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< lug-dic 11 Cultura 2012
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2.1.12 - Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere
Giacomo Leopardi

5.1.12 - Cosentino: l'inchiesta è noir

Angelo Cannatà

7.1.12 - Galatro nel settimanale del TG3 Regionale

8.1.12 - Come rivedere il servizio di Rai3 su Galatro

15.1.12 - "Galatri Baro": il vecchio stemma del vescovo di Mileto

3.2.12 - La festa dei tre giri

Umberto Di Stilo

4.2.12 - Il servizio di RaiTre su Galatro

19.2.12 - La valle dei mulini: una civiltà scomparsa

Michele Scozzarra

22.2.12 - Ricordando Pierino Ocello


27.2.12 - Barlaam calabro: una vocazione unionista

Michele Scozzarra

2.3.12 - Parte "Sentieri di carta"


3.3.12 - Celebrity 2.0: Roberto Raschellà ancora in mostra


3.3.12 - Casaidea 2012: va in scena l'habitat

Massimo Distilo

6.3.12 - Secondo CD e concerto a Galatro per Nicola Sergio


7.3.12 - Convegno dell'Ados per l'8 Marzo: sulle ali delle donne...

Michele Scozzarra

10.3.12 - Ecco il cruciverba su Galatro

11.3.12 - Michelangelo Penticorbo intervistato da Rai2 nella trasmissione Voyager


18.3.12 - In "Conquistadores del... nulla"... un padre educa i figli alla fede

Michele Scozzarra

20.3.12 - Importante lavoro filologico di Nuala Distilo

22.3.12 - Conferenza di Umberto Di Stilo: il testo dedicato al "Pascoli galatrese"

23.3.12 - Il video dell'intervista a Rai2 di Michelangelo Penticorbo

24.3.12 - Galatro nel cuore

Pasquale Cannatà

31.3.12 - Le contrade di Galatro (V)

6.4.12 - Il nuovo disco dei Karadros

Massimo Distilo

6.4.12 - 6 Aprile 2012: cento anni dalla morte di Pascoli

Michele Scozzarra

12.4.12 - Un nuovo progetto per Mercedes Benz da OnScreen Communication

14.4.12 - "Avevo un cuore che ti amava tanto": Rai1 ricorda Mino Reitano

19.4.12 - Diana Manduci e le foto della Via Crucis

22.4.12 - Un congresso in Svizzera sulle profezie Maya del 2012


18.5.12 - Ve lo garantisco: l'Ulisse di Joyce è una "c..ata pazzesca!"
Pasquale Cannatà

3.6.12 - Commenti all'articolo su Joyce
Pasquale Cannatà

15.6.12 - Successo di Roberto Raschellà alla Casa del Disco di Como

22.6.12 - Il resoconto del congresso di Lucerna sulle profezie Maya

27.6.12 - Nei brocardi l'antica sapienza delle norme di diritto
Michele Scozzarra

28.6.12 - Lo Studio Legale Zito: da 50 anni nei tribunali di Buenos Aires





(2.1.12) DIALOGO DI UN VENDITORE DI ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE (Giacomo Leopardi) - Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

Nell'immagine: calendario 2012.


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(5.1.12) COSENTINO: L'INCHIESTA E' NOIR* (Angelo Cannatà) - “Era un giorno di primavera come tanti altri quel 28 aprile del 1974.” Comincia così il noir di Rocco Cosentino, Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Che significa? Perché il Pubblico Ministero di una città “discussa”, scrive un romanzo?
Apro il “Quotidiano”: “Richiesta di scioglimento del comune di Reggio per presunte infiltrazioni mafiose”; “Due arresti per tentato omicidio di un romeno”; “Talpe presso il Palazzo di giustizia”; “Consigliere comunale reggino arrestato per concorso esterno”. E’ un bollettino di guerra. In questo “clima”, è in libreria “Niente di cui pentirsi” (Luigi Pellegrini Editore): il contesto stimola la lettura del testo. Ma c’è di più. Cosentino è scrupoloso, analitico, documentato, attento ai dettagli. Scrive bene. Racconta di una città devastata da una serie di terribili delitti. Hanno qualcosa in comune? C’è un filo che li lega? Si indaga: l’obiettivo è fare giustizia. Impresa ardua. Non solo perché il concetto di giustizia si complica nel districarsi della trama, ma anche perché il Pubblico Ministero e il giovane Commissario debbono lottare contro la burocrazia e la diffidenza dei superiori.
C’è qualcosa di autobiografico in questa parte del racconto? Non conosciamo il punto di vista dell’autore. Ma la letteratura, la storia e la cronaca dicono di queste difficoltà. Il “noir” è un genere che da Edgar Allan Poe a Carlo Lucarelli descrive la complessità del reale. Anche la complessità della macchina della giustizia e dello Stato, che lascia soli, non tutela, talvolta ostacola i suoi servitori. Questa complessità, ben raccontata da Cosentino, è descritta – con lucido realismo – anche dai grandi giornalisti. Penso a Giorgio Bocca che va a Palermo per intervistare Carlo Alberto Dalla Chiesa: “…ma generale, lei chiede i pieni poteri sui prefetti, sui questori; lei vuole coordinare la lotta alla mafia, controllare le banche, entrare nel commercio della droga. Ma generale non lo vede che questa grande città vive della droga? Non lo sa che i mafiosi sono nel palazzo? (...) La verità è che Dalla Chiesa, il generale di ferro, è stato mandato a Palermo allo sbaraglio” (Giorgio Bocca, Il generale nel suo labirinto, la Repubblica, 4 settembre 1982). Ecco. L’impressione è che i personaggi di Cosentino – anche loro – debbano lottare contro burocrazia, diffidenze e resistenze, e in certi momenti sembrano soli. Come Dalla Chiesa.
I temi che affrontano - il giovane Commissario Di Francesco e l’Ispettore Caruso, con la direzione di Catanzariti -, sono scottanti: “Due omicidi, in poco meno di una settimana (…) Gli venne in mente che quella era una responsabilità che doveva dividere con il comandante della locale compagnia dei carabinieri. (…) Squilla il telefono. – Pronto, dottore, le porto alcune novità sull’avvocato Guido Merlin (…) La nascita del suo impero economico, creato dal nulla, è coincisa proprio col suo ingresso in politica.” (pp. 323-324).
Interessi, crimini, politica. Siamo dentro la piena attualità. Quella con cui l’autore ha quotidianamente a che fare nella Procura di Reggio. Il tutto, naturalmente, visto attraverso gli occhi (e la trasfigurazione) dell’arte: non mancano le pagine ironiche, i flash-bach, l’intreccio tra inchiesta e vita dei personaggi, lo scavo psicologico.
Il risultato complessivo è - dal punto di vista letterario - positivo. “Niente di cui pentirsi”, con analisi e descrizioni minuziose, un registro stilistico tecnico (ma comprensibile), ci fa entrare dentro la macchina della giustizia. Come lettori, ne usciamo soddisfatti. Sappiamo qualcosa di più dell’universo giudiziario: dei pregi e dei limiti. Ha coraggio Rocco Cosentino. Non teme di parlare (anche) degli abusi di qualche componente delle forze dell’ordine. Intervistato su questo tema, risponde con ironia: “Se tra le pagine del mio romanzo qualcuno dovesse scorgere casi estremi di corruzione e illegalità varie, e mi dovesse accusare di aver infangato il buon nome della Giustizia, lo posso rassicurare dicendo che questa è stata la parte del mio romanzo in cui la fantasia ha avuto minor spazio…”. Cosentino racconta la realtà - delle procure, delle inchieste, del mondo della giustizia -, così com’è. Con le luci e le ombre.
Restano le domande che riguardano la struttura narrativa, ma anche - a ben vedere - la filosofia dell’autore: “la verità alla fine sembra trionfare… ma sarà davvero così? Giustizia sarà fatta… ma da chi? Le vittime potranno risposare in pace… ma quali vittime?” Domande. Dove, con tutta evidenza, entrano in gioco i concetti di Verità, Necessità e Destino. Ma non vogliamo addentrarci nei meandri dell’interpretazione filosofica. Ci interessa di più l’aspetto politico. Il testo si chiude con queste battute: “Vedendomi lacrimare mi chiese: ‘Che cosa hai fatto di tanto grave?’ - Risposi: ‘Niente di cui pentirsi’.” Quanti, oggi - sulla scena pubblica - potrebbero pronunciare queste parole? Insomma: visti i titoli richiamati all’inizio, anche la politica - in Calabria - non ha nulla di cui pentirsi?

* Articolo apparso sul Quotidiano della Calabria del 3.1.2012

Nelle foto: in alto a sinistra Angelo Cannatà, a destra il magistrato Rocco Cosentino.

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(7.1.12) GALATRO NEL SETTIMANALE DEL TG3 REGIONALE - La rubrica settimanale del TG3 Regionale, che andrà in onda, come ogni Sabato, il 7 Gennaio alle ore 12.25, conterrà un servizio su Galatro che, in otto minuti, presenterà le caratteristiche artistiche, culturali, paesaggistiche della nostra cittadina.
La troupe, con giornalista e operatori, è stata a Galatro nei giorni scorsi e ha visitato, accompagnata dal sindaco e da altri "ciceroni", la chiesa di San Nicola, le terme, Montebello, le altre chiese, il percorso urbano dei fiumi e altro ancora.
Vedremo che idea saranno riusciti a rendere della valle del Metramo in un tempo così esiguo. Molto dipenderà dalla sapienza del montaggio, dalla proporzione tra vedute d'insieme e zoomate, dalle musiche scelte e, ovviamente, dal testo.
Concentrare molti contenuti in poco spazio (e tempo) richiede bravura ed esperienza. La Rai regionale dispone delle professionalità necessarie. Saremo attenti spettatori.

Nella foto: Galatro in un'opera del pittore Nato Randazzo.


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(8.1.12) COME RIVEDERE IL SERVIZIO DI RAI3 SU GALATRO - Pubblichiamo in basso il link del sito della Rai dove è possibile rivedere in differita la trasmissione "Il Settimanale", andata in onda su RaiTre regionale Sabato 7 Gennaio alle ore 12.25, nella quale era contenuto un servizio su Galatro.
In evidenza, oltre agli aspetti storico-culturali del nostro paese, messi in risalto dal "cicerone" Umberto Di Stilo e dall'intervista al sindaco Carmelo Panetta, anche l'interessante presepe realizzato per le vie di Montebello con pastori di grandezza naturale illustrato da Carmela Carè.

Rivedi la trasmissione Il Settimanale del 7.1.2012


La sigla del documentario di RaiTre su Galatro.


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(15.1.12) "GALATRI BARO": IL VECCHIO STEMMA DEL VESCOVO DI MILETO - Fino ad anni non lontani il vescovo di Mileto, nella cui diocesi fino al 1979 il territorio di Galatro ricadeva, si fregiava del titolo di Galatri Baro, termine latino che significa Barone di Galatro. Il paese, o almeno una parte di esso, si trovava infatti sotto la diretta giurisdizione del vescovo.
Anche dopo l'affrancamento dalle ultime vestigia della feudalità e l'avvento della Repubblica, con la conseguente scomparsa dei titoli nobiliari, validi solo come semplici predicati del nome, il vescovo di Mileto ha continuato per un certo periodo a fregiarsi, in particolare nella carta intestata usata per le sue comunicazioni cartacee, di uno stemma diocesano nel quale continuava ad essere apposta la dicitura "Galatri Baro" (Barone di Galatro).
La cosa ha un significato prevalentemente storico e pone in evidenza la rilevanza di carattere religioso che il territorio di Galatro fino ad un certo momento possedeva. Rilevanti anche le
confraternite nel territorio del paese. Esse sono presenti nell'elenco delle Confraternite laicali ed ecclesiastiche della diocesi di Mileto prima dello smembramento della stessa, avvenuto nel 1979 col passaggio di vasti territori, fra cui Galatro, alla diocesi di Oppido-Palmi. Tali confraternite erano riconosciute dal Governo, dopo il Concordato del 1929, come "aventi scopo esclusivo o prevalente di culto" e quindi passate alle dipendenze dell'Autorità Ecclesiastica per quanto riguarda il funzionamento e l'amministrazione.
Negli elenchi dell'archivio della diocesi risultavano presenti a Galatro le seguenti confraternite:

  • SS. Nome di Gesù , che aveva come divisa dei sacchi verdi ed era stata visitata nel 1586 da Mons. Del Tufo, vescovo di Mileto. Tale confraternita però non esisteva più nel 1929.

  • SS. Sacramento - S. Maria della Valle che era stata fondata il 1° Dicembre 1626, aveva ottenuto il Regio Assenso il 18 gennaio 1778 e l'Approvazione ecclesiastica di Mons. E. Minutolo il 26 Settembre 1798. Il riconoscimento governativo era avvenuto col decreto reale del 27 Giugno 1935. Contava, fra gli anni 1930-43, 60 confratelli e 21 consorelle.

  • SS. Rosario che era stata fondata nel 1774. Non esisteva più nel 1929.

  • Maria della Montagna che aveva ottenuto il Regio Assenso l'11 Settembre 1868 e il riconoscimento governativo il 27 Giugno 1935. Contava, fra gli anni 1930-43, 61 confratelli e 52 consorelle.

    Ecco il testo parziale di una lettera del vescovo Mons. Antonio Maria De Lorenzo (Reggio Cal. 1835-Roma 1903) nella quale compare il famoso stemma con la dicitura "Galatri Baro". Lo stemma è quello originale mentre la lettera, che risale al periodo di vescovato di De Lorenzo (1889-99), per comodità dei lettori è stata riportata in caratteri di stampa moderni. Nella lettera, indirizzata ai Vicarii e Delegati Foranei della Diocesi di Mileto, il vescovo lamenta il "nefasto spirito terreno" che frustra il pio scopo delle Confraternite.


    ANTONIO M.A DE LORENZO
    PER GRAZIA DI DIO E DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA
    VESCOVO DELLA DIOCESI DI MILETO
    ALLA STESSA S. SEDE IMMEDIATAMENTE SOGGETTA
    BARONE DI GALATRO ECC.

    Ai MM. RR. Sigg. Vicarii e Delegati Foranei della Diocesi di Mileto.

    NOTIFICAZIONE PER LE CONFRATERNITE

    Lo Spirito di Religione e di Carità che ravvivò un tempo i Sodalizii, eretti all'ombra della Chiesa di Gesù Cristo, si vede oggi pur troppo dileguare, e sottentrare in suo luogo uno spirito tutto terreno, fonte nefasta di gare, che frustrano il pio scopo delle Confraternite, e ledono la mutua carità che dovrebbe animare i Congregati. - Dalle frequenti relazioni locali, dalle contese portate in Curia, dalle Nostre personali ispezioni durante la S. Visita, abbiamo potuto ben riconoscere l'allargarsi di tanta piaga, e l'urgente bisogno di efficaci rimedii. È perciò che oggi, fidenti nel divino favore, alziamo la voce per richiamare al primitivo spirito queste pie istituzioni, ed impartire, sotto il duplice aspetto della disciplina e del culto, qualche provvedimento che, mentre tuteli il buono spirito di pietà, l'ordine e la pace tra i confratelli, torni per riflesso di edificazione a tutti i fedeli.
    Pertanto, in ordine alla Disciplina, prescriviamo, in virtù della Nostra Ordinaria autorità, quanto segue:
    A) Poiché è scritto nei Libri Divini che la Santa Milizia di Dio non abbia a dissiparsi in cure terrene, e poiché Milizia del Signore a ragione possono anche chiamarsi le Confraternite, in quanto tali, destinate cioè alla coltura spirituale de' Congregati, all'incremento del culto, al lustro del buon esempio pei conterranei, - sarà buona regola di disciplina:
    (1°) Che tali Sodalizii non diventino campo di fazioni comunali, e che nessuno abusi della sacra associazione in servizio de' partiti, che sventuratamente scindono fra noi fino le più umili borgate; dove per ordinario non è lotta di principii, ma di private ambizioni ed interessi. Ogni piccolo fermento, che si frammischia tra i Confratelli, finisce tosto o tardi col corrompere la massa intera, spezza il freno della regola, distrugge l'armonia, disgrega i vincoli di quella santa unione, che scaturisce dal mutuo amore.
    Su tale riguardo richiamiamo pertanto l'oculata attività dei Direttori Spirituali dei Sodalizii, perché ne spieghino la capitale importanza, e, invocando al bisogno i lumi e l'autorità de' Curati e de' Vicari foranei, rendano docili i Confratelli al Nostro paterno ammonimento.
    B) Un altro sconcio gravissimo di disciplina riflette le annuali elezioni degli Ufficiali, ed il conteggio, che (secondo gli statuti delle singole corporazioni) annualmente in una od in altra forma [...]

