tower.jp
    product
    bk1.jp


    Nelle immagini: In alto a sinistra il manifesto di presentazione del cd Symbols; in basso a destra il manifesto per il concerto di Nicola Sergio al Theatre du Chatelet.

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    (14.5.10) UNA LONTANA MA SPLENDIDA SERATA COI NOMADI (Salvatore Sorrentino) - Ecco un brano musicale che a molti ricorderà qualcosa: una serata bellissima dedicata a chi era presente, a chi è lontano, a quelli che ne hanno sentito parlare e, soprattutto, a chi adora Galatro!

    I Nomadi in concerto a Galatro il 13 Agosto 1985 con la voce del mitico Augusto Daolio:




    I Nomadi ai tempi di Augusto Daolio


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    (18.5.10) INTERESSANTI TESTIMONIANZE DALL'ARGENTINA (Raffaela Cuppari / Pina Lamanna) - Carissimi Galatresi,
    è da tempo che non scrivo. In omaggio ai tanti Galatresi che sono venuti in Argentina a lavorare o, come si diceva una volta, a fare l´America, a costruire una vita diversa per i loro figli, invio queste immagini di Buenos Aires con la musica di Cacho Castaña, figlio di un calabrese.
    Raffaela Cuppari

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    * * *

    Ecco un documento sulla Liberazione ed altre foto relative alla festa di San Francesco di Paola in Argentina.
    Pina Lamanna

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    (20.5.10) IL VOCABOLARIO DEL DIALETTO DI GALATRO - E’ uscito, per i tipi di Luigi Pellegrini Editore, il Vocabolario del dialetto di Galatro di Umberto Di Stilo (pp. 549 € 50), opera destinata a segnare una pietra miliare nel percorso di riscoperta delle nostre radici e della nostra identità culturale.

    Le presentazione ufficiale è prevista per Mercoledì 26 Maggio, alle ore 17.00, nella Sala Convegni delle Terme Sant'Elia. Oltre all'autore, interverranno il prof. Paolo Martino dell'Università di Roma Lumsa e numerose personalità della cultura e della politica (consulta la locandina in basso).

    La pubblicazione è stata resa possibile dalla collaborazione del Comune, che ha garantito l’acquisto di uno stock di copie. Le motivazioni della scelta sono esposte nella Prefazione dal sindaco Carmelo Panetta, che si dice “orgoglioso di aver destinato una cospicua somma delle esigue risorse finanziarie del Comune alla pubblicazione di quest’opera che ritengo uno degli eventi culturali più importanti nella storia del nostro paese (…), una scelta qualificante per chi gestisce la cosa pubblica perché (…) un popolo non può progettare il suo futuro se non irriga le radici del proprio passato”. Non si tratta però, chiarisce Panetta, di “un revival del tipo ‘come eravamo’, bensì di un contributo alla formazione e crescita dei giovani con una visione culturale di ampio respiro”.
    Alla Prefazione del sindaco segue un’articolata Introduzione di Paolo Martino, docente di Linguistica all’università romana Lumsa, dal taglio inevitabilmente tecnico. Ai necessari tecnicismi Martino non ha però sacrificato, va detto a suo merito, le esigenze della divulgazione, fornendoci un quadro esaustivo del contesto di studi nel quale si inserisce il lavoro di Umberto Di Stilo. Si tratta, chiarisce lo studioso, di fornire materiali su microaree linguistiche (“Galatro è interno alla Sezione italo romanza meridionale estrema caratterizzata da un vocalismo di tipo ‘siciliano’”), “un prezioso supporto in vista del progetto di cartografazione della realtà linguistica della regione”,cioè “la realizzazione di un Atlante linguistico della Calabria (che) appare ormai inderogabile, visto che i materiali consegnati nei repertori classici (…) appaiono insufficienti per dar conto dei particolari della variazione dialettale calabrese. Basti pensare alla capricciosa distribuzione dell’isoglossa delle retroflesse e dell’isomorfa del pronome possessivo posposto, che richiedono indagini geolinguistice molto più capillari”.
    A differenza di altri repertori lessicali locali, i cui compilatori non uniscono alla meritoria passione archeologica e all’amore per le tradizioni culturali “una sufficiente consapevolezza dei problemi dell’indagine lessicografica e un metodo sicuro”, il Vocabolario del Di Stilo, nota Paolo Martino, “si presenta come uno dei più affidabili nel settore, avendo l’autore all’attivo una vasta produzione in cui si mostra un vivo interesse per i dialetti, avendo egli lavorato a lungo nell’ambito delle ricerche per un Atlante dialettale della Calabria e avendo messo a punto esperienze preziose nel trattamento di corpora dialettali”. Esso “ha soprattutto il significato di conservare per le generazioni future la memoria del passato e la ricchezza del patrimonio culturale che la comunità ha accumulato nei secoli”.
    Tanto più meritoria appare poi l’operazione culturale se si pensa che la legge quadro 482/1999 che tutela le minoranze linguistiche lascia senza protezione alcuna i dialetti, la cui sopravvivenza è quindi affidata alla sensibilità delle comunità locali, in particolare della scuola. e, come nel nostro caso, delle pubbliche amministrazioni.
    Concludendo, Martino evidenzia come “alla ricerca sul campo, coadiuvata dalla personale competenza dell’Autore, che è parlante nativo, si aggiunge lo spoglio della tradizione letteraria orale e scritta”, tradizione che nel caso di Galatro è di tutto rispetto nel panorama regionale. Poeti come Giovanni Conia, Antonino Martino, Ettore Alvaro, Rocco Distilo sono personalità di spicco a livello regionale”.
    Il Vocabolario è corredato, infine,da un’Appendice di antichi soprannomi e da Elementi di grammatica galatrese, nonché da una non meno utile Bibliografia essenziale nella quale risultano inseriti il Rohlfs, il Marzano e lo Stancati-Violi, punti di riferimento imprescindibili della lessicografia regionale.