    (Fonti bibliografiche: Imperio Assisi, Storia religiosa della Calabria, 2 voll., 1°, Pellegrini, Cosenza, 1992)

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    (3.2.12) LA FESTA DEI TRE GIRI (Umberto Di Stilo) - Ci sono, specie nel Sud, diverse località e piccoli centri conosciuti solo ed esclusivamente per una loro fiera, per il loro santo protettore, per un pellegrinaggio, per un preciso avvenimento che caratterizza la loro stessa identità geografica.
    Sicchè, nella Calabria reggina, Acquaro di Cosoleto è conosciuto per la festa di San Rocco, Terranova Sappo Minulio per l’annuale pellegrinaggio in onore del “SS. Crocifisso”, Polsi, in Aspromonte, per la sua Madonna della Montagna, ecc. Lo stesso discorso vale per Plaesano che da sempre si identifica con San Biagio, con il pellegrinaggio del tre febbraio e con le classiche ed immancabili “tre girate” attorno alla chiesa che costituiscono una delle più genuine e schiette tradizioni di fede della gente di Calabria.
    Plaesano, un pugno di case sommerse in un mare di secolari olivi, vanta origini remotissime e da sempre, ogni anno, il tre febbraio, richiama migliaia di persone di ogni età e condizione sociale.
    Sorto in epoca molto antica, il primo nucleo abitato si costituì presumibilmente attorno ad un castello il cui primo proprietario fu un tal Plagitzanos dal quale successivamente prese il nome di Preizano o, come si legge in diversi documenti, “Praiezzano”.
    Dalla fine del 1300 al 1850 Plaesano è stato sempre legato a Galatro, prima perchè facente parte dello stesso feudo e della stessa baronia, poi - dal 1835 al 1850 - perchè sua frazione. In atto è frazione di Feroleto della Chiesa e, pur facendo registrare una costante espansione urbanistica, supera di poco i mille abitanti.
    Questi, però, si centuplicano il tre febbraio, allorchè, da sempre, diventa l’ ”ombelico della Piana” tant’è che sin dalle prime ore del mattino, le strade che lo collegano agli altri centri della zona si popolano di pellegrini che vanno a sciogliere i loro voti ai piedi del Santo.
    Giungono dalla montagna, dalla pianura e dalla valle.
    Il paese, infatti, è situato in cima ad una collina larga e folta di olivi che si allunga tra due valli, dai monti verso il mare e finisce in un terrapieno qualche chilometro oltre l’abitato; da un lato scende rapida, con fratture e burroni, dall’altro si distende con un pendio dolce e solatìo, in cui i vigneti formano delle chiazze chiare tra gli olivi. Da questa parte si arriva dalla Piana, dopo che la strada ha attraversato l’ampia e luminosa valle del Metramo, verde di aranceti.
    I pellegrini ora arrivano in macchina, giacchè solo quelli dei paesi vicini (Galatro, Feroleto, Laureana) riuniti in allegre e chiassose comitive, seguendo la secolare tradizione locale, raggiungono a piedi il piccolo centro.
    Una volta - fino alla fine degli anni sessanta - a Plaesano, il tre febbraio, era un continuo affluire di “massari” sul loro caratteristico carro tirato dai buoi i quali, senza scendere dal rudimentale mezzo di trasporto e prima di entrare in chiesa a venerare e ringraziare il Santo, come tutti gli altri pellegrini, si affrettavano a compiere tre giri con il carro e gli animali attorno alla modesta chiesetta.
    Questa di Plaesano era considerata anche la festa dei massari e, più precisamente, la festa del mondo agricolo e contadino. Non erano pochi, infatti, gli agricoltori che a Plaesano portavano in chiesa (e molti lo portano ancora) un pugno di cereali che, benedetti, mescolavano a quelli della semina assicurandosi così una buona germinazione ed un felice raccolto. Inoltre la festa di Plaesano è ancora conosciuta come la “festa dei tre giri”.
    Anche se l’origine di questo antico rito è piuttosto oscura, ancora oggi, ogni persona che si reca alla festa deve compierlo; deve girare tre volte intorno alla vecchia chiesa che ha la facciata rivolta verso la piazzetta ed è circondata da una viuzza stretta come un corridoio.
    Per tutto il giorno è un continuo girare di persone (e, una volta, anche di bestie; di intere mandrie, di armenti al gran completo); il giro non si deve mai interrompere. “E’ un girare uguale e lento come dell’asino legato alla stanga del pozzo, regolare come di un satellite intorno al suo pianeta”, scrisse Fortunato Seminara.
    Secondo una ben radicata tradizione, infatti, chiunque raggiunge Plaesano nel giorno della festa del Patrono e trascuri di compiere i tre giri, è da considerare come uno che manchi di rispetto al Santo.
    La cerimonia dei “tre giri”, infatti, non sembra doversi intendere come “deposizione attorno alla chiesa dei mali e delle cattive influenze” ma ha solo il significato di omaggio doveroso al Santo il quale, però, - secondo un’antica credenza popolare - si vendicherebbe con coloro che non si curassero di compiere l’atto di omaggio. I giri devono essere tre perchè nella simbologia cristiana il numero tre rappresenta la Trinità. Secondo alcuni studiosi, invece, i tre giri attorno alla chiesa sono da collegare alle tre apparizioni di Cristo a San Biagio, la notte precedente il suo arresto ed il suo martirio.
    Fra gli aspetti del culto di San Biagio, ricollegabili ad episodi della sua vita, il più importante è quello di taumaturgo per le malattie della gola che trae origine dal noto miracolo della spina di pesce e dalla orazione che il martire avrebbe fatto prima di morire, chiedendo a Dio di risanare da questa malattia chiunque l’avesse pregato in suo nome.
    A San Biagio viene anche attribuita la facoltà di guarire i mali di ventre. A Plaesano quasi tutti i pellegrini arrivano muniti di un frammento di tegola (‘u straku) che, avvolto in un panno di bucato o, comunque, in un pezzo di stoffa, provvedono a mettere in contatto con la statua dl Santo. Lo stesso frammento viene quindi portato a casa per applicarlo sul ventre dei bambini in caso di necessità. In questa evenienza il dolore scomparirà.
    Perchè proprio un frammento di tegola? Pare che fino al 1783 i pellegrini portassero un intero mattone. Il terremoto di quell’anno, però, (era il 5 febbraio, ed il pellegrinaggio in onore del Santo aveva avuto luogo esattamente 48 ore prima dl “flagello”) ridusse tutte le abitazioni della zona in un ammasso di macerie, sicchè l’anno successivo i fedeli, anche in segno della loro precaria condizione di vita, portarono a Plaesano per la consueta benedizione, un piccolo frammento di tegola, ‘u straku, appunto. Straku che, nonostante i progressi fatti registrare nel campo medico e scientifico, ancora oggi, il tre febbraio, molti dei pellegrini che giungono a Plaesano non rinunciano a portare con loro, magari ben celato in moderne e capienti borse femminili. Nessuno, infatti vuole trovarsi sprovvisto nel malaugurato caso che fosse necessario applicarlo sul ventre dolente dei bambini, a mo’ di analgesico, per far sparire il dolore.
    Oggi, era avanzata della tecnologia, a Plaesano il 3 febbraio c’è chi rimpiange il genuino, semplice mondo contadino di un tempo; c’è chi rimpiange la sfilata dei carri agricoli, dei calessi, dei mezzi di ogni sorta che, carichi di persone, intervallati e seguiti da lunghe file di gente a piedi, giungevano al santuario. I carri cominciavano a giungere all’alba ed il loro arrivo continuava ininterrotto fino a mezzogiorno, fino all’ora della messa solenne e della processione della Statua del Santo per le vie del piccolo centro.
    La processione è sempre la stessa, così come è lo stesso lo spirito che anima i fedeli che, numerosissimi, seguono la Statua lungo il suo girovagare per le viuzze del paese. Non c’è strada che non sia percorsa dal sacro corteo. Non c’è abitante di Plaesano a cui non sia data la possibilità di vedere sotto il suo balcone la statua del Santo di Sebaste. Poi, nelle prime ore del pomeriggio, tra canti, scoppi di fuochi pirotecnici e sonori rintocchi di campane, accompagnato da una marea di pellegrini, San Biagio fa ritorno in chiesa.
    Nei pressi del sacro tempio i giovani e volenterosi portatori, osservano qualche minuto di riposo per sistemarsi bene sotto la vara. Quindi ripartono e quando la processione giunge nella piazzetta prospiciente la stessa chiesa, ad un segnale convenuto, i portatori, di corsa, fanno compiere alla statua del Santo i “tre giri” sullo stesso percorso e lungo la stessa viuzza dei pellegrini.
    Sono pochi minuti di confusione e di fervore indescrivibile. I fedeli, tenendo ben stretti i loro bambini si radunano nella piazza o si addossano ai muri delle case, mentre un complesso bandistico esegue una allegra marcia sinfonica. Tutti gli occhi sono rivolti allo sbocco della viuzza; nell’uscire da quella curva la statua sembra sbandare sulla destra, ondeggia, sembra che da un momento all’altro possa cadere.
    Ogni qualvolta la statua arriva davanti alla chiesa, i portatori, dimostrando grande abilità, tutti insieme accennano ad una genuflessione. E’ un attimo. San Biagio si piega in avanti verso il sacerdote e gli altri celebranti che, insieme ai fedeli, aspettano la conclusione dei tre giri. Poi riprende la corsa sulle spalle degli abili portatori.
    E i fedeli, sempre più pigiati tra di loro, trattengono il respiro e pregano.
    C’è chi si batte il petto coi pugni, chi stringe più forte a sè la propria creaturina, chi si limita a segnarsi devotamente.
    Sui volti di tutti si legge l’intima partecipazione al particolare momento di fede.
    Ultimati i tre giri, sia pur sfiniti, i giovani portatori riescono a trovare ancora le necessarie energie per gridare “Viva San Biagio” e per far scomparire la statua all’interno della chiesetta, passando tra la folla di fedeli con un rapido sobbalzo.
    Verso l’imbrunire, a poco a poco, i pellegrini riprendono la via del ritorno.
    Una volta, quando si spostavano a piedi, ogni tanto una comitiva si fermava lungo la strada, si improvvisava un circolo e si trovava sempre chi era disposto a gonfiare una cornamusa o a mettere mano ad una chitarra. E il pellegrinaggio, improvvisamente, si trasformava in una festa popolare.
    Adesso non più. Adesso il tre febbraio Plaesano è presa d’assalto dalle macchine, dalle motorette e dagli immancabili - come sempre - caratteristici venditori di mostaccioli, ceci (calia) e noccioline.
    Adesso il rientro a casa delle migliaia di pellegrini è più rumoroso, più scoppiettante ma sicuramente meno allegro e festoso.
    Lungo le strade, comunque, oggi come un tempo, si respira a pieni polmoni. La festa di Plaesano, tutto sommato, è come un presagio di primavera, cioè di vita rinnovata.
    Talvolta, anche se si è ancora ai primi di febbraio, la stagione è di una clemenza inverosimile, il sole splende tiepido in un’aria ferma e tersa come cristallo. E nelle siepi che costeggiano la strada, qua e là, occhieggia già il biancospino, rendendo più completa e perfetta l’illusione della primavera.

    Articolo apparso su Gazzetta del Sud dell'1.2.1982


    Nelle foto, dall'alto in basso: La statua di San Biagio in spalla ai portatori; i portatori di corsa compiono i tre giri attorno alla chiesa; altro momento della processione (Disumphoto).


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    (4.2.12) IL SERVIZIO DI RAITRE SU GALATRO - Il servizio su Galatro, trasmesso di recente da RaiTre regionale (7 Gennaio 2012) all'interno della rubrica "Il Settimanale", è ora possibile rivederlo, estrapolato dal contesto della trasmissione, sul nostro canale YouTube. La sua durata è di circa sette minuti e mezzo.
    Buona visione.



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    (19.2.12) LA VALLE DEI MULINI: UNA CIVILTA' SCOMPARSA (Michele Scozzarra) - La nostra “valle del Metramo”, ancora oggi immersa in una natura incontaminata, ricca di alberi e animata dallo scorrere dei fiumi, negli anni passati era conosciuta (grazie alla presenza di tanti mulini alimentati da numerosi corsi d’acqua), come “la valle dei Mulini”.
    I mulini hanno avuto un ruolo di primaria importanza nell’organizzazione del lavoro e nell’economia della nostra piccola comunità galatrese, attorno ad essi, infatti si svolgeva buona parte della vita quotidiana del paese, un’attività importante che diventò anche punto di incontro tra gli abitanti dei paesi vicini.
    Di tutto quello che i mulini hanno rappresentato nella storia della nostra Galatro, purtroppo, oggi non vi è rimasta nessuna traccia; anzi, in più occasioni ho avuto modo di ascoltare come i ragazzi della nostra scuola vengono portati in qualche paese vicino, proprio per approfondire ed apprendere i metodi della macinazione usati dai mugnai, in un passato ancora non tanto remoto.
    Discutendo con alcuni amici proprio di questo paradosso, cioè che i ragazzi abitanti nella “valle dei Mulini” devono recarsi “altrove” per attingere notizie sulla utilizzazione dell’acqua ai fini della molitura e sulla cultura che ne è stata tramandata dai mugnai, ho avuto modo di leggere un articolo di Umberto Di Stilo, pubblicato sulla Gazzetta del Sud verso la fine degli anni novanta, che ci permette una lettura tecnica e storica della presenza di tutta una realtà e cultura legata alla presenza dei mulini nella nostra cittadina, purtroppo, di cui oggi non è traccia neppure nel ricordo.


    C’E’ UN ANTICO MULINO DA RIATTIVARE
    Umberto Di Stilo

    Uno dei discorsi ricorrenti tra quanti, guardiamo alla ormai imminente apertura delle nuove Terme, azzardando progetti per il futuro di Galatro, riguarda l’intelligente sfruttamento delle risorse turistico-culturali esistenti su tutto il territorio comunale. Risorse da sfruttare per offrire a quanto dovessero decidere di soggiornare in paese per tutta la durata della cura, dei momenti di riflessione e di studio, di nuove conoscenze e di approfondimento culturale.
    Allora il discorso, inevitabilmente cade sull’importanze del recupero del vecchio monastero S. Elia e sulla indispensabile strada di accesso, sul cinquecentesco trittico attribuito al Gagini e sulla quattrocentesca statua marmorea di San Nicola. Nessuno ricorda la rarissima che vanta il paese che, unico in tutta la zona, nell’attrattiva della bianca collina su cui si erge l’agglomerato urbano della sezione Montebello sormontata dal Calvario, nasconde un plurimillenario segreto di una microfauna marina risalente al Pliocene. E, in quella che anticamente, grazie alla presenza di numerosi corsi d’acqua era conosciuta come “La valle dei mulini”, nessuno ricorda l’importante (ma negletto) rudere del Molino dell’Abbazia, il quale, nonostante sia, forse, la più antica testimonianza della millenaria civiltà galatrese, continua ad essere del tutto ignorato dalla comunità e dai responsabili amministrativi locali. Tutto ciò nonostante la sua data di “nascita” per essere stato originariamente costruito dai frati basiliani sia da far risalire ai primi del dodicesimo secolo, mentre se si vuol prendere come data di riferimento il periodo in cui il molino fu mandato avanti dai frati cappuccini, allora lo stesso è di poco più recente alla scoperta dell’America.
    Quale che sia l’anno di nascita dell’antico molino del popolo, meriterebbe una maggiore attenzione da parte della “intellighenzia” locale e la sua memoria andrebbe custodita e tramandata ai posteri per ciò che esso è stato nella storia sociale del paese. Non ultimo perché ha il merito di avere salvato da distruzione certa il paese all’allorché la notte del 22 novembre del 1935 resistendo al violento urto del fiume in piena, deviò il corso delle acque evitando la perdita di vite umane.
    Oltre a questo rudere, a testimonianza di quella che fu la laboriosa “valle dei mulini”, in pieno centro abitato esiste ancora un intero e funzionante impianto di molitura ad acqua. E’ l’antico “mulino del Carmine”, così chiamato perché nei secoli scorsi era gestito dai confratelli della omonima chiesa. In atto è di proprietà del sig. Salvatore Ferraro che, fino a qualche anno addietro, provvedeva a metterlo a disposizione dei cittadini per la molitura dei cereali due volte la settimana. Adesso, a seguito di una frana che ha danneggiato la condotta dell’acqua, è chiuso.
    All’amministrazione comunale, convinti che il futuro turistico del paese si coniuga anche con la riscoperta di tutto ciò che è legato alle vecchie attività artigianali, vorremmo suggerire di avviare una seria campagna di recupero della molitura dei cereali mediante la requisizione (o l’acquisto) del vecchio “Mulino del Carmine” con il conseguente ripristino dell’attività anche a scopo didattico.
    Essendo questo di Galatro l’unico molino ancora in grado di funzionare con lo sfruttamento della forza idraulica delle acque del Fermano, se riaperto, nel giro di poche settimane potrebbe divenire il punto di riferimento per moltissime scolaresche desiderose di conoscere il funzionamento del molino e di vedere come l’acqua incanalata e fatta scendere nella “saitta”, finendo sulle pale della ruota orizzontale opportunamente sistemata, produca una spinta capace di far girare la macina che gli esperti scalpellini locali hanno saputo ricavare da un enorme blocco di granito. E poi c’è la magia della tramoggia a forma d’imbuto da cui il grano scende lentamente nell’”occhio della macina” e, divenuto farina, attraverso la canaletta sistemata al centro del “farinaro”, va a finire prima nel contenitore di raccolta e poi nel sacco. C’è in questa semplice operazione un pizzico di magia che incanta i bambini e affascina gli adulti.
    Anche per questo l’amministrazione comunale dovrebbe venire incontro alle contingenti e reali necessità del proprietario del mulino e accelerare i tempi di recupero dell’antico “Mulino del Carmine”, ieri punto di riferimento per una consistente fetta della società agricola del luogo, oggi importante testimonianza di un’epoca e anello di congiunzione tra la civiltà contadina di un tempo e la moderna civiltà tecnologica. Un anello di congiunzione che merita tutta l’attenzione di un’amministrazione che si dice aperta alle esigenze culturali di una società che, ricca di storia e civiltà, guarda fiduciosa al nuovo millennio.

    * * *

    La lettura dell’articolo di Umberto Di Stilo mi ha richiamato alla memoria un pregevole testo dal titolo “La via dei Mulini”, opera di due brave architette nicoteresi, Giuseppina Lapa e Chiara Naso, che ha dato vita, alcuni anni addietro, ad un interessante convegno nel Castello dei Ruffo di Nicotera, dedicato proprio ai nostri mulini “per troppo tempo considerati beni culturali minori ed abbandonati all’incessante opera distruttiva del tempo, per cercare di risvegliarli dal sonno in cui da alcuni decenni sono caduti, pur se fra le braccia di una stupenda natura circostante”.
    Alla presentazione del libro “La via dei Mulini”, sono stato invitato ad intervenire insieme ad altri relatori ed in quella occasione mi è piaciuto soffermarmi su alcuni aspetti del libro che ritengo possano essere ben presentati anche in questo servizio, come contributo per rendere viva una pagina della nostra storia che non può cadere nell’oblìo.