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    (25.5.10) LE CONTRADE DI GALATRO - Vi proponiamo la prima puntata di un piccolo lavoro incentrato sulle caratteristiche delle contrade di Galatro. Già dietro ognuno dei loro fascinosi nomi si nasconde una piccola storia che le caratterizza e ne contrassegna le vicende nel corso dei secoli, facendoci risalire fino ad epoca medievale.

    PIGADI - Nome di una contrada fra Galatro e Giffone, ma ricadente quasi tutta nel territorio del Comune di Galatro. Nei tempi più antichi era molto abitata da contadini giffonesi e galatresi che trovavano in quel terreno un mezzo di sostentamento. Vi si potevano coltivare il granone e il grano. Era talmente popolata che, fino ad alcuni anni fa, esisteva anche una scuola elementare statale pluriclasse a calendario speciale, funzionante cioè da Marzo a Settembre. Questa contrada dista da Galatro circa due ore di cammino a piedi e da Giffone circa 45 minuti. Oggi è abbandonata perchè i contadini non vi hanno più trovato utilità. Pigadi significa "fontana". Infatti nella zona era presente acqua in abbondanza che favoriva l'irrigazione delle terre.

    BOFIA (o Bofea) - Prese il nome dalla marchesa Boféa vissuta, si racconta, attorno al VII o VIII secolo. Il nome venne storpiato in Bofìa col passare del tempo. La contrada si trova nel territorio di Galatro, sulla sponda sinistra del fiume Metramo, però molto all'interno. Ha un territorio abbastanza fertile per la coltivazione delle olive, degli agrumi e della vite.

    CASTEDHACI - Il nome deriva da "contrada dei castelli". Si tratta di una zona di montagna un tempo densamente popolata, ricadente nel territorio di Galatro. Le estensioni di terreno sono adatte alla coltivazione del grano e dell'erba per il pascolo. Oggi vi risiedono un numero ridotto di famiglie che vi hanno costruito casa. Il territorio dispone di luce elettrica.

    FUNDACARO - Piccola zona di campagna posizionata a ridosso del centro abitato di Galatro. Vi sono piccole estensioni di terreno coltivate a viti. La contrada prese il nome dal primo proprietario Antonio Fondacaro che vi aveva impiantato una fornace per la costruzione di mattoni di terracotta (carcàra). In questa zona sorgono oggi ridenti palazzine.

    LAGUDI - Contrada boscosa nel territorio del comune di Galatro. Il nome è derivato dal feudatario Giovanni Lagùdi vissuto, secondo alcuni, nel 1400. Nel suo territorio vi sono estensioni di boschi attualmente di proprietà del Comune.

    I - Continua...