    LA VIA DEI MULINI
    Michele Scozzarra

    Avevo visitato la Mostra su "La Via dei Mulini", allestita dagli architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso nel Castello dei Ruffo di Nicotera, con una certa inquietudine. Che cosa avranno fatto, mi chiedevo, le due Autrici in questa loro pregevole tesi di laurea realizzata e discussa presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria? Un viaggio nella memoria? Un documento da consegnare agli archivi? Un'elegia del mondo contadino? L'elogio funebre di una forma di vita, e di lavoro, ormai scomparse? Girando tra i vari pannelli, e trascurando di considerare l'aspetto direttamente tecnico del lavoro, cercavo di raffigurarmi cosa la gente avrebbe potuto ricordare di quelle immagini, quale testimonianza avrebbe colto da essi, come le avrebbe interpretate, quale senso avrebbe dato al racconto di quella vita e di quelle modalità di lavoro, che le immagini dei mulini rappresentavano?
    Tante domande, a dire il vero, sono rimaste senza risposta, anche se la prima cosa che è risultata immediatamente chiara, è stata la difficoltà a definire il lavoro con una formula, per cui mi è risultato più facile capire cosa il lavoro contenuto nella tesi e rappresentato nella mostra non era: non era un tentativo di recupero sentimentale delle radici della propria terra e della sua tradizione; non era un documentario, tanto meno una denuncia sociale per qualcosa che non meritava di perpetrare nel suo stato di abbandono.
    Per questo, appena letto il libro, nel quale le autrici hanno raccolto tutta la loro fatica, ho tirato un respiro di sollievo: tante mie domande hanno avuto una risposta chiara e positiva: "La via dei Mulini", edito dall’Associazione culturale Proposte di Nicotera, non è un viaggio nella memoria, non è una reminiscenza tra sogno e fantasia, un girovagare a ritroso nel labirinto dei ricordi... E', invece, un atto di conoscenza generato da un atto d'amore: una conoscenza che riesce a portare l'occhio, la mente ed il cuore alla scoperta di un mondo che, anche se scomparso, riesce ancora a trasmettere una sua straordinaria bellezza. Non si tratta di nostalgia, forse è più giusto dire che si tratta di "poesia", nel senso più autentico del termine, che è quello del far emergere la verità e la bellezza dalle parole e dalle immagini che il lavoro presenta.
    Il libro non cerca di far capire com'era bella (o brutta!) la vita dei mugnai nicoteresi (anche se, simpaticamente, si scopre che "con l'introduzione del mulino ad acqua nasce la figura del Mugnaio, personaggio dal fascino ambiguo, molto spesso odiato e punito, giocando sull'infedeltà della moglie..."), ma semplicemente fa vedere com'era l'ambiente, rivela un mondo scomparso e con esso tutta la cultura che c'era dietro. Un lungo percorso che va ben al di là della realtà dei Mulini di Nicotera.
    Significativo è il rilievo dato al mondo di valori, di usanze che l'abbandono di queste realtà lavorative ha fatto scomparire.
    E qui viene l'osso più duro da masticare, perché la parola "mugnaio" oggi sta ad indicare un qualcosa che non c'è più, e non potrà mai più tornare ad esserci, anche perché i mugnai che vediamo oggi (e li vediamo solo in televisione), sono alle prese con le macchine, i prodotti sintetici, i programmi di produzione e magari lavorano il grano manovrando un computer.
    E proprio qui si innesta, a mio modesto avviso, il valore del lavoro degli Architetti Giuseppina Lapa e Chiara Naso: avere avuto il coraggio di proporre la questione della cultura dei mulini, provocando ad un confronto critico l'attuale civiltà, che non è stata in grado salvaguardare questi grandi monumenti della nostra cultura rurale nei suoi molteplici aspetti.
    Contro il presentimento (che poi solo presentimento non è!) di questo abbandono incombente, e all'esigenza istintiva di una rinascita culturale, è finalizzato questo lavoro che si concretizza in un progetto che prevede due alternative concrete e realizzabili: un percorso "di cultura" nella città ed un percorso nella natura. Ma lasciamo che le stesse Autrici si esprimano a riguardo: "Scopo principale del nostro progetto è di ridare vita ai nostri mulini, per troppo tempo considerati ingiustamente beni culturali minori ed abbandonati all'inarrestabile opera del tempo, risvegliandoli dal sonno di decenni tra le braccia della stupenda natura circostante. Ridare vita ai mulini... ripopolando luoghi che un tempo furono culla di una epoca fervente di lavoro instancabile. Ridare voce a quei ruderi perché non diventino rovine, ridare colore alla loro storia per troppo tempo vista come un ricordo in bianco e nero che sbiadisce con il tempo, fino a scomparire nella memoria".
    Per questo è bene mettere in rilievo, come tutta la realtà documentata nel libro è dimensione e testimonianza, non appena della cultura contadina, ma della cultura in quanto tale, intesa come lavoro dell'uomo perché si riappropri della sua verità e dignità.
    Non so quanti nel libro hanno colto la limpida immagine che ha generato, alimentato e guidato la genialità creativa della nostra gente. Quest'immagine di un popolo geniale e laborioso è tra le espressioni più alte del libro, forse qui è racchiusa anche la forza della sua proposta, che si leva come un grido per destare l'interesse verso questo stato di degrado in cui sono stati sepolti per tanti anni i resti e le testimonianze di questa civiltà, che è nata proprio intorno ai vecchi mulini.
    E queste grida sono indirizzate verso tutta la popolazione, verso i politici, verso gli studiosi e quanti hanno a cuore il loro recupero, affinché questo enorme patrimonio artistico-culturale, a molti ancora sconosciuto, non debba andare perduto.
    Il libro ci mette davanti delle immagini che non possono non suscitare sbalordimento... in tanti può darsi anche che prevale l'incredulità, davanti a quello che si presenta davanti: sembra quasi impossibile credere che ci possano essere opere così importanti, senza nessuna protezione e salvaguardia.
    Le Autrici del libro, egregiamente, hanno rappresentato la realtà di questi mulini proprio come fossero persone vive: e, sotto questo aspetto, il libro si presenta non solo come una documentazione di natura artistica, ma è anche un contributo alla ricerca della complessità e vastità dell'umanità che ha popolato quei luoghi e, per dirla con le loro stesse parole: "In una epoca dove tutti possiamo dire la nostra, lasciamo parlare anche i ruderi, e facciamoli rivivere per ritrovare il dialogo con un passato cui siamo legati da fattori storici, economici, politici ed affettivi... Molto è andato perso di una vita semplice operosa: manca il rumore piacevole dell'acqua che scorre e da la forza alle ruote, manca il canto delle instancabili macine e l'affaccendarsi dei mugnai, i sacchi di grano sui muli e giù per la collina. Oggi, tutt'intorno rimane la stessa natura verde e rigogliosa, ed il forte fascino per una tradizione persa nei secoli ma ancora viva nei racconti e nei ricordi degli anziani, tra i muri caduti dei vecchi mulini".
    Per questo ritengo che, facendo memoria del passato, La via dei Mulini, risponde a delle domande del presente e apre una strada al futuro: in quanto anche se analizza il problema, soprattutto da un punto di vista tecnico-operativo, si rivela opera di alta poesia, se del poeta è cogliere in un unico atto il ieri, l'oggi ed il domani; infatti il libro rispecchia la vita, in uno dei suoi aspetti più faticosi, ma più nobili, e poetare è saper riportare l'immagine della vita in tutta la sua verità e bellezza.

    Nelle foto, dall'alto in basso: antico mulino; Umberto DiStilo; particolare dell'antico mulino; Michele Scozzarra durante l'intervento alla presentazione del libro "La via dei mulini; copertina dello stesso volume.


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    (22.2.12) RICORDANDO PIERINO OCELLO - A undici anni dalla morte le Amministrazioni Comunali di Galatro e di Bagnara Calabra ricordano Pierino Ocello, intellettuale e politico galatrese, in occasione dell'uscita del libro Diario di prigionia, scritto durante la Seconda guerra mondiale e da noi presentato riprendendo un articolo di Umberto Distilo.
    Pierino Ocello è stato uomo dai molteplici interessi e attività: oltreché uomo di cultura - docente di filosofia e pedagogia, successivamente preside nella Capitale nonché collaboratore di vari giornali e riviste -, politico e organizzatore di eventi e istituzioni culturali - si ricordano, in particolare, la promozione del monumento ai caduti eretto in un angolo della villa comunale nel lontano 1948 e la fondazione e direzione, fino alla morte, del Centro Italiano di Pedagogia Sociale.
    Ha partecipato, da giovane, alla vita politica galatrese candidandosi a sindaco con la Democrazia Cristiana alle elezioni del 1946 e del 1952, in queste ultime venendo eletto consigliere di minoranza. Trasferitosi per un breve periodo da Galatro a Bagnara Calabra, paese della moglie, prima di approdare definitivamente a Roma, anche lì ha avuto significative esperienze politiche sempre nelle file della Democrazia Cristiana.
    Ingente è la sua produzione letteraria: articoli, poesie, saggi e la cura del volume Di la furca a lu palu con le poesie in vernacolo ed in lingua dell'abate Martino.
    L'iniziativa dell'Amministrazione comunale è quantomai opportuna per far conoscere ai galatresi, soprattutto ai giovani che non ne hanno avuto l'opportunità, una figura di grande spessore morale, il cui insegnamento, nel solco dei più importanti autori della filosofia e pedagogia cattoliche, presenta indubbi e stringenti aspetti d'attualità.
    In basso la locandina dell'evento, in programma per Sabato 25 Febbraio alle ore 17.00 presso la chiesa di San Nicola in Galatro, con il quadro completo degli interventi delle numerose personalità di cui è prevista la partecipazione.



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    (27.2.12) BARLAAM CALABRO: UNA VOCAZIONE UNIONISTA (Michele Scozzarra) - Una testimonianza concreta e avvincente, da quel capitale prezioso quanto inesplorato, che si chiama “medioevo” che, oggi più che mai, domanda di essere ri-conosciuto per poter ri-scoprire, nei giorni nostri, una unità di valori, una comunione di intenzioni e di identità, ci viene oggi presentata con la pubblicazione del libro di Domenico Mandaglio, “Barlaam calabro: una vocazione unionista”. Il libro si presenta come un’opera di sintesi delle copiose ricerche che l’Autore ha condotto su Bernardo Massari, meglio noto come Barlaam di Seminara, e come una introduzione appassionante a tutta l’epoca medievale.
    Il libro ha un preciso taglio: è centrato sulle tensioni spirituali e intellettuali, in un preciso periodo circoscritto al secolo XII, soprattutto quando “Barlaam di Seminara, conosciuto come primo vescovo di Gerace e maestro di greco di Petrarca e Boccaccio, ha legato il suo nome alla appassionata campagna unionista portata avanti per anni, con l’obiettivo di giungere alla unificazione della Chiesa di Oriente a quella d’Occidente”.
    Non a torto si possono intravvedere, nella lettura del libro di Mimmo Mandaglio, dei punti essenziali sui quali l’Autore si è particolarmente soffermato che consentono una comprensione storicamente più “realistica” dell’intera vicenda culturale del Medioevo, di cui il secolo in cui ha vissuto Barlaam rappresenta il “cuore” per andare al fondo della questione: con questo libro l’Autore ha dimostrato la capacità di ri-tornare (o di ri-dire, tanto per andare ad una citazione a lui cara!) al “cuore” del pensiero di Barlaam, libero da preoccupazioni apologetiche, da nostalgie strumentali o da imposizioni di mode culturali che vogliono vedere il Medioevo solo con l’etichetta ormai stereotipata di “secoli bui”, ed ha contribuito a portare un approfondimento antropologico e ontologico di vitale importanza per l’uomo dei nostri giorni, che ancora ha il coraggio di interrogare a fondo la realtà della storia quotidiana che vive.
    C’è un complesso di ragioni che mi fa apprezzare l’importante opera del Mandaglio su Barlaam, dove oltre alla conoscenza di un monaco famoso per le sue conoscenze in tutti i rami del sapere, al quale non a caso fu affidata una cattedra all’Università di Costantinopoli, l’Autore dimostra una approfondita conoscenza del pensiero medievale, dei suoi valori e di tutto un contributo e un apporto spirituale e culturale che si presenta, nel Medioevo così come ai nostri giorni, come una testimonianza concreta ed avvincente che ha saputo dare un incremento notevole alla civiltà nella quale viviamo. Una cosa che mi ha particolarmente affascinato, durante la lettura del libro, è l’indagine che partendo dal monachesimo va ad approfondire altri aspetti della civiltà medievale, alla ricerca di dati obiettivi che si contrappongono a tutti quei luoghi comuni stereotipati che presentano il Medioevo come “il tempo dei secoli bui”. Sotto questo profilo, l’Autore svolge un accurato, quanto appassionato, studio che contribuisce a far mutare radicalmente il concetto che in tanti, talvolta in maniera inconsapevole, sostengono che “Medioevo” è sinonimo di epoca di ignoranza, di abbrutimento, di sottosviluppo.
    Nelle pagine del libro si vede, anzi si tocca con mano, la cultura monastica nella quale si è formato Barlaam, in esso è raccontata proprio una visione del monachesimo improntata all’amore della cultura e al desiderio di Dio: questa è l’essenza della cultura monastica assimilata, e poi trasmessa, da Barlaam nel suo peregrinare nei tanti monasteri e conventi che ha avuto modo di frequentare nella sua vita, compreso il Convento di sant’Elia di Galatro, dove ha compiuto i suoi studi presbiterali con i monaci greco-bizantini.
    Attraverso lo studio, il lavoro e la cultura di monaci come Barlaam, dal Medioevo chi è stato tramandato un grande patrimonio di civiltà e anche delle grandi testimonianze di fede: si è sempre sostenuto, infatti, che i monaci, anche se non parlavano, predicavano, perché offrivano l’esempio di una vita in pace con Dio, di fronte a momenti di grandi turbamenti, di guerre, di contrasti, di cui pure il medioevo fu pieno.
    Parlando con Mimmo Mandaglio, ho voluto porre delle domande, per capire meglio questo suo impegno che lo ha portato alla pubblicazione di questo bel volume su Barlaam.
    Perché hai voluto impegnarti in un libro proprio su Barlaam?
    Ho letto tanto su Barlaam, ma ti posso assicurare che non ho mai trovato un libro completo, organico, sistematico in grado di fare luce e spiegare bene chi era questo grande figlio della nostra terra. Per questo mi sono messo al lavoro, raccogliendo articoli, accenni, conferenze fatti da persone che, nel corso degli anni passati, avevano cercato di trattare la figura di Barlaam. Ho raccolto tanto materiale e, dopo averlo approfondito con ulteriori e più attenti studi, ho capito che potevo mettermi all’opera per far conoscere, in un lavoro sistematico e completo, una fisionomia sconosciuta di Barlaam. Ho cercato di esplorare tutti gli aspetti dalla sua grande cultura, a cominciare dall’ambiente monastico nel quale ha vissuto, e mi sono potuto rendere conto che l'ambiente monastico di fine Medioevo in Calabria era degno dei più grandi centri culturali d'Italia. Noi siamo abituati di ripetere quello che ci hanno insegnato, canonicamente, a scuola, cioè che le città toscane o umbre sono state la culla di tutta una civiltà che attraverso l’impegno e cultura dei monaci ha lasciato un forte segno all’ambiente. Ecco, io penso che, per quanto ci riguarda, anche se si è approfondito poco questo periodo, e la Calabria è stata vista solo come punto di passaggio per la Sicilia o il Nord d'Italia, secondo me, invece, la nostra terra era un posto saturo di sapienza sia sotto l’aspetto linguistico (lo studio del greco innanzitutto), sia per i numerosissimi monasteri basiliani che erano punti di divulgazione di grande cultura. Ecco, nel mio libro, mi sono adoperato a rappresentare questo'ambiente sociale, storico, politico e culturale, perché ritengo che la Calabria abbia rappresentato per tante persone un punto di passaggio, ma per i greci fu un punto di arrivo.
    Il nome di Barlaam è legato soprattutto al suo impegno per l’unione della Chiesa orientale con quella occidentale: Barlaam, a mio avviso, è stato grande per la sua oculatezza ad impegnarsi per l'unione della Chiesa di Oriente a quella d’Occidente, tanto da dedicare la sua vita a questo importante compito, cercando di percorrere tutte le strade diplomatiche, in vista della fondamentale importanza dell'Unione dei cristiani. Tutto questo per vari motivi: per motivi politici, religiosi, capaci di dirimere le discordie tra cristiani, dovute più a inezie che a motivi realmente seri. Da buon calabrese cocciuto, Vere calaber, lottò fino alla fine con l'arma della sapienza e dell’intelligenza ma, soprattutto, con l’arma del buon senso, mettendo a tacere orgoglio e superbia pur di raggiungere il vero scopo a cui tendeva il suo impegno. Ho voluto esporre nel libro le sue opere che servirono per le lezioni all'università in Grecia, le sue invettive che erano più di difesa o di giustificazione e, infine, ho esposto i suoi interventi di fronte al Papa, finalizzati a convincerlo ad andare in aiuto ai fratelli greci. Su questi temi Barlaam intervenne dicendo cose grandi dal punto di vista teologico ma, soprattutto, ha preveduto con molto acume quello che poteva succedere in Oriente, cioè una catastrofe culturale, religiosa e politica con enormi martiri... Così come successe, in seguito, con le invasioni turche.

    Un bel libro su un grande calabrese… come mai pubblicato a Ravenna?
    Ho voluto fare un glossario per esprimere al meglio il linguaggio usato, cosa che per me è molto importante. Il professore Enrico Morini dell'Università di Bologna, che è uno dei più grandi esperti di storia romea, è stato entusiasta del mio lavoro, così anche Mario Agostinelli professore di filosofia a Ravenna. Il libro l'ha voluto pubblicare Claudio Nanni di Ravenna perché Ravenna fu la culla della cultura bizantina in Italia. Queste tre queste persone che ho appena citato, sono di una sensibilità culturale veramente molto grande, con una umanità enorme, ed io li voglio ringraziare veramente tanto. Questi sono i veri motivi per cui ho scritto questo libro, cioè il volere dedicare la mia attenzione su qualcosa di cui vale la pena scrivere, evitando di andare dietro alle pubblicazioni che oggi vanno di moda o che portano soldi. A me, sinceramente, interessa la cultura, non i soldi.
    Complimenti Mimmo per il bel libro… in mezzo a tanta crisi di valori, il compito degli studiosi seri è quello di riuscire, nel buio della crisi che ci pervade da più parti, a fare continuare a splendere una luce, magari una piccola luce come quella di un accendino, ma sicuramente diversa dall’oscurità che cerca di avvolgerci. E la tua opera contribuisce a portare una piccola luce già sperimentata, esattamente come quella che brillava nei monasteri, dove uomini normali mostrarono possibile la stabilità di un mondo travolto da irrefrenabili migrazioni, mostrarono la fraternità in mezzo alla violenza, la costruttività alternativa al crollo di tutto.
    E, ti assicuro che poco importa se i professionisti della politica diranno che è un’illusione e gli intellettuali che è un’ingenuità. Resta il fatto che quei monaci hanno costruito, senza neppure pensarci, una civiltà.
    E a te, con il tuo libro, va il merito di continuare a rendere quella luce ancora viva nei nostri giorni…

    Nelle foto, dall'alto in basso: Michele Scozzarra, autore dell'articolo; la copertina del volume su Barlaam; l'autore Domenico Mandaglio e la Cattolica di Stilo; porticato nel convento di Sant'Elia in Galatro.

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    (2.3.12) PARTE "SENTIERI DI CARTA" - Prende avvio Sabato 3 Marzo, alle ore 17.00, Sentieri di carta, una serie di manifestazioni finanziate dalla Regione Calabria intese a riscoprire, valorizzare e attualizzare le culture locali attraverso progetti in grado di renderle concretamente fruibili. Oltre a Galatro, sono coinvolti i comuni di Rosarno (ente capofila), Gioia Tauro e Rizziconi.
    Si inizierà con un percorso, ideato da Michele Scozzarra, incentrato sulle chiese e destinato a concludersi nella sala convegni del Comune, in piazza Matteotti, con una nutrita carrellata di Brani e immagini di Galatro tra passato e presente.
    Nella locandina allegata (scaricabile dal link in basso) è possibile visualizzare l’intero programma che prevede tra l’altro, Domenica 18 Marzo, il concerto del Nicola Sergio Trio (il pianista galatrese ha di recente inciso un nuovo CD) e una rivisitazione del Patrimonio storico-letterario galatrese a cura di Umberto Di Stilo.
    Sabato 31 marzo, infine, un percorso che parte dalla Calatella Risalendo verso gli alberi di ulivi secolari di Oliverato alla vecchia Centrale Idroelettrica. Conclusione nella Sala convegni con La Musica delle parole.
    In tutte le occasioni sarà possibile degustare prodotti tipici.

    Visualizza la
    locandina con il programma completo (PDF) 439 KB

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    (3.3.12) CELEBRITY 2.0: ROBERTO RASCHELLA' ANCORA IN MOSTRA - Ancora una mostra per il fotografo galatrese Roberto Raschellà. La sua "Celebrity 2.0" aprirà la rassegna di appuntamenti settimanali, con aperitivi a tema, organizzati dall'Atelier Aldo Coppola di Como, in via Plinio 9.
    "Celebrity 2.0" verrà inaugurata alle ore 18.00 di Giovedì 8 Marzo, Festa della Donna, dopo essere stata esposta presso la galleria della libreria "Un mondo di libri", a
    Seregno (Milano) nell'ottobre 2011, e nell'incantevole cornice del "Mureen da l'olii", a Baraggia di Viggiù (Varese) lo scorso dicembre.
    L'art director Francesco Basso e signora ospitano nel loro salone una serie di avvenimenti molto interessanti, che dal freddo inverno ci porteranno verso l'estate. Colonna sonora di alcune serate sarà l'accompagnamento del pianista estemporaneo Carlo Maria Nartoni.
    La mostra parte dal concetto di "essere celebre" e si sviluppa in una serie di fotografie che alternano personaggi conosciuti, come Madonna, Michael Jackson, le attrici di "Sex and the city" e la coppia reale, William e Kate, a persone di tutti i giorni.
    Afferma Roberto: «Se la foto della persona celebre colpisce per il fatto di chi è e cosa rappresenta, mi piacerebbe che le altre colpissero per quello che esprimono. Ognuno di noi è celebre per quello che fa, nel bene e nel male. Non occorre essere sulle copertine di un giornale per essere celebri.»
    L'esposizione verrà integrata con un testo dedicato ai temi trattati, in generale sull'accettazione.
    La mostra continuerà fino a Mercoledì 21 marzo, con i seguenti orari: da martedi a sabato dalle 9 alle 18, giovedi fino alle 20.
    Durante la serata inaugurale verrano scattati dei ritratti agli intervenuti, che saranno poi visibili il Giovedì successivo, 15 Marzo, sugli schermi dell'atelier.

    www.ilvicolopaoletto.com/blog

    Pagina Facebook dedicata all'evento:
    www.facebook.com/events/335056459862800


    Nelle foto: in alto Roberto Raschellà, in basso la locandina della mostra Celebrity 2.0.

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    (3.3.12) CASAIDEA 2012: VA IN SCENA L'HABITAT (Massimo Distilo) - Alla Nuova Fiera di Roma, a partire da Sabato 10 Marzo, va in scena quello che può essere ormai definito un vero e proprio colossal dedicato all'abitare, alle sue forme più consuete e a quelle meno usuali. Quando entriamo per la prima volta in una casa, di amici o conoscenti, incontriamo spesso qualche particolare dell'arredo che ci sorprende e verso il quale proviamo un'immediata e fatale attrazione o, a volte, una viscerale ripulsa.
    Se visitiamo
    Casaidea questo genere di sorprese e sensazioni viene moltiplicato per cento.
    La rassegna, giunta ormai alla sua trentottesima edizione, è senza dubbio la più importante in Italia fra quelle che hanno come principale target di riferimento l'utenza finale.
    A Casaidea il visitatore può incontrare di tutto in relazione alle soluzioni per l'arredamento del suo salotto, della sua cucina, del suo bagno e degli altri vani della casa: da quelle più classiche e tranquillizzanti, a quelle più ardite, quasi geniali, fino alle più inquietanti. Niente è risparmiato.
    Forse è anche per questo che Casaidea convoglia ogni anno verso i suoi padiglioni oltre centomila visitatori che, una volta compiuto il percorso, non saranno più quelli di prima: la loro mente, bombardata dalla vasta gamma di proposte, si è definitivamente aperta verso i nuovi e accattivanti orizzonti del design abitativo. Ma Casaidea non dimentica nulla e, fra le sue proposte, somministra al visitatore anche quelle che maggiormente possono risvegliare il suo spirito critico, con ciò avvalorando la corrente visione secondo cui l'arte - e il design - hanno, in barba ad ogni concezione manichea, una inevitabile componente di equilibrio.
    Ma Casaidea non si esaurisce nella sola "sezione espositiva" delle 750 case produttrici, anche l'aspetto umano è adeguatamente messo in risalto grazie agli "Incontri" organizzati fra i visitatori e i professionisti dell'abitare, esperti nelle varie discipline, che offrono gratuitamente al pubblico informazioni, suggerimenti e soluzioni.
    Ma perchè rimanere in casa? Spostiamoci anche fuori. Ed ecco "Spazioverde", la sezione di Casaidea relativa agli ambienti esterni, con l’architettura del verde e gli ultimi ritrovati per recinzioni, gazebi, strutture per terrazzi e giardini, barbecues, vasi, contenitori, illuminazione, coperture, verande e chi più ne ha più ne metta.
    Molto importante anche la sezione "Eventi" che ha come mission quella di suggerire al grande pubblico “modi di abitare” complementari o alternativi a quelli proposti dalla grande industria.
    Una novità di quest’anno è “MAT’12, 1a Rassegna dei materiali e dei prodotti innovativi per architettura e design”, promossa dall’Ordine degli Architetti PPC di Roma e Provincia e abbinata al convegno “Le materioteche e i materiali di ultima generazione”.
    C'è poi la 4a Mostra-Concorso “80 Voglia di Casa” organizzata in collaborazione con l’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia, la Casa dell’Architettura e Casa&Design, il network di La Repubblica. Tema di quest’anno è: la casa a colori.
    Altra novità è la Rassegna “Oggetti d’uso in Travertino Romano”. Proposta inedita di architetti e designer, realizzate da aziende aderenti al “Consorzio per la Valorizzazione del Travertino Romano.
    “Officina delle Arti”, giunta alla 17a edizione, costituisce il momento per valorizzare l’artigianato di design. Una trentina di artigiani, in collaborazione con altrettanti progettisti, presentano nuove idee sul tema “Il Servetto: carrelli, tavolini e piccoli mobili di servizio”.
    Sicuramente destinata a stupire è: “Extra Large / Mobili e oggetti fuori dall’ordinario” - curata dall’arch. Patrizia Di Costanzo. I mobili e gli oggetti in Mostra hanno dimensioni esagerate, quasi fuori luogo, ma attraggono empaticamente proprio per la loro deformità e possono dar luogo a nuovi significati funzionali.
    Un settore in crescita è quello della decorazione della tavola, elemento centrale in ogni casa. Casaidea se ne occupa con la rassegna "Design in tavola", che offre un panorama delle ultime novità in questo specifico settore.
    Insomma ce n'è per tutti i gusti alla Nuova Fiera di Roma dal 10 al 18 Marzo.

    Orari: feriali 15,00 - 21,00; sabato e festivi 10,30 – 21,00
    dal lunedì al venerdì: ingresso gratuito
    Sede: Nuova Fiera di Roma – Ingresso Nord

    Settori merceologici: Arredamento Contemporaneo e Classico, Arredobagno, Arredocucina, Ristrutturazione & Finiture d'interni, Spazioverde

    Babyparking per i piccoli visitatori in fiera a cura di “Piccole Impronte”

    www.casaidea.com


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    (6.3.12) SECONDO CD E CONCERTO A GALATRO PER NICOLA SERGIO - Il pianista Nicola Sergio ha registrato di recente a Osnabruck (Germania) un nuovo CD con sue nuove composizioni. Si tratta del secondo disco che l'artista galatrese realizza per la Challenge Records ed ha come titolo Illusions. Dopo il brano "Scilla", inserito nel precedente CD (Symbols), non manca neanche stavolta un omaggio alla terra d'origine con l'ultimo pezzo della compilation che porta come titolo "Chopin is dancing tarantella!".
    Nicola è stato affiancato nella registrazione da Stéphane Kerecki al contrabbasso e da Fabrice Moreau alla batteria, il product manager è Angelo Varploegen e l'ingegnere del suono Chris Wedda.
    Mixaggio e mastering del CD sono in corso ad Amsterdam. Il disco uscirà a Settembre 2012 e sarà distribuito in Europa (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo), Giappone e Stati Uniti.
    Anche il calendario concertistico di Marzo di Nicola Sergio, che riportiamo in basso, è fitto di impegni. Oltre a diversi concerti in Francia e Olanda, da segnalare un concerto per piano solo al teatro Borgatti di Cento, in provincia di Ferrara, previsto per Sabato 10 Marzo, alle ore 21.00.
    Ma, come spiega lo stesso Nicola, l'evento che riveste per lui un'importanza affettiva particolare sarà quello di Domenica 18 Marzo, alle ore 17.00, quando si esibirà col suo trio jazz a Galatro, presso l'androne delle scuole elementari nell'ambito delle manifestazioni previste dall'iniziativa
    Sentieri di carta.
    Nuovi importanti risultati dunque per il pianista "galatro-parigino" che tiene alto il vessillo della nostra musica.



    Nicola Sergio trio: ILLUSIONS
    Nicola Sergio: piano/compositions
    Stéphane Kerecki: double bass
    Fabrice Moreau: drums

    Product manager: Angelo Varploegen
    Sound engineer: Chris Wedda
    Prodotto da: Challenge Records International www.challenge.nl
    Registrato ad Osnabruck (Germania) il 2 e 3 Febbraio 2012
    Studio: www.fattoria-musica.com



    CONCERTI DI MARZO

    4 Marzo
    Nicola Sergio Piano solo - house concert
    Paris, Ille de Fr, FRANCE


    8 Marzo OPA - Adrien Néel Group
    Paris, Ille de Fr, FRANCE


    10 Marzo Nicola Sergio Piano solo
    Teatro "Borgatti" di di Cento (Ferrara) ITALY


    18 Marzo
    Nicola Sergio Trio
    Galatro, RC, ITALY


    26 Marzo
    Nicola Sergio trio
    Murphy's law jazz club - Den Haag, Amsterdam, NETHERLANDS







    Nelle foto, dall'alto in basso: Nicola Sergio al piano nello studio di registrazione; la locandina del concerto a Cento (Ferrara); il Nicola Sergio Trio con l'ingegnere del suono Chris Wedda (seduto); Nicola Sergio.

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    (7.3.12) CONVEGNO DELL'ADOS PER L'8 MARZO: SULLE ALI DELLE DONNE... (Michele Scozzarra) - Si terrà Giovedì 8 Marzo, alle ore 16.30, nella sala convegni del Comune di Galatro, un importante incontro dal tema Sulle ali delle donne…, promosso e organizzato dalla locale Associazione “Ados”. Nel dettaglio, dopo i saluti del Presidente dell’Ados, Stella Primerano, e del Sindaco di Galatro, Carmelo Panetta, interverranno sul tema dell’incontro la giornalista-scrittrice Paola Bottero e il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi, Giulia Masci, mentre a coordinare i lavori è stata chiamata la giornalista di "Calabria Ora", Viviana Minasi.
    Con questo Convegno gli organizzatori vogliono porre, con evidente preoccupazione, l’attenzione su un argomento tanto drammatico quanto attuale, che la realtà calabrese in tutte le sue componenti, si trova a dover affrontare in questi ultimi anni. Mi riferisco a tante storie drammatiche di donne coraggiose alle quali sono state “spezzate le ali insieme alla vita”: non si può non rivolgere loro il nostro sguardo, in uno scenario di speranza e di libertà, proprio come omaggio a quante, proprio per difendere questa dignità e libertà, anche e soprattutto di fronte alla più perfida logica mafiosa, non hanno esitato a rinunciare finanche alla propria vita.

    L’occasione del Convegno ci ha dato la possibilità di parlare con la Presidente dell’Ados, Stella Primerano, del prezioso contributo che le donne dall’Ados stanno dando alla realtà galatrese, e di come si inserisce il loro lavoro nella nostra realtà. Vediamo qualche punto.

    L’Ados, ormai da molti anni, è diventata una solida realtà inserita nel tessuto sociale galatrese… proviamo a tracciare una sua fisionomia…?
    L’Associazione è nata su iniziativa di un gruppo di donne che hanno avvertito l’esigenza di essere cittadine attive nel promuovere momenti di socializzazione, condivisione e solidarietà sociale nel proprio paese, spinte dalla consapevolezza, che ognuno debba fare la propria parte nel promuovere cambiamenti, finalizzati al benessere e allo sviluppo della Comunità in cui vive. Nel corso del tempo, il numero delle socie è notevolmente aumentato. L’adesione di nuove socie, tutte professioniste che operano nell’ambito sociale e sanitario, con un ricco bagaglio di esperienze professionali (Psicologhe e Assistenti Sociali che operano in Consultori Familiari e C.S.M, operatrici di comunità) ha costituito per l’Associazione un ulteriore arricchimento in termini di potenziale umano e di competenze da spendere per la realizzazione di iniziative volte di tipo psico-socio-educativo.

    Che cosa si propone l’Ados con le attività che portate avanti nella realtà galatrese?
    Uno degli obiettivi prioritari dell’Associazione, sin dall’inizio della sua attività, è stato quello di elevare i livelli di partecipazione delle donne, cercando di promuovere un’autoconsapevolezza sui diritti e sulle pari opportunità. Diverse iniziative hanno avuto lo scopo di mettere in risalto la portata della violenza di genere, cercando di sensibilizzare su questo dolente punto, sia la popolazione sia la pubblica Amministrazione. L’Associazione ha organizzato il convegno: “La violenza sulle Donne” l’8 marzo 2007 e il Convegno “Una rete per le fragilità: Azioni di contrasto e prevenzione della violenza di genere” l’8 marzo 2008; quest’ultima manifestazione ha rappresentato l’occasione per parlare, ancora una volta, di violenza sulle donne e illustrare il progetto che l’A.D.O.S.-Onlus aveva presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Diritti e Pari Opportunità, promuovendo una partnership che ha visto il coinvolgimento dell’ Ente Provincia di Reggio Calabria, del Comune di Laureana di Borrello, del Comune di Galatro, del Comune di Caulonia e di due Associazioni del privato sociale, l’Associazione “Città delle arti e dei Mestieri” di Cinquefrondi e la Cooperativa “Hermes” di Locri. Il progetto, pur non avendo ottenuto il finanziamento, ha sollecitato la sensibilità di diverse Amministrazioni Pubbliche che si stanno impegnando nel contrastare l'aberrante fenomeno della violenza contro le donne.

    Come valorizzazione del nostro territorio, una iniziativa molto importante che ormai dura nel tempo, ed è diventata ormai una bella tradizione dell’estate galatrese, è certamente rappresentata dal Mercatino di Montebello…?
    Tra i vari obiettivi che l'Associazione persegue c'è anche la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, ed è in questo contesto che si inseriscono le iniziative che si riferiscono al “Mercatino di Montebello”: una mostra-mercato di prodotti e manufatti artigianali che ormai conta numerose edizioni. Per la sua favorevole posizione geografica, Galatro offre uno scenario naturalistico di incomparabile bellezza, il suo assetto urbanistico, soprattutto il quartiere Montebello, ci rimanda l’immagine di un presepe che si sviluppa su per una collina culminando con le tre Croci del Calvario: è in questa cornice che si svolge il mercatino. Attraverso queste iniziative le donne dell’Associazione cercano di recuperare una memoria storica dei luoghi, delle tradizioni e degli antichi mestieri.

    E’ ormai diventato un momento non solo galatrese, che ogni anno si allarga sempre di più… parliamo della “marcialonga”…
    L’organizzazione della manifestazione sportiva “la Marcialonga 5 Ponti”, si svolge ogni anno lungo le caratteristiche vie del nostro paese, in collaborazione con il Comune di Galatro, la Federazione Italiana di Atletica Leggera e diverse organizzazioni sportive di carattere regionale e Nazionale. E’ divenuto ormai un appuntamento annuale al quale si danno appuntamento decine di atleti di diverse categorie, sia professionali sia dilettanti, che con partenze scaglionate ogni mezzora, allietano e rendono vive le strade del nostro paese. Questa manifestazione è senz’altro una bella vetrina su Galatro…

    L’Ados ha sempre organizzato interessanti convegni che hanno affrontato grosse problematiche sociali, ma svolge anche un grande servizio di vicinanza e attenzione verso le persone anziane, coloro che non hanno nessuno o hanno difficoltà a potersi spostare…
    Dalla sua fondazione l’Ados ha sempre portato avanti molteplici ed interessanti iniziative: dai Convegni, tanto per citarne qualcuno, sulla “qualità della vita dell’anziano: bisogni e servizi”, a quello sulla prevenzione dei tumori femminili, al Convegno su “le donne, risorse per promuovere sviluppo”, ai convegni sulla violenza di genere.
    Quest’anno per l’8 marzo, festa delle donne, abbiamo organizzato il Convegno “Sulle ali delle donne…”: parleremo di donne e ‘ndrangheta con la scrittrice–giornalista Paola Bottero e con Giulia Masci, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi. Il titolo che abbiamo scelto per il nostro Convegno vuole evocare scenari di speranza e di libertà… libertà dal giogo mafioso e vuole essere anche un omaggio a tutte quelle donne il cui volo verso la libertà è stato fermato, le cui ali sono state spezzate insieme alla loro vita…
    Relativamente alle iniziative nel sociale, cui tu fai riferimento, abbiamo spesso rivolto la nostra attenzione alle persone della terza età, cercando di offrire loro spazi di aggregazione e di socializzazione, organizzando escursioni volte a conoscere le bellezze del nostro territorio.