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    (29.5.10) PRESENTATO IL VOCABOLARIO DEL DIALETTO DI GALATRO - Ha avuto luogo presso l’auditorium delle Terme la presentazione del Vocabolario del dialetto di Galatro di Umberto Di Stilo.
    Alle note introduttive e di saluto dell’assessore alla cultura Bruno Scoleri e del sindaco Carmelo Panetta, che a nome di tutti i galatresi ha ringraziato Umberto Di Stilo per essersi sobbarcato un lavoro improbo durato anni ma che rappresenta, ora che è stato portato a compimento, un punto di riferimento per la cultura e l’identità del nostro paese, ha fatto seguito la relazione dell’ex sindaco, professore di lettere e attualmente dirigente scolastico dell’’Istituto comprensivo di Mammola, Franco Galluzzo.
    Galluzzo si è soffermato sulla dignità della cultura calabrese e della lingua in cui essa si esprime, erede delle grandi tradizioni greca e latina. Di questa lingua e di questa cultura il lavoro di Umberto Di Stilo rappresenta ora una ragione e uno strumento in più per apprezzarne la ricchezza, lasciando cadere le prevenzioni che, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, inducevano molti a vergognarsi del dialetto e a costringere i figli a parlare in italiano. Atteggiamento che se poteva essere spiegabile trenta o quarant’anni fa, oggi, nell’epoca in cui il dialetto è uscito dall’arcaismo, è affatto privo di senso.
    E’ stata quindi la volta del prof. Paolo Martino, linguista docente alla Lumsa, che dopo aver premesso che ogni lingua racchiude una visione del mondo, ha illustrato le caratteristiche del Vocabolario di Umberto Di Stilo, costruito, a differenza di altri dalle identiche finalità, non solo con passione e amore per la propria lingua materna, ma con consapevolezza metodologica e capacità di attingere ai testi di una letteratura –quella di Conia, Martino, Alvaro, Rocco Distilo – di grande dignità e notevole spessore. Martino, che ha sostenuto il carattere di vera e propria lingua di quello che noi calabresi per primi ci ostiniamo, sbagliando, a chiamare dialetto, si è anche prodotto in alcune apprezzate puntualizzazioni tecniche circa la storia e l’uso di alcuni lemmi.
    Si sono poi registrati vari interventi, tutti di grande interesse tra cui quello dell’assessore provinciale alla cultura Santo Gioffrè, che ha rievocato con accenti accorati il passato di sofferenze delle classi subalterne calabresi. Gioffrè si è, a conclusione del suo intervento, impegnato, a nome dell’amministrazione provinciale a sostenere finanziariamente la pubblicazione della Storia di Galatro che Umberto Di Stilo ha ormai completato dopo anni di pazienti ricerche. Analogo impegno ha assunto Carmelo Panetta a nome dell’amministrazione comunale di Galatro.
    Infine l’autore ha raccontato i numerosi anni dedicati alla confezione del Vocabolario, col paziente lavoro di raccolta attingendo alla lingua delle persone più anziane con le quali non disdegnava di trascorrere il suo tempo. Di Stilo ha preannunciato, concludendo, una imminente ristampa con l’aggiunta di soprannomi che gli sono sfuggiti. Gli interventi dei relatori e del pubblico sono stati inframmezzati dalle esibizioni canore di alcuni allievi della Scuola Media di Mammola che, sotto la guida dei loro insegnanti, hanno proposto pezzi famosi della tradizione musicale popolare calabrese.

    Nella foto: il tavolo dei relatori durante la presentazione del Vocabolario.

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    (1.6.10) UN LIBRO SUI TERRONI CHE CITA L'ABATE MARTINO - Pino Aprile, Terroni, Piemme, 2010, pp. 305, € 17,50.
    Un libro del noto giornalista Pino Aprile, già collaboratore di Sergio Zavoli nell'inchiesta Viaggio nel Sud e nella trasmissione Rai Tv7, si interroga su tutto quello che è stato fatto perchè gli italiani del Sud diventassero Meridionali. Secondo Pino Aprile la storia di oggi è uguale a quella di ieri: dopo l'unità d'Italia il Sud subì un vero e proprio scippo, con tutte le ricchezze che venivano depredate dai piemontesi per favorire lo sviluppo del Nord. Chi si ribellava era considerato un brigante e veniva immediatamente fucilato o impiccato. Interi paesi rasi al suolo con esecuzioni di massa (anche di donne e bambini), stupri ed altre atrocità. Il numero di vittime raggiunse cifre altissime difficilmente quantificabili, secondo alcuni si sfiorò il milione di morti.
    I quattrini del Sud, che ancora poco dopo l'unità circolavano in quantità doppia rispetto a quelli di tutto il resto d'Italia messo assieme, servirono in gran parte per coprire i debiti di guerra del Piemonte. Subito dopo, un sistema fiscale durissimo nei confronti del Meridione fece il resto. Nonostante tutto ciò, ancora fino ai primi del Novecento il Sud manteneva un tenore di vita simile a quello del Nord, ma l'opera fu continuata dal fascismo e dai successivi governi repubblicani che favorirono con sperequazioni disumane l'ulteriore sviluppo del Settentrione e resero il Sud un'area depressa e di emigrazione, in cui tutto ciò che si vede è caratterizzato dal segno "meno", e dove anche la colpa di tutto è addebitata alle stesse genti meridionali. Il rozzo e barbaro branco dei leghisti di Bossi ha completato l'opera. Si tratta di un libro che espone tesi affascinanti ma documentate e che val proprio la pena di leggere.
    A pagina 118 c'è anche un riferimento ai versi sferzanti, contro i piemontesi, del nostro abate galatrese Antonio Martino, vissuto all'epoca dell'arrivo dei "liberatori". Ve ne riproponiamo in basso uno stralcio.