    Una novità quest’anno è stata rappresentata dall’iniziativa “E…state insieme”.
    E’ stata una bella iniziativa che ha coinvolto tante persone, e ti posso dire che è stata veramente una bella esperienza ed un bel servizio reso a tanti ragazzi. Abbiamo organizzato nel periodo estivo tante attività ludico-ricreative, indirizzate ai ragazzi, e bambini, diversamente abili. L’obiettivo è stato quello di far vivere esperienze di integrazione a ragazzi che spesso vivono in condizione di isolamento. Particolarmente apprezzate dai ragazzi sono state le escursioni con i cavalli, presso il Circolo Ippico “La Chiusa” di Calimera. Un’esperienza, sicuramente, da ripetere…


    Nelle foto, dall'alto in basso: logo Ados; la presidente Stella Primerano; la locandina del convegno "Sulle ali delle donne...".


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    (10.3.12) ECCO IL CRUCIVERBA SU GALATRO - Per quei pochi lettori che non hanno ancora avuto modo di visionare il n. 4168 de "La Settimana Enigmistica" dell'11 Febbraio 2012 contenente il cruciverba dedicato a Galatro, con sei foto di vari luoghi del nostro paese, pubblichiamo la pagina 21 del numero della rivista, con e senza la soluzione del gioco.
    La pagina è scaricabile dai due link qui sotto anche in formato pdf così da poter essere stampata.

    Cruciverba su Galatro senza la soluzione (PDF) 613 KB

    Cruciverba su Galatro con la soluzione (PDF) 650 KB



    La pag. 21 de La Settimana Enigmistica n. 4168 dell'11 Febbraio 2012


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    (11.3.12) MICHELANGELO PENTICORBO INTERVISTATO DA RAI2 NELLA TRASMISSIONE VOYAGER - Il popolare programma televisivo Voyager, che va in onda ormai da nove anni su RAI2 con una media di indici d'ascolto che si aggira sui due milioni e mezzo di telespettatori, ha intervistato l'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo.
    L'intervista si è svolta a Basilea, presso l'osservatorio astronomico, ed andrà in onda nella trasmissione in programma Lunedì 12 Marzo, alle ore 21.00 su RaiDue. Michelangelo Penticorbo, che per i suoi meriti culturali
    ha già ricevuto un'alta onorificenza della Repubblica dal Presidente Giorgio Napolitano, stavolta sarà protagonista nel suo ruolo di divulgatore scientifico nel campo dell'astronomia.
    Voyager ha contattato Michelangelo con l'intento di far conoscere a un vasto pubblico il concetto di universi paralleli, un argomento dell'astronomia e della fisica teorica e quantistica molto affascinante, sul quale un buon numero di scienziati in tutto il mondo sta concentrando le proprie ricerche.
    Dai loro studi emerge l'esistenza di una realtà che va oltre l'universo che conosciamo, una realtà costituita da infiniti universi paralleli che si muovono in uno spazio multidimensionale. Si tratta di un concetto complesso che trova fondamento matematico su equazioni sviluppate dai maggiori fisici e matematici.
    Durante la trasmissione Michelangelo Penticorbo spiegherà questa rivoluzionaria visione del nostro universo e il collegamento, sia pur teorico, che esisterebbe tra universi paralleli e vite parallele.
    Ed infatti proprio "vite parallele" costituisce l'argomento centrale di uno dei tre temi che Voyager, indagare per conoscere affronterà nella trasmissione di Lunedì 12 Marzo, alle ore 21.00.
    Una puntata da non perdere dunque. Michelangelo ha anche dichiarato al nostro giornale di tenere in modo particolare a condividere con i galatresi, suoi conterranei, questa intervista su Rai2. A lui vanno i nostri migliori complimenti per la sua attività e per l'importante contributo nel tenere alte le tradizioni culturali del nostro piccolo ma grande paese.

    Visualizza il promo della trasmissione

    Chi fosse impossibilitato a seguire il programma in tempo reale, può consultare il sito di Michelangelo, alla sezione "Interviste in TV", a partire da Giovedì 15 Marzo:

    www.astronomia.ch

    Nelle foto: in alto, Michelangelo Penticorbo all'interno dell'osservatorio astronomico di Basilea in una fase della registrazione dell'intervista; a sinistra Michelangelo, di spalle, mentre guarda nel telescopio dell'osservatorio astronomico; in basso varie fasi dell'intervista e il conduttore Roberto Giacobbo durante una puntata di Voyager.







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    (18.3.12) IN "CONQUISTADORES DEL... NULLA"... UN PADRE EDUCA I FIGLI ALLA FEDE (Michele Scozzarra) - In un mondo come il nostro, dove tutto è visto in funzione del potere, della carriera, degli interessi e la “normalità” della vita, anche nei rapporti dei genitori con i propri figli, è giocata tutta nell’essere presi dalle preoccupazioni sulla carriera e dall’apparire, in una società sempre più attenta alla forma che alla sostanza, al punto da portare un genitore a non accorgersi neanche che i propri figli crescono… ecco, in un mondo così fatto, la pubblicazione di un libro come quello di Pasquale Cannatà che racconta una bella storia di ricordi familiari, e soprattutto di come un padre ha cercato di vivere e trasmettere ai propri figli, importanti valori umani e religiosi… può sembrare pura follia!
    Infatti, tra le pagine del libro, si può scorgere quasi come in un evidente contrasto, il problema gravissimo di oggi; cioè che ci troviamo davanti ad un dramma epocale che non riguarda soltanto le nostre città o soltanto l’Italia… un dramma non secondario nella storia dell’umanità, quello di una generazione di adulti in grave difficoltà davanti ai propri figli.
    La lettura del libro “Conquistadores… del nulla” di Pasquale Cannatà ritengo che rappresenti un vero “antidoto” rispetto a certe realtà, oggi sempre più frequenti, di genitori spaventati e sulla difensiva rispetto all’educazione dei figli e alla realtà familiare che, insieme con loro, vivono: questo libro testimonia, in maniera eloquente, la realtà positiva che l’autore ha vissuto nella sua famiglia, raccontando la bellezza degli insegnamenti appresi e maturati, soprattutto nel rapporto con il padre, nell’avere avuto davanti un modello di riferimento, veramente solido che era rappresentato dal papà innanzitutto, ma anche dalla mamma, dai fratelli, dalla comunità ecclesiale e dai tanti punti di riferimento sportivi o culturali che il paese, nella sua realtà di allora, offriva.
    La famiglia nel libro è descritta quasi come una grande orchestra, dove ogni suo componente ha un suo strumento e si esprime con le sue note, nella diversità delle sue caratteristiche rispetto a quelle degli altri fratelli: interessi professionali, culturali, politiche, religiose diverse, con un punto di unità che il tempo non ha cancellato e, anche se in ogni famiglia si parla di tutto, di politica, di sport, di problemi economici e familiari… nel lungo periodo si dimentica tutto ciò che ha poco interesse e breve durata e resta solo ciò che vale cioè l’essenziale.
    E questo essenziale, che nel libro di Cannatà trabocca in ogni pagina, è da individuare negli insegnamenti del padre che non perde occasione per richiamare l’attenzione della famiglia su qualcosa di importante in cui credere e per cui vale la pena vivere, non evitando di indicare ad ognuno dei suoi figli il proprio compito, pur nel rispetto della individualità di ciascuno.
    Nel libro sono facilmente individuabili in don Vincenzo (il padre, che oltre al lavoro e alla famiglia non aveva altri interessi e il poco tempo libero lo dedicava alla lettura e alla riflessione), donna Francischina (la moglie e madre), Salvatore (che stava completando i suoi studi di ingegneria) Roberto (che era a metà del corso di studi in scienze biologiche), Fortunato (che aveva da poco iniziato a studiare filosofia), Grazietta, Nazareno e Maria Oliveria, tutti i componenti della famiglia di Pasquale Cannatà; mentre l’unica persona che nel libro è indicata con il suo vero nome è don Bruno (Scoleri), del quale si ricordano le lunghe prediche.
    In “Conquistadores… del nulla” c’è il racconto di una generazione che, a differenza di quella di oggi, non era confusa nel rapporto con i figli.
    Le generazioni dei nostri padri, e dei nostri nonni, hanno sicuramente fatto più fatica di quelle di oggi: le guerre, la fame… hanno fatto infinitamente più fatica dal lato delle fatiche materiali; eppure, nonostante tutti i problemi, c’è un qualcosa che quegli uomini non hanno mai fatto venire meno; mi riferisco alla testimonianza lasciata ai propri figli di un bene possibile per il quale valeva la pena sacrificarsi, fare, lavorare. E, in questa testimonianza, all’interno della famiglia era chiaro che ognuno voleva diventare come il suo papà… ognuno ascoltava il proprio padre e lo sentiva come il re dell’universo! Perché quelle erano persone che, nella loro assoluta semplicità, magari non avendo fatto neanche le elementari, sapevano le cose che nella vita bisogna sapere. Forse non sapevano di matematica, o di finanza o di soldi, però sapevano della vita e della morte, della gioia e del dolore, del bene e del male, del vero e del falso, del bello e del brutto…
    La bellezza del libro del Cannatà risiede anche nel fatto che oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, il rapporto genitori figli non è più così! E qua sta la grandezza dei ricordi espressi nel libro, perché quando si ha davanti un padre così, e si ha la possibilità di guardare dove mette i piedi lui, si può sapere con certezza che andando dietro a lui si può affrontare tranquillamente la strada della vita (con tutte le sue insidie che mette nel suo cammino), fino in fondo e senza paura.
    Con grande intelligenza l’autore ha messo alla base del suo libro (che poi altro non è se non la sua storia personale e familiare, almeno fino a quando non ha lasciato la sua famiglia di origine) gli stimoli maturati e vissuti nel rapporto con suo padre, che hanno avuto la capacità di ingrandire, di dilatare e maturare quell’essenziale (“ciò che abbiamo di più caro” come diceva Solov’ev) a cui suo padre si richiamava e che la Bibbia chiama “cuore”. Il “cuore” che viene richiamato nel libro dice, a Salvatore-Pasquale e ai suoi fratelli, attraverso le parole del loro padre, che essi sono stati fatti per cose grandi, e che solo il riconoscimento di questo può portare alla loro vita le note della felicità che ogni uomo cerca. Perché è proprio a partire da questo che “uno incomincia a toccarsi alla mattina le spalle e sentire il proprio corpo più consistente, e a guardarsi nello specchio e sentire il proprio volto più consistente, sentire il proprio io più consistente e il proprio cammino tra la gente più consistente, non dipendere dagli sguardi altrui, ma libero, non dipendente dalle reazioni altrui, ma libero, non vittima della logica di potere altrui, ma libero”.
    Perché alla fine, l’immagine che viene fuori dal libro è la storia di un padre che guardava un “qualcosa” più grande di lui, e invitava i suoi figli ad andargli dietro in questo cammino, convinto che le vere forze che muovono la storia, sono le stesse che rendono felice il cuore dell’uomo.

    Nelle foto: in alto Michele Scozzarra, al centro la copertina del libro "Conquistadores del... nulla", in basso l'autore Pasquale Cannatà.

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    (20.3.12) IMPORTANTE LAVORO FILOLOGICO DI NUALA DISTILO - Galatro, si sa, è terra di cultori di discipline umanistiche fin dai tempi di Barlaam di Seminara, del quale si dovrebbe dire di Galatro, visto che non era nato a Seminara ed è nel nostro convento dei padri basiliani che sono avvenuti i fatti più importanti della sua formazione religiosa e culturale.
    Questa tradizione, invero mai appassita, ha ricevuto nuova linfa alcuni giorni fa con la pubblicazione della grecista Nuala Distilo, in forza all’università di Padova presso la quale ha conseguito il dottorato di ricerca, di un Commento critico-testuale all’Elettra di Euripide per i tipi di S.A.R.G.O.N. Editrice e Libreria, due volumi per complessive 700 pagine.
    Nuala – che per chi non lo sapesse o non lo ricordasse è figlia di Alfredo, tecnico comunale in quiescenza e di Rinuccia Cannatà - che ha già al suo attivo vari lavori su riviste specialistiche, si è cimentata in un’impresa che non può non ritenersi notevole se si pensa alle complesse questioni filologiche poste dal testo di Euripide in relazione ai due codici di riferimento (in gergo filologico Codice L e Codice P) e alla nutrita letteratura critica.
    Ne è venuto fuori un commento verso per verso volto alla riconsiderazione dei numerosi problemi testuali che definisce il nuovo “stato dell’arte” nell’ambito della critica di questa tragedia euripidea, fissando nell’ultima parte un nuovo testo del dramma frutto delle soluzioni proposte.
    Insomma, un testo di alto livello specialistico, fondamentalmente per addetti ai lavori, ma sicuramente consultabile da quanti, pur non specialisti, si troveranno a leggere, o a rileggere, uno dei capolavori della letteratura mondiale.

    Nella foto: la copertina del volume di Nuala Distilo.

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    (22.3.12) CONFERENZA DI UMBERTO DI STILO: IL TESTO DEDICATO AL "PASCOLI GALATRESE" - Umberto Di Stilo ha letto, domenica sera nella Chiesa di San Nicola nell'ambito della manifestazione Sentieri di carta, una relazione sugli scrittori e i poeti di Galatro soffermandosi sulle varie figure di una schiera oltremodo nutrita: da Saverio e Francesco La Manna a Giovanni Conìa e Antonio Martino ad Angelo Làmari per finire ai contemporanei, da Pierino Ocello a Ettore Alvaro e Francesco Distìlo. Pubblichiamo (scaricabile anche in formato pdf) la parte da lui trasmessaci relativa al poeta e sacerdote don Rocco Distìlo.

    Il Pascoli galatrese (PDF) 61 KB

    Ascolta alcune poesie recitate dal poeta


    Il sacerdote-poeta che “ama, lacrima e canta”
    DON ROCCO DISTÌLO, IL PASCOLI GALATRESE

    Il sacerdote-poeta Don Rocco Distìlo si innesta ad una tradizione poetica antica, che a Galatro è impreziosita dai nomi illustri di Conìa e Martino.
    Per inquadrare nella sua giusta luce la figura artistica del poeta Don Rocco Distìlo è necessario conoscere Galatro, il suo habitat, all’epoca non ancora turbato dalla tecnologia, un mondo per tanti versi chiuso in se stesso, attorniato com’è dalla cinta delle sue colline.
    A Galatro, dove il tempo scorre lento come in molti altri paesi della Calabria, c’è posto per la malinconia, l’apatia, il pessimismo. E c’è poco spazio per la speranza.
    Rocco Distìlo ha dimostrato che in un ambiente simile c’è spazio anche per la poesia; ha dimostrato che è possibile aprirsi alla vita e scrollare di dosso l’atavica sonnolenza che grava sugli alberi, sulle cose, sulle strade ed avviluppa le persone.
    Per Distìlo ogni giorno è stata un’avventura nuova.
    La sua opera poetica, pagina dopo pagina, è un diario, è il resoconto di una vita vissuta nella sua pienezza.
    Nasce a Galatro l’11.11.1908. L’infanzia e l’adolescenza le trascorre nel paese natale e coincidono coi tempi in cui la martoriata Calabria viene provata da grandi tragedie: dopo il terremoto del 1908, la fame e la povertà e, quindi, la guerra mondiale.
    Il fanciullo sente la sua vita come una vocazione all’amore ed alla donazione. Sceglie la via del sacerdozio ed entra nel seminario vescovile di Mileto. La sua vocazione poetica è già in germe, come anche l’indole propensa alla speranza ed all’accettazione della sofferenza come mezzo di elevazione spirituale.
    Dopo gli studi liceali compiuti a Catanzaro e quelli teologici a Firenze, ritorna nella sua terra dove riceve, dal vescovo Paolo Albèra, la consacrazione sacerdotale (1.8.1937).
    Comincia allora la sua attività di pastore di anime dove nella semplicità o nella mansuetudine ha modo di realizzare la sua personalità.
    Parroco per diciotto anni a Feroleto della Chiesa (1937-1955), per sei a Monsoreto di Dinami (1955-1961), per dodici - gli ultimi della sua vita - a Galatro (1961 - 1973).
    Sono queste le linee essenziali della sua biografia.
    Lo storico potrà arricchirle di particolari per rendere più manifesta la figura adamantina di questo sacerdote - poeta.
    Verranno fuori le sue prime giovanili prove poetiche, ospitate da riviste letterarie, la lunga sfilza di onorificenze, segnalazioni, premi letterari, le sua passione per la musica e le composizioni di inni sacri e canti liturgici. Verrà fuori il particolare del servizio militare: la divisa militare (che fu costretto ad indossare nel 1929, ancor studente liceale) gli ritardò gli studi di qualche anno. Di quel periodo della sua vita, il Poeta ricorda:

    “... in marchigiana terra.
    .... a scribacchiare carte,
    e nella lunga tristezza e nel ricordo
    d’una perfidia umana…”.


    L’allora studente Distìlo, infatti, per la “perfidia” di alcune persone dovette interrompere gli studi per adempiere agli obblighi militari. (Ad Ascoli Piceno faceva lo scrivano nell’ufficio del comandante del Distretto Ten. Col. F. Pascazio). Sulla triste esperienza della forzata interruzione degli studi di teologia per andare a compiere il servizio militare, il Poeta aveva espresso l’intenzione di scrivere una memoria, un romanzo per il quale aveva anche scelto il titolo: Martino, che è il suo secondo nome di battesimo. Ma la sua biografia è, dicevamo, raccolta nei suoi tre volumi di poesie. Tre sillogi che a saperle leggere, sono i diari del suo animo sensibile sempre aperto alla bellezza del Creato.
    Prime luci nella valle” (Milano 1958) esce in occasione del primo ventennio sacerdotale (1937-1957). Nella dedica sono indicati i grandi valori che furono alimento della sua vita e che danno fecondità perenne ai versi: “La poesia e la preghiera, la bellezza e l’amore”. I brani di vari autori, i pensieri o i versetti biblici intercalati con le liriche fanno del libro una vera aiuola di fiori rari. La liriche sono preghiere, riflessioni, soliloqui.
    C’è una pregnanza nei versi, un desiderio traboccante di amore e di pace.
    La giovinezza dello spirito crea miracoli: il paesino calabro, immoto e sonnolento, si anima di una luce nuova, tutto parla di Dio: le stelle “occhi lucenti nella notte”, la “garrula fonte” che “di cielo favella”, l’ulivo che “a pace invita / perduta pace dopo tanta guerra”; l’ape “piccola goccia di sole”, l’allodoletta “che sale in alto dalla terra al sole / ebbra di gioia”.
    Insomma, “tutta, tutta la natura canta”.
    Emerge evidente la natura della nostra tradizione lirica. Riemerge, illuminato dalla luce della fede, il poeta fanciullino.
    Dal punto di vista estetico è evidente il sodalizio spirituale col poeta della “piccozza”, Giovanni Pascoli.
    La poesia anche per Rocco Distìlo, non è soltanto “arte per l’arte”. E’ di più. E’ il viatico del viandante

    “che trita
    notturno piangendo nel cuore
    la pallida via della vita”;


    è

    “la povera lampada c’arde soave
    nell’ore più meste e più tarde...”.


    Non mancano voli d’aquila come la lirica “Pioggia di maggio” dove i versi conclusivi

    nel vasto piano la capanna fuma
    e su quel mar di verde par si muova
    nave in cammino, verso ignoti lidi


    ci trasportano nella più ispirata atmosfera georgica virgiliana.
    Solo che alla grave malinconia delle ombre vespertine che, agli occhi del poeta pagano, invadono e raffreddano la terra, in Distìlo si sostituisce l’arcana inquietudine del movimento, che richiama il senso itinerante della vita, e cede allo stupore davanti al mistero, sentimento squisitamente pascoliano (cfr. Il ponte: “Il fiume va con lucidi sussulti / al mare ignoto dall’ignoto monte”).
    Il poeta “fanciullo” è anche ingenuo e non ha ancora imparato a diffidare dei luoghi comuni dalla retorica fascista. Lo studente universitario che torna cieco dalla guerra (protagonista del componimento Luce bella addio!) si dona alla Patria come all’ideale supremo e, per nulla conscio di essere vittima di strumentalizzazione, prova slanci sovrumani: “a te questi occhi, terra mia gentile!”
    Il secondo volume, “Uno è l’amore” (Parma 1963) mostra una ormai matura coscienza di uomo e di poeta. Allo slancio giovanile, non ancora peraltro sopito, subentrano le prime gravi meditazioni della maturità.
    Il Poeta ha ormai uno stile suo personale, inconfondibile, affrancato da influenze di scuola.
    L’onda dei ricordi è la linfa più vitale.
    Il clima più confacente al suo stato d’animo è l’autunno, la stagione carica di frutti, simbolo della maturità e presentimento dell’inverno freddo. Così il Poeta-sacerdote scrive parole velate di una delicata e pensosa nostalgia:

    Bianco capello, così tardi arrivi
    degli anni a dirmi, o giovinezza, addio?
    Amo l’ottobre da’ pregnanti clivi
    d’uve e di pomi: non invoco oblio”.


    Il tema è sempre lo stesso: l’ordine e la bellezza del cosmo con le sue cose grandi e con le piccole, tutte oggetto di stupita ispirazione da parte del poeta, tutte creature di Dio, turbate a tratti della cattiveria degli uomini (che emerge dal componimento Non uccidere le rondini).
    Alla luce di questa sua produzione poetica Don Rocco Distìlo può essere definito il Pascoli della nostra letteratura; il Pascoli con in più la fede ed il sacerdozio. Il Pascoli galatrese di cui tutti noi dobbiamo essere fieri.
    In “Uno è l’Amore” i momenti di più intenso lirismo sono le ricordanze dell’infanzia (si veda, in proposito: La mia vecchia maestra) e della giovinezza (come chiaramente si evince dalla poesia Ritorno al mio vecchio seminario).
    Alle soglie delle vecchiaia tutto gli parla di approdo: le barche ancorate, i cipressi solitari, il melo caduto, simbolo delle vita che trapassa.
    Davanti al melo caduto non c’è rimpianto dei “saporiti pomi”, del verde, della prestanza che non è più; c’è il senso di gioia che proviene della donazione di sé, dal sacrificio per gli altri: “bello è cadere carico, non vuoto”.
    Il terzo volume, “Di sentiero in sentiero” (Roma, 1967) s’innesta ad un’esperienza lirica ormai matura e si apre a nuovi spunti, peraltro non sempre felici. Penetrano, infatti, qualche volta preoccupazioni e riflessioni di carattere sociale che turbano l’atmosfera trasognante e sofferta del poeta che “ama, lacrima e canta”.
    Lo spunto sociale, che per Domenico Defelice, prefatore del volume, è una conquista, appare, invece, in qualche momento del contesto generale dell’opera poetica, una stonatura (come in Spazzini) anche se, in altri casi, è proprio lo spunto sociale a suggerire e dettare versi altamente ispirati. (Come in 4 novembre).
    Ma la linfa del vecchio poeta non si è esaurita ( o, peggio, spenta).
    Quando riaffiorano i motivi antichi, il verso si fa sublime. Anche la realtà più scialba è illuminata dal bagliore della fede e nella pagina si trasfigura.
    La lirica Quando la notte è alta è piena di richiami leopardiani: il colloquio notturno con la luna, il pastore errante, le greggia umana che dorme immemore. Ma il poeta recupera presto le sua identità e ritorna nel suo mondo. La lirica Lasciatemi tornare è il prodotto dei momenti di maggiore aderenza a se stesso:

    Lasciatemi tornare alla mia pace
    . . . . Là tutto mi somiglia
    chè avido di spazi e d’orizzonti
    interminati,
    in essi immergermi e mutarmi.


    Postumo, otto anni dopo la sua morte, è stato pubblicato il poemetto “Giornate di sole”. A chi ha avuto l’opportunità di conoscere in vita il Poeta, i versi di questo volume appaiono scontati. Leggendoli si ha l’impressione di sentire parlare Don Rocco. In quei versi si ritrovano le sue espressioni; si ritrova la sua enfasi oratoria, il suo invito sincero a guardare avanti, verso il sole… verso la luce. C’è l’invito a vivere la propria giovinezza perché

    “è una gioia la vita che
    Bisogna saper vivere con un sorriso
    Nel cuore e negli occhi quando le labbra
    Son mute; e per questo hai bisogno di sole.
    Non fermarti annoiato, vinto quasi,
    in un angolo oscuro. Mettiti in cammino!
    Tu ami, lo so, e basta l’amore
    Perché il sole risplenda e le stelle brillino”.


    Insomma Rocco Distìlo è un poeta romantico e nello stesso tempo un poeta nuovo. Si discosta da tutti i suoi contemporanei amanti delle mode e delle innovazioni. Non appartiene alla folta schiera degli inquieti, dei figli del decadentismo, i torturatori di versi, poeti psicopatici e immelanconiti.
    Rocco Distìlo è un poeta che canta. E’ un poeta che ha parole di speranza e di pace:

    Se vieni, tristezza, e mi vuoi
    non sfiorarmi l’ala tua nera.
    Non sento più il tuo querulo pianto.
    Io sono in quel mare, in quel cielo,
    nel sole: felice io canto”.


    Il cammino del Poeta ha coinciso con l’itinerario esistenziale dell’uomo. Fin da quando sentì accendersi le “prime luci” nella valle, la poesia fu per lui il manifestarsi di una tensione sempre più grande, che di sentiero in sentiero, lo porta verso Dio.

    Galatro, domenica 18 marzo 2012, chiesa San Nicola

    Nella foto in alto: Umberto Di Stilo in un momento della conferenza.

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    (23.3.12) IL VIDEO DELL'INTERVISTA A RAI2 DI MICHELANGELO PENTICORBO - Abbiamo realizzato un estratto video relativo all'intervento dell'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo durante la trasmissione di Rai2 Voyager andata in onda lo scorso Lunedì 12 Marzo alle ore 21.00.
    L'intervista si è svolta presso l'osservatorio astronomico di Basilea (Svizzera) ed il tema è stato quello degli universi paralleli che si muovono in uno spazio multidimensionale.
    Si tratta di un concetto complesso che trova fondamento nelle ricerche condotte dai maggiori fisici e matematici e che apre le porte ad una realtà che va oltre quella quotidiana, creando un collegamento, sia pur teorico, tra universi paralleli e vite parallele.
    Il video dura circa 7 minuti e mezzo. Buona visione.


    L'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo intervistato su Rai2 a Voyager

    Visualizza sul canale Youtube

    Sito di Michelangelo:
    www.astronomia.ch

    Nella foto in alto: Michelangelo Penticorbo durante l'intervista.

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    (24.3.12) GALATRO NEL CUORE (Pasquale Cannatà) - Grazie! Grazie a tutti!
    Ho letto l’
    articolo di Michele che prende spunto dal mio libro per parlare del difficile rapporto tra genitori e figli nella società di oggi che è imbevuta di materialismo a tutti i livelli: mi sono commosso al pensiero che a distanza di tanti mesi dalla mia ultima venuta a Galatro, quando ho messo a disposizione alcune copie del mio libro per quelli che hanno voluto entrarne in possesso, a lui (e spero anche a qualcun altro) sia rimasto impresso qualcosa del suo contenuto.
    Ero rimasto contento quando Domenico, nel settembre dello scorso anno, ne aveva pubblicato una bellissima recensione cogliendo, da bravo professore quale egli è, l’aspetto filosofico-teologico-esistenziale dei vari racconti: egli rileva che ho adottato “uno stile da dilettante che ne rende la lettura agevole anche a chi non ne mastica granché.” Era proprio questo il mio intento: sbriciolare alcuni concetti che potevano essere di difficile comprensione, per renderli accessibili a tutti. Purtroppo non ci sono riuscito, se mio cugino Vittorio, che non è un ‘povero ignorante’, ma professore di matematica, lo ha trovato difficile da leggere: a proposito di Vittorio Cannatà, che ha scritto per questo sito alcuni articoli sui “modelli matematici nel gioco del calcio”, vorrei informare i lettori che il giorno 29 Marzo 2012 terrà una conferenza sul tema suddetto presso la villa Contarini di Piazzola sul Brenta, con il patrocinio di quel Comune, della provincia di Padova e della regione Veneto.
    Sono stato felice quando sulla “Gazzetta del sud” del 12 Gennaio scorso a pag. 17 è stato pubblicato un articolo di Umberto sul mio libro: da ottimo maestro-educatore, lui aveva messo l’accento sull’aspetto didattico-educativo nel rapporto genitori-figli all’interno della famiglia protagonista delle piccole riflessioni oggetto del volume.
    Michele ricalca lo schema di Umberto ed approfondisce la questione dell’essere, dell’avere e del voler apparire che preoccupa in maniera spropositata i giovani di oggi, tanto da far loro perdere ogni contatto con i valori indispensabili per poter vivere una vita veramente degna di essere vissuta: non sto qui a ripeterli, perché Michele li ha descritti in modo veramente illuminante. Mi piace solo ricordare, come dice lui, che i nostri genitori “sapevano le cose che nella vita bisogna sapere. Forse non sapevano di matematica, o di finanza o di soldi, però sapevano della vita e della morte, della gioia e del dolore, del bene e del male, del vero e del falso, del bello e del brutto…”
    Grazie ancora per l’attenzione che mi avete dedicato, e ricordo che sono a disposizione, per chi volesse leggere il libro suddetto, due copie che ho donato alla biblioteca comunale ed una copia alla biblioteca scolastica.
    Per i Galatresi che come me sono lontani dal paese e quindi impediti a recarsi presso le suddette biblioteche, ma volessero comunque leggerlo, anticipo una notizia che avrei voluto tenere in sospeso ancora per qualche tempo, ma che l’emozione di oggi mi spinge ad anticipare: ho firmato un contratto con una società editrice di eBook che sta trasformando il mio libro nei formati adatti per la vendita in rete ed entro qualche mese lo consegnerà ai maggiori store per la distribuzione. Probabilmente potrà essere disponibile anche nel “mercatino” di questo sito: vi terremo aggiornati.
    Per gentile concessione di Umberto e di Domenico ho utilizzato parte dei loro articoli come presentazione del libro che ho già spedito all’editore e che sarà utilizzata per la pubblicità in rete.
    Per chi volesse leggerla la si può visualizzare dal link in basso.

    Presentazione del libro "Conquistadores del... nulla" (PDF) 17 KB

    Nella foto: Galatro, Montebello by night.

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    (31.3.12) LE CONTRADE DI GALATRO (V) - Ecco la quinta puntata del viaggio tra le numerose e suggestive contrade di Galatro, dai nomi che richiamano echi lontani, e nelle quali le bellezze naturali e l'opera dell'uomo si intersecano in un connubio ammirevole. Per visualizzare le quattro puntate precedenti cliccare sui link di seguito: Contrade I, Contrade II, Contrade III, Contrade IV.
    Oggi ci occupiamo delle seguenti contrade:

    Longa - Grande estensione di terreno coltivato a bosco e di proprietà, per la maggior parte, del Comune di Galatro che dall'amministrazione di questi boschi trae un certo reddito.

    Angialedhi (detta anche Angeli) - Il nome deriva dalla creta bianca che là si estrae per fare gli angeli. E' una contrada che si trova nei pressi della centrale elettrica, sulla sponda destra del fiume Metramo.

    Sannaì - Contrada dalle caratteristiche territoriali alquanto montuose. Il nome deriverebbe, da quanto si racconta, da un episodio riguardante un galatrese che, ammalato di malaria, si trasferì in tale località per guarire. In effetti sanò e ritornato in paese disse: "Sanài".

    Petra di' fati (detta anche Mascia)- E' un terreno boscoso. Il nome deriva da una leggendaria pietra gigantesca, che è presente in questo territorio (ma oggi non raggiungibile), la quale formava delle grotte in cui secondo la leggenda abitavano le fate.

    Jarnicòla - Il nome significa "vecchio Nicola" ed il suo territorio è in prevalenza coltivato a bosco e seminativo.

    Marasà - Si tratta di un terreno boschivo. Il mome Marasà, che significa "finocchietto", deriva dall'antica coltivazione dei finocchi praticata in questo territorio.

    V - Continua...

    Nella foto: panorama di Galatro visto da una delle sue numerose contrade.

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    (6.4.12) IL NUOVO DISCO DEI KARADROS (Massimo Distilo) - Dopo i tanti successi ottenuti nelle diverse piazze nella nostra regione, e non solo, il gruppo dei Karadros, di cui ci siamo già occupati in precedenza, si è dedicato alla preparazione del primo lavoro discografico dal titolo La nostra Storia, distribuzione ElcaSound.
    Il CD racchiude una serie di brani ricchi di raffinate elaborazioni melodiche ed armoniche basate su suoni e ritmi all'avanguardia, che testimoniano un vero e proprio lavoro di riscoperta in chiave personale di canti del nostro folklore, con l'utilizzo dei classici strumenti della tradizione.
    I Karadros in questo nuovo e significativo progetto hanno inoltre voluto rendere omaggio al noto poeta galatrese Antonio Martino, incidendo un brano il cui testo è basato su una poesia del nostro poeta.
    Il disco sarà presentato Sabato 28 Aprile 2012 presso il teatro degli studi televisivi di RTV con la trasmissione in diretta.
    Un disco da non perdere dunque, nel quale le capacità musicali di tutti i componenti del gruppo dei Karadros, guidati da Mario Correale, sono espresse appieno, e riescono a coinvolgere l'ascoltatore dalla prima all'ultima nota.
    Una nuova e piacevole espressione della musica galatrese.

    Ecco i componenti del gruppo:
    Mario Correale – voce e chitarra battente;
    Ramona De Maio – voce;
    Salvatore Cirillo – organetto, fisarmonica, lira calabrese;
    Marco Soriano – chitarra classica;
    Ferdinando Mandaglio – basso elettrico;
    Michele Franzè – percussioni, tamburello;
    Carlo Ardizzone – pipita, zumpettara calabrese, armonica a bocca, flauti, etc.


    Nelle foto: il gruppo musicale galatrese dei Karadros.

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    (6.4.12) 6 APRILE 2012: CENTO ANNI DALLA MORTE DI PASCOLI (Michele Scozzarra) - Esattamente cento anni fa, il 6 aprile del 1912, moriva Giovanni Pascoli, uno dei poeti più conosciuti dagli italiani. Di lui diceva Asor Rosa che “mira alla realizzazione di una poesia sommessa e sobria, tutta imperniata su stati d’animo malinconici e ripiegati e su brevi, folgoranti quadretti di ispirazione paesistica, in cui dal profondo spuntano l’illusione cosmica, l’analogia con il destino dell’uomo e con i colori della sua vita”.
    Una delle sue poesie più belle, a mio avviso, è “I due orfani”:

    Fratello, ti do noia ora, se parlo?»
    «Parla: non posso prender sonno». «Io sento
    rodere, appena…» «Sarà forse un tarlo…»
    «Fratello, l’hai sentito ora un lamento
    lungo, nel buio?» «Sarà forse un cane…»
    «C’è gente all’uscio…» «Sarà forse il vento…»
    «Odo due voci piane piane piane…»
    «Forse è la pioggia che vien giù bel bello».
    «Senti quei tocchi?» «Sono le campane».
    «Suonano a morto? suonano a martello?»
    «Forse…» «Ho paura…» «Anch’io».
    «Credo che tuoni:
    come faremo?» «Non lo so, fratello:
    stammi vicino: stiamo in pace: buoni».
    «Io parlo ancora, se tu sei contento.
    Ricordi, quando per la serratura
    veniva lume?» «Ed ora il lume è spento».
    «Anche a que’ tempi noi s’aveva paura:
    sì, ma non tanta». «Or nulla ci conforta,
    e siamo soli nella notte oscura».
    «Essa era là, di là di quella porta;
    e se n’udiva un mormorìo fugace,
    di quando in quando».
    «Ed or la mamma è morta».
    «Ricordi? Allora non si stava in pace
    tanto, tra noi…» «Noi siamo ora più buoni…»
    «ora che non c’è più chi si compiace
    di noi…» «che non c’è più chi ci perdoni».