    Calaru di Piemunti allindicati,
    na razza chi mangiava dhà pulenti
    e di Netali e Pasca dui patati.
    Iestimaturi orrendi e miscredenti
    e facci tosti e latri cedulati,
    superbi, disprezzanti, impertinenti,
    sèdinu all'umbra e fannu tavulati
    cu li suduri chi jettamu ardenti.
    E di li fundi nostri cilonari
    nui diventammu, ed idhi propetari.

    Di cannavedhu vìnnaru vestuti,
    scarpi ammuffati, robba di becchini:
    mò di castoru, e vannu petturuti,
    cu stivaletti a moda li cchiù fini.
    Calaru ccittu ccittu, ntimuruti
    e virgognusi comu fanciullini:
    nchi vìttaru a nui, manzi ed arricchiuti,
    apriru nasca e isaru li cudini,
    e cui ndi chiamau "locchi" e cui "nimali",
    e ndi ncignaru a fari servizziali.

    Guardaru in prima misa l'olivari,
    l'agrumi, li vigneti e mandri e frutti,
    e dìsseru fra loru: "Nc'è di fari...
    ccà nc'è di beni mu ngrassamu tutti".
    E sùbitu si mìsaru a sciancari
    a schiatta panza, ad alleggiari gutti,
    poi dazi senza fini a mmunzedhari
    pe comu s'ammunzedha ligna rutti,
    e pe di cchiù "li schiavi cunquistati"
    ndi chiamanu, li facci d'ammazzati.

    Già li famigghi ricchi impezzentiru,
    li pòvari su' sicchi pe la fami,
    l'argentu e l'oru tuttu lu periru,
    e scumpariu di nui finna lu rami.
    L'impieghi fra di loru si spartiru,
    fìciaru schiananzìa di lu bestiami:
    gadhini ed ova e pasta l'incariru,
    lu ranu, vinu, pisci e la fogghiami.
    Non pensan'autru ch'a mangiari sulu:
    mu fannu bonu chippu e grossu culu.

    Da Antonio Martino, Poesie Politiche, Officina Meridionale, Roma, 1975, pp. 38-39

    Altre recenti opere di autori galatresi acquistabili sui principali siti di vendita on line:
    Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis, 2010, pp. 331
    Nicola Sergio, Symbols, CD, Challenge Records, 2010
    Massimo Distilo, Guglielmo Cottrau: Lettere di un melomane, Laruffa, 2010, pp. 276 (Visualizza recensione sul sito Rai)


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    (14.6.10) NICOLA SERGIO: VIDEO LIVE AL SUNSIDE JAZZCLUB DI PARIGI - Ecco il videoclip sul Nicola Sergio trio realizzato in occasione della recente presentazione del CD Symbols al Sunside Jazzclub di Parigi.



    Da questo link invece si accede alla pagina di presentazione del pianista Nicola Sergio sul sito della Challenge Records:

    www.challenge.nl:80/news/1272357461

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    (21.6.10) GIORNATA DELL'IMMIGRATO ITALIANO IN ARGENTINA: UN FILMATO - In occasione della Giornata dell'immigrato italiano in Argentina che si è celebrata lo scorso 3 Giugno, noi studenti della Società Dante Alighieri di Lomas di Zamora (Argentina), abbiamo realizzato un filmato che mi auguro vi piaccia.



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