    Ognuno è solo. Ciò che domina è la paura. Ogni affermazione è incerta. L’unico rimedio stringersi vicini. E’ qui la sorgente etica di Pascoli. I due orfani affermano di aver bisogno del perdono; è una intuizione davvero eccezionale: che la compagnia sia perdono, perdono di un male che, se non è del tutto nostro, non ci lascia tuttavia del tutto irresponsabili.
    E’ questa la miglior figura dell’umanità senza Cristo, quella che ha determinato in Pascoli, il fascino del primo socialista.
    Non c’è alternativa che riconoscere il Fatto o subire la nostalgia del genio che intuisce la risposta. Non c’è genio umano, infatti, che non sia profeta di Cristo.
    La grande lotta è tra l’onda invadente di un sentimento inane e l’affermazione della ragione, della volontà, della libertà, dell’affezione.
    E’ in questa lotta che Cristo è entrato.

    Nell'immagine: Giovanni Pascoli, logo del centenario.


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    (12.4.12) UN NUOVO PROGETTO PER MERCEDES BENZ DA ONSCREEN COMMUNICATION - La società OnScreen Communication, della quale il galatrese Saverio Ceravolo è Creative Technology Director, ha sviluppato un nuovo progetto in Realtà Aumentata per Mercedes-Benz. Si tratta di un’applicazione web dedicata alla Nuova Gamma Classe E. L’applicazione rappresenta un’innovazione dal punto di vista della tecnologia, permettendo all’utente di interagire con contenuti multimediali attraverso il semplice movimento delle mani.
    La Nuova Gamma Classe E si mostra così in una nuova prospettiva in cui l’utente è protagonista. Lanciata l’applicazione dal sito della casa automobilistica, appassionati e curiosi del prestigioso marchio rivedono sullo schermo la propria immagine immersa in uno scenario navigabile, caratterizzato dalla presenza di tasti virtuali. Posizionata la mano in loro corrispondenza, si attivano una serie di contenuti multimediali e interattivi, che introducono in modo originale le qualità dell’auto.
    Per vivere l’esperienza in Realtà Aumentata basta collegarsi alla pagina dedicata e scaricare l’applicazione. Mostrata alla webcam l’inserzione pubblicitaria inserita su testate specializzate o stampata attraverso il sito, l’utente visualizza lo spot per poi trovarsi al centro di un contesto abitato dalla vettura. Le scene successive portano l’utente all’interno dell’auto e delle sue tecnologie.
    Per la realizzazione del progetto, a fianco di Mercedes-Benz, c'è dunque OnScreen Communication, in collaborazione con The Unknown Creation.
    Ecco il link per entrare nell’affascinante mondo della Nuova Gamma Classe E:

    www.mercedes-benz.it/ar-e

    Al nostro concittadino Saverio Ceravolo e alla OnScreen Communication, di cui ci eravamo già occupati in precedenza per la collaborazione col cantante Luciano Ligabue, vanno dunque le nostre migliori congratulazioni per gli eccellenti risultati in campo tecnologico che tengono alto il vessillo di Galatro.

    Ecco il video che mostra il funzionamento dell'applicazione:



    www.getonscreen.it

    Nella foto in alto: Saverio Ceravolo.

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    (14.4.12) "AVEVO UN CUORE CHE TI AMAVA TANTO": RAI1 RICORDA MINO REITANO - La prima serata di RaiUno di Sabato 14 Aprile, con inizio alle ore 21.10, è dedicata al ricordo di uno dei cantanti più rappresentativi della musica leggera italiana, per molti anni vera e propria bandiera della Calabria al di fuori dei propri confini, ovvero Mino Reitano.
    Il programma, dal titolo ispirato ad una delle più emblematiche e popolari canzoni di Mino, "Avevo un cuore che ti amava tanto" (Mp3 - 2,63 MB), sarà condotto da Massimo Giletti, per la regia di Giovanni Caccamo.
    Un appuntamento da non perdere per tutti coloro che amano la vera musica e che hanno a cuore le sorti della nostra regione.



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    (19.4.12) DIANA MANDUCI E LE FOTO DELLA VIA CRUCIS - Vi proponiamo un saggio delle capacità fotografiche di una nostra concittadina che si è scoperta la vocazione della fotografia e la sta coltivando con eccellenti risultati. Si tratta di Diana Manduci, che è rientrata a Galatro per Pasqua, cogliendo con il suo obiettivo momenti significativi della Via Crucis di quest'anno e angoli suggestivi del nostro paese.
    Le cinquanta foto sono state riunite in un filmato che consente di visualizzarle in sequenza con sottofondo audio.



    Visualizza sul canale YouTube


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    (22.4.12) UN CONGRESSO IN SVIZZERA SULLE PROFEZIE MAYA DEL 2012 - La Federazione UNITRE, Università delle Tre Età, Svizzera, presieduta dall'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo, con il patrocinio del Consolato Generale d'Italia in Zurigo e dell'Associazione Nazionale delle Università della Terza Età, UNITRE Italiana, ha organizzato un congresso internazionale dedicato alle profezie dell’antico popolo Maya scritte oltre 2000 anni fa sulla base del loro sofisticatissimo calendario.
    Il congresso, dal titolo "2012: Le Profezie", si svolgerà Domenica 29 Aprile, dalle ore 14.00 alle 18.30, presso il Centro Papa Giovanni ad Emmenbrücke (Lucerna, Svizzera) e sono previsti gli interventi di noti studiosi provenienti da diversi ambiti di ricerca che cercheranno di evidenziare le differenze tra profezia, nel suo significato più profondo, e montature mediatiche portate avanti con insistenza sulla base di infondate teorie catastrofiste.
    Ecco l'elenco dei relatori:

  • Dott. Enzo Braschi, scrittore, ricercatore e attore cinematografico;

  • Dott. Roberto Pinotti, giornalista aerospaziale e presidente del Centro Ufologico Nazionale Italiano;

  • Dott. Marco Guarisco, pilota civile e consulente aeronautico;

  • Prof.ssa Candida Mammoliti, presidente del Centro Ufologico Nazionale Svizzero;

  • Dott. Lucio Carraro, psicologo.

    Oltre ad aver organizzato l'evento in prima persona, l'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo, che è stato di recente
    intervistato da RaiDue, chiuderà personalmente il congresso con un intervento su L'infondatezza degli eventi astronomici chiamati in causa per preannunciare la fine del mondo.
    Un evento molto interessante dunque, che consente di fare chiarezza su un tema balzato agli onori delle cronache negli ultimi tempi, ma su cui c'è stata molta speculazione mediatica.

    Congresso internazionale "2012: Le profezie", Domenica 29 Aprile 2012, ore 14.00 - 18.30, Centro Papa Giovanni, Seetalstrasse 16, Emmenbrücke (Lucerna), Svizzera.
    Ingresso libero. Seguirà aperitivo.


    Per informazioni dettagliate consulta la locandina dell'evento (PDF) 1,13 MB

    Nelle foto: in alto bassorilievo Maya, in basso l'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo.

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    (18.5.12) VE LO GARANTISCO: L'ULISSE DI JOYCE E' UNA C..ATA PAZZESCA!" (Pasquale Cannatà) - L’ho comprato.
    Era da tanto tempo che ne sentivo parlare, e finalmente l’ho comprato e l’ho letto!
    Mi avevano informato delle difficoltà che avrei incontrato nella lettura, ma ho resistito mille volte alla tentazione di buttarlo fuori dalla finestra e sono arrivato fino alla fine!
    A quel punto ho chiuso gli occhi e mi sono immaginato seduto accanto a Fantozzi sulla sedia di un cineforum: lui guarda il film “la corazzata Potionkin”, io leggo il libro.
    C’è una certa affinità tra le due opere, perché si tratta di due miti che nessuno osava contestare: il mito della rivoluzione d’ottobre e la sua sacralità per le sinistre fino agli anni ottanta, e dall’altra parte il mito dell’opera di un grande autore con la sua fama di testo composto da diversi livelli di lettura e da moltissime analogie con la struttura ed i personaggi del capolavoro di Omero.
    Siccome ne Fantozzi ne io soffriamo di sindrome da corazzata, quando alla fine della proiezione l’animatore del cineforum dichiara aperto il dibattito ed invita il pubblico a dare un suo giudizio, saliamo sul palco e gridiamo insieme: “è una c..ata pazzesca!”
    A quanto pare io e Fantozzi/Villaggio non siamo dei pazzi esaltati, ma siamo in buona compagnia se già Virginia Wolf, come ho letto nell’introduzione al volume edito da Newton (gen.2012), ha giudicato l’opera disgustosa e pretenziosa, affermando inoltre che “un grande scrittore dovrebbe rispettare la letteratura senza perdersi in trucchetti e star li a stupire con le sue acrobazie”.
    Sono quasi certo che nessun editore avrebbe pubblicato questo libro se fosse stato scritto da un autore sconosciuto o se lo stesso Joyce lo avesse presentato firmandolo con uno pseudonimo, mentre invece se un’opera letteraria è valida viene edita volentieri a prescindere da chi l’ha scritta.
    Nella suddetta introduzione è scritto anche che Joyce aveva “desiderio di scrivere per la gente, oltre che della gente … che un autore non deve scrivere esclusivamente per il mondo degli artisti”, e che una delle prime copie di Ulisse la regalò al cameriere del ristorante dove si recava a pranzo.
    Ora io capisco che date alcune premesse si debba accettare ogni conseguenza che da esse deriva, per cui si gusta un film di fantasy, di horror, di fantascienza o di supereroi vari senza batter ciglio sulle assurdità irreali ivi rappresentate: se Joyce avesse invitato i critici letterari e gli intellettuali al gioco di scoprire la corrispondenza tra i suoi personaggi e gli avvenimenti da loro vissuti con quanto scritto da Omero e a individuare la miriade di altri personaggi, avvenimenti storici, opere letterarie ed autori da lui citati, il suo Ulisse sarebbe un ottimo esercizio di erudizione. Ma stante quanto premesso nell’introduzione e quanto da lui affermato a pag. 205 del volume da me letto (un uomo di genio non commette sbagli: i suoi errori sono volontari e sono i portali della scoperta), secondo me Joyce si è preso gioco dei critici e degli intellettuali, lasciando alcuni schemi interpretativi dei suddetti parallelismi ai suoi amici Linati e Gorman . Succede così che in base agli schemi di cui abbiamo detto, per ogni capitolo si leggono nelle note esplicative poste nelle ultime pagine del libro, oltre alle corrispondenze tra i personaggi delle due opere, alcuni riferimenti al colore, all’arte, ai simboli e addirittura all’organo del corpo umano rappresentati nell’episodio narrato!
    Anche se Virginia Wolf non ha visto le corrispondenze tra l’Odissea e questo Ulisse (e sono certo che nessuna persona assennata le avrebbe lontanamente immaginate se lo stesso Joyce non le avesse indicate!) ed ha gridato “il re è nudo!”, altri preferiscono vederlo vestito di splendidi abiti invisibili per non fare la figura da ignoranti, facendo così il gioco di Joyce che li smaschera e se la ride dall’aldilà.

    * * *

    Il recente volume di Pasquale Cannatà "Conquistadores del... nulla" è scaricabile on line in formato e-book al prezzo di € 2,99
    www.bol.it

    Alcuni capitoli sono visualizzabili e scaricabili al seguente link:
    sites.google.com

    Nelle foto: in alto Pasquale Cannatà; in basso lo scrittore James Joyce alla chitarra.

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    (3.6.12) COMMENTI ALL'ARTICOLO SU JOYCE (Pasquale Cannatà) - Fin dai primi articoli che ho scritto e che avete avuto la cortesia di pubblicare su questo sito, ho spesso invitato i lettori ad esprimere un loro punto di vista sull’argomento trattato, ma questa richiesta è rimasta quasi sempre disattesa.
    Mi sarebbe piaciuto conoscere il parere dei nostri lettori su vari argomenti!
    Alcuni dei miei articoli li ho anche pubblicati sul sito neteditor con lo pseudonimo Kenneth Pascual, e qui invece molti autori hanno la soddisfazione di ricevere un commento da parte di parecchi lettori: riporto il pensiero di alcuni di questi sul mio
    articolo riguardo l’Ulisse di James Joyce.
    Un lettore ha fatto questo commento:

    La Grande Cagata è ciò che hai scritto.
    Aggiungendo la citazione "...bisogna avere in sé ancora il caos per partorire una stella danzante" - Nietzsche/Zarathustra.


    Io ho risposto:
    Tu hai per caso trovato il libro interessante, pedagogico, istruttivo, o anche avvincente, emozionante o non so cosa? Potresti illuminarci con un tuo commento, tuo, non ripreso dai soliti intellettuali che si citano a vicenda? Il caos che si ha dentro di se' ti fa partorire mille stelle meravigliose, ma se il caos è fuori non è altro che disordine e spazzatura.

    Lui ha replicato:
    Io non ci ho trovato le cose che citi! Pedagogico? Istruttivo? Emozionte? Ma di che stiamo parlando? Del libro Cuore? o stiamo parlando di un libro di Susanna Tamaro? Tu credi che Joyce abbia bisogno di un mio "commentino" per difendere la sua Grandezza? In ogni caso se dovessi scrivere un commento non avrei certo bisogno di rifarmi a qualche critico (le opere le so leggere per conto mio); e nemmeno, come fai tu, di riprendere alcuni giudizi di una "lettrice" (sia pure una grande lettrice quale la Woolf) per inzozzare provocatoriamente una delle più grandi opere della letteratura mondiale; che lo faccia un comico come Villaggio passi pure...
    Con ciò detto, non vorrei dare l'impressione che uno non possa dire questa opera non m'è piaciuta, non è nelle mie corde, non mi dice nulla; ok, non c'è nulla di male: i gusti sono gusti... ma definire un'opera, che ha segnato il punto più alto della parabola narrativa occidentale, una "cagata" a me fa fremere di rabbia. E' una questione di rispetto: non che non si possa dire (ci mancherebbe!), ma poi non bisogna lamentarsi se qualcuno commenta ciò che hai scritto come una vera "cagata"! Come dire? Una stronzata tira l'altra. Quanto al caos, dentro o fuori che sia (chi stabilisce i confini? il Padreterno?), è certo lontano, molto lontano dall'odor di sacrestia che i tuoi post emanano.


    Io ho concluso:
    Come volevasi dimostrare, non hai fatto un commento, ne' dato un giudizio al quale ti avevo invitato con il mio "o non so cosa": ma quel che mi dispiace è che non hai colto nell'urlo liberatorio di Fantozzi (e Villaggio è una persona molto colta!) e nel successivo scatenarsi della ribellione da parte degli altri spettatori, un rifiuto della succube ed oppressiva atmosfera pseudo intellettualistica quasi imposta dall'intellighentia dominante. Forse le mie idee emanano odor di sacrestia, ma sono mie e sono libere da condizionamenti: per quanto riguarda i confini del caos, la tua stessa citazione li colloca "in se".

    Un altro lettore ha scritto:
    Ebbene sì lo confesso...non sono mai riuscito a leggerlo! Nutrivo un pò di rimorso... come il senso di perdere qualcosa, ma, finalmente, questo commento mi tranquillizza e mi conforta: grazie!

    Un terzo lettore ha commentato:
    Per un buon lettore leggere un libro significa fare la conoscenza del carattere e del modo di pensare di uno "straniero", cercare di comprenderlo e se possibile farselo amico. Ecco tu ti sei fermato alla prima lettura e come fanno molti in Italia, hai affibbiato uno stereotipo allo "straniero", ovviamente è una metafora e tu non hai niente a che vedere con certi modi di fare leghisti, ad esempio. Nietzsche, che è stato a mio avviso il più grande lettore della storia dell'uomo, diceva che leggere non serve a niente, bisogna imparare a digerire. Leggere due, tre volte e meditare camminando, scriveva. Separando i veleni della digestione dal nutrimento delle sostanze energetiche. Per apprezzare il capolavoro di Joyce io ho dovuto fare prima tre letture di noti critici (se vuoi ti dò qualche riferimento), e poi allenato, ho fatto la mia corsa. Inoltre bisogna conoscere a menadito l'Odissea di Omero. Spero che almeno quella ti sia piaciuta, altrimenti, dammi retta, passa a leggere Faletti e la Tamaro e Moccia, vedrai, ti rilasserai di più. Ma non puoi non aver notato , anche alla prima lettura, il continuo e geniale cambio di stile ad ogni capitolo. Ogni sito di litweb come Neteditor è un insieme di stili e tecniche espressive proprio come l'Ulisse di Joyce. Siamo tutti suoi figli, non te ne rendi conto?

    Io ho risposto:
    Condivido quanto hai scritto sul senso più profondo che ha per ognuno di noi la lettura di un libro, ma la tua affermazione che hai dovuto ricorrere alla lettura di tre critici prima di capire Ulisse, conferma che questo non è stato scritto "per la gente", come lo stesso Joyce afferma deve essere scritto un libro: lui l'ha scritto per i critici, ai quali ha fatto dire quello che ha voluto lui, lasciando i famosi schemi. Il continuo e da te ritenuto geniale cambio di stile ad ogni capitolo rientra poi nei trucchetti e nelle acrobazie fatte per stupire, culminanti nel finale senza punteggiatura e poco apprezzati anche dalla Wolf. Sono d’accordo con lei: questa è mancanza di rispetto per la letteratura.

    Un lettore mi ha accusato di pubblicizzare il mio libro a scopo di lucro, al che ho risposto:
    Scopo di lucro?! Credo che nessun lettore che scrive su questo sito abbia mai lucrato ne' lucrerà mai. Purtroppo pubblicano e vendono sempre i soliti noti: a noi resta il piacere di aver scritto e di essere letti!

    Replica:
    Ué, Pasqual, ma che ci farai con tutti stì commenti? un altro post? Nel caso fammelo sapere che te ne scrivo uno lungo lungo, magari ti scrivo pure 'na recensione alla presentazione del tuo ebook. Lo sai che l'ho letta? è nu poca ingarbugliata, però qualcosa si capisce.

    Chiusura mia:
    E se invece di una recensione alla presentazione del mio libro tu facessi una recensione al contenuto dello stesso? Vorrebbe dire che l'avresti comprato e magari anche letto: meglio evitare, mi faresti lucrare ben 80 centesimi! Con affetto, ciao.

    Se si va su un sito di vendita di libri, il mio non compare automaticamente, ma solo digitando il mio nome o il titolo. Quindi potrebbe comprarlo solo chi mi conosce.
    Se il 10% della popolazione di Galatro si collega al nostro sito, potremmo valutare in circa 180 i lettori delle news: aggiungendo il gran numero di galatresi che vivono all’estero e che ci seguono e sommandoli a chi mi legge su facebook (praticamente gli stessi di cui sopra) e su neteditor, potrei contare al massimo su un migliaio di lettori!
    Forse il 10% di questi è abituato a comprare eBook, e la metà di essi potrebbe essere interessata al mio libro: in questo caso avrei la possibilità di venderne 50 copie da qui a Natale, che con un guadagno di 80 cent. a copia farebbe la favolosa cifra di 40 € in 8 mesi.
    Escluso quindi lo scopo di lucro ipotizzato dall’ultimo commentatore che ho citato, e la possibilità di diventare ricco con la vendita del libro, non mi sento in colpa se approfitto di questa occasione per informare i nostri lettori che al salone del libro di Torino 2012 si è parlato del mio eBook "conquistadores del nulla" allo stand della casa editrice ePubblica. Se ne può vedere uno stralcio su google plus all'indirizzo: www.youtube.com/watch?v=g1NKCJHxxR4&feature=g-upl
    Il libro si trova sul sito della casa editrice e sui maggiori store (amazon, feltrinelli, ecc.) digitando il mio nome o il titolo.

    E' stato inserito anche nel Mercatino di Galatro Terme News.

    Nella foto: Ulisse di Joyce.

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    (15.6.12) SUCCESSO DI ROBERTO RASCHELLA' ALLA CASA DEL DISCO DI COMO - In occasione della Parada par tucc che ha travolto le vie di Como con i suoi vivaci colori e i vibranti suoni lo scorso Sabato 9 Giugno, il fotografo galatrese Roberto Raschellà, ha presentato presso la Casa del Disco una serie di fotografie scattate in un bella giornata soleggiata di maggio che ritraevano l'artista di strada in fase di allenamento, dove "concentrazione" è la parola d'ordine. Per dare allo spettatore il massimo durante lo spettacolo ci sono molte ore di preparazione e allenamento. L'improvvisazione non e' creata, ma voluta.
    Giocolando è stato il titolo della mostra che ha catturato l'interesse del pubblico.
    Chi è stato in giro per Como durante quella giornata ha anche avuto modo di osservare Roberto che faceva qualche scatto durante la parata.

    L'altra mostra di Raschellà, Celebrity 2.0, invece, viene estesa per tutto il mese di giugno, presso "L'ultimo caffe'" in via Giulini a Como. Un'altra possibilità dunque per ammirare gli scatti dell'impareggiabile Roberto!

    www.facebook.com/events/214403842002841



    www.ilvicolopaoletto.com


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    (22.6.12) IL RESOCONTO DEL CONGRESSO DI LUCERNA SULLE PROFEZIE MAYA - Lo scorso 29 Aprile a Lucerna, in Svizzera, si è svolto un interessante congresso internazionale organizzato dalla Federazione UNITRE Svizzera, l'università popolare diretta dall'astronomo galatrese Michelangelo Penticorbo.
    I sei relatori, provenienti da diverse città svizzere e italiane, hanno esposto il loro punto di vista sul tanto discusso calendario Maya, che il 21 Dicembre di quest'anno termina il suo lungo ciclo di un'era durata 5.156 anni. Motivo per cui diversi movimenti catastrofisti hanno approfittato per diffondere il panico, la confusione e la disinformazione.
    L'obiettivo del congresso era mirato a differenziare le profezie nella loro visione mitica e nel loro significato più profondo, e distinguerle dalle teorie catastrofiste che persistentemente vengono proposte dai mezzi di comunicazione. Un'interessante occasione dunque per fare chiarezza su un tema balzato agli onori delle cronache negli ultimi tempi e su cui c'è stata molta speculazione.
    Tutti i relatori sono stati concordi sul fatto che l’antico popolo Maya non ha fatto mai alcun riferimento alla fine del mondo, ma solo alla fine di un’epoca e all’inizio di una nuova, ovvero ad un passaggio sacro del calendario Maya in cui si celebrava l’ingresso in una nuova epoca possibilmente prosperosa. Esattamente come auspichiamo anche noi, ogni anno, al termine del nostro calendario.
    Nessuna catastrofe e nessuna apocalisse quindi spazzeranno via la Terra. Non vi saranno cataclismi di proporzioni planetarie capaci di distruggere il mondo in cui viviamo. Le teorie, di cui spesso sentiamo parlare, sono senza fondamento scientifico e sono state tutte smentite dalla comunità geofisica e astronomica, come ha illustrato dettagliatamente Michelangelo Penticorbo.
    Il congresso è stato seguito con molto interesse dagli oltre 300 partecipanti provenienti da undici città della Svizzera in cui opera con successo l'UNITRE, l'Università delle Tre Età. All'evento hanno presenziato il Console Generale d'Italia in Zurigo, Min. Plen. Mario Fridegotto, e i rappresentanti dell'UNITRE Italia.
    Un congresso riuscito e curato nei minimi dettagli da un efficiente staff, che ha lavorato senza sosta con grande entusiasmo e che si è concluso con un ricco ed apprezzatto bouffet di aperitivi messo a disposizione dai generosissimi volontari.
    Si è trattato di un evento culturale senza precedenti nella storia della migrazione italiana in Svizzera, voluto e diretto dalla Federazione UNITRE Svizzera, che anche quest'anno é riuscita nell'intento di promuovere le proprie attività a livello nazionale. E' stato un importante momento di coesione, di interscambi culturali e sociali ricchi di emozioni che hanno coinvolto tutti i partecipanti della grande famiglia UNITRE.






    Nelle foto, dall'alto in basso: un momento dell'intervento al congresso di Michelangelo Penticorbo; una panoramica della sala; il tavolo dei relatori; foto di gruppo dei relatori con tutto lo staff del congresso.

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    (27.6.12) NEI BROCARDI L'ANTICA SAPIENZA DELLE NORME DI DIRITTO (Michele Scozzarra) - Mi è capitato, conversando con alcuni amici sulle “norme giuridiche contenute nei detti e proverbi”, di rendermi conto che non tutti sanno cosa siano esattamente i “brocardi”: secondo la leggenda, la parola “brocardo” deriva dal nome del canonista Burcardo, vescovo di Worms, che si sa nato nel 965 e morto nel 1025, e al quale si attribuisce la prima raccolta di aforismi giuridici, che è così databile, anno più anno meno, proprio nell’anno Mille… ma pare che questa è una leggenda.
    Non è raro notare come oggi, in tanti arricciano il naso appena viene citato un “brocardo” sia per il cattivo latino in cui questi aforismi sono stati scritti, che per la subcultura giuridica di cui sembrano espressione. Ma non si può negare che, piaccia o non piaccia, i brocardi riescono a cogliere l’universale, e per quanti rivolgimenti il diritto abbia subito nei secoli essi appaiono tutti, o quasi tutti, veri ancora oggi, e veri al di là di ogni confine nazionale, riuscendo a custodire e tramandare nei secoli profonde verità in tanti campi, dove la legge ha lasciato vistose lacune.
    Per un millennio, o quasi, la cultura dell’uomo di legge è stata una cultura per brocardi... si era tanto più sapienti quanto più brocardi si sapevano a memoria: chi ne conosceva mille, duemila, tremila, e sapeva pronunciare il brocardo giusto al momento giusto, quello che si rilevava risolutivo perché più di ogni altro pertinente al caso in discussione, era un grande avvocato, un grande notaio, un grande giudice.
    Per secoli, tutta la cultura giuridica dei grandi avvocati risiedeva nelle centinaia, o migliaia, di brocardi che affollavano la loro mente, pronti a passare sulle labbra, opportunamente selezionati, non appena i loro occhi avevano finito di scrutare le carte… ed i brocardi che sono arrivati a noi sono il distillato di mille anni di sapienza giuridica, espressi nel linguaggio più elementare possibile, per essere compresi e, soprattutto, ricordati anche dalle menti più semplici.
    Ai nostri giorni, negli anni Duemila, i brocardi, dopo avere superato il loro primo millennio, ci sono tutte le buone ragioni per ritenere che siano destinati all’estinzione, ma non perché siano sbagliati o superati o ridicoli, ma semplicemente perché si pensa che di essi non ci sarà più bisogno: alla memoria umana si è già sostituita la memoria artificiale… la funzione dei brocardi oggi è assolta da internet e dalle banche dati di cd e dvd.
    E, proprio oggi che nei cd e dvd è stata memorizzata tutta la giurisprudenza della Cassazione e, purtroppo, sono in tanti che pensano che nessuno abbia più bisogno di memorizzare le conoscenze giuridiche tramandate attraverso i brocardi, perché tutti avranno in tasca o sul pc l’intero scibile giuridico… proprio per questo, ritengo importante e prezioso il libro pubblicato tanti anni fa dall’amico Umberto Di Stilo, dal titolo “'u ventu sparti”, che raccoglie le norme giuridiche della nostra civiltà contadina contenute nei detti e nei proverbi calabresi, in sostanza i nostri brocardi.
    Il libro raccoglie le regole che appartengono, ancora oggi, in modo molto stretto, alla nostra storia, alla storia dei nostri padri, e sono state pensate per accompagnare, giorno per giorno, i gesti, le parole, i ritmi del tempo, la forma dei rapporti, l’accadere di determinati fatti… non come proverbi, ma come regole giuridiche che valgono nel mondo del diritto e, ancora oggi, conservano una attualità e validità impressionante.
    Chi, dovesse scoprire il valore e l'importanza dei brocardi, ne tragga tutto il personale profitto che essi potranno offrirgli, perché non c’è banca dati capace di eguagliarne il contenuto e la sapienza che essi tramandano ancora oggi e, sotto questo profilo, il libro di Umberto di Stilo è una preziosa fonte, della quale mi piace riportare, di seguito, una piccola recensione, che ho scritto e pubblicato nel luglio del 1995.

    Un altro gioiello dello scrittore galatrese
    ‘U VENTU SPARTI *

    “Secondo me è meglio rinunciare a qualcuna delle serate che, solitamente, si organizzano nel mese di agosto per allietare la presenza dei nostri emigrati, piuttosto che lasciare chiuso in un cassetto il minuzioso lavoro dell’amico giornalista Umberto Di Stilo”. Sono parole, scritte da Don Peppino Scopacasa nella premessa all’ultimo libro di Umberto Di Stilo, che rappresentano una proposta ed un richiamo, per chi sente l’esigenza di ritrovare una cultura ed una identità umana che ha lasciato un segno nei secoli e nella vita dei nostri avi: un mondo di valori, usanze, di tradizioni che sta scomparendo... ma che è possibile recuperare perché non scompaia anche dalla memoria.
    In questo senso è da ritenere miracoloso il lavoro che da anni, con competenza, rigore e pazienza certosina sta portando avanti l’amico Umberto Di Stilo.
    Il titolo del libro è “’U ventu sparti”, il sottotitolo “Norme giuridiche della civiltà contadina contenute nei detti e nei proverbi calabresi”: ultimo gioiello del Di Stilo che, a mio modesto parere, viene a rappresentare un ulteriore tassello di un unico mosaico, realizzato dagli altri lavori già pubblicati, uniti a quelli che lo saranno in futuro.
    Questi “tasselli” rappresentano per i più anziani delle realtà ancora pulsanti nella memoria. Per i più giovani qualcosa di affascinante, anche se confinato definitivamente, per fortuna non irrimediabilmente, nel nostro passato.
    Il libro raccoglie, per come dice il sottotitolo, norme giuridiche della civiltà contadina contenute nei detti e nei proverbi calabresi. Sono massime che appartengono, in modo molto stretto, alla nostra storia, e sono state pensate per accompagnare, giorno per giorno, i gesti, le parole, i ritmi del tempo, la forma dei rapporti, l’accadere di determinati fatti.
    Sono elementi questi che danno al volume un interessante aspetto storico. Sono, infatti, riportati, detti che si sono spesso sentiti citati, ma sui quali non esiste praticamente alcuno scritto. Quindi il libro, o per meglio dire “i libri”, di Umberto Di Stilo ci danno la possibilità di scoprire e conoscere la nostra storia, anche se vissuta attraverso i detti popolari.
    E qui sta un ulteriore merito dell’Autore: quello di aver fatto “rivivere”, dando dignità culturale a tutte quelle espressioni, sinteticamente definite “tradizioni popolari”, che non trovando ospitalità sui media ufficiali, rischiavano di non esistere più. Aver fatto rivivere una storia spesso non scritta, e perciò comunicata al di fuori dei tradizionali canali, legata a ciò che hanno pensato, creduto e vissuto uomini che non hanno lasciato alcuna traccia.
    Sono pochi gli studiosi che si sono addentrati in una così delicata e paziente opera di “ricognizione” storica capace di offrire uno “spaccato” di vita ormai scomparso.
    Non un mondo idilliaco né la ricerca del tempo perduto, ma la memoria di una tradizione, ancora capace di suscitare interesse e meraviglia.
    Le ragioni dell’interesse al lavoro del Di Stilo sono indubbiamente varie ma, tra di esse, non va sottovalutata quella attenzione posta alla valorizzazione degli insegnamenti tramandati sotto forma di detti e proverbi. In questa prospettiva non solo gli storici ma, più ampiamente, anche le persone culturalmente più sensibili desiderano conoscere le forme e le espressioni nelle quali, nel corso dei secoli, si è venuta delineando la fisionomia del nostro popolo.
    In questo senso si comprende, quindi, come tutta la lunga e travagliata fatica di Umberto Di Stilo, assuma una singolare importanza ed attualità.
    Tuttavia, nell’opera del Di Stilo non si intravede certamente la riesumazione di qualcosa di morto, ma la memoria di un patrimonio vivente, anche se sommerso... un patrimonio che mette in evidenza l’incontro con la vita quotidiana di un popolo, intessuta di usi e credenze, riti e superstizioni, pietà popolare e miracoli, lotte di sopravvivenza e feste dell’anno e delle stagioni, lavoro duro della terra e gusto di un serio e laborioso artigianato...
    E, per ultimo, parlando di tradizioni popolari intese come patrimonio di esperienze e di memorie che hanno determinato e guidato la vita della nostra gente, il Di Stilo ha incastonato mirabilmente anche quell’insieme di consuetudini giuridiche per cui i contadini potevano far legna nei boschi, usare il pascolo, servirsi di una strada, raccogliere i frutti, ecc. “Siamo di fronte – scrive il Di Stilo – alle antiche norme... alla “sacralità della parola” quando gli accordi erano siglati da patti verbali e da un’amichevole stretta di mano”. Non a caso, nel diritto romano, la parola data dal “pater familias” veniva definita “sacramentum”. Altri tempi...
    A questo punto mi resta poco da aggiungere... e quel poco si può sintetizzare in questo: conosco da anni Umberto Di Stilo, ho seguito il suo lavoro attraverso i suoi libri e, buona parte, degli articoli pubblicati.
    Dovrei aggiungere, a questo punto, che invidio Umberto Di Stilo. Ma affinché la mia dichiarazione non sia fraintesa, voglio precisare che si sono due tipi di invidia. C’è l’invidia “rosa”: vedi uno più bravo, più competente, più studioso di te e ti capita di pensare che staresti bene al suo posto, o che comunque ti piacerebbe riuscire a realizzare quello che ha fatto lui. Punto e basta!
    Poi c’è l’invidia “gialla”, anzi tendente pericolosamente al verde pisello (o al verde bile): è il sentimento di chi si rode nell’ombra e si augura che agli altri non capitino cose belle e buone. Questa è l’invida di chi, in realtà, soffre della fortuna, della bravura, della competenza degli altri.
    Di quest’invidia turpe il sottoscritto è, grazie a Dio, del tutto immune. La mia invidia per Umberto Di Stilo è di un bel rosa solare... a lui auguro che trovi ancora il tempo, e le condizioni, di poter realizzare e pubblicare i lavori che da anni, a prezzo di sacrifici e di sudore, porta avanti.
    Io gli posso solo augurare: “Buon lavoro”... Il tempo gli renderà gli innegabili meriti...

    * Da "Proposte", n. 11, luglio-agosto 1995

    Nelle foto, dall'alto in basso: Michele Scozzarra, autore dell'articolo; la statua del vescovo Burcardo da Worms, posta all'esterno del duomo di Magonza; la copertina del libro "U ventu sparti" di Umberto Di Stilo.


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    (28.6.12) LO STUDIO LEGALE ZITO: DA 50 ANNI NEI TRIBUNALI DI BUENOS AIRES - Lo Studio Legale Zito di Buenos Aires (Argentina) festeggia i cinquant'anni di attività. Fondato nel lontano 1962 da un italiano di origine galatrese, l'avv. Bruno Zito, giunto a Buenos Aires nel 1945 ancora ragazzino al seguito della propria famiglia, lo studio si avvale oggi della preziosa collaborazione dei figli del fondatore: gli avvocati Bruno Pablo, Fernando e Mariano, ognuno specializzato in un settore giuridico.
    La vasta esperienza accumulata negli anni presso i tribunali di Buenos Aires, consente allo studio legale Zito di essere attivo con successo nel campo del diritto penale, nel campo del diritto civile, in quello commerciale e in altre problematiche di tipo giuridico.
    Lo studio legale Zito si è sempre distinto, oltre che per la grande conoscenza e capacità di trattamento delle più diverse e complesse questioni giuridiche, anche per l'estrema correttezza e trasparenza di conduzione, tradottasi negli anni in un rapporto di grande fiducia con la clientela.
    Come afferma Bruno Zito: riferimenti dell'avvocato devono essere l'integrità morale e la probità, dire sempre la verità al cliente evitando di illuderlo, sono queste le qualità che consentono di stare sempre dalla parte della legge.
    Ai componenti dello studio legale Zito vanno dunque i nostri migliori auguri per i cinquant'anni di attività e per il proseguimento del loro lavoro.

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    intervista ai gestori dello Studio Legale Zito

    STUDIO LEGALE ZITO
    Uruguay 651 15 “A”
    (C1015ABM) Buenos Aires
    ARGENTINA
    Tel/Fax: 4371.3083
    estudiozito@fibertel.com.ar

    Nella foto: l'avv. Bruno Zito, fondatore dello Studio Legale Zito.

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